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S.","prima_controparte":"P. L.","altre_parti":"I. M., M. L.","testo_atto":"N. 211 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 luglio 2025\n\r\nOrdinanza del 29 luglio 2025 del Tribunale di Brindisi nel\nprocedimento civile promosso da R.A. S. contro P. L., I. M. e M. L.. \n \nProcesso civile - Esecuzione forzata - Misure di coercizione\n indiretta - Esercizio, su istanza di parte o d\u0027ufficio, da parte\n del giudice dell\u0027opposizione a precetto (e, in generale, del\n giudice dell\u0027esecuzione) del potere di determinare ex post un tetto\n quantitativo massimo (o di durata) all\u0027applicazione delle misure di\n coercizione indiretta, in mancanza di predeterminazione da parte\n del giudice della cautela o del giudice del merito - Omessa\n previsione. \n- Codice di procedura civile, art. 614-bis, nella formulazione\n anteriore a quella sostituita dall\u0027art. 3, comma 44, del decreto\n legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione della legge 26\n novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l\u0027efficienza\n del processo civile e per la revisione della disciplina degli\n strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure\n urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti\n delle persone e delle famiglie nonche\u0027 in materia di esecuzione\n forzata). \n\n\r\n(GU n. 45 del 05-11-2025)\n\r\n \n TRIBUNALE DI BRINDISI \n Sezione civile - Settore procedure concorsuali \n \n Il GI, letti gli atti ed i documenti di causa; \n viste le deduzioni delle parti e sciolta la riserva formulata\nall\u0027udienza del 10 luglio 2025; \n \n Osserva \n \n Per comodita\u0027 espositiva si fa precedere al testo dell\u0027ordinanza\nl\u0027indice seguito nella stesura della stessa: \nIndice \n 1. La fattispecie concreta \n 2. La questione d\u0027incostituzionalita\u0027: la contrarieta\u0027 ai\nprincipi di uguaglianza, ragionevolezza, di proporzionalita\u0027\ndell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile, nella formulazione\nprevigente alla riforma Cartabia, nella parte in cui non prevede la\npossibilita\u0027, da parte del Giudice dell\u0027opposizione a precetto, di\ndeterminare ex post un tetto quantitativo massimo (o anche solo\ntemporale) all\u0027operare delle misure ex 614-bis del codice di\nprocedura civile (su istanza di parte o, come nel caso di specie,\nanche d\u0027ufficio). \n 3. Presupposti per l\u0027ammissibilita\u0027 del rinvio all\u0027ill.ma Corte\ncostituzionale. \n 3.1. Perimetrazione della questione e rilevanza ai fini del\ncaso di specie. \n 3.2. Inquadramento dell\u0027istituto. \n 4. Possibilita\u0027 di un\u0027interpretazione costituzionalmente\nconforme: gli argomenti a favore della soluzione favorevole alla\npossibilita\u0027, per il giudice dell\u0027esecuzione, ove gia\u0027 non fatto dal\ngiudice del merito, di determinare ex post un tetto quantitativo o\ntemporale, massimo, all\u0027operare delle stesse. \n 4.1. La clausola generale rebus sic stantibus e la rilevanza\ndelle sopravvenienze. La qualificabilita\u0027 della esorbitanza della\nsomma maturata nei suddetti termini. \n 4.2. La riduzione d\u0027ufficio della penale manifestamente\neccessiva quale argomento logico richiamabile a favore della\npossibilita\u0027 di apporre d\u0027ufficio un tetto massimo. L\u0027estensione del\nprincipio di necessario equilibrio del rapporto contrattuale, ad\nopera del giudice delle leggi, alla caparra confirmatoria (seppur\nricorrendo al diverso rimedio della sanzione della nullita\u0027\nparziale). \n 4.3. Il fondamento equitativo del potere del G.e. di fissare ex\npost di un limite massimo all\u0027astreinte, determinata dal giudice del\nmerito; cosi\u0027 come dello stesso potere del giudice della cognizione\ndi provvedere alla sua riduzione (ove non gia\u0027 coperta da giudicato). \n 4.4. Un argomento sistematico in favore del potere di fissare,\nanche ex officio, un tetto massimo ad una misura, aliunde irrogata:\nla posizione della giurisprudenza amministrativa. \n 4.5. Argomento sistematico-evolutivo. \n 4.6. La qualificabilita\u0027 dell\u0027eccessiva esosita\u0027 della penale\nquale fatto sopravvenuto \n 4.7. Opponibilita\u0027 dell\u0027exceptio doli generalis (al di fuori\ndell\u0027ambito contrattuale). \n 5. Le criticita\u0027 mosse alla soluzione favorevole e la non agevole\nsperimentazione di un\u0027interpretazione costituzionalmente orientata. \n 6. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione dei principi di ragionevolezza e\nproporzionalita\u0027 ex art. 3 Cost. \n 6.1. Il divieto di vincoli perpetui quale declinazione dei\nprincipi de quibus. \n 6.2. Ricostruzione dei principi alla luce della giurisprudenza\ncostituzionale. \n 6.2.1. Il principio di ragionevolezza. \n 6.2.2. Il principio di proporzionalita\u0027. \n 6.2.3. La peculiarita\u0027 della disciplina del caso di specie. \n 6.2.4. I profili evidenziati dalla difesa dell\u0027opponente,\nrappresentata dal prof. V. Farina. \n 7. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione dell\u0027art. 42, comma 4, Cost., nonche\u0027\ndell\u0027articolo 117 Cost., come integrato, quale norma interposta,\ndell\u0027art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti\ndell\u0027uomo (CEDU). \n 8. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del principio di effettivita\u0027 della\ntutela giurisdizionale ex articoli 24, 111 Cost. e 47 CDFUE, nonche\u0027\ndell\u0027117 Cost., come integrato, quali norme interposte, dagli\narticoli 6 e 13 Cedu \n 9. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3\nCost. \n 10. Sintesi della questione. \n 11. Quesito posto al vaglio della Corte costituzionale. \n1. La fattispecie concreta \n L\u0027opposizione a precetto nasce da un giudizio di natura\ncautelare, a seguito del quale, e\u0027 stata emessa una misura coercitiva\nindiretta al fine di indurre gli opponenti all\u0027adempimento\ndell\u0027obbligazione di consegna di una determinata documentazione\nmedica, formata e acquisita nel corso dell\u0027attuazione del rapporto\nprofessionale. \n In particolare, consta ex actis che l\u0027anno ... gli opposti\nchiedevano al dott. ... (medico dentista), che accettava, di poter\nusufruire della sua opera professionale per la risoluzione di un\nproblema dentario che affiggeva la loro figlia minore, L. M. \n Veniva, quindi, effettuato un esame radiologico sull\u0027apparato\ndentario della minore, in base al quale il suddetto professionista e\nla sua collaboratrice dott.ssa ... (medico specialista odontoiatra)\nverificavano il tipo di cure di cui necessitava L. M. \n Ebbe, poi, inizio, presso lo studio professionale, un lungo\npercorso terapeutico. Nel ..., quando il ciclo terapeutico volgeva al\ntermine, i genitori, ritenendo che le cure cui era stata sottoposta\nla figlia M. , non avessero prodotto l\u0027esito sperato, si rivolgevano\nad altro medico dentista, il dott. ..., per avere un nuovo consulto. \n Con atto di diffida e costituzione in mora del 17 settembre 2021,\ngli opposti chiedevano al dott. ... il risarcimento di tutti gli\n(asseriti) danni patiti e patiendi - ancora in corso di accertamento\n- nonche\u0027 di indicare la propria compagnia assicurativa per la\nresponsabilita\u0027 professionale. \n Con nota in data 1° ottobre 2021, il dott. ... riferiva che le\ncure sulla minore, per quanto praticate presso il proprio studio,\nerano state eseguite, in piena autonomia, dalla dott.ssa ... , in\nquanto specialista, abilitata in ortodonzia, nei cui confronti li\ninvitava a rivolgere le richieste risarcitorie. \n Con nota, in data 11 ottobre 2021, gli opposti reiterarono la\nrichiesta di risarcimento dei danni nei confronti del dott. ...,\nestendendola anche nei confronti della dott.ssa ... . \n Con nota del 12 ottobre 2021, la dott.ssa ... riferiva di aver\navuto in cura L. M. , presso lo studio del dott. .., «esclusivamente\nper le cure odontoiatriche», invitandoli a rivolgere le richieste\nrisarcitorie nei confronti del collega, «quale titolare dello studio,\nal quale si era rivolta la minore L. M. , come paziente della\nstruttura su menzionata. \n Dovendo procedere, prima di agire giudizialmente, alla\ndeterminazione dei danni, subiti dalla loro figlia, con nota in data\n3 febbraio 2022, gli opposti chiedevano, al dott. ... e alla dott.ssa\n... , la restituzione delle radiografie eseguite prima dell\u0027inizio\ndel ciclo terapeutico cui era stata sottoposta L .M. \n Con nota, in data 11 febbraio 2022, il dott. ... riferiva di non\npossedere i referti degli esami diagnostici, ribadendo che L. M. era\nstata «curata e trattata solo ed esclusivamente dalla dr.ssa ...». \n Con nota pec in data 15 febbraio 2022, la dott.ssa ... riferiva,\ninvece, che «gli originali delle radiografie eseguite sulla minore M.\nL. [...] (era)no state restituite presso lo Studio ... in data 24\nottobre 2019». \n Premesso tale quadro fattuale, gli opposti adivano (con ricorso\nex artt. 670 e-o 700 ed ex artt. 669-bis e 614-bis del codice di\nprocedura civile, iscritto sub n. 1668/2022 r.g.) questo Tribunale,\ncui chiedevano di essere autorizzati, anche con decreto inaudita\naltera parte, a procedere al sequestro giudiziario delle radiografie\nin questione, con la contestuale determinazione, ai sensi dell\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile, di una somma di denaro per\n«ogni giorno» di ritardo nella esecuzione dell\u0027adottando\nprovvedimento. \n Con decreto, emesso inaudita altera parte, in data 27 maggio\n2022, questo Tribunale autorizzava gli opposti «a procedere al\nsequestro giudiziario delle radiografie eseguite su L. M. ...»,\nfissando l\u0027udienza del 7 luglio 2022 per i provvedimenti\nconsequenziali. \n Nelle more, gli opposti ponevano in esecuzione il decreto\ninaudita altera parte del 27 maggio 2022, eseguendo il sequestro sia\npresso lo studio del dott. ..., sia presso quello della dott.ssa .... \n Tuttavia, entrambi i tentativi risultavano infruttuosi in quanto\ni due professionisti dichiaravano di non essere in possesso delle\nradiografie di cui trattasi (v. verbale del sequestro eseguito nei\nconfronti della dott.ssa ..., in atti). \n Entrambi i medici si costituivano, poi, nel giudizio cautelare,\nribadendo le medesime (e antitetiche) versioni, relative alla\ndisponibilita\u0027 della documentazione richiesta, gia\u0027 sostenute ante\ncausam. \n Con ordinanza resa in data 2-5 settembre 2022,(... v. doc. 1, in\natti), questo Tribunale, sciogliendo la riserva, confermava la gia\u0027\nconcessa autorizzazione a procedere al sequestro giudiziario delle\nradiografie e, avendo constatato il perdurare dell\u0027inadempimento\nnella riconsegna delle radiografie, condannava i resistenti al\npagamento, in solido, della somma di euro 50,00 per ogni giorno di\nritardo nella esecuzione dell\u0027ordinanza stessa. \n Avverso tale ordinanza proponevano reclamo sia la dott.ssa ...\n(iscritto sub n. 2805/2022 r.g.), sia il dott. ... (iscritto sub n.\n2833/2022 r.g.). \n Nell\u0027attesa dell\u0027adottando provvedimento collegiale (che avrebbe\ndefinito la fase cautelare), gli opposti introducevano il giudizio di\nmerito (che pende sub n. 3474/2022 r.g. Tribunale\nBrindisi), avanzando, nei confronti dei due medici, la domanda di\nrisarcimento danni, alla cui quantificazione avevano dovuto procedere\nsenza poter disporre delle ridette radiografie. \n Con provvedimento, in data 10 luglio 2023 (v. doc. 2), questo\nTribunale rigettava entrambi i reclami, condannando i reclamanti al\npagamento delle spese legali e confermando l\u0027ordinanza del 25\nsettembre 2022, con cui i due medici erano stati condannati, in\nsolido, al pagamento della somma di euro 50,00 per ogni giorno di\nritardo nella esecuzione della medesima. \n Sulla scorta degli accadimenti sin qui narrati ed in forza della\nordinanza, resa da questo Tribunale, in data 2-5 settembre 2022, gli\nopposti hanno notificato, in data 20 luglio 2023, atto di precetto al\ndott. ... e alla dott.ssa ... (v. doc. 3), intimando il pagamento\ndella somma dovuta a titolo di astreinte, ossia per ogni giorno\nritardo (a decorrere dal 5 settembre 2022 e sino al 20 luglio 2023)\nnella esecuzione della ordinanza medesima. \n L\u0027importo che veniva precettato era pari a 15917.06 ed era\nlimitato al quantum maturato fino al giorno del precetto, senza che\nla parte manifestasse la volonta\u0027 di limitare, nel futuro, la propria\npretesa a quanto richiesto con l\u0027attivita\u0027 precettizia. \n Avverso il succitato precetto (soltanto) la dott.ssa ... ha\nproposto opposizione, ai sensi dell\u0027art. 615 del codice civile, con\natto notificato in data 4 agosto 2023 (v. doc. 4), citando gli\nopposti a comparire innanzi a questo Tribunale per l\u0027udienza del 20\ndicembre 2023. \n In particolare, l\u0027opponente si doleva dell\u0027assenza delle\ncondizioni giuridiche richieste per una legittima attivita\u0027\nprecettizia. \n Orbene, ritiene questo Giudice, ad una valutazione prima facie,\nche le ragioni formulate non possano essere accolte ed, in\nparticolare, che non sia ammissibile una riduzione delle misure ex\nart. 614-bis del codice di procedura civile su istanza di parte o\nanche d\u0027ufficio; \n Dal contraddittorio con le parti, stimolato per l\u0027udienza del 9\nmaggio, infatti, scaturito che in relazione al suddetto profilo\nesiste un precedente specifico della suprema Corte. Con riferimento\nalla formulazione anteriore alla novella del 2022, il giudice di\nlegittimita\u0027 ha avuto modo di affermare che «nell\u0027opposizione\nall\u0027esecuzione promossa in forza di un\u0027ordinanza ex art. 614-bis del\ncodice di procedura civile (nella formulazione anteriore alle\nmodifiche introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2022) non e\u0027\nconsentito dedurre la scarsa importanza dell\u0027inadempimento o del\nritardo nell\u0027adempimento con l\u0027effetto di ottenere una riduzione del\n\"quantum\" della misura coercitiva, risolvendosi altrimenti\nquest\u0027ultima in un\u0027inammissibile modificazione della portata\nprecettiva del titolo esecutivo giudiziale, permessa unicamente nel\nprocesso di cognizione e attraverso il rituale esperimento dei mezzi\ndi impugnazione» (Cass. sentenza n. 22714 del 26 luglio 2023). \n Cio\u0027 induceva questo Giudice a sottoporre, in udienza, alle parti\npresenti il diverso, per quanto correlato, profilo relativo alla\npossibilita\u0027, per il Giudice dell\u0027opposizione a precetto, non essendo\nstato fatto dal giudice della cautela o del merito, di predeterminare\nun tetto quantitativo massimo all\u0027operare della misura pecuniaria\nirrogata ex art. 614-bis del codice di procedura civile \n2. La questione d\u0027incostituzionalita\u0027: la contrarieta\u0027 ai principi di\nuguaglianza, ragionevolezza, di proporzionalita\u0027 dell\u0027art. 614-bis\ndel codice di procedura civile, nella formulazione previgente alla\nriforma Cartabia, nella parte in cui non prevede la possibilita\u0027, da\nparte del Giudice dell\u0027opposizione a precetto, di determinare ex post\nun tetto quantitativo massimo (o anche solo temporale) all\u0027operare\ndelle misure ex 614-bis del codice di procedura civile (su istanza di\nparte o, come nel caso di specie, anche d\u0027ufficio). \n Parte opponente si oppone all\u0027esigibilita\u0027 della misura,\nnegandone la liceita\u0027 e la congruita\u0027 sotto il profilo quantitativo. \n Pacifiche risultano tutte le sopra esposte circostanze di fatto. \n Rileva, a tal riguardo, questo Giudice che, come gia\u0027\nevidenziato, la definizione della controversia presuppone la\nnecessaria risoluzione di una complessa questione giuridica, che,\nperaltro, non risulta essere gia\u0027 stata risolta dalla Corte di\ncassazione, relativa al disposto di cui all\u0027art. 614-bis del codice\ndi procedura civile nella formulazione applicabile, pro tempore, alla\nfattispecie concreta, previgente alla riforma Cartabia, entrata in\nvigore dal 28 febbraio 2023. \n La norma prevedeva che «Con il provvedimento di condanna\nall\u0027adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro\nil giudice, salvo che cio\u0027 sia manifestamente iniquo, fissa, su\nrichiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall\u0027obbligato per ogni\nviolazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo\nnell\u0027esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna\ncostituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per\nogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente\ncomma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato\npubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e\ncontinuativa di cui all\u0027articolo 409. Il giudice determina\nl\u0027ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore\ndella controversia, della natura della prestazione, del danno\nquantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.». \n Per contro, per effetto della riforma Cartabia, l\u0027istituto e\u0027\nstato dilatato alla fase esecutiva con implementazione dei poteri\ncognitivi del G.e., salvo, poi, comprendere se si tratti di\ncognizione sommaria, qual e\u0027 quella tipica dello stesso o con\ncaratteri di pienezza. \n E\u0027 stata, infatti, aggiunta la previsione per cui «Se non e\u0027\nstata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo\nesecutivo e\u0027 diverso da un provvedimento di condanna, la somma di\ndenaro dovuta dall\u0027obbligato per ogni violazione o inosservanza o\nritardo nell\u0027esecuzione del provvedimento e\u0027 determinata dal giudice\ndell\u0027esecuzione, su ricorso dell\u0027avente diritto, dopo la\nnotificazione del precetto. Si applicano in quanto compatibili le\ndisposizioni di cui all\u0027articolo 612». \n La finalita\u0027 di tale previsione - ispirata a evidenti esigenze di\nsemplificazione ed economia processuale - e\u0027 quella di evitare che il\ncreditore, che si sia gia\u0027 provvisto di titolo esecutivo, debba\nattivare un giudizio di cognizione, al fine di conseguire una\npronuncia, che, invece, a ben vedere, secondo taluna dottrina,\nsarebbe, fisiologicamente, rientrante nei poteri del Giudice\ndell\u0027esecuzione quale Giudice chiamato all\u0027attuazione del comando\n(giudiziale o negoziale) rimasto inadempiuto. Potere da esercitarsi,\nd\u0027ufficio, oppure, ove investito di specifica istanza. \n In tal senso, deporrebbero, invero, chiari indici sistematici\ncome la stessa previsione di un potere similare in capo al Giudice\ndell\u0027ottemperanza, in sede amministrativa (v. infra). \n Invero, la nuova formulazione dell\u0027art. 614-bis del codice di\nprocedura civile, come novellata dalla riforma Cartabia, consente di\navanzare la domanda di misure coercitive anche nel giudizio di\nesecuzione solo se non richiesta nel precedente processo di\ncognizione. \n Cio\u0027 premesso, a venire, potenzialmente, in rilievo, sotto il\nprofilo della compatibilita\u0027 costituzionale dell\u0027assetto normativo\nprevigente, e\u0027 la possibilita\u0027 o meno, da parte del Giudice\ndell\u0027opposizione a precetto e, in generale, dell\u0027esecuzione, di\ndeterminare ex post un tetto quantitativo massimo (o anche solo\ntemporale) all\u0027operare delle misure ex 614-bis del codice di\nprocedura civile su istanza di parte o, come nel caso di specie,\nanche d\u0027ufficio. Cio\u0027, ogniqualvolta ne\u0027 il giudice della cautela,\nne\u0027 quello del merito abbiano provveduto a predeterminare il\nsacrificio massimo imponibile all\u0027obbligato. \n Tale facolta\u0027 processuale, secondo un minoritario approccio\ninterpretativo, dovrebbe ritenersi possibile alla stregua: \n a) della profonda crisi della tradizionale distinzione -\navente, invero, una sua intrinseca ragionevolezza - tra attivita\u0027 di\ntipo cognitorio e attivita\u0027 esecutiva cosi\u0027 come del passaggio da un\nquadro interpretativo - nella vigenza del quale le opposizioni\nesecutive costituivano gli unici momenti cognitivi di un\u0027attivita\u0027\nesecutiva, congeniata non «per conoscere, ma per attuare un pensiero\ngiuridico gia\u0027 definito». Ragione per cui, nell\u0027ambito dell\u0027economia\ncomplessiva dell\u0027attivita\u0027 giudiziaria, l\u0027attivita\u0027 accertativa\nveniva ad assumere un ruolo del tutto marginale - ad uno stadio\nevolutivo, contrassegnato da una vera e propria metamorfosi\ndell\u0027azione esecutiva verso un modello poliforme in cui la componente\ncognitiva, seppur in una logica di strumentalita\u0027 e nelle forme di un\naccertamento sommario e provvisorio, appare fortemente potenziata. \n In via interpretativa, infatti, si ritiene in essere la\ntransizione da un ruolo monolitico del G.e., quale mero esecutore di\nun comando gia\u0027 formato, ad una veste composita e duplice, non solo\nesecutiva, bensi\u0027 anche di giudice con poteri cognitivi sommari, se\nnon altro per tutte le questioni veicolabili dalle c.d. eccezioni in\nsenso lato; \n b) dell\u0027applicazione, in via analogica, di quanto previsto\ndall\u0027art. 1384 del codice civile, in materia di clausola penale;\nfattispecie rispetto alla quale quella in esame presenterebbe profili\ndi affinita\u0027 e che sarebbe espressione di un principio generale, a\nsua volta, fondato sull\u0027osservanza del principio di buona fede\noggettiva e di equita\u0027; \n c) della generalita\u0027 dell\u0027ambito applicativo del principio\nequitativo, nella nuova dimensione operativa, conseguita dallo\nstesso, con l\u0027evoluzione dell\u0027ordinamento interno anche alla luce dei\nprincipi costituzionali come quello solidaristico. La valorizzazione\ndi tale clausola generale potrebbe legittimare il giudice del merito\nalla revisione, ex officio, di quanto disposto in sede cautelare,\nnonche\u0027 il giudice dell\u0027esecuzione alla quantificazione, seppur in\nvia postuma, del massimo concretamente esigibile dall\u0027obbligato,\ndestinatario della misura; \n d) della generalita\u0027 dell\u0027ambito applicativo del principio di\nbuona fede oggettiva; \n e) di stringenti argomenti sistematici che si vanno ad\nesplicitare, tra cui la posizione assunta dall\u0027Adunanza plenaria del\nConsiglio di Stato (Ad. Pl. 2019, n. 2); \n f) della naturale vocazione del Giudice dell\u0027esecuzione a\nconoscere delle vicende sopravvenute, specie, in fatto, rispetto al\nmomento genetico del comando da eseguire. \n Secondo taluni autori, la verifica della sopravvenuta esorbitanza\ndella misura sarebbe una prerogativa che compete fisiologicamente\nproprio al giudice dell\u0027esecuzione, che e\u0027 posto nelle condizioni di\nverificare gli effetti prodotti dalla misura, successivamente alla\nsua irrogazione e cio\u0027 potendo compiere una valutazione comparativa\ndegli interessi in gioco, in relazione - eventualmente - anche al\nnuovo assetto degli stessi venutosi a delineare per effetto del\ndecorso del tempo nonche\u0027 della condotta concretamente tenuta dalle\nparti successivamente all\u0027irrogazione della misura. \n D\u0027altronde, si afferma, e\u0027 proprio il giudice dell\u0027esecuzione\nche, come nella fattispecie concreta, a seguito del concreto e\ncompiuto sviluppo della vicenda fattuale e del suo snodarsi nel\ntempo, puo\u0027 valutare la ragionevolezza e equita\u0027 di una misura\nrimasta parzialmente indeterminata da parte del giudice della cautela\n(o del merito). \n Ne\u0027, invero, tale funzione puo\u0027 essere, efficacemente, assunta\ndal giudice del correlato giudizio di merito, instaurato a seguito\ndella definizione della fase cautelare e ai fini della conservazione\ndella stabilita\u0027 degli effetti della stessa. \n Cio\u0027, per due ordini di ragioni: \n a) il destinatario della misura che ambisca alla fissazione,\nex post, della durata temporale o dell\u0027importo massimi, per poter\nconseguire la tutela agognata - indicando al giudice un importo\ncomplessivo dell\u0027astreinte, che non sia eccedente rispetto al danno\nsubito dal creditore - dovrebbe attendere la definitivita\u0027\ndell\u0027eventuale sentenza di merito che venga ad accogliere la\nrichiesta risarcitoria della controparte. Come noto, infatti, e\nconformemente alla dogmatica processualistica tradizionale, le\nsentenze di tipo dichiarativo o costitutivo, ai fini della loro\nesecutivita\u0027, richiedono il passaggio in giudicato. \n Correlativamente, il tempo di attesa potrebbe essere\ninconcepibile con il principio di effettivita\u0027 della tutela\ngiurisdizionale, in tal caso, coincidente con l\u0027interesse al\ncontenimento di una misura sanzionatoria di tipo patrimoniale che,\ndiversamente, sarebbe destinata, ad incidere sine die sulla propria\nsfera patrimoniale; \n b) per contro, il giudice dell\u0027esecuzione, investito\nattraverso lo strumento dell\u0027opposizione a precetto o all\u0027esecuzione,\npotrebbe gia\u0027 in sede di sospensiva arginare l\u0027effetto dirompente,\nper la sfera giuridica dell\u0027obbligato, della predetta misura\ncoercitiva. \n Dunque, secondo la suddetta dottrina, la richiesta di fissazione,\nex post, della durata temporale o dell\u0027importo massimi della misura,\ndovrebbe ritenersi pienamente ammissibile, anche nella logica di\nun\u0027interpretazione costituzionalmente orientata della norma\nprocessuale, rispettosa del diritto di proprieta\u0027, quale valore di\nrango costituzionale ex art. 42 Cost. e che deve ritenersi preclusivo\ndi qualunque misura che, traducendosi in un\u0027aggressione\nsproporzionata della sfera giuridica e patrimoniale, assuma una\nportata sostanzialmente espropriativa della stessa. \n Cio\u0027, varrebbe anche per quanto concerne la possibilita\u0027 di un\nrilievo d\u0027ufficio, ma cio\u0027, pero\u0027, sempre che lo stesso non sia\nincompatibile con le richieste processuali dell\u0027obbligato. Venendo in\nrilievo diritti e obblighi disponibili, non puo\u0027 escludersi, in\nastratto, che l\u0027obbligato, nel costituirsi, nulla obietti circa\nl\u0027illegittimita\u0027 della misura coercitiva o, addirittura, esprima la\nvolonta\u0027 di soggiacere alla stessa per ragioni etiche o di altra\nnatura. \n2. Presupposti per l\u0027ammissibilita\u0027 del rinvio all\u0027ill. ma Corte\ncostituzionale. \n 2.1. Perimetrazione della questione e rilevanza ai fini del caso\ndi specie \n Invero, la soluzione di siffatta questione e\u0027 propedeutica alla\ndecisione della controversia, dovendo questo Giudice sondare la\npossibilita\u0027 di un intervento ex officio su una penale che rischia di\nassumere una portata sproporzionata rispetto al danno inferto al\ndestinatario della stessa, cosi\u0027 come rispetto alla sua funzione di\ncoercizione all\u0027adempimento. \n Infatti, a fronte di un danno non patrimoniale di tipo biologico,\nancora in corso di quantificazione davanti al giudice del merito e,\napparentemente, di entita\u0027 non grave, i creditori della prestazione\nhanno precettato l\u0027importo finora maturato, pari ad euro ... . \n Peraltro, la misura e\u0027 stata irrogata, cautelativamente, dal\ngiudice del 700 del codice di procedura civile e su di essa non e\u0027\ndisceso alcun giudicato ne\u0027 esplicito, ne\u0027 implicito, essendo il\ngiudice di merito ancora in corso. \n Inoltre, tale questione presenta gravi difficolta\u0027\ninterpretative, essendosi gia\u0027 manifestati contrastanti orientamenti\nsia in giurisprudenza sia in dottrina. \n Si deve premettere che, come gia\u0027 evidenziato, tale questione e\u0027\ndistinta, per quanto affine, a quella relativa al potere di\nriduzione, da parte del Giudice dell\u0027esecuzione, della penale,\ndisposta, come in questo caso, dal giudice della cautela (o del\nmerito). \n Con riferimento alla fattispecie della riducibilita\u0027 della\npenale, aliunde irrogata, da parte del giudice dell\u0027esecuzione, come\ngia\u0027 evidenziato, in relazione alla formulazione della norma\nprocessuale anteriore alla novella del 2022, il giudice di\nlegittimita\u0027 ha avuto modo di affermare che «nell\u0027opposizione\nall\u0027esecuzione promossa in forza di un\u0027ordinanza ex art. 614-bis del\ncodice di procedura civile (nella formulazione anteriore alle\nmodifiche introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2022) non e\u0027\nconsentito dedurre la scarsa importanza dell\u0027inadempimento o del\nritardo nell\u0027adempimento con l\u0027effetto di ottenere una riduzione del\n\"quantum\" della misura coercitiva, risolvendosi altrimenti\nquest\u0027ultima in un\u0027inammissibile modificazione della portata\nprecettiva del titolo esecutivo giudiziale, permessa unicamente nel\nprocesso di cognizione e attraverso il rituale esperimento dei mezzi\ndi impugnazione» (Cass. sentenza n. 22714 del 26 luglio 2023). \n In suddetto caso, gia\u0027 sottoposto al vaglio della suprema Corte,\nveniva in rilevo il problema di un\u0027eventuale rimodulazione del\nquantum, irrogato da parte del giudice dell\u0027esecuzione, che, come\nevidenziato dalla suprema Corte, ove ritenuta ammissibile, darebbe la\nstura ad una (illegittima) duplicazione della valutazione gia\u0027\nespressa dal giudice del merito (o della fase interinale) e\nrientrante nella sua competenza funzionale. Cio\u0027, peraltro, con\neffetti, potenzialmente, non solo ex nunc ma anche ex tunc. Infatti,\ntale rivisitazione, laddove, per ipotesi, fosse ritenuta ammissibile,\nincidendo sulla misura della sanzione, possa intervenire anche con\nriguardo al momento genetico della stessa. Cio\u0027, salvo considerare,\nquale circostanza ostativa a cio\u0027, il legittimo affidamento, riposto\ndal creditore, sulla stabilita\u0027, almeno per gli effetti gia\u0027\nprodotti, della misura coercitiva, costituendo gli stessi «diritti\nquesiti». \n Per contro, la diversa fattispecie - integrata nel caso di specie\n- che e\u0027 incentrata sulla possibilita\u0027 di una cristallizzazione pro\nfuturo della pretesa sanzionatoria, ex officio o su istanza di parte\n(con la specificazione, ad opera del giudice dell\u0027opposizione a\nprecetto, di una durata o di un importo massimo, complessivamente,\nesigibile) sottende la mera precisazione di un precetto\ngiurisdizionale che non viene travolto nella sua portata\ncontenutistica, neanche solo in parte, ma solo integrato e\nspecificato «per il suo armonioso e virtuoso funzionamento». \n In particolare, taluni tribunali hanno ritenuto che il giudice\ndell\u0027esecuzione non possa, in alcun modo, interferire su una misura\neterodeterminata dal Giudice della cognizione, diversamente\ntravalicando la sua «vocazione istituzionale» e cio\u0027 neanche sotto il\nprofilo della possibilita\u0027 di determinare ex post un importo massimo. \n Inoltre, specie, quando la misura sia contenuta in un\nprovvedimento definitivo perche\u0027 passato in giudicato, si porrebbe un\nproblema di violazione della res iudicata. \n Invero, analogo problema viene posto per l\u0027ipotesi - quale e\u0027\nquella del caso di specie - del giudicato cautelare, assistito da\nquella peculiare stabilita\u0027 rebus sic stantibus che e\u0027 propria dei\nprovvedimenti cautelari, non piu\u0027 reclamabili o gia\u0027 passati al\nvaglio del Collegio (per essere dallo stesso confermati o\nrimodulati). Stabilita\u0027 destinata a venire meno solo in presenza di\nun mutamento del quadro fattuale o giuridico che, per cosi\u0027 dire, ha\nfatto da sfondo all\u0027assunzione del provvedimento, come pure\ndesumibile dalla disciplina in materia di revoca dei provvedimenti\ncautelari ex art. 669-decies del codice di procedura civile. \n Dunque, il potere di riduzione del giudice dell\u0027esecuzione\nsarebbe da ritenersi del tutto precluso anche in tale fattispecie,\ncosi\u0027 come - profilo rilevante nella fattispecie concreta - in sede\nesecutiva, non sarebbe apponibile alcun limite massimo, in via\npostuma, all\u0027astreinte irrogata in sede esecutiva. \n Altri giudici, invece, si sono espressi limitatamente al gia\u0027\nmenzionato potere di riduzione, ammettendolo per la misura irrogata\ndal Giudice della cautela, ma in capo al Giudice investito del\nmerito. \n A tal riguardo, si e\u0027 ritenuto che tale facolta\u0027 fosse\nesercitabile anche d\u0027ufficio, se necessario, per cui il giudice di\nmerito potrebbe, ad esempio, valutare la congruita\u0027 e l\u0027adeguatezza\ndella penale disposta da una ordinanza cautelare ed eventualmente\nrideterminarla (v. Tribunale Milano Sez. spec. Impresa, 15 ottobre\n2019 secondo cui «Al giudice del merito chiamato ad applicare una\npenale disposta da una ordinanza cautelare per il caso di violazione\ndell\u0027inibitoria all\u0027utilizzo di un marchio, spetta il potere di\nvalutarne la congruita\u0027 e l\u0027adeguatezza, con conseguente possibilita\u0027\ndi sua rideterminazione»). \n Nondimeno, non constano pronunce che si siano interrogate sulla\npossibilita\u0027, a fronte di una misura coercitiva stabilita in sede di\n700 del codice di procedura civile, di una fissazione ex post del\nsuddetto limite quantitativo o temporale in sede esecutiva. \n Per quanto concerne il formante dottrinale, invece, secondo\ntaluni autori, nell\u0027ipotesi di comminatoria di una misura coercitiva\nindiretta, verrebbe in rilievo una fattispecie analoga a quella di\ncui all\u0027art. 1382 del codice civile (rubricata come «clausola penale\nin caso d\u0027inadempimento o di ritardo nell\u0027adempimento»), in quanto il\ncreditore sarebbe esonerato dalla prova di alcun danno e con il solo\nelemento di differenziazione, rappresentato dalla circostanza che,\nnell\u0027ipotesi dell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile, la\nsomma e\u0027 determinata dal giudice, non dalle parti nell\u0027esercizio\ndella loro autonomia. \n La disamina della questione relativa al riconoscimento del\npotere, in capo al G.e., di un\u0027eventuale modulazione ex post della\ndurata o dell\u0027importo massimo della misura, richiede una preliminare\nricostruzione della disciplina in materia anche al fine di definire\nla natura giuridica e la ratio ispirativa dell\u0027istituto. \n 2.2. Inquadramento dell\u0027istituto \n Come noto, con la legge n. 69/2009, hanno fatto ingresso\nnell\u0027ordinamento giuridico le misure di coercizione indiretta, che si\nappalesa come «l\u0027unico strumento in grado di assicurare l\u0027attuazione\ndei diritti a prestazioni infungibili e insurrogabili con le forme\ntradizionali di esecuzione forzata». \n A tal riguardo, non e\u0027 peregrino ricordare come il concetto di\ninfungibilita\u0027 sia stato inteso variamente in dottrina. Infatti,\noltre all\u0027infungibilita\u0027 che discende dalla natura della prestazione\n(diversa dalla realizzazione di un\u0027opera materiale, di cui si legge\nnell\u0027art. 612 del codice di procedura civile) o che si riconnette\n«all\u0027interesse del creditore derivante dall\u0027intuitus personae, o\ncomunque all\u0027obiettivo regolamento contrattuale», ulteriori elementi\nrivelatori della infungibilita\u0027 erano «fatti derivare da divieti\ninderogabili dell\u0027ordinamento (riduzione in schiavitu\u0027, soggezione al\npotere altrui, status familiari) o piu\u0027 in generale da sfere di\nautonomia e liberta\u0027 non coercibili in quanto protette al piu\u0027 alto\nlivello costituzionale». \n Invero, la precedente formulazione della norma in termini di\n«Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare», ne\nimplicava l\u0027applicabilita\u0027 solo alle predette obbligazioni. \n Si sosteneva, infatti, che trattandosi, come si avra\u0027 modo di\nspiegare, di una misura sanzionatoria e, dunque, di una «pena\nprivata», avrebbero trovato applicazione il principio di tassativita\u0027\ne il suo corollario logico della necessita\u0027 di un\u0027interpretazione\nrestrittiva della norma. \n L\u0027iniziale formulazione non conteneva alcun riferimento, al fine\ndi escluderli dalla propria portata applicativa, ai diritti della\npersonalita\u0027. Nondimeno, prevedeva «una innovativa limitazione\nconsistente nel potere del giudice di negare la comminatoria in caso\ndi manifesta iniquita\u0027 della stessa», formulazione fortemente\ncriticata per la sua eccessiva genericita\u0027. \n Nella vigenza dell\u0027originaria formulazione della norma,\nautorevole dottrina aveva sollecitato la generalizzazione della\nportata operativa dell\u0027astreinte, anche con riguardo ai titoli\nesecutivi, di natura stragiudiziale. \n Con il decreto-legge n. 83/2015, convertito dalla legge n.\n132/2015, e\u0027 stata novellata la rubrica, che si esprime - e cosi\u0027 e\u0027,\ntutt\u0027ora, anche a seguito della riforma Cartabia - in termini di\n«Misure di coercizione indiretta». \n Al contempo, per effetto della predetta novella, e\u0027 stato\nprecisato il novero delle obbligazioni cui l\u0027istituto puo\u0027 trovare\napplicazione, ovvero tutti gli obblighi differenti da quelli\npecuniari ovvero aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro. \n Il riferimento e\u0027 alle obbligazioni di facere infungibili, cosi\u0027\ncome a quelle di non fare, ascrivibili alla prima categoria, cosi\u0027\ncome alla prestazione di consegna o di rilascio di cose e ad ogni\naltro provvedimento condannatorio («diverso» da quelli relativi a\nsomme di denaro) anche di «indole inibitoria». \n Come evidenziato in dottrina, la novella assume rilievo nella\nmisura in cui contribuisce a mutare del tutto sia «la fisionomia»,\nsia «la ratio dell\u0027istituto», elevandolo da «strumento residuale di\ntutela rispetto all\u0027esecuzione forzata diretta, per i casi in cui\nessa non puo\u0027 operare», a «rimedio con essa concorrente, potendo\nessere utilizzato dal giudice anche a presidio di obblighi\nperfettamente fungibili e passibili di esecuzione nelle forme del\ncodice di rito». \n Per la sua importanza nella ricostruzione dell\u0027istituto, appare\nutile precisarne, ulteriormente, l\u0027ambito operativo. \n Secondo la dottrina piu\u0027 accreditata, non sarebbe superabile il\nlimite costituito dalla natura necessariamente «condannatoria» del\nprovvedimento, per cui dovrebbero ritenersi escluse le sentenze\ndichiarative e costitutive. Nondimeno, e\u0027 stato osservato come, sotto\nil profilo della sua «ontologia e della sua dinamica funzionale», «la\nmisura coercitiva non si attaglia esclusivamente a una pronuncia di\ncondanna, ben potendosi immaginarla accessoria a una pronuncia\ncostitutiva o di accertamento e finanche a un provvedimento\nendoprocessuale». \n A tal riguardo, dubbia e\u0027 l\u0027ammissibilita\u0027 della stessa in\nconcorso con l\u0027azione ex art. 2932 del codice civile, quale ipotesi\nparadigmatica di esecuzione in forma specifica, in quanto volta ad\nassicurare al creditore il medesimo bene della vita agognato. \n A tal riguardo, militano in senso favorevole, elementari esigenze\nconnesse al principio di effettivita\u0027 della tutela. \n Diversamente, infatti, l\u0027interessato, per conseguire la tutela\nagognata, sarebbe costretto a attendere il passaggio in giudicato\ndella sentenza costitutiva che abbia, eventualmente, accolto la\ndomanda di pronuncia giurisdizionale, sostitutiva del consenso non\nmanifestato nei termini convenuti. \n Ne\u0027, in senso contrario, appare utile richiamare la circostanza\nper cui l\u0027obbligo di contrarre non si configura come infungibile,\npotendosi sempre richiedere una pronuncia del giudice che tenga luogo\ndel contratto non stipulato spontaneamente dall\u0027obbligato. \n A tale obiezione e\u0027, agevolmente, replicabile che presupposto\napplicativo della norma - e, al contempo, suo limite - e\u0027 che si non\nsi aneli all\u0027esecuzione di un\u0027obbligazione pecuniaria, quale tipico\nobbligo di genere, non rilevando, per contro, la sostituibilita\u0027\ndella prestazione dovuta e non eseguita. \n Peraltro, chiaramente, l\u0027obbligazione di datio del consenso,\nestrinsecandosi in una manifestazione di volonta\u0027 negoziale e non in\nuna consegna materiale della res, non puo\u0027 considerarsi tale. \n Peraltro, al fine di delimitare l\u0027ambito operativo della norma,\nper scelta esplicita del legislatore, non possono venire in rilievo\ncontroversie di lavoro subordinato pubblico e privato, cosi\u0027 come la\nmisura risulta inapplicabile in relazione ai rapporti di\ncollaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 del del codice\ndi procedura civile. \n D\u0027altronde, e\u0027 innegabile che le stesse afferiscano a\nobbligazioni di natura personalissima, oltre che, per taluni autori,\ndi rango costituzionale, essendo indubbio che alcune tipologie di\nprestazione come quella artistica costituiscano strumento di\nestrinsecazione e affermazione della personalita\u0027 umana ex art. 2\nCost. \n Sotto il profilo della natura giuridica, come evidenziato in\ndottrina, tale forma rimediale, di cui si conoscono precedenti\nnell\u0027ordinamento francese e tedesco, avrebbe natura sanzionatoria,\nsostanziandosi nell\u0027imposizione, in capo all\u0027obbligato, di una specie\ndi penale per l\u0027inadempimento in senso assoluto o l\u0027adempimento\ntardivo di una pronuncia di condanna. \n Ne\u0027 costituisce circostanza ostativa a tale qualificazione che la\nsomma di denaro abbia quale beneficiario il creditore e non lo Stato,\ntrattandosi di sanzione destinata a esplicare la sua funzione\nrepressiva nei rapporti fra due privati, coincidenti con le parti del\nrapporto obbligatorio. \n Invero, taluna dottrina ne rivendica una finalita\u0027 composita e,\nsostanzialmente, duplice: «una funzione anzitutto compulsoria, ovvero\ntesa a stimolare l\u0027adempimento alle statuizioni del provvedimento di\ncondanna sotto pena del pagamento di una somma di denaro... ; in\nsecondo luogo sanzionatoria, ove riguardata ex post, nella misura in\ncui, non essendosi realizzata la prima funzione, in mancanza di\nesatto adempimento da parte del soggetto tenuto, questi sara\u0027\nchiamato a corrispondere alla controparte una somma di denaro». \n Da cio\u0027, come autorevolmente sostenuto, deriverebbe che quando il\ndebitore destinatario della misura, perche\u0027 inadempiente rispetto al\ncomando giudiziale, ottenga, eventualmente, la riforma dello stesso,\nnon potrebbe ripetere quanto pagato. \n Diversamente, si afferma, verrebbe ad essere neutralizzata la\nfunzione sanzionatoria che non avrebbe piu\u0027 modo di dispiegarsi in\nmodo effettivo. \n Invero, proprio la natura ancillare del provvedimento, irrogativo\ndell\u0027astreinte, rispetto al titolo giudiziale caducato, dovrebbe\nindurre a considerare criticamente tale soluzione. \n Sotto il diverso piano strutturale, la misura coercitiva di cui\nall\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile ha una portata\naccessoria rispetto al provvedimento di condanna e ha essa stessa\ncontenuto condannatorio. \n Per quanto concerne l\u0027ambito operativo della misura, pur dopo la\nnovella del 2015, in una prospettiva de iure ferendo, si era\nprospettata - sollecitazione, poi, accolta, seppur con dei correttivi\noperativi, dalla riforma Cartabia - l\u0027introduzione di una competenza\nconcorrente del giudice dell\u0027esecuzione. \n Infatti, la circostanza che la misura dovesse essere irrogata\ncontestualmente con la condanna impediva la «modulazione\ndell\u0027astreinte rispetto ai fatti successivi alla sua irrogazione», da\nparte del Giudice dell\u0027esecuzione. \n In ultimo, si era proposto di attribuire a quest\u0027ultimo anche il\npotere di procedere alla liquidazione della somma, anche quando\nl\u0027irrogazione della misura fosse avvenuta da parte del giudice della\ncognizione, nell\u0027ambito di un processo sommario in contraddittorio. \n La legge delega sulla riforma del processo civile e il decreto\nlegislativo n. 149 del 2022, che vi ha dato attuazione, come gia\u0027\nevidenziato, hanno arginato solo in parte tali profili di criticita\u0027. \n Come gia\u0027 evidenziato, per effetto della riforma Cartabia,\nl\u0027istituto e\u0027 stato dilatato alla fase esecutiva. \n Orbene, la questione di legittimita\u0027 e\u0027 posta in relazione alla\nformulazione previgente, ma ritiene questo Giudice che l\u0027analisi\ndelle modifiche, apportate dalla riforma Cartabia, possa offrire\nelementi utili nella logica di un\u0027interpretazione evolutiva della\nversione previgente, applicabile, ratione temporis, alla fattispecie\nconcreta. In particolare, il riferimento e\u0027 alla possibilita\u0027 di\nformulare la richiesta di 614-bis del codice di procedura civile\nanche al di fuori dei termini perentori previsti per la formulazione\ndi domande e eccezioni in senso stretto. \n Cio\u0027 premesso, e\u0027 stata aggiunta la previsione per cui «Se non e\u0027\nstata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo\nesecutivo e\u0027 diverso da un provvedimento di condanna, la somma di\ndenaro dovuta dall\u0027obbligato per ogni violazione o inosservanza o\nritardo nell\u0027esecuzione del provvedimento e\u0027 determinata dal giudice\ndell\u0027esecuzione, su ricorso dell\u0027avente diritto, dopo la\nnotificazione del precetto. Si applicano in quanto compatibili le\ndisposizioni di cui all\u0027articolo 612». \n Secondo la Relazione illustrativa, la nuova formulazione «e\u0027\nvolta a porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che\nattribuisce al solo giudice» della cognizione il potere di irrogare\nla misura coercitiva, «cosi\u0027 evitando di imporre all\u0027avente diritto\nalla prestazione risultante da un titolo esecutivo stragiudiziale di\ninstaurare un processo ad hoc. Lo stesso puo\u0027 ripetersi per il lodo\narbitrale». \n Orbene, la nuova formulazione dell\u0027art. 614-bis del codice di\nprocedura civile, come introdotta dalla riforma Cartabia, consente di\navanzare la domanda di misure coercitive anche nel giudizio di\nesecuzione. Cio\u0027, sempre che la stessa non sia stata gia\u0027 richiesta\nnel precedente processo di cognizione. \n Cio\u0027 vuol dire che, stando al tenore testuale della norma, la\ncompetenza del secondo all\u0027assunzione del provvedimento e\u0027\nsubordinata non alla mancata concessione da parte del giudice della\ncognizione, ma alla sua mancata richiesta da parte dell\u0027interessato. \n Ne consegue, logicamente, che il potere del giudice\ndell\u0027esecuzione e\u0027 inibito anche nell\u0027ipotesi in cui la misura sia\nstata meramente richiesta al giudice della cognizione, ma tal ultimo\nl\u0027abbia negata(1). \n E\u0027 chiara la valenza preclusiva che il legislatore della riforma\nha voluto accordare alle valutazioni del giudice del merito, anche in\nnome di quella competenza funzionale che esclude la proponibilita\u0027,\ndavanti al giudice dell\u0027esecuzione, delle questioni dedotte (o anche\nsemplicemente deducibili) in sede di cognizione. \n A fronte di un chiaro dato testuale, non pare condivisibile\nl\u0027opzione esegetica che ritiene la misura applicabile dal giudice\ndella esecuzione anche quando la misura sia stata ritualmente\nrichiesta ma non concessa. \n Si e\u0027 affermato che, in tale ipotesi, non vi sarebbero ragioni\ngiuridiche impeditive della competenza del G.e.. La ratio sarebbe\nquella di non ingenerare sovrapposizioni (cognitive e decisorie) tra\nil giudice della cognizione e quello dell\u0027esecuzione e tale\ninterferenza, del secondo, nella sfera del primo sarebbe da\nescludersi quando l\u0027istanza al giudice della cognizione sia rimasta\ntrascurata, a meno che non possa dirsi implicitamente rigettata. \n Inoltre, in tale ipotesi nell\u0027ipotesi di omissione di pronuncia,\n«non puo\u0027 formarsi il giudicato mancando una decisione neppure\nimplicita». \n Ne\u0027, a tal riguardo, data l\u0027insuperabilita\u0027 del dato normativo,\ne\u0027 sufficiente invocare l\u0027esigenza di un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente conforme (in funzione del diritto della parte\nall\u0027effettivita\u0027 della tutela giurisdizionale e del principio della\nragionevole durata del processo). \n D\u0027altronde, vale anche in tale caso il generale principio\ndell\u0027insuperabilita\u0027 del dato testuale racchiusa nel noto brocardo\nper cui in claris non fit interpretatio. Dunque, il potere de quo\nviene riconosciuto anche in capo al giudice dell\u0027esecuzione(2) «in\nchiave complementare» e non concorrente, rispetto al giudice della\ncognizione, implementando, in ogni caso, la soglia complessiva di\neffettivita\u0027 del sistema di tutela esecutiva(3), quale corollario del\npiu\u0027 generale principio del giusto processo, che ha fondamento\nnormativo costituzionale nell\u0027art. 24, 111 Cost., nonche\u0027 comunitario\ne convenzionale negli articoli 6, 13 Cedu e 47 CDFUE. \n In particolare, l\u0027art. 13 della CEDU sancisce il diritto ad un\nricorso effettivo a favore di ogni persona i cui diritti e liberta\u0027\nfondamentali siano stati violati. \n A tal riguardo, sotto il profilo dell\u0027ambito operativo temporale\ndella norma, la novella permette di formulare richiesta al giudice\ndell\u0027esecuzione in relazione a condanne che siano state emesse prima\ndel 2009, sempre che il diritto di agire in via esecutiva non sia\nprescritto. Data la sopra evidenziata complementarieta\u0027 dei poteri,\nappare utile l\u0027esatta individuazione del termine finale entro il\nquale la misura e\u0027 richiedibile nel processo di cognizione. \n Deve convenirsi con quella dottrina, secondo cui la richiesta di\napplicazione dell\u0027art. 614-bis, 1° comma del codice di procedura\ncivile conosca quale momento consumativo del potere di farne\nrichiesta la «precisazione delle conclusioni ... nei limiti degli\natti introduttivi o a norma dell\u0027art. 171-ter» (art. 189, 1° comma,\nn. 1, del codice di procedura civile. \n Per contro, per quanto concerne il dies a quo, non appare\nconforme ai superiori dettami costituzionali, la tesi di chi ritiene\nche se ne debba fare richiesta necessariamente nell\u0027atto\nintroduttivo. \n Peraltro, sotto il profilo processuale e del raccordo con i\nprincipi generali che conformano l\u0027autonomia processuale delle parti,\nsecondo autorevole dottrina, la suddetta istanza non sarebbe idonea a\ningenerare ne\u0027 una domanda nuova, ne\u0027 una modifica della domanda\noriginaria, in quanto preordinata al conseguimento di una misura\nmeramente strumentale al conseguimento del bene della vita\noriginariamente dedotto in giudizio. \n Il provvedimento irrogativo della misura, assunto dal giudice,\navrebbe un rilievo meramente processuale o di rito, non essendo\nconfigurabile, per l\u0027appunto, un diritto sostanziale a ottenere la\nmisura coercitiva. Esso, infatti, non ha la funzione di definire un\nrapporto giuridico, assicurandone una regolamentazione, ma\ningenererebbe «un nuovo rapporto obbligatorio la cui funzione e\u0027\nquella, strettamente processuale, di dare esecuzione indiretta alla\npronuncia giudiziale». \n D\u0027altronde, l\u0027aver la novella attribuito al giudice\ndell\u0027esecuzione una competenza (non concorrente, ma alternativa) in\nmateria, costituirebbe un\u0027indiretta conferma della natura meramente\nstrumentale e accessoria del provvedimento, al pari dell\u0027istanza di\nconversione. \n Tale tesi non e\u0027 stata priva di riscontri nella giurisprudenza di\nlegittimita\u0027 (Corte di cassazione; sezione III, ordinanza del 23\nmarzo 2024, n. 7927; secondo cui «Il provvedimento con il quale il\ngiudice del merito, ex art. 614-bis del codice di procedura civile,\nconcede (o nega) la misura coercitiva indiretta ha natura di\nprovvedimento in rito. Tale inquadramento giustifica e da\u0027 fondamento\nalla cognizione piena della S.C. per inosservanza della norma\nprocessuale». \n Sulla base di tali premesse ricostruttive, nel processo di\ncognizione l\u0027applicazione dell\u0027art. 614-bis del codice di procedura\ncivile potrebbe essere domandata - naturalmente senza poter allegare\nnuove circostanze di fatto - nelle conclusioni contenute nelle note\nscritte depositate nel termine di cui all\u0027art. 189, 1° comma, n. 1,\ndel codice di procedura civile e, per il procedimento semplificato,\nin quelle che il giudice invita a precisare a norma dell\u0027art.\n281-sexies del codice di procedura civile quando rimette la causa in\ndecisione (art. 281-terdecies c.p.c). \n Nella vigenza della disciplina anteriore alla novella e\nall\u0027anticipazione delle preclusioni processuali, era, stato,\ncorrelativamente, affermato che poiche\u0027 la richiesta di astreintes\nnon veicola, nel processo, una nuova situazione soggettiva, ne\u0027\ndilata l\u0027oggetto del decidere, non vi sarebbero state preclusioni\nprocessuali alla sua proposizione fino alla precisazione delle\nconclusioni e, persino, in appello. \n Inoltre, sotto il profilo del sindacato di legittimita\u0027 e dei\nsuoi limiti, lo stesso, vertendo sull\u0027inosservanza della norma\nprocessuale che disciplina tali misure, potrebbe avere ad oggetto sia\nl\u0027an, ovvero, la verifica dei presupposti necessari per l\u0027esercizio\ndel potere, sia la correttezza di tal ultimo, in punto di\nliquidazione dell\u0027astreinte. \n A tale riguardo, cio\u0027 che la S.C. puo\u0027 valutare non e\u0027 il merito\ndella valutazione operata dal giudice ma la motivazione e, dunque, il\npercorso ragionativo che sorregge il provvedimento «in quanto resa\ncon riferimento concreto ai parametri di riferimento» previsti\ndall\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile \n Altri autori, in cio\u0027 seguiti dalla giurisprudenza di\nlegittimita\u0027, hanno visto, invece, nella misura de qua un\nprovvedimento, preordinato alla tutela di un autonomo bene della\nvita, a sua volta, oggetto di uno specifico diritto soggettivo, con\nla conseguenza che la relativa istanza sarebbe soggetta alle\npreclusioni processuali applicabili alle domande nuove. \n Sotto il profilo della tutela del diritto alla difesa ed, in\nparticolare, di quello al contraddittorio processuale, i fatti, posti\na fondamento della suddetta richiesta di tutela, dovrebbero essere\noggetto di tempestiva allegazione, cosi\u0027 da consentire cosi\u0027 alla\ncontroparte l\u0027esercizio delle proprie prerogative difensive;\nesercizio che sarebbe precluso, se la domanda potesse essere avanzata\noltre il limite temporale di maturazione delle preclusioni\nprocessuali. \n In tal senso, di recente, anche Cass. sezione III, ordinanza del\n23 maggio 2024, n. 14461, secondo cui «l\u0027istanza volta ad ottenere la\nmisura di coercizione indiretta ex art. 614-bis del codice di\nprocedura civile (nella formulazione anteriore alle modifiche\napportate dal decreto legislativo n. 149 del 2022) costituisce una\nvera e propria domanda giudiziale e, come tale, va avanzata prima\ndella maturazione delle preclusioni assertive, poiche\u0027 non consegue\nnecessariamente alla pronuncia di condanna, a differenza delle spese\ndi lite, e dev\u0027essere determinata tenuto conto di circostanze di\nfatto - quali il valore della controversia, la natura della\nprestazione, il danno quantificato o prevedibile - che vanno\ntempestivamente allegate (e, se del caso, provate), cosi\u0027 da\nconsentire alla controparte una compiuta difesa, altrimenti\nimpossibile se la richiesta fosse sottratta alle barriere preclusive\ndel rito». \n Invero, la nuova formulazione della norma, nella misura in cui\nriconosce la richiedibilita\u0027 della misura in sede esecutiva, sembra\noffrire argomenti insuperabili ai fini della ricostruzione della\nmisura quale mero strumento processuale, rilevante in rito e inidoneo\nad ampliare il thema decidendum. \n Al fine di comprimere la discrezionalita\u0027 valutativa del giudice\nche ha natura, essenzialmente, tecnica, la novella, ampliando i\ncriteri gia\u0027 previsti dal vecchio testo - ovvero il valore della\ncontroversia, la natura della prestazione dovuta, il danno\nquantificato o prevedibile e ogni altra circostanza utile - ha\nprevisto in aggiunta quello del «vantaggio per l\u0027obbligato derivante\ndall\u0027inadempimento». Cio\u0027, pero\u0027, senza prevedere una qualunque\ncornice edittale che possa fungere da limite massimo e minimo cui il\ngiudice debba attenersi (comma 3). \n Cio\u0027, impregiudicato il diritto del creditore di agire in via\nrisarcitoria per i pregiudizi, eventualmente, non compensati dalla\nmisura. \n Anche per l\u0027ipotesi in cui la misura sia richiesta al giudice\ndell\u0027esecuzione, ai fini della concreta commisurazione della penale,\nvalgono i parametri fin dall\u0027origine previsti dalla norma quale\ncriteri conformativi del potere del Giudice della cognizione. \n Cio\u0027, per quanto la Cartabia sia intervenuta a specificare,\ntraendo tale criterio commisurativo dall\u0027indifferenziata formula di\nchiusura della norma, che si debba avere riguardo anche al «vantaggio\nper l\u0027obbligato derivante dall\u0027inadempimento», ovvero all\u0027utilita\u0027,\ntradibile da tal ultimo dal proprio inadempimento. D\u0027altronde, come\ndesumibile dalla Relazione illustrativa, data la finalita\u0027 della\nnorma che e\u0027 quella di spronare all\u0027adempimento, appare del tutto\nimprescindibile - anche nella logica di un\u0027analisi economica del\ndiritto - porsi (anche) dall\u0027angolo visuale del debitore. Cio\u0027, al\nfine di verificare il tipo di valutazione da questi astrattamente\nesperibile, in termini di maggiore o minore convenienza\ndell\u0027adempimento. \n L\u0027approccio e\u0027, evidentemente, quello della valorizzazione\ndell\u0027agire razionale delle parti, secondo categorie e giudizi di\nmatrice essenzialmente economica che sono quelle che conformano\nl\u0027agire dell\u0027homo economicus. \n In questa prospettiva appare prioritario il riferimento\nall\u0027utilitas traibile dal debitore dalla propria inerzia o dal\nproprio ritardo nell\u0027adempimento delle prestazioni dovute. \n Deve, invece, ritenersi subvalente il diverso criterio del danno\nche l\u0027inadempimento medesimo e\u0027 idoneo a ingenerare. \n Cio\u0027, anche perche\u0027 l\u0027esecuzione c.d. indiretta non puo\u0027\nassurgere a rimedio sostitutivo del risarcimento del danno causato\ndall\u0027inadempimento. \n A tal riguardo, non puo\u0027 sottacersi la diversa opinione per cui\n«tale criterio» avrebbe fatto «assumere alla misura coercitiva\nindiretta anche il carattere di risarcimento punitivo, ora ritenuto\ncompatibile col nostro ordinamento», ma non incondizionatamente. \n Infatti, la configurazione di una finalita\u0027 punitiva richiede,\ncome ricordato dalle S.U. 5 luglio 2017, n. 16601, che esista\nun\u0027espressa previsione legislativa che renda attuale alcune di quelle\nfunzioni che, nella logica di un sistema polifunzionale, sono proprie\ndell\u0027apparato rimediale risarcitorio.(4) \n In tal caso, pur a fronte di un nomen iuris non univoco, sarebbe,\ncomunque, individuabile un solido argomento normativo. \n Evidente e\u0027 la suggestione proveniente dal riferimento al danno\ncagionato (o cagionabile) dall\u0027obbligato, nonche\u0027 la sua idoneita\u0027 ad\nevocare i criteri di risarcimento del danno ambientale e previsti per\nle altre ipotesi - eccezionali e di stretta interpretazione - di\ndanno punitivo. \n Peraltro, sotto il profilo della sua concreta applicazione, deve\nritenersi che il criterio commisurativo de quo non si presti ad\nun\u0027agevole applicazione, con la conseguenza che originera\u0027,\ntendenzialmente, solo liquidazioni in via equitativa. \n Altro profilo innovativo della nuova formulazione dell\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile e\u0027 quello concernente il\npotere del giudice, investito della richiesta, di stabilire il dies a\nquo dal quale procedere al computo della somma dovuta, cosi\u0027 come la\ndurata massima della misura. \n Si e\u0027 previsto che questi non possa, ma debba indicare la\ndecorrenza (cosi\u0027 da assicurare al soccombente il tempo necessario ad\nadempiere) e, dall\u0027altro, possa fissare il termine massimo di durata\ndella misura «tenendo conto della finalita\u0027 della stessa e di ogni\ncircostanza utile» (comma 1); termine, decorso il quale, la misura\ncoercitiva e\u0027 destinata a perdere effetti, non producendo piu\u0027\nesborsi a carico del destinatario della stessa. \n Come evincibile dal dato testuale, il potere di cui al primo\nsegmento normativo ha natura vincolata, in contrapposizione alla\nportata meramente discrezionale di quello di indicare il termine\nfinale che sancisce lo spirare giuridico della stessa. \n Secondo un\u0027autorevole e condivisibile dottrina, il legislatore\ndella riforma si sarebbe limitato a consacrare, in norma formale e\nespressa, un principio gia\u0027 operante a livello ordinamentale. \n Verrebbe in rilievo «una razionalizzazione dell\u0027esistente, questi\npoteri essendo esercitabili anche nella vigenza del testo precedente\ndell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile», con chiare\nfinalita\u0027 deflattive del contenzioso in materia. \n Dunque, in sintesi, l\u0027attuale formulazione della norma, per\nquanto abbia ribadito la tradizionale dicotomia fra giudizio della\ncognizione presupposto e giudizio esecutivo, radica una competenza\ncomminatoria in capo al Giudice dell\u0027esecuzione. Soprattutto, come\nevidenziato, la domanda di penale sembrerebbe sfuggire ai termini\nprevisti per la proposizione di eccezioni e domande riconvenzionali e\ncosi\u0027 deve ritenersi anche per le difese e le eccezioni volte a\ncontrastarne o a mitigarne l\u0027applicazione. \n E\u0027 indubbio che tale conformazione dell\u0027istituto possa incidere\nsull\u0027interpretazione della stessa, nella formulazione previgente. \n4. Possibilita\u0027 di un\u0027interpretazione costituzionalmente conforme:\ngli argomenti a favore della soluzione favorevole alla possibilita\u0027,\nper il giudice dell\u0027esecuzione, ove gia\u0027 non fatto dal giudice del\nmerito, di determinare ex post un tetto quantitativo o temporale,\nmassimo, all\u0027operare delle stesse. \n Cio\u0027 premesso, la norma, come gia\u0027 evidenziato, nella sua nuova\nformulazione, conseguente alla novella, non prevede espressamente la\npossibilita\u0027, per il giudice dell\u0027esecuzione, ove gia\u0027 non fatto dal\ngiudice del merito, di determinare ex post un tetto quantitativo (o\ntemporale) massimo all\u0027operare delle stesse. \n Si limita a prevedere come lo stesso possa: \n 1) irrogare la misura, solo ove la stessa non sia stata gia\u0027\nrichiesta nell\u0027eventuale giudizio di merito presupposto e sempre che\nil titolo esecutivo sia diverso da un provvedimento di condanna; \n 2) fissare, al momento dell\u0027irrogazione, un termine di durata\ndella misura, tenendo conto della finalita\u0027 della stessa e di ogni\ncircostanza utile. Tale potere non e\u0027 espressamente riferito al\nGiudice dell\u0027esecuzione, ma si desume da un\u0027interpretazione combinata\ndel primo e del secondo comma; l\u0027uno volto a conformare l\u0027esercizio\ndel potere di irrogazione da parte del giudice del merito; l\u0027altro,\npreordinato a sancire la legittimazione sussidiaria del G.e.,\nrispetto al Giudice del merito. \n Come gia\u0027 evidenziato, pero\u0027, taluna dottrina ha ritenuto che,\nnondimeno, il potere di fissazione ex post di un limite massimo, pur\nin difetto di un\u0027espressa previsione abilitante, fosse ammissibile. \n In tal senso, deporrebbero una pluralita\u0027 di ragioni testuali,\nlogiche e sistematiche. \n 4.1. La clausola generale rebus sic stantibus e la rilevanza\ndelle sopravvenienze. La qualificabilita\u0027 della esorbitanza della\nsomma maturata nei suddetti termini. \n In primis, deve richiamarsi quell\u0027orientamento dottrinale che\nritiene operativa, anche in materia di misure coercitive, la clausola\ngenerale, rebus sic stantibus, che e\u0027 alla base della possibilita\u0027 -\nnel contesto dell\u0027ordinamento interno - di richiedere una modifica\ngiudiziale di un qualunque provvedimento di volontaria giurisdizione\n(come quello regolativo delle condizioni di separazione), cosi\u0027 come,\nin relazione all\u0027ordinamento internazionale, della facolta\u0027 di\nrecedere dello Stato dagli impegni assunti con altri soggetti del\ndiritto internazionale(5) \n Si ritiene che, ogniqualvolta vi sia un rapporto di durata, il\nprovvedimento giurisdizionale che lo vada a regolare, dettandone la\ndisciplina, possa essere oggetto di mutamenti e variazioni\ncontenutistiche e cio\u0027 quando si registri una modifica delle\ncondizioni (fattuali e giuridiche) che hanno presieduto alla sua\nassunzione. \n La sua stabilita\u0027 contenutistica sarebbe, dunque, condizionata\nrisolutivamente all\u0027invarianza delle predette condizioni. \n A tal riguardo, si sostiene, espressamente, che «un principio\ngenerale dell\u0027ordinamento e\u0027 quello per il quale -- il giudicato\nopera rebus sic stantibus, sicche\u0027 la statuizione che lo contiene\npuo\u0027 essere modificata per fatti successivi alla sua formazione»... \n Cio\u0027 premesso, come gia\u0027 evidenziato, presupposto per la\nrevisione della regola giurisdizionale, non consacrata in una\nsentenza di merito passata in giudicato, e\u0027 la configurabilita\u0027 di\nuna sopravvenienza. \n Se ne rinviene conferma in specifiche previsioni normative: \n a) nell\u0027art. 669-decies del codice di procedura civile per\ncui «Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell\u0027articolo\n669-terdecies, nel corso dell\u0027istruzione il giudice istruttore della\ncausa di merito puo\u0027, su istanza di parte, modificare o revocare con\nordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente\nalla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si\nallegano fatti anteriori di cui si e\u0027 acquisita conoscenza\nsuccessivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l\u0027istante\ndeve fornire la prova del momento in cui ne e\u0027 venuto a conoscenza.\nQuando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato\nestinto, la revoca e la modifica dell\u0027ordinanza di accoglimento,\nesaurita l\u0027eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell\u0027articolo\n669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto\nsull\u0027istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o\nse si allegano fatti anteriori di cui si e\u0027 acquisita conoscenza\nsuccessivamente al provvedimento cautelare. In tale caso l\u0027istante\ndeve fornire la prova del momento in cui ne e\u0027 venuto a conoscenza.\nSe la causa di merito e\u0027 devoluta alla giurisdizione di un giudice\nstraniero o ad arbitrato, ovvero se l\u0027azione civile e\u0027 stata\nesercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti previsti\ndal presente articolo devono essere richiesti dal giudice che ha\nemanato il provvedimento cautelare, salvo quanto disposto\ndall\u0027articolo 818, primo comma»; \n b) nel 2° comma dell\u0027art. 283 del codice di procedura civile\n- introdotto proprio dalla Riforma Cartabia - in virtu\u0027 del quale\nl\u0027istanza di sospensiva dell\u0027efficacia esecutiva o dell\u0027esecuzione\ndella sentenza impugnata «puo\u0027 essere proposta o riproposta nel\ngiudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze che\ndevono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena\nd\u0027inammissibilita\u0027». \n Ovviamente, se il provvedimento, contenente la misura di cui\nall\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile e emanato in sede\ncognitiva, non sia ancora definitivo, revoca o modifica potranno\nessere richieste al giudice della cognizione, con il reclamo\n(articoli 183-ter e 669-terdecies del codice di procedura civile) o\nanche in sede di gravame della sentenza. \n Nell\u0027ipotesi in cui il provvedimento non sia piu\u0027 tangibile,\nl\u0027istanza di revoca o modifica non potranno essere presentate al\ngiudice dell\u0027esecuzione(6), ma, quando il provvedimento\ngiurisdizionale non sia ancora, definitivo, tale potere processuale\nsarebbe esercitabile, anche ex officio. \n Ovviamente, deve ritenersi che tale principio operi limitatamente\nai provvedimenti che si proiettino nel tempo e che non assumano\nefficacia di giudicato, almeno inteso in senso stretto, come quelli,\nper l\u0027appunto, di natura cautelare, quale e\u0027 quello del caso di\nspecie. \n Laddove, invece, il provvedimento sia assistito dal crisma del\ngiudicato formale, perche\u0027 emesso a seguito di un giudizio a\ncognizione piena, affermarne la rivedibilita\u0027 ingenererebbe\nun\u0027evidente aporia logica. Cio\u0027, salvo assumere la configurabilita\u0027\ndi giudicati cedevoli o relativi che, invero, appare una costruzione,\ndi per se\u0027, «barocca» e priva di linearita\u0027 logica oltre che essere\nin contrasto con il generale principio di certezza del diritto (che\nlo stesso giudice comunitario ha ritenuto essere presidio di civilta\u0027\ngiuridica) e di tutela del legittimo affidamento. \n Orbene, secondo tale prospettazione teorica, il giudice\ndell\u0027esecuzione, in difetto di un giudicato, potrebbe, in ogni caso,\nritenere che la sopravvenuta esorbitanza dell\u0027importo rispetto agli\ninteressi da tutelare costituisca una modifica delle circostanze che\nil giudice della cognizione (piena o sommaria) abbia posto a\nfondamento della sua determinazione; con la conseguente possibilita\u0027\ndi apporvi un limite massimo. \n 4.2. La riduzione d\u0027ufficio della penale manifestamente eccessiva\nquale argomento logico richiamabile a favore della possibilita\u0027 di\napporre d\u0027ufficio un tetto massimo. L\u0027estensione del principio di\nnecessario equilibrio del rapporto contrattuale, ad opera del Giudice\ndelle leggi, alla caparra confirmatoria (seppur ricorrendo al diverso\nrimedio della sanzione della nullita\u0027 parziale). \n In secondo luogo, secondo taluni autori, accogliendo la\nricostruzione della misura coercitiva quale speciale clausola penale\no quale penale sui generis, sarebbe applicabile l\u0027art. 1384 del\ncodice civile(7) che subordina l\u0027applicabilita\u0027 della riduzione della\nstessa alla circostanza che l\u0027obbligazione principale sia stata\neseguita in parte oppure che la prestazione sia manifestamente\nsproporzionata, avuto sempre riguardo all\u0027interesse che il creditore\naveva all\u0027adempimento. \n Si ritiene che, ammettendo l\u0027operare del potere di riduzione,\nanche ex officio, dell\u0027entita\u0027 della misura coercitiva, in tal caso,\npraticabile solo dal giudice della cognizione, dovrebbe ritenersi a\nfortiori che lo stesso possa determinare ex post un tetto\nquantitativo massimo all\u0027operare delle stesse. E quando cio\u0027 non sia\naccaduto, analogo potere dovrebbe riconoscersi in capo al giudice\ndell\u0027esecuzione. \n D\u0027altronde, se la novella del 2022 ha riconosciuto il potere per\nil G.e. di irrogare, per la prima volta, l\u0027astreinte, non puo\u0027\nragionevolmente escludersi che lo stesso possa porre un tetto massimo\na quella irrogata, aliunde, ovvero in sede di cognizione. \n Cio\u0027, secondo il principio, logico prima che giuridico, secondo\ncui «nel piu\u0027 sta il meno», ovvero, il riconoscimento di un potere di\nuna certa ampiezza e latitudine, implica la tacita attribuzione anche\ndi una facolta\u0027 a contenuto piu\u0027 ristretto, idealmente, ricompresa\nnella prima. \n Invero, la trasposizione in relazione alla misura coercitiva del\nregime proprio della clausola penale, impone la ricostruzione della\nnatura di entrambe al fine di vagliarne l\u0027eventuale accostabilita\u0027\nsotto il profilo funzionale. \n Come gia\u0027 evidenziato, plurime sono le teorie che sono state\nventilate con riguardo alla seconda. \n E\u0027 stata elaborata una prima tesi che sostiene la natura,\nessenzialmente, risarcitoria della penale, di predeterminazione del\ndanno e di esonero dalla relativa prova in un\u0027ottica chiaramente\nsemplificatoria, in relazione alla quale l\u0027intervento del giudice\nassume una funzione correttiva e di riequilibrio contrattuale. \n Tale ricostruzione muove dalla considerazione per cui l\u0027opposta\nqualificazione in termini di pena avrebbe contrastato con il\nprincipio per cui, nel nostro ordinamento, sono da ritenersi bandite\nle pene private, essendo il potere sanzionatorio prerogativa\nesclusiva dello Stato e, piu\u0027 esattamente - dato l\u0027attuale assetto\ndell\u0027ordinamento costituzionale - dei pubblici poteri centrali e\nlocali. \n E\u0027, infatti, indubbio che il nostro ordinamento sia ispirato,\ndopo la novella costituzionale del 2001, al principio pluralista e\nche lo stesso sia connotato da un sistema di governo multilivello e\naffidato al dialogo fra piu\u0027 enti territoriali di pari dignita\u0027\ncostituzionale. \n E\u0027 chiaro che l\u0027adesione a tale ricostruzione e\u0027 idonea a rendere\ndifficilmente accostabili i due istituti, essendo inequivoco che\nl\u0027astreinte, per la preminente opzione interpretativa, non assolva\nmai ad una funzione risarcitoria, ovvero di compensazione del\npregiudizio subito dal creditore. \n Cio\u0027, salvo che si acceda alla tesi ricostruttiva per cui\nl\u0027introduzione, quale criterio commisurativo della stessa,\ndell\u0027utilitas tratta dal debitore, sarebbe idonea ad attrarre la\nstessa nell\u0027alveo del risarcimento del danno c.d. punitivo. \n La sovrapposizione delle due fattispecie rimediali diviene\nagevole ove, invece, si opti per la ricostruzione in termini\nsanzionatori, nel qual caso l\u0027intervento giudiziale sarebbe\npreordinato a garantire l\u0027adeguatezza e la congruita\u0027 della sanzione. \n Invero, esiste, come noto, anche una terza ricostruzione in\nrelazione alla natura della penale che distingue tra: \n clausola penale c.d. «pura» (con funzione meramente\npreventiva di coazione all\u0027adempimento e, successivamente, punitiva); \n la clausola penale «non pura» (quella nella quale le parti,\ncon dichiarazione espressa, hanno introdotto la funzione di\nliquidazione del danno indipendentemente della prova di esso. \n Nell\u0027ipotesi di clausola penale «non pura», la parte non\ninadempiente potrebbe non domandare l\u0027adempimento della prestazione\ndedotta nella penale e preferire il risarcimento integrale del danno.\nCio\u0027, in virtu\u0027 di un\u0027applicazione analogica dell\u0027art. 1385, comma 3,\ncc. \n A tal riguardo, si rende opportuna una breve disamina\ndell\u0027istituto. \n Al fine di comprendere se la riduzione della misura coercitiva\nindiretta possa avvenire anche d\u0027ufficio, potrebbe essere richiamate\nle stesse considerazioni svolte dalla suprema Corte in materia di\nclausola penale. \n Al momento dell\u0027entrata in vigore del codice civile del 1942, la\ngiurisprudenza della Corte di cassazione era concorde nell\u0027affermare\nche il potere del Giudice di ridurre la penale non potesse essere\nesercitato d\u0027ufficio, sebbene talvolta si fosse affermato che la\nrichiesta di riduzione della penale dovesse ritenersi implicita\nnell\u0027affermazione di nulla dovere a tale titolo. \n Invero, con il passare del tempo, e\u0027 venuto emergendo un altro\norientamento, che, al fine di mitigare il rigore del dato normativo,\nha affermato che l\u0027istanza di riduzione della penale potesse\nritenersi implicita nella deduzione difensiva di non dovere alcunche\u0027\na tale titolo. \n Tale tesi e\u0027 stata, successivamente, oggetto di revisione critica\nad opera della sentenza n. 10511/1999 della Corte di cassazione, che\nha, invece, ritenuto che la penale potesse essere ridotta ex officio,\nanche in assenza di una sollecitazione delle parti in tal senso(8) \n Tale opzione esegetica si e\u0027 fondata su due distinte ragioni: \n 1. la prima relativa «al riscontro nella giurisprudenza, che\nfino ad allora aveva negato il potere del giudice di ridurre\nd\u0027ufficio la penale, di taluni cedimenti, individuati nel fatto che,\nin alcune delle pronunzie, l\u0027ossequio al principio tradizionale\nappariva solo formale, poiche\u0027 si giungeva talvolta a ritenere la\ndomanda di riduzione implicita nell\u0027assunto della parte di nulla\ndovere a titolo di penale ovvero l\u0027eccezione relativa proponibile in\nappello»; \n 2. la seconda fondata «sull\u0027osservazione che l\u0027esegesi\ntradizionale non appariva piu\u0027 adeguata alla luce di una rilettura\ndegli istituti codicistici in senso conformativo ai precetti\nsuperiori della Costituzione, individuati nel dovere di solidarieta\u0027\nnei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.), nell\u0027esistenza di un\nprincipio di inesigibilita\u0027 come limite alle pretese creditorie\n(Corte cost. n. 19/1994), da valutare insieme ai canoni generali di\nbuona fede oggettiva e di correttezza (articoli 1175, 1337, 1359,\n1366, 1375 del codice civile)». \n La suprema Corte, a Sezioni Unite, con la pronuncia del 13\nsettembre 2005 n. 18128, componendo il contrasto interpretativo al\nriguardo, ha optato per tale ultima soluzione. \n A tale esito, e\u0027 pervenuta tentando di superare le critiche mosse\ndalla tesi tradizionale, contraria alla riducibilita\u0027 d\u0027ufficio. \n La tesi «negazionista» invocava il generale principio c.d.\ndispositivo che conformerebbe anche la fattispecie di cui all\u0027art.\n1384 del codice civile, secondo cui il giudice non puo\u0027 pronunciare\nse non nei limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle\nparti. \n Dal punto di vista processuale, pertanto, si era affermato\n(Cass., sez. lav., 19 aprile 2002 n. 5691) che la richiesta di\nriduzione ad equita\u0027 doveva tenere conto delle preclusioni\nprocessuali previste nel contesto dei diversi riti, con la\nconseguenza, ad esempio, che, nel processo del lavoro, la domanda\ndoveva essere avanzata soltanto nel ricorso introduttivo o nella\ncomparsa di risposta, oppure nel primo atto difensivo successivo al\nverificarsi di fatti sopravvenuti idonei ad incidere sull\u0027ammontare\ndella penale. \n Orbene, secondo le Sezioni Unite, «il giudice che riduca\nl\u0027ammontare della penale, al cui pagamento il creditore ha chiesto\nche il debitore sia condannato, non viola(va) in alcun modo la prima\nproposizione del richiamato art. 112 del codice di procedura civile,\natteso che il limite postogli dalla norma (era), in linea generale,\nche egli non puo\u0027 condannare il debitore ad una somma superiore a\nquella richiesta, mentre puo\u0027 condannarlo al pagamento di una somma\ninferiore». \n Peraltro, l\u0027art. 112 del codice di procedura civile, nel disporre\nche il Giudice non puo\u0027 pronunciare d\u0027ufficio su eccezioni che\npossono essere proposte soltanto dalle parti, lasciava intendere che\nvi sono, oltre alle eccezioni proponibili soltanto dalle parti, anche\neccezioni che non lo sono e, in quanto tali, rilevabili d\u0027ufficio. \n Se cosi\u0027 e\u0027, allora, il problema della riducibilita\u0027 della penale\nnon era risolto dal riferimento all\u0027art. 112 del codice di procedura\ncivile e dalla verifica della sua osservanza, ma dalla risposta al\nquesito se la riduzione della penale sia oggetto di una eccezione che\npuo\u0027 essere proposta soltanto dalla parte. \n A tal riguardo, giova ricordare che le eccezioni in senso stretto\nrappresentano un numerus clausus, essendo tutte le altre\nriconducibili al potere di rilevazione del giudice adito. \n Cio\u0027 premesso, secondo le Sezioni Unite, l\u0027art. 1384 del codice\ncivile non conteneva alcun riferimento all\u0027imprescindibilita\u0027\ndell\u0027eccezione della parte, quale presupposto per l\u0027attivazione del\npotere di riduzione. \n Peraltro, in alcune pronunce, l\u0027ossequio al principio\ntradizionale appariva solo formale, poiche\u0027 si giungeva talvolta a\nritenere la domanda di riduzione implicita nell\u0027assunto della parte\ndi nulla dovere a titolo di penale ovvero l\u0027eccezione relativa\nproponibile in appello (Cass., sez. III, 30 marzo 1984 n. 2112;\nCass., sez. II, 26 gennaio 1982 n. 519; Cass., sez. III, 26 giugno\n1981 n. 4157(9). \n Il secondo argomento storico, invocato dall\u0027orientamento\nmaggioritario, era quello per cui la riduzione della penale sarebbe\nposta a tutela di un interesse individuale e particolare, quello del\ndebitore a non subire un eccessivo sacrificio della propria sfera\ngiuridica; ragione per cui a tal ultimo sarebbe stata rimessa la\ndecisione del riequilibrio della penale. \n Orbene, per la suprema Corte anche questo argomento si fondava su\nun assioma non dimostrato e cioe\u0027 che l\u0027istituto della riduzione\ndella penale fosse predisposto nell\u0027interesse della parte debitrice. \n In particolare, \"una affermazione di questo tipo appar(iva)\ncontraddetta dall\u0027osservazione che la penale «puo\u0027» ma non «deve»\nessere ridotta dal giudice, avuto riguardo all\u0027interesse che il\ncreditore aveva all\u0027adempimento\". \n Da cio\u0027 si desumeva che: \n a) non esisteva un diritto del debitore alla riduzione della\npenale; \n b) il criterio che il Giudice doveva utilizzare per valutare\nse una penale fosse eccessiva aveva natura oggettiva, atteso che non\nera previsto che il Giudice dovesse tenere conto della posizione\nsoggettiva del debitore e del riflesso che sul suo patrimonio la\npenale potesse avere, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle\nparti, mentre il riferimento all\u0027interesse del creditore aveva la\nsola funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale valutare\nse la penale sia manifestamente eccessiva o meno. \n Ne discendeva, logicamente, che, pur sostanziandosi la riduzione\ndella penale in un provvedimento che rende in concreto meno onerosa\nla posizione del debitore e che deve essere adottato tenuto conto\ndell\u0027interesse che il creditore aveva all\u0027adempimento, il potere di\nriduzione appariva attribuito al Giudice non per la tutela\ndell\u0027interesse della parte tenuta al pagamento della penale, ma,\npiuttosto, a tutela di un interesse che lo trascendeva e di natura\nsovraindividuale(10). \n Infine, il supremo Collegio ha ritenuto non determinante neppure\nl\u0027argomento per cui il giudice, nell\u0027esercizio dei poteri equitativi\ndiretti alla determinazione dell\u0027oggetto dell\u0027obbligazione della\nclausola, non dispone di altri parametri di giudizio rispetto alla\nverifica dell\u0027equilibrio raggiunto dalle parti stesse, nelle\npreventiva determinazione delle conseguenze dell\u0027inadempimento. \n E cio\u0027 sia con riguardo al momento genetico sia in relazione\nall\u0027attuazione concreta del rapporto. \n Ha affermato, infatti, che questo argomento non appariva\ndecisivo, considerando che la mancata allegazione (o la\nimpossibilita\u0027 di riscontri negli atti acquisiti) della eccessivita\u0027\ndella penale puo\u0027 rendere in concreto maggiormente difficoltoso\nl\u0027accertamento della medesima, ma non costituisce, di per se\u0027,\ncircostanza preclusiva dell\u0027esercizio officioso del potere del\ngiudice. \n A tal proposito, richiamava cio\u0027 che accade in tema di nullita\u0027\ndel contratto, che il Giudice puo\u0027 dichiarare d\u0027Ufficio purche\u0027\nrisultino dagli atti i presupposti della nullita\u0027 medesima (Cass. n.\n4062/87), senza che per l\u0027accertamento della nullita\u0027 occorrano\nindagini di fatto per le quali manchino gli elementi necessari (Cass.\nn. 1768/86, 4955/85, 985/81), e piu\u0027 di recente Cass. n. 1552/04,\nsecondo cui «La rilevabilita\u0027 d\u0027Ufficio della nullita\u0027 di un\ncontratto prevista dall\u0027art. 1421 del codice civile non comporta che\nil Giudice sia obbligato ad un accertamento d\u0027ufficio in tal senso,\ndovendo invece detta nullita\u0027 risultare \"ex actis\", ossia dal\nmateriale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo i\npoteri officiosi del Giudice limitati al rilievo della nullita\u0027 e non\nintesi percio\u0027 ad esonerare la parte dall\u0027onere probatorio gravante\nsu di essa». \n Secondo le Sezioni Unite, il potere conferito al giudice\ndall\u0027art. 1384 del codice civile di ridurre la penale manifestamente\neccessiva era da considerarsi fondato sulla necessita\u0027 di correggere\nl\u0027esercizio dell\u0027autonomia privata, mediante l\u0027attivazione di un\npotere equitativo che ristabilisca un congruo contemperamento degli\ninteressi contrapposti, valutando l\u0027interesse del creditore\nall\u0027adempimento, cui ha diritto, tenendosi conto dell\u0027effettiva\nincidenza di esso sull\u0027equilibrio delle prestazioni e sulla concreta\nsituazione contrattuale. \n Cio\u0027, a tutela di un interesse superiore all\u0027osservanza di un\ngenerale principio di equilibrio che ha un fondamento essenzialmente\nequitativo. \n Secondo il supremo consesso, la legge, quindi, nel riconoscere\nl\u0027autonomia contrattuale delle parti, ne sanciva i limiti operativi.\nLa verifica dell\u0027osservanza del rispetto di tali ultimi e\u0027 demandato\nal Giudice, che non puo\u0027 riconoscere tutela al diritto fatto valere,\nse esso si fonda su un contratto il cui contenuto non sia conforme\nalla legge ovvero sia diretto a realizzare interessi che non appaiono\nmeritevoli secondo l\u0027ordinamento giuridico. \n L\u0027intervento del Giudice, in tali casi, e\u0027 indubbiamente\nesercizio di un potere officioso attribuito dalla legge. \n Lo stesso articolo 1384 c.c.m secondo la suprema Corte, doveva\nconsiderarsi mero momento di emersione formale di tale principio\ngenerale che avrebbe portata inderogabile e sarebbe, comunque, a\nimporsi all\u0027autonomia delle parti. \n Se nel nostro ordinamento non fosse stato previsto e disciplinato\nl\u0027istituto della clausola penale e, tuttavia, le parti avessero\nintrodotto in un contratto una clausola con tale funzione, il\nGiudice, chiamato a pronunciarsi in ordine ad una domanda di condanna\ndel debitore al pagamento della penale pattuita per effetto\ndell\u0027inadempimento, avrebbe dovuto formulare, d\u0027ufficio, un giudizio\nsulla validita\u0027 della clausola; giudizio che avrebbe potuto avere\nesito negativo, ove fosse stato ravvisato un contrasto dell\u0027accordo\ncon principi fondamentali dell\u0027ordinamento, ad esempio per il fatto\nche la penale doveva essere pagata anche se il danno non sussisteva. \n In questo caso, vi sarebbe stato un controllo d\u0027ufficio sulla\ntutelabilita\u0027 dell\u0027accordo delle parti e, ove il controllo si fosse\nconcluso negativamente, la tutela, programmata dall\u0027ordinamento, non\nsarebbe stata accordata. \n Nel nostro diritto positivo, questo controllo non e\u0027 necessario\nperche\u0027 l\u0027istituto e\u0027 riconosciuto e disciplinato dal legislatore che\nha effettuato una valutazione, di tipo preventivo, generale e\nastratta circa la liceita\u0027 della fattispecie (art. 1382 e segg. del\ncodice civile). \n Le Sezioni Unite hanno invocato, inoltre, la necessita\u0027 di\nun\u0027esegesi costituzionalmente orientata della norma, secondo cui tale\npotere giudiziale di riduzione della penale potrebbe essere\nesercitato d\u0027ufficio. E cio\u0027 sia con riferimento alla penale\nmanifestamente eccessiva, sia con riferimento all\u0027ipotesi in cui la\nriduzione avvenga perche\u0027 l\u0027obbligazione principale sia stata in\nparte eseguita, giacche\u0027 in quest\u0027ultimo caso, la mancata previsione\nda parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di\nadempimento di parte dell\u0027obbligazione, si traduce comunque in una\neccessivita\u0027 della penale se rapportata alla sola parte rimasta\ninadempiuta. \n La suprema Corte ha invocato i principi conformatori della stessa\ncostruzione costituzionale, ovvero: \n a) il dovere di solidarieta\u0027 nei rapporti intersoggettivi\n(art. 2 Cost.); \n b) il principio generale di inesigibilita\u0027 come limite\n(esterno) alle pretese creditorie (C. cost. n. 19/94), fondato sui\ncanoni generali di buona fede oggettiva e di correttezza (articoli\n1175, 1337, 1359, 1366, 1375 del codice civile) e suscettibile di\nfondare il ricorso ad un\u0027eccezione o anche ad un\u0027azione di\naccertamento dell\u0027eventuale superamento di tale limite. \n Con riguardo a tale principio di inesigibilita\u0027, richiamato dalle\nSS. UU., esso trova riscontro in talune pronunce della Corte\ncostituzionale(11). \n Questo principio di inesigibilita\u0027 era gia\u0027 stato affermato anche\ndalle supreme magistrature, ordinaria e amministrativa(12). \n Peraltro, tale principio non e\u0027 applicabile soltanto nell\u0027ambito\ndell\u0027ordinamento giuridico statale(13) \n Secondo le S.U. del 2005, si rende, pertanto, necessaria una\nlettura della norma di cui all\u0027art. 1384 del codice civile che meglio\nrispecchi l\u0027esigenza di tutela di un interesse oggettivo fondato sui\nprincipi costituzionali richiamati. \n Proprio il suddetto principio viene evocato in supporto della\ntesi favorevole alla possibilita\u0027, per il giudice della cognizione,\ndi predeterminare ex ante il tetto massimo delle misure coercitive;\nnonche\u0027, per quello dell\u0027esecuzione, di procedere, sia su istanza di\nparte sia ex officio, ad una determinazione ex post. \n Invero, ritiene questo Giudice remittente che forti dubbi sorgono\nin relazione alla possibilita\u0027 che cio\u0027 possa avvenire anche in\npresenza di una volonta\u0027 di segno opposto (ed espressa)\ndell\u0027obbligato che ben puo\u0027 scegliere, per una qualunque ragione, di\nsoggiacere ad una sanzione sproporzionata e di prestarvi adesione. \n Peraltro, il principio di necessario equilibrio del rapporto\ncontrattuale, o meglio di non eccessiva sproporzione delle\nprestazioni legate da un vincolo sinallagmatico, sposato con riguardo\nalla clausola penale, e\u0027 stato trasposto anche in materia di caparra\nconfirmatoria. \n Infatti, con un\u0027ordinanza (ord. 2 aprile 2014, n. 77), il giudice\ndelle leggi si e\u0027 pronunciato, nuovamente, sulla questione di\nlegittimita\u0027 costituzionale del secondo comma dell\u0027art. 1385 del\ncodice civile «nella parte in cui non dispone che - nelle ipotesi in\ncui la parte che ha dato la caparra e\u0027 inadempiente, l\u0027altra puo\u0027\nrecedere dal contratto, ritenendo la caparra e nella ipotesi in cui,\nse inadempiente e\u0027 invece la parte che l\u0027ha ricevuta, l\u0027altra puo\u0027\nrecedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra - il\ngiudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il doppio da\nrestituire, in ipotesi di manifesta sproporzione o ove sussistano\ngiustificati motivi». \n La questione e\u0027 stata dichiarata inammissibile dalla Corte\ncostituzionale, la quale ha evidenziato come ai sensi dell´art. 1385\ndel codice civile non operi alcun automatismo di attribuzione della\ncaparra in favore del contraente, rimasto adempiente. E cio\u0027, anche\nladdove ricorra una manifesta sproporzione, in quanto gli effetti\ncontrattuali sono, sempre, eterointegrati dalle norme di legge, con\ncarattere imperativo e imponentisi all\u0027autonomia negoziale, con\nconseguente interferenza sull\u0027assetto di interessi, programmato dalle\nparti. \n In particolare, a venire in rilievo, in chiave integrativa, e\u0027 la\nbuona fede contrattuale di cui all\u0027art. 1375 del codice civile che,\ncome noto, rinviene il proprio fondamento costituzionale nel\nprincipio solidaristico di cui all\u0027art. 2 Cost. \n Dunque, in ipotesi di evidente sproporzione, continua la Corte,\nil Giudice e\u0027 legittimato a rilevare ex officio la nullita\u0027 ex art.\n1418 del codice civile della clausola contrattuale, introduttiva, nel\nregolamento contrattuale, della caparra confirmatoria, derivando tale\nradicale sanzione dal contrasto della regola negoziale con l´art. 2\nCost. (che pone l\u0027adempimento del dovere inderogabile di\nsolidarieta\u0027), che entra direttamente nel contratto, in combinato\ncontesto con il canone della buona fede, cui attribuisce vis\nnormativa, «\"funzionalizzando cosi\u0027 il rapporto obbligatorio alla\ntutela anche dell\u0027interesse del partner negoziale nella misura in cui\nnon collida con l\u0027interesse proprio dell\u0027obbligato\" (Corte di\ncassazione n. 10511 del 1999; ma gia\u0027 n. 3775 del 1994 e, in\nprosieguo, a Sezioni unite, n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009)». \n Tale pronuncia mutua le conclusioni cui era pervenuta una\nprecedente ordinanza del Giudice delle leggi (ord. n. 248/2013) sulla\nmedesima questione, pervenendo a generalizzare il principio per cui\nil regolamento contrattuale deve essere ispirato ad un equilibrio che\nnon risulti, gravemente, alterato in favore di una delle parti e in\ndanno dell\u0027altra. \n Da notare, pero\u0027, come l\u0027estensione del principio di necessario\nequilibrio del rapporto contrattuale, ad opera del Giudice delle\nleggi, alla caparra confirmatoria sia avvenuto, ricorrendo al diverso\nrimedio della sanzione della nullita\u0027 parziale. \n Cio\u0027, peraltro, nel contesto di un\u0027operazione esegetica che ha\nattribuito alla buona fede oggettiva, una funzione, eccezionalmente,\ninvalidatoria, a fronte di un suo consueto utilizzo in chiave di mera\neterointegrazione del rapporto contrattuale. \n 4.3. Il fondamento equitativo del potere del G.e. di fissare ex\npost un limite massimo all\u0027astreinte, determinata dal giudice del\nmerito; cosi\u0027 come dello stesso potere del giudice della cognizione\ndi provvedere alla sua riduzione (ove non gia\u0027 coperta da giudicato) \n In ogni caso, deve ritenersi che la riduzione rinvenga il proprio\nfondamento nel principio equitativo, quale ratio decidendi -\nricorribile solo in difetto di una previsione di legge, gia\u0027 idonea a\nregolare la fattispecie concreta - che, secondo un illustre autore,\n«assicura il saggio bilanciamento degli interessi in gioco dando a\nciascun uomo il suo senza sottrarre quanto spetta agli altri». Essa,\ninfatti, «significa ricerca d\u0027equilibrio tra situazioni\nantagonistiche». \n Il richiamo della stessa assume ancora piu\u0027 rilievo in virtu\u0027 del\nruolo, attualmente, rivestito dalla equita\u0027 nell\u0027ambito delle fonti\ndel diritto, quale principio, al pari di molti altri, non piu\u0027\nrelegato ad una funzione di mero supporto dell\u0027esegesi, ma dotato di\nuna funzione, per cosi\u0027 dire, «normopoietica», ovvero di fonte\nregolativa di tutte le fattispecie non espressamente disciplinate. \n E cio\u0027 al di la\u0027 della circostanza che la stessa possa operare\nsecondo lo schema dell\u0027equita\u0027 secundum legem, sia, cioe\u0027,\nespressamente richiamata dal titolo contrattuale o dalla legge. \n Invero, l\u0027equita\u0027, nell\u0027attuale assetto ordinamentale, sembra\naver assunto una triplice configurazione: 1. quella di criterio\ninterpretativo del regolamento contrattuale o anche solo negoziale;\n2. quella di fonte eterointegrativa del contratto o del negozio in\nvirtu\u0027 della clausola generale di cui all\u0027art. 1374 del codice\ncivile; 3. quella di strumento di disciplina della fattispecie\nconcreta, seppur in una chiave di residualita\u0027 rispetto alla norma di\nlegge ordinaria (o costituzionale, ove direttamente precettiva). \n In particolare, tal ultima funzione troverebbe la propria ragion\ndi essere nella preesistenza dell\u0027equita\u0027 e, dunque, del c.d. diritto\nnaturale - quale insieme di regole necessariamente generali e,\ntendenzialmente, onnicomprensive perche\u0027 innate ai rapporti umani -\nrispetto al diritto positivo; diritto positivo che dovrebbe sempre\nambire a recepire la prima, quale condizione per la sua stessa valida\nformazione e cogenza. \n La legge formale deve (o meglio, dovrebbe), sempre, «rispettare i\ndiritti naturali (ossia i diritti innati e non «posti») dell\u0027uomo e\ndeve nello stesso tempo piegarsi di fronte agli ideali di equita\u0027\nallo scopo di evitare che il summum ius degradi in summa iniura». \n D\u0027altronde, come sottolineato dalla gia\u0027 menzionata dottrina, e\u0027\nindubbio che l\u0027equita\u0027 non possa non «compenetr(are) il diritto; il\ndiritto senza equita\u0027 e\u0027 come un corpo che non si lascia vibrare\ndall\u0027anima; il valore sostanziale del diritto e\u0027 ravvisabile quando\nrealizzi un ordine sociale giusto». \n Cio\u0027, anche perche\u0027 \"il diritto non e\u0027 un «ordine cieco», ma e\u0027\n«ordine cosciente», ossia un ordine ancorato ai valori della\numanita\u0027, tolleranza, coerenza e giustizia\". \n Invero, nel codice civile, le norme che fanno espresso\nriferimento all\u0027equita\u0027 sono scarse, o, comunque, poche. \n Esse sembrano fondarsi su due principi comuni, che sono,\nprobabilmente, in parte, suscettibili di una revisione critica: 1. il\ngiudizio secondo equita\u0027 e\u0027 diverso da quello secondo stretto diritto\ne consente di temperarne il rigore applicativo, ovvero di coniare una\nregola decisoria che tenga conto di tutte le circostanze del caso di\nspecie; 2. il ricorso all\u0027equita\u0027 e\u0027 possibile solo se la stessa\nnorma di diritto positivo lo consenta, con previsione espressa,\ndovendosi altrimenti fare applicazione della regola di stretto\ndiritto. \n In taluni casi, come rilevato da acuta dottrina il ricorso allo\nstrumento equitativo puo\u0027 discendere, in via implicita, dal richiamo\nalla categoria di uno strumento rimediale, intrinsecamente, fondato\nsullo stesso quale deve intendersi quello indennitario di cui agli\narticoli 1381 e 2047 del codice civile. \n Infatti, «l\u0027indennizzo, a differenza del risarcimento del danno\nda inadempimento contrattuale, costituisce un minus negli stessi\ntermini in cui l\u0027indennita\u0027 dovuta dall\u0027amministrazione espropriante\nal proprietario rappresenta una prestazione monetaria che non copre\nil valore di mercato del bene. Sotto il profilo della concreta\ncommisurazione, \"l\u0027indennizzo, tenuto conto delle circostanze\nconcrete, non deve necessariamente eguagliare l\u0027intero pregiudizio\nsofferto dalla vittima\" e \"la quantificazione della somma dovuta\ndall\u0027obbligato giustifica l\u0027uso di criteri equitativi, i quali\nsciolgono il diritto vivente dalla morsa dell\u0027art. 1223 del codice\ncivile». \n Da cio\u0027 la dottrina tradizionale trae il corollario per cui il\nricorso all\u0027equita\u0027, anche in sede interpretativa, dovrebbe avere\nnatura eccezionale. Paradigmatica di questa logica di funzionamento\ndelle norme in materia di equita\u0027 e\u0027 l\u0027articolo 1374 del codice\ncivile, che disciplina le fonti di integrazione del contratto,\nmenzionando l\u0027equita\u0027 unitamente alla legge e agli usi normativi\nquali possibili fonti del regolamento contrattuale. Cio\u0027, secondo un\nordine non casuale ma, secondo la interpretazione piu\u0027 accreditata,\npreordinato a individuare una vera e propria gerarchia in virtu\u0027\ndella quale l\u0027(eventuale) operare della prima esclude quello della\nseconda. \n Riferimenti all\u0027equita\u0027 sono contenuti anche in ambito\nprocessuale, ma anche nella disciplina delle trattative\nprecontrattuali cosi\u0027 come dell\u0027esecuzione del contratto, assumendo\nla stessa in ogni sede una peculiare vocazione funzionale. \n L\u0027art. 1371 del codice civile prevede che, in caso di\nimpossibilita\u0027 di determinare il significato del regolamento\ncontrattuale, sarebbe possibile far ricorso all\u0027equo contemperamento\ndegli interessi delle parti. \n Anche in tal caso il ricorso all\u0027equita\u0027 e\u0027 residuale, perche\u0027\nsubordinato all\u0027inadeguatezza delle altre regole interpretative,\ndettate dal Codice, e deve mirare all\u0027obiettivo di conservare un\nragionevole equilibrio fra le reciproche prestazioni dedotte in\ncontratto. \n Accanto all\u0027equita\u0027 in funzione interpretativa, si puo\u0027\nrichiamare l\u0027equita\u0027 c.d. correttiva che implica la possibilita\u0027 di\nrimodulare la penale ex art. 1384 del codice civile). Previsioni\nanaloghe sono contenute anche da altri articoli in tema di mandato\n(articoli 1733, 1736 del codice civile), agenzia (ex articoli 1749,\n1751 del codice civile), mediazione (ex art. 1755 del codice civile). \n La progressiva emersione del generale principio equitativo trova\nconferma anche nelle seguenti ipotesi normative. L\u0027art. 7, comma 1,\ndecreto legislativo n. 231/2002, in materia di ritardi del pagamento\nnelle transazioni commerciali, prevede la nullita\u0027 delle clausole\ninique nei casi ivi enumerati (sebbene in tale ambito la parte\nprotetta sia il creditore, considerato come partie faible rispetto\nall\u0027imprenditore suo debitore (siamo nel campo dei c.dd. contratti\nd\u0027impresa); \n a) l\u0027intera disciplina dettata all\u0027art. 1526 del codice\ncivile ha una inequivocabile matrice equitativa. Prova ne sia che\nl\u0027antecedente normativo di tale regola e\u0027 dato dalla Abzahlungsgesetz\n(AbzG) del 18 maggio 1894. Essa innalzo\u0027 un argine, tanto\nrivoluzionario quanto pioneristico - estraneo alla logica formale e\navalutativa della pandettistica tedesca della prima meta\u0027\ndell\u0027Ottocento -, alla diffusione di condizioni generali di contratto\nfissanti, in caso di inadempimento del compratore-particulier, pene\ncontrattuali «strangolatorie» o patti di incameramento delle rate\ngia\u0027 pagate e destinate a rappresentare un\u0027anticipazione del valore\ndi scambio della cosa compravenduta, allorche\u0027 l\u0027attuazione della\ncausa concreta traslativa fosse stata frustrata dal sopravvenuto\nscioglimento del contratto di vendita per inadempimento del debitore; \n b) tutta la disciplina in tema di garanzie e\u0027 informata al\nprincipio di proporzionalita\u0027, il quale costituisce\nun\u0027estrinsecazione dell\u0027aequitas. Tant\u0027e\u0027 che gli articoli 1851\n(pegno irregolare), 2893 (pegno di credito), 2872 ss. (riduzione\ndelle ipoteche) e 1941 (in tema di limite della fideiussione),\nattestano l\u0027emersione de iure condito del predetto principio, in\nguisa da evitare che la forza imperativa del diritto positivo venga\nad assumere le improprie fattezze di mezzo di vessazione o\njugulatorio a scapito del debitore principale; \n c) lo scopo di finanziamento, assicurato dalla vendita con\npatto di riscatto (privo di causa commissoria) ha indotto il\nlegislatore ad applicare il su evocato principio di proporzionalita\u0027\nonde scoraggiare le condotte prevaricatrici a detrimento di chi vende\nspinto dal bisogno di monetizzare il bene di sua proprieta\u0027. In detta\ndirezione depone l\u0027art. 1500, comma 2, del codice civile, a mente del\nquale il «patto di restituire un prezzo superiore a quello stipulato\nper la vendita e\u0027 nullo per l\u0027eccedenza». \n In ultimo, puo\u0027 richiamarsi l\u0027equita\u0027 nella commisurazione del\nquantum del danno da risarcire, prevista dagli articoli 1226 e 2056\ndel codice civile. \n A tal riguardo, non puo\u0027 non menzionarsi come alla Tabella di\nMilano la suprema Corte abbia riconosciuto valenza essenzialmente\nparanormativo, non in quanto espressione della volonta\u0027 legislativa\nin senso proprio e stretto, ma proprio in applicazione del principio\ndi valutazione equitativa del danno, richiamato dell\u0027art. 1226 del\ncodice civile. In particolare, come affermato dalla suprema Corte,\ncon la sentenza del 2011, n. 12408, alle tabelle milanesi deve\nriconoscersi «una sorta di vocazione nazionale», anche perche\u0027, coi\nvalori da esse tabellati, esprimono il valore da ritenersi «equo», e\ncioe\u0027 quello in grado di garantire la parita\u0027 di trattamento e da\napplicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti\ncircostanze idonee ad aumentarne o ridurne l\u0027entita\u0027. \n Cio\u0027, al punto che l\u0027applicazione delle suddette tabelle sarebbe,\ncome gia\u0027 evidenziato, oggetto di un vero e proprio uso\n«paranormativo». \n Le potenzialita\u0027 applicative del principio equitativo sono state,\npero\u0027, colte da quegli interpreti che riconoscono rilievo al\nprincipio equitativo, anche al di fuori delle ipotesi in cui la\nstessa sia oggetto di espresso richiamo da parte della previsione\nnormativa. \n E cio\u0027 per la sua, gia\u0027 menzionata, immanenza alle relazioni\numane cosi\u0027 come per la sua anteriorita\u0027 rispetto alla disciplina di\ndiritto positivo. \n Sotto il profilo metodologico, la generalizzazione del ricorso\nall\u0027equita\u0027 si avvale, spesso, della mediazione di quelle clausole\ngenerali che rendono doverosa per l\u0027interprete una valutazione,\nsecondo prudenza di tutte le circostanze del caso di specie, come i\nprincipi di buona fede e correttezza o il concetto di giusta causa o\ngiusti motivi, o ancora la locuzione normativa, frequente specie in\nmateria di obbligazioni, di «natura dell\u0027affare». \n Invero, deve, pero\u0027, ritenersi che l\u0027equita\u0027 possa operare anche\nsenza la necessita\u0027 della mediazione delle suddette clausole o\nprincipi, il ricorso (surrettizio) alle quali denota il timore, anche\nsolo implicito, di sfruttare, in maniera piena, le potenzialita\u0027\napplicative dell\u0027istituto. \n Depongono, in tal senso, una serie di indizi normativi, spesso,\nrinvenienti dalla disciplina comunitaria o di derivazione\ncomunitaria. \n Si pensi al diritto del consumatore, qualificato espressamente\ncome fondamentale, «alla correttezza, alla trasparenza ed all\u0027equita\u0027\nnei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi», di cui\nall\u0027art. 1, comma 2, della legge 30 luglio 1998, n. 281, recante la\ndisciplina dei diritti dei consumatori. \n La norma e\u0027 stata inserita nel codice del consumo nell\u0027art. 2,\ncomma 2, lettera e), con l\u0027eliminazione della locuzione «concernenti\nbeni e servizi», cio\u0027 «al fine di ampliare la originaria portata\ndella normativa e conferirle un valore generale». \n Noto e\u0027 il dibattitto sulla portata effettiva o meramente\ndeclamatoria e simbolica della norma(14) , cosi\u0027 come quello relativo\nal contenuto del suddetto diritto all\u0027equita\u0027 contrattuale, se,\ncioe\u0027, ristretto all\u0027equilibrio giuridico ovvero dei diritti e dei\ndoveri derivanti dal contratto o se esteso ai profili economici e,\ndunque, alla proporzionalita\u0027 del valore delle prestazioni(15). \n Peraltro, si e\u0027 pure sostenuto che \"il diritto all\u0027equita\u0027\ncontrattuale segnerebbe il «superamento» dell\u0027alternativa tra\nequilibrio normativo ed equilibrio economico, con conseguente\nriduzione della stessa ad una superfetazione normativa o ad una\ncategoria concettuale priva di utilita\u0027. \n Orbene, la suddetta norma, nella logica di un\u0027interpretazione\nsistematica e evolutiva, deve considerarsi previsione non settoriale\nma espressione di un principio generale, quello equitativo, gia\u0027\nimmanente al sistema, o, comunque, in via di formazione(16). \n Altra norma, espressione del generale principio della necessita\u0027,\nper l\u0027interprete - in difetto di una regolamentazione legislativa\nespressa - di perseguire la giustizia del caso concreto, nella\ncomposizione degli interessi ad esso sotteso, e\u0027 l\u0027art. 9 della legge\nn. 192 del 1998 di cui, da taluni, viene postulata un\u0027applicazione\ngeneralizzata, talvolta, in via diretta, ma, piu\u0027 spesso e\ncondivisibilmente, in via analogica(17). \n Analogia anch\u0027essa «non facile», in considerazione della poca\nfrequenza statistica di uno stato di vera e propria necessita\u0027\neconomica in capo dal consumatore, e, peraltro, solo quando a venire\nin rilievo sia il conseguimento di servizi pubblici essenziali. \n Sono forse maturi i tempi per una rivisitazione dei tradizionali\nlimiti al principio equitativo, quali narrati dalla manualistica\nclassica. \n (In difetto di una disciplina di diritto positivo), l\u0027equita\u0027\npuo\u0027 essere, cioe\u0027, invocata dall\u0027interprete non solo secundum, ma\nanche praeter legem, quale clausola che consente all\u0027ordinamento di\nsmussare le sue asperita\u0027 per piegarsi alle esigenze specifiche del\ncaso concreto e, talvolta, assumendo la portata di fonte oggettiva\ndel diritto(18). \n Nondimeno, anche accettando tale ricostruzione dei limiti\noperativi della equita\u0027 in termini piu\u0027 elastici, non puo\u0027\nsovvertirsi il principio per cui la stessa non puo\u0027 contrastare con\nla regola di stretto diritto. \n Per quanto concerne le modalita\u0027, metodologiche, di svolgimento\ndel giudizio equitativo, mediante il rinvenimento della regola della\nfattispecie, come evidenziato da Autorevole dottrina, «il diritto\nequo va inteso con senso pragmatico: esso, infatti, non si adegua a\nspecifici indirizzi filosofici o ad un ethos trascendentale ma,\nsull\u0027abbrivio della ragione ponderante, assicura il saggio\nbilanciamento degli interessi in gioco dando a ciascun uomo il suo\nsenza sottrarre quanto spetta agli altri». \n Dunque, equita\u0027 «significa ricerca d\u0027equilibrio tra situazioni\nantagonistiche» e cio\u0027 ne denota l\u0027intima relazione con un altro\nprincipio generale che e\u0027 quello di ragionevolezza. \n Ed essendo la ragionevolezza della composizione degli interessi\nin gioco la sostanza e il fine ultimo del giudizio equitativo, lo\nstesso incontra dei limiti - operativi e contenutistici - precisi. \n Infatti, «deve essere ben chiaro che la ricerca dei valori\nattorno ai quali e\u0027 edificato lo Stato di diritto... non puo\u0027 essere\ncompromessa dalla c.d. aequitas cerebrina di chi antepone la propria\nnozione di giusto al Wesengehalt qualificante la legislazione». \n Cio\u0027, perche\u0027 «equita\u0027 non equivale ad arbitrio assoluto o\nall\u0027assenza di qualsivoglia vincolo legalitario». L\u0027equita\u0027, per\ncontro, per assumere a divenire parametro oggettivabile, deve essere\nancorata ai principi ordinamentali quali quelli di ragionevolezza e\nproporzionalita\u0027. \n Principi generali del diritto che \"non costituiscono il risultato\ndi aride generalizzazioni o di formalistiche acrobazie teoretiche, ma\noffrono la somma dei «criteri di valutazione costituenti il\nfondamento dell\u0027ordine giuridico e aventi una funzione genetica\nrispetto alle singole norme\". \n Dunque, si puo\u0027 affermare che «la decisione di equita\u0027 e\u0027 un atto\nsempre secondo diritto ma non necessariamente applicativo della legge\npositiva», ovvero di norme puntuali, ma, per l\u0027appunto, di quelle\nclausole generali che sono i principi. \n Delineate le suddette premesse ricostruttive, per taluna\ndottrina, dovrebbe ritenersi che ben possa il giudice dell\u0027esecuzione\nintervenire sulla misura coercitiva, modulandola in senso\ncontenitivo, ogniqualvolta la sua applicazione ingeneri conseguenze\npatrimoniali contrarie a equita\u0027. \n Cio\u0027, avendo riguardo a quel generale principio equitativo che\nimpone la ricerca della giustizia del caso di specie, valorizzandone\ne ponderandone tutte le caratteristiche concrete. \n 4.4. Un argomento sistematico in favore del potere di fissare,\nanche ex officio, un tetto massimo ad una misura, aliunde irrogata:\nla posizione della giurisprudenza amministrativa \n La possibilita\u0027 per il G.e. di fissare, anche ex officio, un\ntetto massimo ad una misura, aliunde irrogata (e non ancora\ncristallizzata) rinverrebbe. peraltro, conferma, a livello\nsistematico, in quanto affermato da parte della giurisprudenza\namministrativa in materia di riduzione dell\u0027astreintes, irrogate dal\ngiudice della cognizione. \n L\u0027Adunanza plenaria e\u0027 stata chiamata a pronunciarsi su un\npeculiare profilo dell\u0027istituto della c.d. astreinte, declinata, con\nla pronuncia n. 15/2014, quale «misura coercitiva indiretta a\ncarattere pecuniario, inquadrabile nell\u0027ambito delle pene private o\ndelle sanzioni civili indirette, che mira a vincere la resistenza del\ndebitore, inducendolo ad adempiere all\u0027obbligazione sancita a suo\ncarico dall\u0027ordine del giudice» risolvendosi in un «meccanismo\nautomatico di irrogazione di penalita\u0027 pecuniarie in vista\ndell\u0027assicurazione dei valori dell\u0027effettivita\u0027 e della pienezza\ndella tutela giurisdizionale a fronte della mancata o non esatta o\nnon tempestiva esecuzione delle sentenze emesse nei confronti della\npubblica amministrazione e, piu\u0027 in generale, della parte risultata\nsoccombente all\u0027esito del giudizio di cognizione». \n Con la sentenza 9 maggio 2019, n. 7, il supremo consesso\namministrativo ha affrontato la questione che agitava gli interpreti\nrelativa alla modificabilita\u0027 o meno del criterio di quantificazione\nstatuito dal giudice di merito; e cio\u0027 in forza di una vistosa\niniquita\u0027 a cui l\u0027applicazione di esso avrebbe condotto. \n Il giudice amministrativo - tratteggiando le differenze\nintercorrenti tra l\u0027atteggiarsi dell\u0027istituto in sede di giudizio\ncivile e il giudizio amministrativo e individuandole\nnell\u0027applicabilita\u0027 delle stesse, in questo secondo, anche alle\ncondanne aventi ad oggetto obbligazioni pecuniarie - ha ritenuto\nmodificabile il criterio statuito in sentenza, ogniqualvolta vi siano\nsopravvenienze fattuali o giuridiche. \n In particolare, l\u0027Adunanza plenaria ha enucleato i seguenti\nprincipi: \n 1. e\u0027 possibile, in sede di c.d. «ottemperanza di\nchiarimenti», modificare la statuizione, relativa alla penalita\u0027 di\nmora contenuta in una precedente sentenza d\u0027ottemperanza, ove siano\ncomprovate sopravvenienze fattuali o giuridiche che dimostrino, in\nconcreto, la manifesta iniquita\u0027 in tutto o in parte della sua\napplicazione; \n 2. salvo il caso delle sopravvenienze, non e\u0027 in via generale\npossibile la revisione ex tunc dei criteri di determinazione della\nastreinte dettati in una precedente sentenza d\u0027ottemperanza, si\u0027 da\nincidere sui crediti a titolo di penalita\u0027 gia\u0027 maturati dalla parte\nbeneficiata. Tuttavia, ove il giudice dell\u0027ottemperanza non abbia\nesplicitamente fissato, a causa dell\u0027indeterminata progressivita\u0027 del\ncriterio dettato, il tetto massimo della penalita\u0027, e la vicenda\nsuccessiva alla determinazione abbia fatto emergere, a causa proprio\ndella mancanza del tetto, la manifesta iniquita\u0027, quest\u0027ultimo puo\u0027\nessere individuato in sede di chiarimenti, con principale\nriferimento, fra i parametri indicati nell\u0027art. 614-bis del codice di\nprocedura civile, al danno da ritardo nell\u0027esecuzione del giudicato. \n E\u0027 proprio tale seconda ipotesi che potrebbe sovvenire per il\ncaso di specie. \n In applicazione analogica del principio enucleato dall\u0027adunanza\nplenaria, e\u0027 stato ritenuto che il giudice dell\u0027esecuzione civile\npossa fissare un tetto massimo all\u0027importo dovuto a titolo di\nastreintes, quando a cio\u0027 non abbia provveduto il giudice della\ncognizione e, dunque, neppure esista un giudicato sul punto. \n Tale ordine di considerazioni parrebbe, peraltro, avvalorato\ndalla nuova formulazione della norma codicistica. Infatti, se al\ngiudice dell\u0027esecuzione compete la fissazione ex novo delle misure\ncoercitive, non sembra «trascendentale» la scelta di riconoscere allo\nstesso il potere di determinare l\u0027importo massimo di una misura gia\u0027\npreviamente irrogata dal Giudice della cognizione. \n 4.5. Argomento sistematico-evolutivo \n Nel senso di un potere di integrazione e specificazione (e non\nanche di modifica) della misura ex art. 614-bis del codice di\nprocedura civile, da parte del giudice dell\u0027esecuzione, deporrebbe\nanche la metamorfosi conosciuta dal processo esecutivo, da strumento\ndi mera attuazione del comando alla nuova veste cognitoria: \n Gli approdi recenti della giurisprudenza di legittimita\u0027 denotano\nuna vera e propria metamorfosi del processo esecutivo. \n In particolare, deve ritenersi che si vadano attenuando anche\nalcuni principi che hanno contraddistinto il processo esecutivo fin\ndal suo ingresso nell\u0027ordinamento giuridico, quando aveva la\nconnotazione di strumento di attuazione del comando, rimasto\ninadempiuto, sia esso di fonte stragiudiziale, sia esso di matrice\ngiudiziaria. \n Il riferimento e\u0027 ai caratteri dell\u0027autonomia, dell\u0027astrattezza e\ndell\u0027autosufficienza, propri del titolo esecutivo. \n Appare, decisamente, in crisi anche la tradizionale distinzione -\navente, invero, una sua intrinseca ragionevolezza - tra attivita\u0027 di\ntipo cognitorio e attivita\u0027 esecutiva, che implicava il\nriconoscimento agli organi esecutivi di una funzione di mera\ntraduzione nella realta\u0027 della regola «scolpita» dal titolo\nesecutivo. \n L\u0027ultimo dei suddetti connotati distintivi ovvero\nl\u0027autosufficienza, nella logica della separazione fra il momento\ndell\u0027accertamento e quello dell\u0027esecuzione, veniva intesa come\nl\u0027idoneita\u0027 del titolo esecutivo a consentire, legittimandola,\nl\u0027azione esecutiva. Cio\u0027, attribuendo al possessore dello stesso, il\ndiritto, in un certo qual modo, incondizionato, di ottenere\nl\u0027attivazione dell\u0027ufficio esecutivo, su cui, dal suo canto suo,\nsarebbe gravato il dovere di tutelare la pretesa giuridica soggettiva\n(normalmente, coincidente con il diritto) incorporata nel titolo. \n Cio\u0027, in un contesto in cui il G.E., di norma, non avrebbe potuto\naccertare l\u0027effettiva esistenza della stessa, fatta eccezione per\nl\u0027ipotesi in cui non fosse a cio\u0027 legittimato dalla proposizione di\nrituale opposizione all\u0027esecuzione (peraltro, fino ad un recente\npassato, esperibile sine die). \n Nella vigenza della suddetta disciplina, le opposizioni esecutive\ncostituivano gli unici momenti cognitivi di un\u0027attivita\u0027 esecutiva\ncongeniata non «per conoscere, ma per attuare un pensiero giuridico\ngia\u0027 definito». \n Nell\u0027ambito dell\u0027economia complessiva dell\u0027attivita\u0027 giudiziaria,\nl\u0027attivita\u0027 accertativa veniva ad assumere un ruolo del tutto\nmarginale e, comunque, servente alla definizione delle controversie,\nveicolate a mezzo delle c.d. opposizioni esecutive. \n Altro carattere che si riteneva consustanziale alla vicenda\nesecutiva era quello relativo all\u0027astrattezza del titolo, da\nintendersi quale inidoneita\u0027 dello stesso ad essere condizionato,\nnella sua funzione e vitalita\u0027, dal rapporto sottostante. \n Gia\u0027 le pronunce a Sezioni Unite del 2012(19), in punto di\nintegrazione giudiziale del titolo esecutivo da parte del G.e.,\navevano iniziato a erodere progressivamente tali principi,\nalimentando un ancora non sopito dibattito interpretativo. \n In particolare, la sentenza n. 11067 del 2.07.2012 attribuiva al\ngiudice dell\u0027esecuzione, nell\u0027ipotesi di (obiettive e non superabili)\nincertezze interpretative nella ricostruzione dell\u0027obbligo posto da\nuna sentenza, il potere di integrare con elementi extratestuali il\nprecetto giudiziale. Cio\u0027, pero\u0027, subordinatamente al fatto che i\ndati di riferimento, con cui effettuare l\u0027eterointegrazione del\ntitolo giudiziale, potessero essere tratti da documenti, a loro\nvolta, ritualmente acquisiti al processo che aveva condotto alla\nformazione del titolo giudiziale. \n D\u0027altronde, e\u0027 innegabile che le suddette pronunce, nel garantire\nl\u0027eseguibilita\u0027 di comandi sia sostanziali sia giudiziali, affetti da\nuna genetica genericita\u0027, abbiano assicurato l\u0027osservanza del\nprincipio di effettivita\u0027 della tutela, il cui fondamento e\u0027 da\nricercarsi sia a livello costituzionale negli articoli 24 e 113\nCost., sia sovranazionale negli artt. 6 e 13 CEDU e 47 Cost. \n Si attua, dunque, il passaggio da un ruolo monolitico del G.e.\nquale mero esecutore di un comando gia\u0027 formato ad una veste duplice,\nnon solo esecutiva, bensi\u0027 di giudice della cognizione, se non altro\nper tutte le questioni veicolabili dalle c.d. eccezioni in senso\nlato. E cio\u0027 con poteri di cognizione, di norma, solo sommari;\ntalvolta, di cognizione piena, quando lo stesso sia investito del\nmerito di un\u0027opposizione esecutiva, o quando lo stesso proceda al\nrilievo d\u0027ufficio di una causa estintiva o del difetto delle\ncondizioni stesse per procedere ad esecuzione. \n Anche di recente, in virtu\u0027 dell\u0027obbligo generale di recezione\ndel diritto unionale - che, come noto direttamente applicabile,\nunitamente alle sentenze della Corte di giustizia, che ne\neterointegrano il contenuto precettivo - si e\u0027 assistito ad\nun\u0027ulteriore erosione della distinzione concettuale tra attivita\u0027\ncognitiva e esecutiva. \n Distinzione, secondo la dogmatica tradizionale, afferente al c.d.\nordine pubblico processuale e come tale inderogabile. \n Di essa rappresentava logico corollario l\u0027impossibilita\u0027 -\nassoluta e incondizionata - per il giudice dell\u0027esecuzione di\nsindacare la legittimita\u0027 del titolo esecutivo, specie se di\nformazione giudiziale, facendo valere fatti anteriori al\nconseguimento della sua definitivita\u0027. Fatti che risultavano\nazionabili esclusivamente davanti al giudice della cognizione. \n Del suddetto principio si e\u0027 imposto, pero\u0027, il superamento al\nfine di tutelare quella liberta\u0027 negoziale del consumatore che, nella\nlogica dell\u0027ordinamento comunitario, non rileva, di per se\u0027, ma quale\nbene strumentale o intermedio, la cui garanzia si impone per\nassicurare l\u0027assetto concorrenziale del mercato, in quanto unico\nmodello di organizzazione che possa assicurarne un\u0027adeguata\ncompetitivita\u0027. \n Si discute, peraltro, se tale eccezione valga per la sola\ndisciplina consumieristica oppure sia estendibile ad ogni ipotesi in\ncui venga in rilievo una violazione della disciplina comunitaria. \n Si e\u0027 affermato, in dottrina, che la nuova formulazione dell\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede\nche il G.e. dell\u0027esecuzione possa irrogare l\u0027astreinte, non avrebbe\nfatto che positivizzare una tendenza, gia\u0027 insita nel sistema, nel\nsenso dell\u0027attribuzione al Giudice dell\u0027esecuzione di sempre maggiori\npoteri cognitivi, meramente sommari o anche a cognizione piena, ma\npur sempre strumentali alle finalita\u0027 dell\u0027esecuzione. \n D\u0027altronde, e\u0027 indubbio, che il G.e. adito ai fini\ndell\u0027emanazione di una misura coercitiva, e\u0027 tenuto a svolgere\nun\u0027attivita\u0027 istruttoria, volta all\u0027accertamento della ricorrenza dei\npresupposti di cui all\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile.\nDunque, lo stesso, come sottolineato da Autorevole dottrina, e\u0027\ngravato di «una vera e propria attivita\u0027 cognitiva (seppure informale\ne semplificata) che sfocera\u0027 nell\u0027adozione di un provvedimento di\ncondanna». \n 4.6. La qualificabilita\u0027 dell\u0027eccessiva esosita\u0027 della penale\nquale fatto sopravvenuto \n Secondo una certa angolazione ricostruttiva, la mancanza di un\ntetto massimo implica il pericolo che la penale possa diventare, con\nil passare del tempo, eccessivamente onerosa, se non addirittura\nesosa, e tale circostanza e\u0027 qualificabile quale fatto sopravvenuto. \n Come noto, per principio interpretativo consolidato, in sede di\nopposizione sia esecutiva sia pre-esecutiva (per l\u0027ipotesi in cui\nl\u0027actio esecutiva non sia ancora iniziata), promossa sulla base di un\ntitolo esecutivo di formazione giudiziale, e\u0027, in generale, preclusa\nla spendita di eccezioni in senso stretto, fondate su fatti di natura\nimpeditiva, modificativa o estintiva anteriori cronologicamente,\nquanto alla loro venuta ad esistenza, alla definitivita\u0027 del decreto\ningiuntivo o del diverso provvedimento giurisdizionale opposto. \n Pertanto, eventuali fatti estintivi o modificativi del diritto\nazionato con un titolo di formazione giudiziale che si siano\nverificati anteriormente alla formazione del titolo stesso - e,\ndunque, come tali dedotti o anche, semplicemente, giuridicamente\ndeducibili - non possono essere fatti valere con opposizione\nall\u0027esecuzione, dovendo essere oggetto di specifiche eccezioni nel\ngiudizio di merito che ha portato all\u0027emissione del titolo esecutivo. \n Si pensi, in particolare, all\u0027eccezione di compensazione legale,\ni cui presupposti di liquidita\u0027, esigibilita\u0027 e coesistenza siano\nvenuti ad esistenza dopo la scadenza dei termini per l\u0027opposizione a\ndecreto ingiuntivo oppure dopo il maturare delle preclusioni\nprocessuali nel giudizio di opposizione (v. ex multis, Cass. 17\nfebbraio 2011, n. 3850, secondo cui «[...] il titolo esecutivo\ngiudiziale non puo\u0027 essere rimesso in discussione dinanzi al giudice\ndell\u0027esecuzione ed a quello dell\u0027opposizione per fatti anteriori alla\nsua definitivita\u0027, in virtu\u0027 dell\u0027intrinseca riserva di ogni\nquestione di merito al giudice naturale della causa in cui la\ncontroversia tra le parti ha avuto o sta avendo pieno sviluppo ed e\u0027\nstata od e\u0027 tuttora in via di esame ex professo o comunque in via\nprincipale»). \n In tal senso, depongono non solo ragioni di carattere logico e di\neconomia processuale, ma anche la necessita\u0027 di conservare una cesura\nnetta fra le vicende giuridiche inerenti al giudizio presupposto e\nl\u0027esecuzione del provvedimento, conclusivo dello stesso. Cio\u0027, in\nvirtu\u0027 di un principio di «competenza» intesa in senso lato, per cui\ndella valida formazione del provvedimento portato a esecuzione e\u0027 (o\npuo\u0027 essere) investito unicamente il giudice cui e\u0027 devoluto il\ngravame o l\u0027impugnativa promossa avverso lo stesso. \n Principio di «competenza» che, peraltro, si interseca anche con\nil diverso principio, pure ispirato ad esigenze di economia\nprocessuale, del deducibile (valevole) come dedotto. \n Esigenze, tali ultime, meritevoli di tutela secondo la logica e i\nvalori ispiratori dell\u0027ordinamento giuridico multilivello quale deve\nconsiderarsi quello italiano in conseguenza dell\u0027eterointegrazione da\nparte del livello di tutela comunitario, nonche\u0027 delle sollecitazioni\nprovenienti dalla CEDU. \n E\u0027 indubbio che l\u0027attuazione, in via coattiva, del decisum e la\ntempestivita\u0027 della tutela siano due corollari logici indefettibili\ndi quel diritto all\u0027effettivita\u0027 della tutela giurisdizionale che\nrinviene il proprio fondamento oltre che nell\u0027art. 24 Cost., anche\nnegli articoli 6 e 13 CEDU e 47 CDFUE. \n Peraltro, considerato l\u0027attuale stadio dell\u0027evoluzione\ninterpretativa interna, trovando applicazione la regola del\ndeducibile come dedotto, deve ritenersi che l\u0027impossibilita\u0027 di\nazionare vizi del titolo di formazione giudiziale valga non solo per\nquelli concretamente dedotti nel giudizio c.d. presupposto, ma anche\nper quelli che lo erano sulla base di un criterio di normalita\u0027\nstatistica e di diligenza (di fatto, rimasto inosservato); \n Nondimeno, in sede esecutiva, possono essere dedotti nuovi fatti\ngiuridici, non esistenti prima della scadenza del termine per la\nproposizione dell\u0027opposizione (o del gravame) e in grado di\nestinguere o modificare (in tutto o anche solo in parte) il rapporto\nin contestazione. \n D\u0027altronde, venendo alla fattispecie concreta, e\u0027 evidente come\nla fissazione di un tetto massimo costituisca naturale prerogativa\ndel G.e., in quanto giudice delle c.d. sopravvenienze fattuali e\ngiuridiche. Infatti, solo il G.e. puo\u0027 apprezzare l\u0027eventuale\nesorbitanza dell\u0027importo raggiunto dalla misura rispetto agli\ninteressi che la stessa e\u0027 preordinata a tutelare, provvedendo a\ncomparare gli stessi con quello antagonista a che la sfera giuridica\ndell\u0027obbligato non sia esposta a un sacrificio sproporzionato. \n Gli effetti patrimoniali della misura sono destinati a\nproiettarsi naturalmente nel futuro e le parti, in sede di\ncognizione, sono, spesso, sprovviste di idonei elementi valutativi da\nsottoporre all\u0027attenzione del Giudice, investito della richiesta di\nastreinte. \n Cosi\u0027 il giudice investito della controversia non e\u0027, di norma,\nnelle condizioni di predeterminare l\u0027entita\u0027 massima, raggiungibile\ndalla misura. Si pensi, a titolo esemplificativo, all\u0027ipotesi in cui\nil giudice della cognizione, al fine di determinare la misura della\nstessa, voglia - compiendo un\u0027operazione esegetica contrastata da\nchi, condivisibilmente, sostiene che l\u0027astreinte non possa svolgere\nun ruolo di surrogazione dello strumento risarcitorio tradizionale e\nazionato nelle debite forme - commisurare la pretesa risarcitoria al\ndanno cagionato o cagionabile dall\u0027inadempiente. Non essendovi, al\nmomento dell\u0027irrogazione dell\u0027astreinte, alcun accertamento del\ndanno, diverrebbe impossibile ricorrere a tale criterio\ncommisurativo. \n Cosi\u0027, in generale, se il giudice della cognizione volesse\nancorare la massima soglia raggiungibile dalla misura coercitiva in\nbase alle specifiche modalita\u0027 della condotta dell\u0027obbligato,\ndovrebbe, tendenzialmente, fare riferimento - sulla base di un\ngiudizio, necessariamente, predittivo e prognostico - a circostanze\nfuture, non agevolmente governabili, con conseguente incertezza dei\nprescelti parametri del riferimento. \n Vi e\u0027, peraltro, dottrina che assume, piu\u0027 radicalmente, che la\nmisura coercitiva sarebbe una misura tipica del giudice\ndell\u0027attuazione del comando (stragiudiziale o giudiziale) come denota\nanche la previsione di similare competenza in capo al giudice\ndell\u0027ottemperanza, in sede amministrativa. \n Peraltro, nel senso che la stessa debba avere necessariamente (e\nindefettibilmente) un termine massimo di durata depone il generale\nprincipio di temporaneita\u0027 di ogni vincolo obbligatorio che\ncostituisce corollario della tradizionale avversione dell\u0027ordinamento\nper i vincoli perpetui. \n 4.7. Opponibilita\u0027 dell\u0027exceptio doli generalis (al di fuori\ndell\u0027ambito contrattuale) \n a. Rapporti fra abuso del diritto, da un lato, e buona fede e\ncorrettezza, dall\u0027altra \n Orbene, in disparte le superiori considerazioni, potrebbe\nritenersi che, nella condotta del beneficiario dell\u0027astreintes che\ndecida di avvalersi di una clausola che sia divenuta manifestamente\niniqua, siano ravvisabili gli estremi dell\u0027abuso del diritto e,\nquindi, della condotta contraria a buona fede oggettiva e\ncorrettezza. Principi che conformano e innervano il nostro\nordinamento, cosi\u0027 come affermato dalla suprema Corte, con\norientamento oramai costante. \n Peraltro, buona fede e correttezza avrebbero, secondo la\nprevalente e preferibile ricostruzione teorica, un fondamento\ncostituzionale. \n Precisamente, il principio de quo - il quale, secondo la\nRelazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del\ncreditore la considerazione dell\u0027interesse del debitore e nella sfera\ndel debitore il giusto riguardo all\u0027interesse del creditore» - opera\ncome un criterio di reciprocita\u0027 e, una volta collocato nel quadro di\nvalori introdotto dalla Carta Costituzionale, deve essere inteso come\nuna specificazione degli «inderogabili doveri di solidarieta\u0027\nsociale» dettati dall\u0027art. 2 Cost. \n La sua rilevanza si esplica nell\u0027imporre, a ciascuna delle parti\ndel rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare\ngli interessi dell\u0027altra, a prescindere dall\u0027esistenza di specifici\nobblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole\nnorme di legge (Sez. L, sentenza n. 4057 del 16 febbraio 2021; Sez.\n3, ordinanza n. 24691 del 5 novembre 2020; Cass. n. 12310/1999). \n Essa si sostanzia in un generale obbligo di solidarieta\u0027 che\nimpone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli\ninteressi dell\u0027altra, a prescindere tanto da specifici obblighi\ncontrattuali, quanto dal generale dovere extracontrattuale del\n«neminem laedere», ma trova, tuttavia, un suo limite precipuo\nnell\u0027impossibilita\u0027 che il comportamento preteso dalle parti\ncontrattuali (o, in genere, dai consociati, ove non legati da un\nrapporto negoziale) possa comportare un apprezzabile sacrificio a\ncarico delle stesse (o degli stessi). \n In altri termini, la buona fede oggettiva ha assunto valenza di\nfonte di obblighi ulteriori rispetto all\u0027obbligo di prestazione\nriveniente dal contratto, che si pongono in posizione ancillare\nrispetto a quest\u0027ultimo, assicurando la realizzazione dell\u0027assetto di\ninteressi prospettato dalle parti. \n E cio\u0027 in virtu\u0027 del combinato disposto degli articoli 1375 e\n1175 del codice civile. che, dettati in materia contrattuale, si\nconsiderano espressione di un principio generale volto a conformare\nla condotta dei consociati anche al di fuori della sede contrattuale,\ntanto da considerare lo stesso quale una declinazione del piu\u0027\ngenerale dovere del neminem laedere. \n Sotto il profilo operativo, dunque, la buona fede - anche se,\ntestualmente, riferita al momento esecutivo del contratto - integra\ngli obblighi derivanti dal contratto e, quindi, arricchisce il\nrapporto o, in alternativa, il divieto del neminem laedere, venendo\nad assumere la funzione di regola obiettiva che concorre a\nindividuare il comportamento dovuto, imponendo una condotta non\nprestabilita e cio\u0027 in dipendenza delle circostanze concrete di\nattuazione del rapporto o di quelle che connotano la singola vicenda\nin cui si consuma l\u0027illecito aquiliano. \n Dunque, la clausola generale di buona fede ha assunto nel\ndibattito giurisprudenziale un\u0027importanza sempre crescente,\nevolvendosi da mero criterio per la valutazione delle condotte a vero\ne proprio strumento di integrazione degli obblighi nascenti dal\ncontratto in capo alle parti, attraverso l\u0027individuazione di\nulteriori condotte a tenersi, ad opera delle stesse. \n Peraltro, in relazione a tale principio, e\u0027 frequente il\nriferimento all\u0027istituto della Verwirkung (Cass. Sez. 3, sentenza n.\n10549 del 3 giugno 2020; Cass. Sez. 3, sentenza n. 10182 del 4 maggio\n2009; Cass. Sez. 3, sentenza n. 5240 del 15 marzo 2004). \n Come noto, la Corte di cassazione ritiene, infatti, che l\u0027abuso\ndel diritto rappresenti uno dei criteri rivelatori della violazione\ndel principio di buona fede oggettiva. \n Intervenendo sul rapporto tra abuso del diritto e buona fede, ha\naffermato la configurabilita\u0027 della figura dell\u0027abuso del diritto in\ntutte le ipotesi in cui siano tenute condotte contrarie al principio\ndi buona fede oggettiva e di correttezza. \n Tale orientamento e\u0027 stato sostenuto per la prima volta in una\nsentenza della suprema Corte degli anni Sessanta in cui la\ndisposizione concernente la buona fede e\u0027 stata considerata idonea a\nreprimere l\u0027abuso del diritto soggettivo (Cass., 15 novembre 1960, n.\n3040). \n Le pronunce piu\u0027 recenti si muovono nello stesso solco:\nrecentemente la Corte ha confermato che i principi di buona fede\noggettiva e di divieto dell\u0027abuso del diritto si integrano a vicenda:\nla buona fede rappresenta un canone generale cui riferire i\ncomportamenti delle parti, anche di un rapporto privatistico (Cass.\nCiv., Sez. VI, 21 luglio 2020, n. 15436). \n A dimostrazione della vitalita\u0027 e delle potenzialita\u0027 operative\ndel principio de quo, la suprema Corte e\u0027 giunta a valorizzare il\nprincipio di buona fede fino all\u0027esplicita affermazione secondo cui\nanche il decorso di un «termine» legale (nella vicenda esaminata si\ntrattava di quello del precetto) non determina necessariamente\nl\u0027effetto sfavorevole previsto dalla legge, allorche\u0027 «in concreto»,\naccertate le «circostanze rilevanti nella singola fattispecie» vi sia\nun comportamento adempiente («pagamento in un termine ragionevole»)\ndella parte obbligata. \n Da ultimo, ad essa viene riconosciuta una funzione disapplicativa\ndella regola negoziale o, comunque, di paralisi della singola pretesa\nazionata da una delle parti del rapporto. \n La conseguenza che, di norma, l\u0027ordinamento riconnette alla sua\nviolazione e\u0027 quella dell\u0027insorgere di un obbligo a contenuto\nrisarcitorio, con le precisazioni che si vanno a svolgere. \n b. Fondamento normativo del principio dell\u0027abuso del diritto \n Quanto al fondamento normativo del principio dell\u0027abuso del\ndiritto, come noto, nel nostro Codice non esiste una norma che\nsanzioni, in via generale, l\u0027abuso del diritto. Cio\u0027, per quanto si\nancori lo stesso, in materia proprietaria e di rapporti di vicinato,\nal divieto di atti emulativi ex art. 833 del codice civile, quale\nipotesi paradigmatica di deviazione dell\u0027esercizio di un diritto dal\nsuo scopo tipico, ovvero da quello cristallizzato dalla norma\nattributiva dello stesso. \n Nondimeno, in via interpretativa, come gia\u0027 evidenziato,\ncostituisce oramai dato acquisito quello per cui l\u0027abuso e\u0027\nconfigurabile «quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in\nassenza di divieti formali, lo eserciti con modalita\u0027 non necessarie\ned irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno\nsproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte\ncontrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori\nrispetto a quelli per i quali quei poteri o facolta\u0027 furono\nattribuiti» (Cass. III Civile, 18 settembre 2009, n. 20106). \n Invero, il principio de quo ha conosciuto una positivizzazione, a\nlivello sovranazionale ed, in particolare, comunitario, nella Carta\ndei diritti fondamentali dell\u0027Unione europea, all\u0027art. 54 («Divieto\ndell\u0027abuso del diritto»). \n Peraltro, dopo l\u0027entrata in vigore (nel 2009) del Trattato di\nLisbona, esso ha il medesimo valore giuridico dei trattati comunitari\ne delle norme comunitarie direttamente applicabili, perche\u0027\nsufficientemente determinate nel loro contenuto precettivo, godendo\ndella c.d. primazia sulle norme interne. \n Cio\u0027 premesso, elementi costitutivi dell\u0027abuso del diritto sono i\nseguenti: 1) la titolarita\u0027 di un diritto soggettivo in capo ad un\nsoggetto; 2) la possibilita\u0027 che il concreto esercizio di quel\ndiritto possa essere effettuato secondo una pluralita\u0027 di modalita\u0027\nnon rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio\nconcreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva\ndi quel diritto, sia svolto secondo modalita\u0027 censurabili rispetto ad\nun criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la\ncircostanza che, a causa di una tale modalita\u0027 di esercizio, si\nverifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del\ntitolare del diritto ed il sacrifico cui e\u0027 soggetta la controparte\n(v. expressim, Cass. n. 20106, 2009, cit.). \n Per contro, come noto, la verifica giudiziale del carattere\nabusivo o meno della condotta prescinde dal dolo e dalla specifica\nintenzione di nuocere alla propria controparte contrattuale o, in\ngenere, ad un terzo: elementi questi tipici degli atti emulativi, ma\nnon delle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di dipendenza\neconomica. \n Ricorrendo tali presupposti, ricorrendo una certa traiettoria\nargomentativa, sarebbe consentito al giudice di merito sindacare e\ndichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di\nabuso del diritto (v., expressim, Cass. n. 20106, 2009, cit.). \n La tutela riconosciuta al contraente che ha subito l\u0027abuso del\ndiritto e\u0027, infatti, l\u0027exceptio doli generalis, che attribuisce al\ntitolare la possibilita\u0027 di opporsi ad un\u0027altrui pretesa o eccezione,\nastrattamente fondata ma che, in realta\u0027, costituisce espressione di\nuno scorretto esercizio di un diritto, volto al soddisfacimento di\ninteressi non meritevoli di tutela per l\u0027ordinamento giuridico. \n Tale rimedio e\u0027 fruibile in caso di condotte sleali anche se non\nfraudolente e rappresenta, pertanto, un rimedio di natura oggettiva,\na tal fine essendo sufficiente la prova della mera conoscenza o della\nconoscibilita\u0027 della contrarieta\u0027 alla correttezza del comportamento\nposto in essere. \n Orbene, declinando tali categorie con riferimento al caso di\nspecie, considerando come abusiva la richiesta di una penale, anche\ndopo che la stessa, per il suo ammontare complessivo e perche\u0027\ncomminata sine die, diventi contraria a buona fede oggettiva,\npotrebbe ritenersi prefigurabile il ricorso all\u0027exceptio doli\ngeneralis, con conseguente paralisi degli effetti (di preordinazione\nall\u0027esecuzione) del precetto intimato. \n In tal senso deporrebbe anche l\u0027attuale e gia\u0027 menzionata\ntendenza interpretativa ad estendere l\u0027ambito operativo della buona\nfede (oggettiva) al di fuori del suo alveo fisiologico, che e\u0027 quello\ndei rapporti di natura negoziale, facendone, al contempo, un criterio\nintegratore del piu\u0027 generale dovere del neminem laedere. \n Ad essa viene riconosciuta, infatti, anche la vocazione a porsi\nquale parametro cui commisurare la liceita\u0027 del comportamento di un\nsoggetto nei confronti di un altro, al quale il primo non sia legato\nda un precedente vincolo negoziale. \n5. Le criticita\u0027 mosse alla soluzione favorevole e la non agevole\nsperimentazione di un\u0027interpretazione costituzionalmente orientata. \n Invero, questo Giudice remittente non ritiene che gli argomenti\ninvocati, possano indurre, con sufficiente solidita\u0027, ad\nun\u0027interpretazione costituzionalmente orientata della norma,\nsottoposta al vaglio dell\u0027ecc. ma Corte. E cio\u0027, in considerazione\ndelle seguenti considerazioni: \n 1. l\u0027univoco dato testuale dell\u0027art. 614-bis del codice di\nprocedura civile, illo tempore applicabile alla fattispecie concreta,\nche prevedeva il potere d\u0027irrogazione dell\u0027astreinte solo in capo al\ngiudice della cognizione e non anche a quello dell\u0027esecuzione.\nDunque, il legislatore del 2009, con il modulare l\u0027originaria\nformulazione della norma, sembrava ribadire la netta cesura fra fase\ncognitoria e fase esecutiva, in parte ribadita anche dalla riforma\nCartabia. Ne\u0027, alla stregua delle suddette coordinate normative, il\npotere del G.e. di intervenire sulla misura «eterodata» poteva\nritenersi insito nel sistema perche\u0027 sarebbe stata necessaria\nun\u0027espressa previsione a cio\u0027 legittimante. \n Invero, per quanto estraneo al presente thema decidendum, la\nquestione non pare essere stata risolta alla stregua del novello dato\ntestuale della norma che sembra precludere un intervento del Giudice\ndell\u0027esecuzione in materia di 614-bis del codice di procedura civile,\nal di fuori dell\u0027ipotesi in cui il Giudice della cognizione nulla\nabbia stabilito al riguardo e, dunque, secondo una logica di evidente\nsussidiarieta\u0027 o, comunque, di rigorosa alternativita\u0027. \n Infatti, come gia\u0027 evidenziato, la nuova formulazione dell\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile, come novellata dalla riforma\nCartabia, consente di avanzare la domanda di misure coercitive anche\nnel giudizio di esecuzione solo se non richiesta nel precedente\nprocesso di cognizione. \n Cio\u0027, vuol dire che, in virtu\u0027 del dato testuale della norma, la\ncompetenza del G.e. all\u0027assunzione del provvedimento e\u0027 subordinata\nnon alla mancata concessione da parte del giudice della cognizione,\nma alla sua mancata richiesta, al primo, da parte dell\u0027interessato. \n Dunque, anche a voler ritenere, come gia\u0027 prospettato, che la\nnuova formulazione dell\u0027art. 614-bis si limiti a evocare poteri gia\u0027\ninsiti nel sistema, cosi\u0027 come evolventisi, la stessa esprime la\nvolonta\u0027 di tenere separate le competenze in materia dei due giudici\ndella cognizione e della esecuzione; \n 2. la non invocabilita\u0027 della soluzione prescelta dalla\ngiurisprudenza amministrativa in virtu\u0027 dei penetranti poteri di\ncognizione che sono riconosciuti al Giudice dell\u0027ottemperanza\namministrativa, nella logica di un sindacato che e\u0027 destinato a\nestrinsecarsi in relazione ad una realta\u0027 giuridica, non statica, ma\ndinamica, qual e\u0027 l\u0027esercizio del potere amministrativo, esercitabile\nnegli spazi non coperti dal giudicato amministrativo. Sindacato,\nperaltro, naturalmente, destinato a confrontarsi con il fenomeno\ndelle sopravvenienze in fatto e in diritto. Inoltre, al Giudice\ndell\u0027ottemperanza, in virtu\u0027 dell\u0027oramai categoria del giudicato a\nformazione progressiva, e\u0027 riconosciuto il potere non solo di\nattuare, ma anche di integrare e precisare il precetto\ngiurisdizionale da portare a esecuzione proprio al fine di consentire\nl\u0027adattamento della regola giudiziale alle suddette sopravvenienze\n(rilevanti solo se non successive alla notifica della sentenza alla\nparte interessata); \n 3. la tendenziale assolutezza del principio di separazione\nfra il momento dell\u0027accertamento e quello dell\u0027esecuzione,\nrispondente ad un principio di ordine pubblico processuale,\nderogabile solo per effetto di una specifica previsione normativa o\nper effetto della prevalenza del diritto comunitario su quello\nnazionale, come in materia di clausole abusive; \n 4. l\u0027inidoneita\u0027 del rimedio della revoca o modifica del\nprovvedimento cautelare di cui all\u0027art. 669-decies del codice di\nprocedura civile a far fronte al problema in esame. E cio\u0027 in quanto\nla sopravvenuta esorbitanza della penale non potrebbe essere\nconfigurabile, per la sua configurazione ontologica, quale modifica\ndelle circostanze iniziali. \n Trattasi, infatti, a bene vedere, non di un mutamento del quadro\nfattuale che ha presieduto all\u0027emanazione del provvedimento e che,\ndunque, ha costituto parte integrante della base cognitoria, assunta\na fondamento del provvedimento, ma di una aspetto diverso, ovvero di\nuna sopravvenienza di natura fattuale per cosi\u0027 dire «estrinseca»,\nperche\u0027 non inerente al fatto storico che ha mosso alla propria\ndeterminazione il giudice cautelare, bensi\u0027 alle conseguenze che\nl\u0027ordinamento, per il tramite della statuizione giudiziale, ricollega\nal fatto ed, in particolare, alla modulazione quantitativa della\nmisura irrogata, in conseguenza dell\u0027accertamento fattuale compiuto. \n Sotto altro aspetto, trattasi di un profilo - quella della\nentita\u0027 massima richiedibile e irrogabile - che si correla alla\ndurata temporale della misura; aspetto tal ultimo che era\nsuscettibile di essere ponderato gia\u0027 nel momento genetico, di\nemissione del provvedimento e che, dunque, esula dal concetto di\nmodifica del quadro fattuale. \n In tal senso, e\u0027 richiamabile anche Tribunale Verona, 4 agosto\n2001, secondo cui «il semplice decorso del tempo, in quanto elemento\ngia\u0027 valutabile da parte del giudice che ha emesso il provvedimento\ncautelare o eventualmente del giudice del reclamo, i quali possono\nlimitare nel tempo la durata di un\u0027inibitoria, non costituisce di per\nse mutamento nelle circostanze che legittimi il ricorso per revoca o\nmodifica ex art. 669-decies del codice di procedura civile»; \n 5. la difficolta\u0027 di applicare il principio di buona fede\noggettiva al di fuori dell\u0027esecuzione di un contratto o di un negozio\ne, quindi, dell\u0027ambio negoziale. D\u0027altronde, l\u0027art. 1374 del codice\ncivile che disciplina le fonti di integrazione del contratto,\nmenzionando la legge, gli usi normativi e l\u0027equita\u0027, quali possibili\nfonti del regolamento contrattuale, e\u0027 una norma che inerisce alla\nmateria del contratto. \n Cosi\u0027 gli articoli 1375 del codice civile e 1175 del codice\ncivile concorrono alla disciplina dello «statuto normativo\ncontrattuale» e non sarebbero applicabili al di fuori del suo alveo\ngenetico. \n Inoltre, l\u0027effetto tipico dell\u0027exceptio doli e\u0027 quello di\nparalisi della pretesa azionata che viene per cosi\u0027 dire\n«sterilizzata» e, anche ad ipotizzare che la buona fede oggettiva\npossa rilevare quale fonte di responsabilita\u0027 aquiliana, appare arduo\nriconoscere alla stessa un ruolo diverso da quello risarcitorio e, in\nparticolare, di carattere invalidatorio. \n Nel caso di specie, a venire in rilievo e\u0027, invece, la richiesta\ndi dare attuazione ad un provvedimento giurisdizionale di cui la\nparte istante e\u0027 beneficiaria; \n 6. la non qualificabilita\u0027 dell\u0027eccessiva esosita\u0027 della\npenale quale fatto sopravvenuto che sarebbe idoneo a superare la\ntradizionale preclusione alla cognizione del Giudice dell\u0027esecuzione\ndi circostanze dedotte (o, semplicemente, deducibili) davanti al\nGiudice della cognizione. \n A ben vedere, si obietta, lo squilibrio dell\u0027ammontare\ncomplessivo della penale maturata rispetto all\u0027interesse debitorio da\ntutelare, non costituirebbe una circostanza fattuale idonea a\nstravolgere il quadro fattuale posto a fondamento del provvedimento.\nCio\u0027, anche per la sua intrinseca componente valutativa che ne\nimpedirebbe l\u0027ascrizione al novero dei fatti in senso stretto; \n 5. la non estendibilita\u0027 del principio equitativo al di la\u0027\ndelle ipotesi in cui lo stesso e\u0027 espressamente richiamato, non\npotendosi, peraltro, prescindere dall\u0027esistenza di un\u0027espressa\nprevisione di legge che ne legittimi il ricorso. \n Dunque, ritiene sommessamente questo Giudice che non sia\nagevolmente sperimentabile la possibilita\u0027 di un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente orientata. \n Da cio\u0027 la non manifesta infondatezza della questione di\nlegittimita\u0027 costituzionale nei termini che si vanno a precisare. \n6. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione dei principi di ragionevolezza e\nproporzionalita\u0027 ex art. 3 Cost. \n 6.1. Il divieto di vincoli perpetui quale declinazione dei\nprincipi de quibus \n Invero, la mancata previsione dell\u0027apponibilita\u0027, anche\nd\u0027ufficio, di un tetto massimo, appare in contrasto con il principio\ndi ragionevolezza - declinazione del correlato principio di\neguaglianza ex art. 3 Cost. -, cosi\u0027 come con il principio di\nproporzionalita\u0027 delle sanzioni, quali - secondo una certa opzione\nricostruttiva - dovrebbero ritenersi anche le misure coercitive\nindirette. \n D\u0027altronde, deve ritenersi irragionevole e sproporzionato\nqualunque vincolo - quale parrebbe essere quello di specie - con\ncaratteristiche di perpetuita\u0027. \n Una tale tipologia di vincolo - per le ragioni che si va ad\nesplicitare e che si differenziano a seconda dei valori di\nriferimento - parrebbe porsi in contrasto anche con il principio di\nliberta\u0027 negoziale di cui e\u0027, unanimemente, riconosciuto l\u0027ancoraggio\ncostituzionale all\u0027art. 42, comma 2, Cost.; nonche\u0027 con la tutela che\nl\u0027ordinamento, a vari livelli, riconosce al diritto dominicale. E\u0027\nevidente, infatti, come una penale eccessiva vada potenzialmente ad\nincidere anche sulla sfera patrimoniale dell\u0027obbligato, venendo lo\nstesso esposto al pericolo di un\u0027esecuzione mobiliare o immobiliare. \n L\u0027inammissibilita\u0027 dei vincoli perpetui - in particolare quelli\nche limitano il diritto di proprieta\u0027 ma anche la sfera patrimoniale\no negoziale delle parti - risponde ad un principio consolidato\nnell\u0027ordinamento italiano, basato sulla necessita\u0027 di evitare\nrestrizioni eccessive e indefinite nel tempo alle facolta\u0027 di\ngodimento e disposizione dei beni, cosi\u0027 come della sfera personale\ndei soggetti dell\u0027ordinamento. \n Piu\u0027 in generale, questo principio emerge da diverse norme ma\nanche dal panorama interpretativo, essendo molteplici le pronunce che\npervengono a dichiarare l\u0027invalidita\u0027 di clausole negoziali che siano\npreordinate a creare vincoli di durata illimitata, specialmente se\ninerenti a beni immobili. \n Ne e\u0027 evidente la motivazione giuridica. \n Il diritto di proprieta\u0027, sancito, come noto, dall\u0027articolo 42\ndella Costituzione - quale valore di rango anche sovranazionale -\nimplica la conservazione della possibilita\u0027 per il proprietario di\ndisporre liberamente del bene, godendone e alienandolo. Vincoli di\ncarattere perpetuo tendono a limitare eccessivamente questa liberta\u0027,\nsvuotando il diritto del suo contenuto effettivo e venendosi a\nconfigurare, in alcuni casi, come una sorta di «espropriazione senza\nindennizzo». \n Inoltre, da un punto vista sociale, vincoli perpetui impediscono\nl\u0027adattamento a nuove situazioni, generando rigidita\u0027 e ostacolando\nil progresso economico e sociale. \n Dunque, il nostro ordinamento giuridico, pur riconoscendo la\npossibilita\u0027 di costituire vincoli, li subordina alla temporaneita\u0027,\nevitando cosi\u0027 situazioni di stallo e di perpetua compressione dei\ndiritti individuali. \n Costituiscono esempi paradigmatici di tale principio: \n a) le servitu\u0027 irregolari. Sebbene sia possibile costituire\nservitu\u0027 a favore di persone (servitu\u0027 irregolari), il vincolo non\npuo\u0027 essere perpetuo, ma deve essere temporaneo o legato alla durata\ndella vita del beneficiario; \n b) i vincoli urbanistici. Anche in materia urbanistica, i\nvincoli imposti su immobili, sebbene necessari per la pianificazione\ndel territorio, devono avere una durata limitata nel tempo e non\npossono essere perpetui. \n c) convenzioni e contratti: \n Le clausole che prevedono vincoli perpetui in contratti o\nconvenzioni, come ad esempio accordi di cessione di immobili\nconnotati dall\u0027impressione agli stessi di vincoli di destinazione,\nsono considerate nulle. Anche in via interpretativa, sono frequenti i\nriferimenti al principio in esame (Cfr. Corte appello Milano, n. 366,\ndel 1° febbraio 2012). \n Come evidenziato dalla difesa dell\u0027opponente, lo stesso ha\norigini autorevoli e datate anche a livello interpretativo. \n Chiamata a pronunciarsi sulla questione relativa all\u0027onere\ntestamentario di consentire in perpetuo l\u0027utilizzo di un immobile da\nparte della locale parrocchia, la S.C.(20) (estensore Torrente)\nstabili\u0027 che la disposizione controversa, «se configurata come\nun\u0027obbligazione personale a carattere perpetuo», doveva ritenersi\n«nulla, anche se si parli di obbligazione reale (...), in quanto\ndisintegra in perpetuo il diritto di proprieta\u0027 dal suo contenuto\neconomico». Essa fu invece «salvata» mediante la qualificazione di\nessa, non gia\u0027 come una obligatio propter rem, che non si sottrae, in\nquanto rapporto obbligatorio vero e proprio, alla regola della\ntemporaneita\u0027, bensi\u0027, accogliendo la soluzione prospettata da\nautorevole dottrine (F. Salvi, Perpetuita\u0027 di un diritto di\ngodimento? , in Riv. trim. dir. proc. civ. , 1949, 192 ss. in\nparticolare p. 201 ss.) come «attributiva di un diritto d\u0027uso,\nnaturalmente limitato al tempo massimo stabilito dalla legge». \n In materia d\u0027inammissibilita\u0027 di un vincolo obbligatorio\nperpetuo, e\u0027 ritornata la Corte di cassazione affermando: «Nel nostro\nsistema positivo e\u0027 inammissibile un vincolo obbligatorio, destinato\na durare all\u0027infinito, senza che sia possibile al debitore o ai suoi\nsuccessori la possibilita\u0027 di liberarsene» (Cass. Sez. II, 30 luglio\n1984, n. 4530. Sulla stessa scia si e\u0027 posta sempre la giurisprudenza\ndi legittimita\u0027 allorche\u0027 piu\u0027 di recente (Cass., 20 settembre 1995,\nn. 9975) ha affermato la nullita\u0027 dei contratti atipici istitutivi di\nobbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo, in quanto\nnon meritevoli di tutela ai sensi dell\u0027ordinamento giuridico. \n Peraltro, nel caso di specie, il sequestro giudiziario con\nfinalita\u0027 probatorie aveva esaurito il suo compito, in quanto nel\ngiudizio di merito si era gia\u0027 proceduto al conferimento\ndell\u0027incarico peritale sulla base della documentazione per come\nrinvenuta e consegnata. \n Detto principio e\u0027 stato di recente ribadito da Corte appello\nBari Sez. I, 7 luglio 2022, n. 1148 secondo cui: «Nel nostro\nordinamento, vige il principio della generale inammissibilita\u0027 delle\nobbligazioni perpetue, il quale non consente ai soggetti la\npossibilita\u0027 di vincolarsi ad vitam, giustificandosi, per converso,\nla perpetuita\u0027 del diritto soltanto dove non si ponga un problema di\nsoggetti vincolati a tempo indeterminato, come nella fattispecie del\ndiritto di proprieta\u0027». \n In sintesi, l\u0027inammissibilita\u0027 dei vincoli perpetui e\u0027 un\nprincipio fondamentale del nostro ordinamento giuridico che mira a\ngarantire la liberta\u0027 e la flessibilita\u0027 nella gestione dei beni,\nevitando restrizioni eccessive e dannose per il singolo e per la\nsocieta\u0027 nel suo complesso. \n E\u0027 evidente come lo stesso rinvenga il proprio fondamento\ncostituzionale nel principio di ragionevolezza, ma, al contempo, nei\nprincipi di tutela della proprieta\u0027 e di liberta\u0027 dell\u0027iniziativa\neconomica ex art. 41 Cost., comma 2, di cui la liberta\u0027 negoziale\ncostituisce logico corollario. \n Nel caso dell\u0027astreintes, a venire in rilievo sembrerebbe essere,\nin particolare, tale primo profilo. Cio\u0027, specie per la gia\u0027\nevidenziata potenziale attitudine della stessa a incidere sulla sfera\ndominicale del debitore inadempiente, nella prospettiva tanto di\nun\u0027esecuzione mobiliare, quanto di un\u0027esecuzione immobiliare. \n 6.2. Ricostruzione dei principi alla luce della giurisprudenza\ncostituzionale \n 6.2.1. Il principio di ragionevolezza \n Tornando ai principi di cui all\u0027art. 3 Cost. cui sopra, sotto il\nprofilo del rispetto del primo di essi, proprio di recente,\nautorevole dottrina ha affermato che «l\u0027attuale controllo di\ncostituzionalita\u0027 e\u0027 totalmente pervaso dal metodo della\nragionevolezza: e\u0027 un controllo di ragionevolezza»(21). \n D\u0027altronde, a fronte dell\u0027indubbio dinamismo interpretativo\nindotto dal principio de quo, e\u0027 innegabile l\u0027indispensabilita\u0027 di\ntale categoria e la sua correlazione con quello di proporzionalita\u0027:\nragionevole e\u0027 qualunque opzione esegetica sia idonea a realizzare un\nequo contemperamento degli interessi in gioco, imponendone un\nsacrificio non sproporzionato. E, nel caso di specie, gli stessi\ncoincidono, da un lato, con l\u0027esigenza del debitore di non subire\nesecuzioni sproporzionate rispetto alla consistenza quantitativa\ndella pretesa creditoria azionata; dall\u0027altro, con l\u0027interesse del\ncreditore a conservare lo strumento processuale, astrattamente\npreordinato alla sua attuazione coattiva(22). \n In cio\u0027 e\u0027 evidente la stretta connessione tra ragionevolezza e\nequita\u0027 cui, senza dubbio, nell\u0027attuale assetto ordinamentale e\ninterpretativo, devono riconoscersi spazi operativi ben piu\u0027 ampi di\nquelli consegnati dalla tradizione giuridica che vedeva l\u0027equita\u0027\nconfinata alle ipotesi in cui il legislatore avesse consentito\nespressamente il ricorso ad essa (c.d. equita\u0027 secundum legem). \n Ragionevolezza e equita\u0027 sono clausole generali che consentono\nall\u0027ordinamento - unitamente ai principi personalistico e\nsolidaristico ex art. 2 Cost. - di adattarsi alla molteplicita\u0027 e\nnovita\u0027 delle istanze di tutela, provenienti dal corpo sociale cosi\u0027\ncome dal tessuto costituzionale, smussando il rigore del diritto\npositivo e assicurandone la tenuta costituzionale. Oppure, piu\u0027\nsemplicemente, possono risultare idonei ad assicurare un equilibrato\nbilanciamento fra valori confliggenti, individuando, di volta in\nvolta, modalita\u0027 di composizione adeguate alla fattispecie di cui si\nimponga la definizione giudiziale. \n Invero, la ricerca di un contemperamento - equo e, dunque,\nragionevole - degli interessi in gioco, con conseguente\nvalorizzazione delle caratteristiche delle singole fattispecie\n(astratte) poste all\u0027attenzione del Giudice delle leggi, e\u0027 a\nfondamento di molteplici recenti sentenze delle Corte adita. \n Cosi\u0027, in Corte cost. n. 88 del 2023, in cui veniva in rilievo un\nreato di lieve entita\u0027 commesso da un immigrato che avrebbe\ncomportato l\u0027esclusione del rinnovo del permesso di soggiorno per\nlavoro, la Corte ha valorizzato l\u0027argomento fondato sulla non\nopportunita\u0027 di sradicare lo straniero dal luogo in cui ha costruito\nsignificativi rapporti sociali, lavorativi e familiari. \n L\u0027applicazione, secondo criteri di automaticita\u0027, della\nprevisione normativa, sindacata in punto di costituzionalita\u0027,\navrebbe originato un esito, oggettivamente, iniquo. \n Da cio\u0027 la necessita\u0027 di considerare gli elementi, connotativi\ndella specifica situazione di fatto, tra i quali il tempo trascorso\ndalla commissione del reato, il percorso rieducativo compiuto dal suo\nautore, il suo radicamento nel tessuto sociale. \n Ispirata a evidenti esigenze equitative e\u0027 anche la soluzione\nfatta propria da Corte cost. n. 177 del 2023, in cui l\u0027ill.ma Corte\nadita e\u0027 pervenuta ad escludere che sia ammissibile la consegna in\nesecuzione di un mandato di arresto europeo di una persona, quando\nquesta versi in gravi condizioni di salute. Seguendo una concorrente\ntraiettoria argomentativa e richiamando la giurisprudenza\nsovranazionale, ha evidenziato come l\u0027esecuzione suddetta\noriginerebbe in un trattamento disumano e degradante, come tale\nvietato dall\u0027art. 4 della Carta dei diritti dell\u0027Unione. \n Dello stesso tenore e\u0027 anche la n. 178 del 2023, secondo cui\nl\u0027art. 18-bis, comma I, lettera c), legge n. 69 del 2005 deve\nconsiderarsi illegittimo «nella parte in cui non prevede che la corte\nd\u0027appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata\ncittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente\nabbia residenza o dimora nel territorio italiano e sia\nsufficientemente integrata in Italia, nei sensi precisati in\nmotivazione, sempre che la Corte d\u0027appello disponga che la pena o la\nmisura di sicurezza sia eseguita in Italia». \n E\u0027 richiamabile anche Corte cost. n. 86 del 2024, in materia di\nrapina impropria, aggravata dalla pluralita\u0027 degli autori,\nconcernente beni di esiguo valore economico, ha giudicato\nirragionevole il minimo edittale di «notevole asprezza» previsto per\nla fattispecie de qua. \n E cio\u0027 non perche\u0027 lo stesso sia considerato in se\u0027 e per se\u0027,\nbensi\u0027 in relazione al frutto del reato suddetto. \n Il Giudice delle leggi invoca il concetto di «valvola di\nsicurezza», che sarebbe costituzionalmente imposta al fine di\nconsentire al giudice a quo, che se ne duole, di poter far luogo\nall\u0027applicazione di un trattamento punitivo congruo e, dunque, equo,\nin rapporto alla specificita\u0027 del caso di specie. Cio\u0027, specie, in\nvirtu\u0027 dei principi di «individualizzazione» e, quindi, necessaria\npersonalizzazione della pena e della finalita\u0027 rieducativa di\nquest\u0027ultima. \n Al giudice de quo deve essere consentito di poter riconoscere\ngiuridico rilievo a circostanze di fatto aventi natura oggettiva,\ncome le modalita\u0027 di commissione del reato, l\u0027eta\u0027 e le condizioni\npsico-fisiche della vittima, la reiterazione della condotta\ncriminosa, l\u0027entita\u0027 del danno, e via dicendo. \n Medesima ratio ispirativa parrebbe essere quella della Corte\ncost. n. 91 del 2024, intervenuta in relazione alla produzione di\nmateriale pedopornografico, laddove parimenti la censura investiva la\nmancata previsione dell\u0027attenuante per i fatti criminosi di lieve\nentita\u0027. \n Con la sentenza n. 122 del 2014, poi, la Corte ha dichiarato\nl\u0027illegittimita\u0027 costituzionale del disposto di cui all\u0027art.\n2-quinquies, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 151 del 2008, che\nnegava i benefici ai superstiti delle vittime della criminalita\u0027\norganizzata, se parenti o affini entro il quarto grado di soggetti\nnei cui riguardi sia in corso un procedimento per l\u0027applicazione\novvero sia applicata una misura di prevenzione, di cui alla legge n.\n575 del 1965 e successive modifiche, ovvero di soggetti nei cui\nconfronti sia in corso un procedimento penale per uno dei delitti di\ncui all\u0027art. 51, comma 3-bis, c.p.p. La Corte ha dichiarato\nl\u0027irragionevolezza della norma de qua, che penalizza,\nirragionevolmente, proprio le persone maggiormente meritevoli che,\npur legate da vincoli di parentela o affinita\u0027 a soggetti\nappartenenti alla criminalita\u0027 organizzata, ne abbiano preso le\ndistanze. \n Nondimeno, chi richieda elargizioni o assegni vitalizi, deve\nfornire la prova della estraneita\u0027 all\u0027organizzazione criminale,\ncosi\u0027 come di tenere «una condotta di vita antitetica al codice di\ncomportamento delle organizzazioni malavitose». \n Dunque, evocando, ancora una volta, la necessita\u0027 di un\naccertamento case by case, il giudice e\u0027 chiamato ad «una penetrante\nverifica» della sussistenza delle condizioni previste dalla legge e\ndell\u0027adempimento del «rigoroso onere probatorio imposto al\nbeneficiario». \n Anche al di fuori della materia penale, peraltro, risultano\nessere non poche le ipotesi nelle quali la Corte ha posto a\nfondamento l\u0027equita\u0027, come esigenza di un ragionevole contemperamento\ndegli interessi in gioco e, dunque, indirettamente, il principio di\nragionevolezza. A titolo esemplificativo, si v. la sent. n. 183 del\n2023, in materia di regime applicabile ai minori dati in adozione e\nai loro rapporti con la famiglia di origine. \n L\u0027ill.ma Corte adita ha voluto distinguere fra legami, di natura\nlegale formale, con la famiglia suddetta, recisi per effetto\ndell\u0027adozione, e i legami affettivi che, invece, possono e devono\nessere preservati ogniqualvolta cio\u0027 sia consigliato dal preminente\ninteresse del minore. Da cio\u0027, l\u0027enucleazione del diritto secondo cui\nl\u0027identita\u0027 del minore non risulta «compatibile con modelli\nrigidamente astratti e con presunzioni assolute, del tutto\ninsensibili alla complessita\u0027 delle situazioni personali». \n 6.2.2. Il principio di proporzionalita\u0027 \n Cosi\u0027 non puo\u0027 sottacersi come, nel contesto decisorio del\ngiudice delle leggi, abbia assunto un\u0027importanza primaria anche il\nprincipio di proporzionalita\u0027. \n Concepito in origine nell\u0027alveo del diritto amministrativo\nprussiano, successivamente estesosi in altri ambiti del diritto\ntedesco, ha fatto ingresso, da ultimo, nel giudizio di legittimita\u0027\ncostituzionale in materia di diritti fondamentali, ponendosi quale\nstrumento fondamentale del giudizio di bilanciamento. \n Per esigenze di economia espositiva, deve precisarsi che il\ngiudizio di proporzionalita\u0027, in sede di sindacato di legittimita\u0027,\nsi articola in quattro diversi momenti: \n quello di «legittimita\u0027», volto ad accertare che la norma\nsindacata sia conforme all\u0027impianto costituzionale; \n il secondo traducentisi in una valutazione sub specie del\nprofilo dell\u0027efficienza, ovvero della relazione (quantitativa e\nqualitativa) tra mezzi-fini, cosi\u0027 da verificare che sia stata\ngarantita una «connessione razionale» tra i mezzi cui sia ricorso il\nlegislatore e gli obiettivi perseguiti; \n l\u0027accertamento della «necessita\u0027» della scelta legislativa,\novvero della sua imprescindibilita\u0027 e (eventualmente) non\ndifferibilita\u0027; \n la quarta fase e\u0027 quella della «proporzionalita\u0027 in senso\nstretto» preordinato a verificare che l\u0027obiettivo avuto di mira sia\nstato perseguito, recando il minor sacrificio possibile di altri\ndiritti o interessi costituzionalmente protetti; \n Come acutamente sottolineato, tal ultima momento e\u0027 quello piu\u0027\ncomplesso, esigendo che «il giudice spalanchi lo sguardo delle sue\nvalutazioni, fino a proiettarsi sull\u0027impatto effettivo della\nlegislazione sottoposta al suo esame: cio\u0027 richiede una conoscenza\ndel dato di esperienza reale che la legge disciplina, che supera di\ngran lunga il dato giuridico positivo, strettamente inteso». E\u0027 «in\nquesta dimensione esperienziale» che il giudice e\u0027 chiamato a cio\u0027 in\ncui si sostanzia ogni operazione esegetica ovvero una valutazione\ncomparativa degli interessi in gioco, spesso, di segno contrastante\ne, dunque, conflittuali. \n Questa nozione di proporzionalita\u0027 di origine tedesca, in cui e\u0027\nevidente la genesi del pensiero di Robert Alexy, risulta di\nparticolare diffusione sulla scena internazionale. \n Orbene, il principio di proporzionalita\u0027 e\u0027 spesso evocato dal\nGiudice delle leggi, insieme al principio di ragionevolezza o,\nqualche volta, quale concetto sovrapponibile a questo secondo; non\nessendo infrequente l\u0027affermazione per cui il principio di\nproporzionalita\u0027 «rappresenta una diretta espressione del generale\ncanone di ragionevolezza»\u003csup\u003e11\u003c/sup\u003e . \n Come acutamente evidenziato dalla dottrina costituzionalista,\naccade spesso che la Corte «effettui una valutazione di congruenza e\nadeguatezza del mezzo rispetto al fine\u003csup\u003e12\u003c/sup\u003e ; cosi\u0027 come da tempo e\u0027\nentrato nei giudizi della Corte costituzionale il bilanciamento dei\nvalori, che molto si avvicina alla fase della \"proporzionalita\u0027 in\nsenso stretto\", specie nei casi che riguardano i diritti\nfondamentali\u003csup\u003e13\u003c/sup\u003e ». \n Una delle ipotesi che appare maggiormente idonea a richiamare\nquella complessita\u0027 diacronica che il test di proporzionalita\u0027 assume\nal di fuori del contesto italiano, e\u0027 rappresentata dalla sentenza in\nmateria mandato di arresto europeo, in cui il Giudice delle leggi\nCorte ha affermato che: «Il divieto di discriminazione sulla base\ndella nazionalita\u0027 consente si\u0027 di differenziare la situazione del\ncittadino di uno Stato membro dell\u0027Unione rispetto a quella del\ncittadino di un altro Stato membro, ma la differenza di trattamento\ndeve avere una giustificazione legittima e ragionevole, sottoposta ad\nun rigoroso test di proporzionalita\u0027 rispetto all\u0027obiettivo\nperseguito [...]»\u003csup\u003e14\u003c/sup\u003e . \n Il principio di proporzionalita\u0027, al pari di quello di\nragionevolezza ed equita\u0027, costituiscono oramai ratio decidendi del\ngiudice ordinario di merito e di legittimita\u0027, conformandone\ncostantemente l\u0027attivita\u0027 esegetica. Cio\u0027, ovviamente,\nnell\u0027amministrazione di quegli spazi di discrezionalita\u0027 che gli sono\nlasciati dal dettato normativo. \n Cosi\u0027 costituisce parametro frequente ai fini del vaglio di\ncostituzionalita\u0027 delle leggi ordinarie, rimesse all\u0027attenzione del\nGiudice delle leggi. \n 6.2.3. La peculiarita\u0027 della disciplina del caso di specie \n Orbene, venendo al caso di specie, con riguardo alla\nragionevolezza della disciplina de qua, la dottrina ha stigmatizzato\nla mancata regolamentazione di un momento processuale,\nspecificatamente, deputato alla liquidazione della penalita\u0027. \n In cio\u0027, non esiste contiguita\u0027 con il modello francese che,\ninvece, si fonda sul riconoscimento della facolta\u0027 per le parti di\nrivolgersi al giudice dell\u0027esecuzione. \n Ne consegue che la sua liquidazione, seppur indirettamente, e\u0027\nstata, irragionevolmente, affidata allo stesso creditore su cui\nincombe l\u0027onere di specificare l\u0027importo maturato nell\u0027atto di\nprecetto, con conseguente alimentazione del contenzioso in sede di\nopposizione all\u0027esecuzione. \n Invero, in via interpretativa, vi e\u0027 anche chi ritiene di\nsovvenire a tale carenza dell\u0027apparato rimediale, prefigurato dal\nlegislatore, riconoscendo al creditore la facolta\u0027 e, al contempo,\nl\u0027onere di adire il giudice del c.d. giudizio presupposto per\nconseguire una liquidazione ex post dell\u0027ammontare dovuto, con\nconseguente aggravamento dell\u0027iter procedurale necessario per\nconseguire l\u0027agognata tutela. \n Cio\u0027, nel (discutibile) presupposto teorico che difetti quel\nrequisito di necessaria liquidita\u0027, prescritto ai fini della\nvalidita\u0027 di ogni titolo provvisto di efficacia esecutiva; efficacia\nche, pero\u0027 - come evidenziato da autorevole dottrina -, l\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile riconosce, espressamente, alla\nmisura de qua fin dal suo momento genetico. \n Per contro, al giudice dell\u0027esecuzione non e\u0027 stato riconosciuto\nun ruolo «piu\u0027 consono alla sua natura, ovvero quello di liquidare\nl\u0027importo della somma dovuta quando l\u0027inottemperanza al provvedimento\ndi condanna si e\u0027 gia\u0027 manifestato, si\u0027 da tarare la penalita\u0027 alla\nluce del concreto evolversi dei rapporti». \n Dunque, attualmente, l\u0027art. 614-bis del codice di procedura\ncivile non prefigura una fase liquidatoria del provvedimento emesso\ndal giudice della cognizione insieme alla condanna. \n Evidenzia, invece, la difesa dell\u0027opponente come «il giudizio\nd\u0027efficacia dell\u0027astreinte deve essere un giudizio razionale da parte\ndel giudice, dovendo verificare se sussiste in concreto un nesso tra\nl\u0027impiego della misura e il raggiungimento del fine,\ncontestualizzando nella realta\u0027 patrimoniale del debitore, che\novviamente muta caso per caso, la misura coercitiva da adottarsi,\nverificando il nesso fra mezzo e scopo, rendendola cosi\u0027 un mero\ngiudizio di efficacia». Nondimeno, non consentendo la norma\nl\u0027apposizione di un limite temporale o quantitativo massimo, la\nmisura risulta «applicabile sine die», dando luogo ad «una\nobbligazione a carattere sanzionatorio sproporzionata rispetto\nall\u0027originaria obbligazione inadempiuta». \n Inoltre, se e\u0027 vero che le Sezioni Unite della Corte di\ncassazione (Cassazione civile sez. un. , 5 luglio 2017, n. 16601(23)\nhanno riconosciuto la polifunzionalita\u0027 della responsabilita\u0027 civile,\nalla quale sono interne anche finalita\u0027 sanzionatorie e deterrenti;\nnondimeno, la pronuncia ha indicato, quali condizioni di\ndelibabilita\u0027 delle pronunce di condanna ai punitive damages, oltre\nalla necessita\u0027 che esse siano emesse «sulla scorta di basi normative\nadeguate, che rispondano ai principi di tipicita\u0027 e prevedibilita\u0027»\n(Cass. Sez. Un. civ., 5 luglio 2017, n. 16601) anche il rispetto del\nprincipio di proporzionalita\u0027 (espresso dall\u0027art. 49 della Carta dei\ndiritti fondamentali dell\u0027Unione europea). Ora, se nella\nricostruzione della Corte la proporzionalita\u0027 e\u0027 riferita al rapporto\n«tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo e\ntra quest\u0027ultimo e la condotta censurata» (Sez. Un. civ., 5 luglio\n2017, n. 16601), il principio in esame sembra piu\u0027 in generale\nesprimere l\u0027esigenza che non si attribuisca al danneggiato «un\nrimedio risarcitorio che non gli compete perche\u0027 del tutto privo di\nconnessioni significative con la sua sfera giuridica sia sostanziale\nche processuale». \n 6.2.4. I profili evidenziati dalla difesa dell\u0027opponente,\nrappresentata dal prof. V. Farina \n Secondo la difesa dell\u0027opponente, alla luce delle considerazioni,\nche precedono, e avuto riguardo all\u0027attuale stato della normativa che\nriconosce al G.E. solo la possibilita\u0027, ove non sia «stata richiesta\nnel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo» sia «diverso\nda un provvedimento di condanna» «la somma di denaro dovuta\ndall\u0027obbligato per ogni violazione o inosservanza o ritardo\nnell\u0027esecuzione del provvedimento» sia «determinata dal giudice\ndell\u0027esecuzione, su ricorso dell\u0027avente diritto, dopo la\nnotificazione del precetto», sembrerebbe ricorrere la violazione sia\ndel principio di proporzionalita\u0027 che di ragionevolezza. Come,\ncondivisibilmente, evidenziato dalla difesa dell\u0027opponente, «la\nproporzionalita\u0027 evoca, sul versante dello scrutinio di\ncostituzionalita\u0027, una correlazione del mezzo rispetto al fine, nel\nsenso che, tra strumento normativo regolatore, e realizzazione del\nfine che con esso si intende perseguire, l\u0027opera di \"bilanciamento\"\ndeve condurre ad un \"equilibrato\" componimento dei sacrifici». \n La Corte «ha affermato che l\u0027automatismo della sanzione,\nricorrente nel caso di specie nella sua staticita\u0027 e perduranza,\n\"offende quel principio di proporzione che e\u0027 alla base della\nrazionalita\u0027 che domina il principio di eguaglianza e che postula\nl\u0027adeguatezza della sanzione al caso concreto (sentenza n. 297/1993\n(Granata)». \n Dunque, evidenzia parte opponente, come «il principio di\nproporzionalita\u0027 sembr(i) idoneo, di concerto con il canone di\nragionevolezza ricavabile dall\u0027art. 3 Cost., a limitare la facolta\u0027\ndel legislatore ordinario di prevedere spostamenti patrimoniali\ningiustificati o, comunque, sproporzionati». \n Sotto questo aspetto, un risarcimento punitivo o una sanzione - a\nseconda della ricostruzione che se ne voglia accogliere - che si\nprotraggano «sine die per come confezionat(i) dal legislatore,\n(paiono) non rispettos(i) di tali parametri e, quindi, non alien(i)\nad una censura di incostituzionalita\u0027». \n D\u0027altronde, adottando una prospettiva risarcitoria, «la Consulta\n... ha a piu\u0027 riprese dichiarato l\u0027incostituzionalita\u0027 di norme che,\nponendo un massimale alla responsabilita\u0027 di determinati soggetti,\nammettevano la possibilita\u0027 di un ristoro inferiore al danno e dunque\nsottocompensativo. Ad opinione della Corte, infatti, tale limitazione\nnon assicurava ne\u0027 l\u0027equo contemperamento degli interessi in gioco\nne\u0027 il razionale perseguimento degli obiettivi pur insindacabilmente\nprefissati dal legislatore, ponendosi cosi\u0027 in contrasto con il\nprincipio di ragionevolezza ricavabile dall\u0027art. 3 Cost. (Corte\ncost., 6 maggio 1985, n. 132, in Foro it., 1985, I, 1585; Corte\ncost., 22 novembre 1991, n. 420, ivi, 1992, I, 642)». \n Di recente, in tal senso, e\u0027 richiamabile Corte costituzionale,\nche con la sentenza n. 118/2025, ha dichiarato incostituzionale il\nlimite massimo di sei mensilita\u0027 previsto dal decreto legislativo n.\n23 del 2015 per i lavoratori dipendenti delle piccole imprese, c.d.\nsotto soglia, ossia quelle che occupano fino a 15 dipendenti per ogni\nsede o unita\u0027 produttiva o Comune, e comunque non piu\u0027 di 60\ndipendenti in totale. \n Secondo la Corte, tale limite fisso e invalicabile di sei\nmensilita\u0027 di retribuzione che il datore di lavoro e\u0027 tenuto a\ncorrispondere al dipendente ove il licenziamento sia riconosciuto\nillegittimo e\u0027 incostituzionale perche\u0027: \n preclude al giudice di commisurare il rimedio risarcitorio\nalla gravita\u0027 del caso concreto; \n ha l\u0027effetto di rendere l\u0027indennita\u0027 risarcitoria inadeguata\ne non congrua in rapporto al danno che il lavoratore potrebbe aver\nrealmente subito; \n dato l\u0027importo basso, neutralizza la funzione deterrente\ndella sanzione nei confronti del datore di lavoro. \n Sottolinea, sempre, l\u0027opponente come, «almeno in linea teorica,\nquindi, ben potrebbe la Corte estendere il proprio vaglio anche alle\nnorme che, specularmente, prevedono dei risarcimenti\nultracompensativi. I parametri applicabili in punto di\nproporzionalita\u0027 (e ragionevolezza), infatti, sono esattamente i\nmedesimi». \n Inoltre, sotto il profilo del rispetto del principio di\nproporzionalita\u0027, «il ricorso a risarcimenti ultracompensativi per il\nperseguimento di finalita\u0027 regolatorie generali determina il\nriconoscimento, a beneficio del danneggiato, di un rimedio totalmente\nprivo di relazione con le modalita\u0027 con cui la sua sfera giuridica e\u0027\nstata intaccata». \n Tale evenienza si e\u0027 concretizzata nel caso di specie, «ove il\ndanneggiato della mancata estensione della prova rischia di\nconseguire con l\u0027astreinte, di piu\u0027 di quello che potra\u0027\n(eventualmente) conseguire ove la domanda risarcitoria venisse\naccolta». \n Cio\u0027, «non sembra ammissibile nel nostro ordinamento, nel quale\nla responsabilita\u0027 civile, anche alla luce dei principi\ncostituzionali, appare improntata, piu\u0027 che al perseguimento\ndell\u0027efficienza di sistema, alla tutela dei diritti secondo logiche\ndi giustizia». Sottolinea ancora la difesa dell\u0027opponente, come «i\nrisarcimenti sanzionatori siffatti assegnano ai danneggiati che\nagiscono in giudizio un premio per essersi fatti carico di una\nesigenza sociale di dissuasione, delegando una funzione pubblica a un\nsoggetto privato, che diviene una sorta di cacciatore di taglie, come\npuntualmente rilevato dalla dottrina. \n Tale aspetto «non e\u0027 sfuggito alla Corte di cassazione della\nFrancia (luogo di nascita dell\u0027istituto). Una recente pronuncia\n[Cass. 2° civ., 20 janv. 2022, n. 19- 23721 in\nhttps://www.legifrance.gouv.fr/juri/id.] ha invocato sul punto\nl\u0027applicazione in materia della CEDU e del suo protocollo n. 1, in\nquanto l\u0027astreinte impone, nella fase della sua liquidazione, una\ncondanna pecuniaria al debitore dell\u0027obbligazione, che e\u0027 dunque\nsuscettibile di incidere su un interesse sostanziale di quest\u0027ultimo,\nnonostante non esista alcuna normativa che pregiudichi il diritto\ndegli Stati di emanare le leggi che ritengano necessarie per\nassicurare il pagamento di imposte, contributi o sanzioni. Pertanto,\nil Giudice di legittimita\u0027 Francese, con la pronuncia del 2022, ha\naffermato che, se e\u0027 pur vero che l\u0027astreinte non costituisce di per\nse\u0027 una misura contraria ai requisiti del protocollo n. 1 della CEDU\nin quanto prevista dalla legge e tende, nell\u0027obiettivo di una buona\namministrazione della giustizia, a garantire l\u0027effettiva esecuzione\ndelle decisioni giudiziarie entro un tempo ragionevole, si impone al\ngiudice chiamato a liquidare la misura, in caso di inadempimento\ntotale o parziale dell\u0027obbligazione, di tenere conto delle\ndifficolta\u0027 incontrate dal debitore nell\u0027adempimento e della sua\nvolonta\u0027 di rispettare l\u0027ingiunzione. In definitiva, il giudice che\ndecide sulla liquidazione di un\u0027astreinte deve valutare la\nproporzionalita\u0027 della violazione dei diritti patrimoniali del\ndebitore alla luce dello scopo legittimo che il creditore persegue». \n Tornando al vaglio alla stregua del principio di ragionevolezza,\nevidenzia ancora la difesa dell\u0027opponente, come «nota e\u0027 la\nriconduzione del principio di ragionevolezza nell\u0027ambito di quello di\neguaglianza sostanziale di cui all\u0027art. 3 della Costituzione. Ha\naffermato La Corte costituzionale (sentenza n. 89 del 1996 ): \"Il\ngiudizio di eguaglianza, ......, e\u0027 in se\u0027 un giudizio di\nragionevolezza, vale a dire un apprezzamento di conformita\u0027 tra la\nregola introdotta e la \"causa\" normativa che la deve assistere: ove\nla disciplina positiva si discosti dalla funzione che la stessa e\u0027\nchiamata a svolgere nel sistema e ometta, quindi, di operare il\ndoveroso bilanciamento dei valori che in concreto risultano\ncoinvolti, sara\u0027 la stessa \"ragione\" della norma a venir meno,\nintroducendo una selezione di regime giuridico priva di causa\ngiustificativa e, dunque, fondata su scelte arbitrarie che\nineluttabilmente perturbano il canone dell\u0027eguaglianza\u0026gt;\u0026gt;enti, che\npossono avere indotto il legislatore a formulare una specifica\nopzione: se dall\u0027analisi di tale motivazione scaturira\u0027 la verifica\ndi una carenza di \"causa\" o \"ragione\" della disciplina introdotta,\nallora e soltanto allora potra\u0027 dirsi realizzato un vizio di\nlegittimita\u0027 costituzionale della norma, proprio perche\u0027 fondato\nsulla \"irragionevole\" e per cio\u0027 stesso arbitraria scelta di\nintrodurre un regime che necessariamente finisce per omologare fra\nloro situazioni diverse o, al contrario, per differenziare il\ntrattamento di situazioni analoghe». \n Il sindacato de quo sembra riflettersi anche sul piano funzionale\ndella norma, chiamando l\u0027interprete ad una operazione di «ermeneusi\nteleologica» non facile, soprattutto in presenza di prassi\nlegislative nelle quali abbondano «norme intruse», norme\nsintatticamente ambigue, norme pletoriche o, addirittura, norme\ncontraddittorie. Cio\u0027 premesso, «l\u0027attribuzione patrimoniale,\ninfatti, appare giustificata quando la sanzione e\u0027 funzionale a\ngarantire l\u0027interesse del soggetto a cui spetta il provento della\nstessa. E l\u0027esistenza di questo rapporto tra interesse e rimedio che\nassicura la proporzionalita\u0027 (e, dunque, la ragionevolezza) di\nquest\u0027ultimo, non diversamente da quanto accade in tema di penale\n(cfr. art. 1384 del codice civile)». \n Cio\u0027 premesso, a giudizio di questo remittente, non e\u0027\nmanifestamente infondata la questione di incostituzionalita\u0027 della\nnorma, sotto il profilo del rispetto dei principi di ragionevolezza\nCost. e di proporzionalita\u0027 ex art. 3 Cost., specie, se si consideri\nche il debitore si puo\u0027 trovare esposto in sede esecutiva ad un\nsacrificio, di gran lunga superiore rispetto al danno cagionato, con\neffetti sostanzialmente espropriativi della propria sfera giuridica. \n Dunque, l\u0027assenza di un limite massimo all\u0027astreinte (e\nl\u0027impossibilita\u0027 di chiedere la fissazione dello stesso al Giudice\ndell\u0027esecuzione) possono comportare a un\u0027eccessiva penalizzazione del\ndebitore, soprattutto se l\u0027obbligo non viene adempiuto in tempi\nragionevoli. E l\u0027irragionevolezza della norma deriva, peraltro, anche\ndall\u0027impossibilita\u0027, o, meglio, dall\u0027oggettiva e rilevante\ndifficolta\u0027, per il debitore inadempiente di richiedere una\npredeterminazione del massimo della misura, concretamente esigibile,\nal giudice della cognizione che, peraltro, non puo\u0027 valutare ex ante\nun eventuale profilo di esorbitanza che puo\u0027 manifestarsi e\napprezzarsi solo in sede esecutiva. \n Dunque, imporre al destinatario della misura di richiedere che la\nstessa sia tarata nei massimi fin da subito appare sproporzionato\nrispetto ai suoi doveri di diligenza processuale. \n7. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione dell\u0027art. 42, comma 4, Cost., nonche\u0027\ndell\u0027articolo 117 Cost., come integrato, quale norma interposta,\ndell\u0027art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti\ndell\u0027uomo (CEDU) \n Il diritto di proprieta\u0027, sancito, come noto, dall\u0027articolo 42\ndella Costituzione - quale valore di rango anche sovranazionale -\nimplica la conservazione della possibilita\u0027 per il proprietario di\ndisporre liberamente del bene, godendone e alienandolo. Vincoli di\ncarattere perpetuo tendono a limitare eccessivamente questa liberta\u0027,\nsvuotando il diritto del suo contenuto effettivo e venendosi a\nconfigurare, in alcuni casi, come una sorta di «espropriazione senza\nindennizzo». Una tale tipologia di vincolo parrebbe porsi in\ncontrasto anche con la tutela che l\u0027ordinamento, a vari livelli,\nriconosce al diritto dominicale. E\u0027 evidente, infatti, come una\npenale eccessiva vada potenzialmente ad incidere anche sulla sfera\npatrimoniale dell\u0027obbligato, venendo lo stesso esposto al pericolo di\nun\u0027esecuzione mobiliare o immobiliare. \n Vulnus che, data la natura polistrutturata della tutela del\ndominium, nel contesto di un ordinamento multilivello, quale il\nnostro, viene a tangere una pluralita\u0027 di disposizioni. \n In particolare, l\u0027art. 1 Protocollo 1 della Convenzione europea\nprevede che: \n «1. Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto\ndei suoi beni. Nessuno puo\u0027 essere privato della sua proprieta\u0027 se\nnon per causa di pubblica utilita\u0027 e nelle condizioni previste dalla\nlegge e dai principi generali del diritto internazionale. \n 2. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al\ndiritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute\nnecessarie per disciplinare l\u0027uso dei beni in modo conforme\nall\u0027interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o\ndi altri contributi o delle ammende.» \n La prima previsione ha portata generale e prescrive la tutela dei\nbeni della persona, la seconda si riferisce alle condizioni che\npossono legittimare la privazione della liberta\u0027 e la terza, invece,\nconcerne il riconoscimento allo Stato il potere di normare le\nfacolta\u0027 di godimento dei beni, conformando lo stesso secondo\nl\u0027interesse generale. \n In particolare, la terza ipotesi contempla provvedimenti meno\nincisivi di quello privativo della proprieta\u0027 e ad assicurare il\npagamento di tasse ed imposte. \n Invero, la Convenzione adotta un concetto di «bene» peculiare e\nproprio solo del sistema convenzionale, funzionale all\u0027applicazione\ndella procedura, concetto autonomo dalla legislazione nazionale. \n La nozione convenzionale, infatti, comprende sia i «beni\nesistenti» sia i diritti patrimoniali, categoria che include anche i\ncrediti in relazione ai quali il ricorrente puo\u0027 sostenere di avere\nuna situazione giuridica qualificabile come «aspettativa legittima»\n(e, quindi, sia i diritti «in rem» che quelli «in personam»), nonche\u0027\nbeni immobili e mobili (si pensi alla proprieta\u0027 intellettuale, alle\nlicenze commerciali, alle clientele professionali ecc.). \n Cio\u0027 posto, la circostanza che la legislazione di un singolo\nStato non riconosca che un particolare interesse sia un «diritto\npatrimoniale» non preclude una diversa e opposta qualificazione alla\nstregua dell\u0027articolo 1 del Protocollo n. 1. \n Orbene, al fine di superare il vaglio di compatibilita\u0027\nconvenzionale - l\u0027ingerenza dello Stato deve soddisfare alcuni\nrequisiti: e\u0027 necessaria la presenza di una base legale che abbia\ngiustificato l\u0027interferenza stessa; tale base legale - se esistente -\ndeve avere uno scopo legittimo; in ultimo, qualora venisse accertato\nanche lo scopo legittimo della norma giustificatrice, si valutera\u0027 se\nl\u0027autorita\u0027 nazionale competente lo abbia perseguito in maniera\nnecessaria e proporzionale. \n In sintesi, dunque, il giudice deve verificare se, nel caso\nconcreto, siano stati osservati i principii di legalita\u0027, necessita\u0027\ne di proporzionalita\u0027, gia\u0027 menzionati. \n Oltre ai suddetti requisiti summenzionati, ogni limitazione,\napposta al diritto di proprieta\u0027 - in qualunque forma si attui che se\ndi perdita, restrizione o altre interferenze - deve essere\ngiustificata dall\u0027interesse pubblico o dall\u0027interesse generale. \n Le due espressioni sono contemplate dal primo e secondo comma\ndell\u0027art. 1 Protocollo n. 1 e sono equipollenti sotto il profilo\nsemantico. \n Invero, la Convenzione non definisce i due concetti, perche\u0027 la\nCorte riconosce in proposito agli stati un margine di apprezzamento. \n In base al sistema di protezione stabilito dalla Convenzione,\ndifatti, spetta alle autorita\u0027 nazionali compiere l\u0027iniziale\nvalutazione dell\u0027esistenza di un problema di interesse pubblico che\ngiustifichi misure di privazione della proprieta\u0027 o di ingerenza nel\npacifico godimento di «beni». \n In particolare, nel caso della protezione della proprieta\u0027, tale\nmargine e\u0027 legato alla considerazione di interessi politici, sociali,\neconomici o di altro genere (si pensi alla protezione dell\u0027ambiente,\nall\u0027equilibrio del bilancio generale dello stato, alla fissazione\ndelle priorita\u0027 nell\u0027impegno delle risorse pubbliche disponibili). \n Cio\u0027 posto, si comprende come detta discrezionalita\u0027 statale\ndiventa ampia quando si tratta di interventi di grande portata\nlegislativa, quali quelli per la realizzazione di politiche sociali o\nper la regolamentazione delle conseguenze dovute al cambiamento di un\nregime politico o, ancora, nell\u0027adozione di misure finalizzate a\ntutelare le risorse finanziarie pubbliche o di una differente\nassegnazione di fondi o nel contesto di misure di austerita\u0027\nsollecitate da un\u0027importante crisi economica. \n Si badi bene, tuttavia, che cio\u0027 non vuol dire che tutto quello\nche viene ricondotto - nei vari periodi storici - dalle autorita\u0027\nnazionali nel concetto di «pubblica utilita\u0027» non sia in alcun modo\nsindacabile e, quindi, valutabile convenzionalmente solo perche\u0027\nrientrante nel margine di apprezzamento statale riconosciuto dalla\nConvenzione. Anche in tali casi, difatti, sussiste il limite\nrappresentato dalla manifesta irragionevolezza dell\u0027intervento dello\nStato(24). \n Cio\u0027 premesso, la mancata previsione dell\u0027apponibilita\u0027, anche\nd\u0027ufficio, di un tetto massimo, appare in contrasto oltre che con\nl\u0027art. 42, comma 4, Cost., in materia di diritto di proprieta\u0027,\nnonche\u0027 con l\u0027articolo 117 Cost., come integrato, quale norma\ninterposta, dall\u0027art. 1 del Protocollo 1della Convenzione Europea dei\nDiritti dell\u0027Uomo (CEDU), nonche\u0027 dell\u0027articolo 6 che garantisce il\ndiritto a un processo equo. \n Per principio interpretativo consolidato, le sanzioni\nsproporzionate possono configurare una violazione della Convenzione\neuropea dei diritti dell\u0027uomo (CEDU), in particolare, dell\u0027articolo 1\ndel Protocollo 1, che tutela il diritto di proprieta\u0027. \n La Corte europea dei diritti dell\u0027uomo (Corte EDU) valuta la\nproporzionalita\u0027 delle sanzioni, considerando la gravita\u0027 della\nviolazione, le conseguenze per l\u0027individuo e la finalita\u0027 della\nsanzione. \n Sotto il profilo della violazione dell\u0027articolo 1 del Protocollo\n1 CEDU, rubricato come Protezione della proprieta\u0027, le sanzioni di\nnatura pecuniaria, in particolare, possono interferire sul diritto di\nproprieta\u0027, ogniqualvolta impediscano, illegittimamente perche\u0027\nsproporzionate, l\u0027utilizzo della proprieta\u0027 per le sue finalita\u0027\ntipiche oppure la sanzione sia cosi\u0027 elevata da compromettere il\npatrimonio del sanzionato. \n8. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del principio di effettivita\u0027 della\ntutela giurisdizionale ex articoli 24, 111 Cost. e 47 CDFUE, nonche\u0027\ndell\u0027117 Cost., come integrato, quali norme interposte, dagli\narticoli 6 e 13 Cedu \n La disciplina nazionale, nella misura in cui non consentirebbe di\nliberarsi da un vincolo proiettato indirettamente nel tempo,\nsembrerebbe porsi in contrasto anche con il principio di effettivita\u0027\ndella tutela giurisdizionale che ha fondamento normativo\ncostituzionale ex articoli 24, 111 Cost., nonche\u0027 comunitario e\nconvenzionale ex articoli 6, 13 Cedu e 47 CDFUE. \n Il tradizionale diritto di azione, quale situazione giuridica cui\nriconoscere diretta e immediata precettivita\u0027 - e non piu\u0027 da\nricostruirsi in chiave meramente programmatica - implica non solo la\ngaranzia dell\u0027accesso alla tutela giurisdizionale, ma che siano\napprestate idonee forme di garanzia processuale. \n Tale diritto si e\u0027 dotato di altre basi giuridiche in conseguenza\ndell\u0027evoluzione ordinamentale e dello stratificarsi di altri livelli\ndi tutela a livello sovranazionale che ne hanno, al contempo,\narricchito la portata contenutistica e le potenzialita\u0027 operative. \n Alcune di esse, come noto, non rilevano, direttamente, nel nostro\nordinamento, quali parametri di commisurazione della validita\u0027 delle\nnorme interne, svolgendo, pero\u0027, il ruolo di norme interposte ai fini\ndel vaglio di costituzionalita\u0027; altre godono, invece, di tale\npeculiare condizione giuridica, riassumibile nel concetto di diretta\napplicabilita\u0027 e di primazia rispetto al diritto nazionale. \n Al novero delle prime sono riconducibili le norme della Cedu, che\nanche dopo l\u0027approvazione del Trattato di Lisbona, che ha\ncomunitarizzato la Carta di Nizza, sono improduttive di effetti\ndiretti nei singoli sistemi nazionali, rilevando, comunque,\nindirettamente, quale contenuto precettivo idoneo a sostanziare i\nc.d. principi generali del diritto comunitario. \n Alle seconde sono, invece, ascrivibili le norme dettate dalla\nCdfue. \n In particolare, sotto il primo versante, e\u0027 richiamabile l\u0027art.\n13 della CEDU sancisce il diritto ad un ricorso effettivo a favore di\nogni persona i cui diritti e liberta\u0027 fondamentali siano stati\nviolati. \n Di recente, lo stesso, a livello di legislazione ordinaria, e\u0027\nstato codificato dall\u0027art. 1 c.p.a., secondo cui lo stesso «deve\nassicurare una tutela piena ed effettiva secondo i principi della\nCostituzione e del diritto europeo». \n Il principio de quo assume un rilievo primario nel sistema\nprocessuale sia nazionale sia sovranazionale, rappresentando non solo\nun vincolo destinato a orientare e, a volte, anche a conformare le\nscelte del legislatore, nel modulare gli strumenti di tutela a\npresidio della sfera giuridica dei singoli, ma anche uno dei\nparametri cui deve attenersi il Giudice, nella ricostruzione della\nportata precettiva delle norme, al fine di consentire la massimazione\ndel risultato di tutela, conseguibile da chi lo abbia investito di\nuna determinata controversia. \n Nel caso di specie, e\u0027, altresi\u0027, configurabile la violazione\ndell\u0027articolo 6 Cedu che garantisce il diritto a un processo equo, da\nintendersi quale meccanismo processuale idoneo a consentire al\nricorrente o all\u0027attore il conseguimento dell\u0027anelata tutela, se ne\nricorrano i presupposti; cosi\u0027 come al convenuto di difendersi\nadeguatamente. \n Invero, il principio del giusto processo ha conosciuto,\ninizialmente, a livello interpretativo, una declinazione in termini\ndi mera adeguatezza delle regole processuali in termini di parita\u0027\ndelle armi e di ragionevole durata, cosi\u0027 come di terzieta\u0027 e\nimparzialita\u0027 del giudice, investito della controversia. \n Si e\u0027 affermato, condivisibilmente, che «il suo potenziamento\npertanto, all\u0027interno del processo unionale, richiede da un lato la\ngaranzia di un accesso ragionevolmente agevole alla tutela\ngiurisdizionale, da realizzarsi attraverso la previsione di titoli di\ngiurisdizione uniformi e dall\u0027altro, la garanzia di un\u0027efficacia non\nmeramente domestica dell\u0027accertamento compiuto dal giudice, cioe\u0027 la\npossibilita\u0027 di far valere ovunque in Europa le posizioni giuridiche\noggetto di tale accertamento». \n Solo, successivamente, anche grazie alla virtuosa sinergia -\nsotto il profilo interno allo stesso sistema Cedu, con l\u0027art. 13 e\nsotto quello esterno con le pronunce della Cge - il principio ha\niniziato ad abbracciare l\u0027idea della stessa idoneita\u0027 della singola\nvicenda processuale a consentire l\u0027effettiva soddisfazione del bene\ndella vita anelito. \n Costituisce, seppur indirettamente, indizio sintomatico di tale\nmodifica del profilo funzionale della norma, la stessa formulazione\ndell\u0027art. 111 Cost. introdotto dalla legge costituzionale n. 1 del\n1999 proprio per dare attuazione, a livello costituzionale, al\nprincipio convenzionale del giusto processo. \n Dispone, infatti, l\u0027art. 111 che «la giurisdizione si attua\nmediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si\nsvolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita\u0027,\ndavanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la\nragionevole durata». \n D\u0027altronde, lo stesso art. 6 Cedu ha, fin dall\u0027inizio, adottato\nuna formulazione ispirata ad una concezione, prettamente formale, del\ngiusto processo cui era estranea la (diversa) prospettiva finalistica\ne sostanziale. \n Come gia\u0027 evidenziato proprio il dialogo con la Corte di\ngiustizia ha consentito l\u0027assunzione di una diversa prospettiva di\ntutela che esulasse dal dato meramente formale processuale. \n A tal riguardo, giova richiamare la sentenza CEDU del 6 marzo\n2025, secondo cui «in materia di diritto a un processo equo. Viola\nl\u0027art. 6, comma 1, CEDU, sotto il profilo del diritto di adire un\ntribunale, la mancata esecuzione - entro un tempo ragionevole - di\nsentenze di varie autorita\u0027 giurisdizionali interne emanate in favore\ndel ricorrente.». \n Orbene, il principio di effettivita\u0027, con riferimento alla CEDU\n(Convenzione europea dei diritti dell\u0027uomo), implica che le norme e i\nmezzi di ricorso nazionali non devono rendere impossibile o\neccessivamente difficile l\u0027esercizio dei diritti sanciti dalla\nConvenzione, inclusi quelli relativi a un equo processo. \n Dalla disamina della giurisprudenza della CEDU emerge,\nincontestabilmente, che il diritto a un equo processo non puo\u0027\nconsiderarsi osservato in presenza di una disciplina fatta solo di\ngaranzie formali, ma richiede anche che tali garanzie siano\neffettivamente utilizzabili e che i rimedi offerti siano in grado di\nriparare le violazioni che abbiano a consumarsi. \n Cio\u0027 premesso, e\u0027 evidente come non sia equa, ne\u0027 ragionevole,\nuna disciplina processuale che non consenta al G.e. di apporre un\nlimite massimo all\u0027astreinte irrogata in sede di cognizione. \n Sotto il profilo delle norme sovranazionali dotate del crisma\ndella diretta applicabilita\u0027 e della primaute\u0027, il principio di\neffettivita\u0027 rinviene il proprio fondamento espresso nell\u0027art. 47\ndella Carta dei diritti fondamentali dell\u0027UE, secondo cui «ogni\npersona i cui diritti e le cui liberta\u0027 garantiti dal diritto\ndell\u0027Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo\ndinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel\npresente articolo». \n Come, condivisibilmente, evidenziato, «dal punto di vista\noggettivo, tale norma e\u0027 funzionale a garantire il raggiungimento\ndegli scopi perseguiti dall\u0027Unione europea nel singolo settore di\nintervento ed e\u0027 sancito nell\u0027art. 19, paragrafo 1, secondo comma,\nTUE, dove si prevede: \"gli Stati membri stabiliscono i rimedi\ngiurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale\neffettiva nei settori disciplinati dal diritto dell\u0027Unione\"». \n Sotto il distinto piano soggettivo, «il principio di effettivita\u0027\nrafforza i diritti riconosciuti dalle direttive ai singoli cittadini\ndell\u0027Unione sul piano sostanziale, ma ha anche una dimensione\nprocessuale, oggi ancor piu\u0027 accentuata, a seguito dell\u0027approvazione\ndella Carta di Nizza e della sua equiparazione ai trattati. L\u0027art. 47\ndella Carta ha fatto assurgere il diritto a una tutela\ngiurisdizionale effettiva al rango di diritto fondamentale». \n \n__________ \n \n (1) In tale ipotesi, pur essendo precluso l\u0027intervento del giudice\ndell\u0027esecuzione, l\u0027omessa pronuncia sara\u0027 censurabile in sede di\ngravame, ove il grado di giudizio sia definito, oppure nello stesso\ngiudizio, per il tramite degli strumenti a cio\u0027 previsti. Sara\u0027\npossibile conseguire la misura dal giudice del reclamo di cui agli\narticoli 183-ter, 3° comma, oppure, in relazione alle ordinanze\npronunciate a norma degli articoli 186-bis, ter e quater, del codice\ndi procedura civile, dallo stesso giudice che si sia incorso nella\npredetta omissione. \n \n (2) L\u0027ampia formulazione della norma, unitamente alla necessita\u0027 di\nun\u0027esegesi improntata al principio di effettivita\u0027 della tutela,\ninducono a ritenere che la misura sia richiedibile anche in sede di\nattuazione di un provvedimento cautelare, rimasto inadempiuto. Ne\u0027\ncostituisce circostanza ostativa il fatto che il giudice\ndell\u0027attuazione venga a coincidere con quello che ha emesso il\nprovvedimento di natura cautelare. D\u0027altronde, «la necessita\u0027\ncostituzionale della ragionevole durata del processo impone (per i\nprocedimenti cautelari) interpretazioni in grado di evitare il\nricorso al processo a cognizione piena al solo scopo di ritardare il\nmomento della realizzazione dell\u0027obbligo da parte dell\u0027avente\ndiritto». \n \n (3) E\u0027 evidente, come correttamente sottolineato in via\ninterpretativa, come il giudizio di cognizione nel quale e\u0027\nrichiedibile la misura coercitiva indiretta e\u0027 anche quello arbitrale\ndi cui agli articoli 816 ss. del codice di procedura civile, in\nmateria di arbitrato rituale. D\u0027altronde, non si tratta che di un\ncorollario logico della natura giurisdizionale di tale procedimento. \n \n (4) Secondo la predetta sentenza: «Nel vigente ordinamento, alla\nresponsabilita\u0027 civile non e\u0027 assegnato solo il compito di restaurare\nla sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiche\u0027\nsono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella\nsanzionatoria del responsabile civile». Dunque, non «e\u0027\nontologicamente incompatibile con l\u0027ordinamento italiano l\u0027istituto\ndi origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento\ndi una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere\ndeve pero\u0027 corrispondere alla condizione che essa sia stata resa\nnell\u0027ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la\ntipicita\u0027 delle ipotesi di condanna, la prevedibilita\u0027 della stessa\ned i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di\ndelibazione, unicamente agli effetti dell\u0027atto straniero e alla loro\ncompatibilita\u0027 con l\u0027ordine pubblico». In relazione alle ipotesi\ntipiche di danno punitivo, giovi la seguente esemplificazione, come\nevocata dalle Sezioni Unite del 2017: in tema di brevetto e marchio,\nil regio decreto 29 giugno 1127, n. 1939, art. 86, e regio decreto 21\ngiugno 1942, n. 929, art. 66, abrogati dal decreto legislativo 10\nfebbraio 2005, n. 30, che ha dettato a tal fine le misure dell\u0027art.\n124, comma 2, e art. 131, comma 2; il decreto legislativo 6 settembre\n2005, n. 206, art. 140, comma 7, c.d. codice del consumo, dove si\ntiene conto della «gravita\u0027 del fatto»; secondo alcuni, l\u0027art.\n709-ter del codice di procedura civile, n. 2 e n. 3, introdotto dalla\nlegge 8 febbraio 2006, n. 54, per le inadempienze agli obblighi di\naffidamento della prole; l\u0027art. 614-bis del codice di procedura\ncivile, introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, il\nquale contempla il potere del giudice di fissare una somma pecuniaria\nper ogni violazione ulteriore o ritardo nell\u0027esecuzione del\nprovvedimento, «tenuto conto del valore della controversia, della\nnatura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di\nogni altra circostanza utile»; il decreto legislativo 2 luglio 2010,\nn. 104, art. 114, redatto sulla falsariga della norma appena\nricordata, che attribuisce analogo potere al giudice amministrativo\ndell\u0027ottemperanza». Ha considerato «le ipotesi in cui e\u0027 la legge che\ndirettamente commina una determinata pena per il trasgressore: come -\naccanto alle disposizioni penali degli artt. 388 e 650 c.p. - l\u0027art.\n18, comma 14, dello statuto dei lavoratori, ove, a fronte\ndell\u0027accertamento dell\u0027illegittimita\u0027 di un licenziamento di\nparticolare gravita\u0027, la mancata reintegrazione e\u0027 scoraggiata da una\nsanzione aggiuntiva; la legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 31, comma\n2, per il quale il locatore paghera\u0027 una somma in caso di recesso per\nuna ragione poi non riscontrata; l\u0027art. 709-ter del codice di\nprocedura civile, n. 4, che attribuisce al giudice il potere di\ninfliggere una sanzione pecuniaria aggiuntiva per le violazioni\nsull\u0027affidamento della prole; o ancora il decreto-legge 22 settembre\n2006, n. 259, art. 4, convertito in legge 20 novembre 2006, n. 281 ,\nin tema di pubblicazione di intercettazioni illegali». L\u0027ordinanza\n9978/16 ha, invece, menzionato tra gli altri: gli legge 22 aprile\n1941, n. 633, art. 158, e, soprattutto, decreto legislativo 10\nfebbraio 2005, n. 30, art. 125, (proprieta\u0027 industriale), pur con i\nlimiti posti dal cons. 26 della direttiva CE (cd. Enforcement) 29\naprile 2004, n. 48 (sul rispetto dei diritti di proprieta\u0027\nintellettuale), attuata dal decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 140\n(v. art. 158) e la venatura non punitiva ma solo sanzionatoria\nriconosciuta da Cass. n. 8730 del 2011; - il decreto legislativo 24\nfebbraio 1998, n. 58, art. 187-undecies, comma 2, (in tema di\nintermediazione finanziaria); - «il decreto legislativo 15 gennaio\n2016, n. 7 (artt. 3 - 5), che ha abrogato varie fattispecie di reato\npreviste a tutela della fede pubblica, dell\u0027onore e del patrimonio e,\nse i fatti sono dolosi, ha affiancato al risarcimento del danno,\nirrogato in favore della parte lesa, lo strumento afflittivo di\nsanzioni pecuniarie civili, con finalita\u0027 sia preventiva che\nrepressiva». Entrambe le pronunce annettono precipuo rilievo alla\nlegge 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12, che prevede una somma\naggiuntiva a titolo riparatorio nella diffamazione a mezzo stampa e\nal novellato art. 96, comma 3, del codice di procedura civile, che\nconsente la condanna della parte soccombente al pagamento di una\n«somma equitativamente determinata», in funzione sanzionatoria\ndell\u0027abuso del processo (nel processo amministrativo l\u0027art. 26, comma\n2, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104). Mette conto citare\nanche l\u0027art. 28 del decreto legislativo n. 150/2011 sulle\ncontroversie in materia di discriminazione, che da\u0027 facolta\u0027 al\ngiudice di condannare il convenuto al risarcimento del danno tenendo\nconto del fatto che l\u0027atto o il comportamento discriminatorio\ncostituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero\ningiusta reazione ad una precedente attivita\u0027 del soggetto leso volta\nad ottenere il rispetto del principio della parita\u0027 di trattamento. E\nancora, si vedano l\u0027art. 18 comma secondo dello Statuto dei\nlavoratori, che prevede che in ogni caso la misura del risarcimento\nnon potra\u0027 essere inferiore a cinque mensilita\u0027 della retribuzione\nglobale di fatto; il decreto legislativo n. 81 del 2015, art. 28,\ncomma 2, in materia di tutela del lavoratore assunto a tempo\ndeterminato e la anteriore norma di cui alla legge n. 183 del 2010,\nart. 32, commi 5, 6 e 7, che prevede, nei casi di conversione in\ncontratto a tempo indeterminato per illegittimita\u0027 dell\u0027apposizione\ndel termine, una forfettizzazione del risarcimento. L\u0027elenco di\n«prestazioni sanzionatorie», dalla materia condominiale (art. 70\ndisp. att. del codice civile) alla disciplina della subfornitura\n(legge n. 192 del 1998, art. 3, comma 3), al ritardo di pagamento\nnelle transazioni commerciali (decreto legislativo n. 231 del 2002,\nartt. 2 e 5) e\u0027 ancora lungo. Non e\u0027 qui il caso di esaminare le\nsingole ipotesi per dirimere il contrasto tra chi le vuol sottrarre\nad ogni abbraccio con la responsabilita\u0027 civile e chi ne trae, come\nle Sezioni Unite ritengono, il complessivo segno della molteplicita\u0027\ndi funzioni che contraddistinguono il problematico istituto. \n \n (5) In relazione a tal ultimo aspetto, a venire in rilievo, secondo\nla migliore dottrina internazionalistica, e\u0027 una causa di estinzione\natipica o, comunque, rinveniente il proprio fondamento nel diritto\ninternazionale consuetudinario, anche se trasposta nel Trattato di\nVienna sui trattati del 1969. \n \n (6) E\u0027 discusso se nel potere di revoca o di modifica debba essere\nannoverato quello di rinnovare la misura al suo scadere o di\ncircoscriverne l\u0027efficacia temporale. Si ritiene, non vietato\n(percio\u0027 consentito) dall\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile\ne coerente con la sua ratio, di rinnovare la misura allo spirare del\ntermine di durata previsto, cosi\u0027 come quello di circoscriverne\nl\u0027efficacia nel tempo. \n \n (7) Dispone espressamente che «la penale puo\u0027 essere diminuita\nequamente dal giudice (1), se l\u0027obbligazione principale e\u0027 stata\neseguita in parte ovvero se l\u0027ammontare della penale e\u0027\nmanifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all\u0027interesse che il\ncreditore aveva all\u0027adempimento». \n \n (8) Questo nuovo orientamento non aveva pero\u0027 trovato,\ninizialmente, seguito nella successiva giurisprudenza della Corte,\nche (fatta eccezione per Cass., sez. I, 23 maggio 2003 n. 8188) aveva\nribadito l\u0027orientamento tradizionale, con le sentenze n. 5324/03, n.\n8813/03, n. 5691/02, n. 14172/00. \n \n (9) Tale orientamento, invero, poteva essere considerato superato\ndalle successive pronunce (Cass., sez. III, 27 ottobre 2000 n.\n14172), che avevano aderito all\u0027orientamento piu\u0027 rigoroso, secondo\ncui la riduzione ad equita\u0027 la penale (per manifesta eccessivita\u0027 o\nsopravvenuta onerosita\u0027) non poteva ritenersi implicitamente\ncontenuta nella deduzione di non dovere nulla a titolo di penale\n(trattandosi di deduzione incompatibile con l\u0027istanza di riduzione). \n \n (10) Del resto il nostro ordinamento conosce altri casi in cui\nl\u0027intervento equitativo del Giudice pur risolvendosi in favore di una\ndelle parti in contesa non e\u0027 tuttavia predisposto specificamente per\nla tutela di un suo interesse. Si pensi all\u0027ipotesi in cui una delle\nparti abbia chiesto il risarcimento del danno in forma specifica; il\nGiudice, in questo caso, anche se l\u0027esecuzione specifica sia\npossibile, ha tuttavia il potere di disporre che il risarcimento\navvenga per equivalente «se la reintegrazione in forma specifica\nrisulta eccessivamente onerosa per il debitore» (art. 2058 del codice\ncivile). E\u0027 un potere che il Giudice puo\u0027 esercitare pacificamente\nd\u0027ufficio avuta presente l\u0027obiettiva difficolta\u0027 che il debitore puo\u0027\nincontrare nell\u0027eseguire la prestazione risarcitoria; la difficolta\u0027,\nappunto perche\u0027 obiettiva, non riguarda pero\u0027 la situazione economica\ndel debitore, ma piuttosto l\u0027esecuzione stessa della prestazione. Si\npensi ancora al potere attribuito al Giudice di liquidare il danno\ncon valutazione equitativa se lo stesso non puo\u0027 essere provato nel\nsuo preciso ammontare (art. 1226 del codice civile), pacificamente\nesercitatile indipendentemente dalla richiesta delle parti. \n \n (11) L\u0027art. 2 del decreto-legge 25 settembre 1987, n. 393,\nconvertito nella legge 25 novembre 1987, n. 478, disponeva l\u0027esonero\ndall\u0027obbligo risarcitorio di cui all\u0027art. 1591 del codice civile in\nfavore del conduttore di immobile non abitativo nell\u0027ipotesi di\ncomprovata insussistenza della difficolta\u0027 di reperire altro immobile\nidoneo. La Corte cost. (sentenza n. 22 del 1989) aveva qualificato\ntale previsione come una figura di temporanea inesigibilita\u0027 della\nprestazione restitutoria, disposta dalla legge impugnata in esito a\nun bilanciamento degli interessi in gioco commisurato alla \"grave\ndifficolta\u0027 per il conduttore, dipendente da circostanze estranee\nalla sua volonta\u0027, di trovare un altro immobile adatto alle sue\nnecessita\u0027 di lavoro\" 11. La Corte aveva ritenuto la norma\ncostituzionalmente illegittima, nella parte in cui non consentiva al\nlocatore di dare la prova dell\u0027insussistenza dei presupposti per\nl\u0027esonero dal risarcimento, consistente nella dimostrazione che il\nconduttore avrebbe potuto acquisire la disponibilita\u0027 di un altro\nimmobile con l\u0027ordinaria diligenza. Anche successivamente, la il\nGiudice delle Leggi (sent. 3 febbraio 1994, n. 19) ha riconosciuto\nl\u0027esistenza di un principio di inesigibilita\u0027 come limite superiore\nalle pretese creditorie (v. sent. n. 149 del 1992). L\u0027interesse del\ncreditore all\u0027adempimento degli obblighi dedotti in obbligazione deve\nessere inquadrato, infatti, nell\u0027ambito della gerarchia dei valori\ncomportata dalle norme, di rango costituzionale e ordinario, che\nregolano la materia in considerazione. E quando, in relazione a un\ndeterminato adempimento, l\u0027interesse del creditore entra in conflitto\ncon un interesse del debitore tutelato dall\u0027ordinamento giuridico o,\naddirittura, dalla Costituzione come valore preminente o, comunque,\nsuperiore a quello sotteso alla pretesa creditoria, allora\nl\u0027inadempimento, nella misura e nei limiti in cui sia necessariamente\ncollegato all\u0027interesse di valore preminente, risulta giuridicamente\ngiustificato. \n \n (12) La giurisprudenza ricordata dal giudice a quo relativamente\nall\u0027art. 98, terzo comma, del testo unico sull\u0027edilizia economia e\npopolare, ancorche\u0027 riguardante una materia diversa da quella qui in\ncontestazione, e\u0027 certamente espressiva dello stesso principio la\u0027\ndove, pur nel silenzio della legge, ammette che l\u0027occupazione\niniziale dell\u0027alloggio possa essere omessa «per giustificati motivi»\nsenza comportare pregiudizio all\u0027assegnazione dello stesso. Non v\u0027e\u0027\ndubbio che il caso di una persona, che non puo\u0027 assolvere alla\ncondizione posta dalla legge per continuare a beneficiare del\ncontributo pubblico sul mutuo edilizio, consistente nell\u0027occupazione\neffettiva, continuativa e stabile della propria abitazione, a causa\ndell\u0027esigenza di assistere in altra citta\u0027 il proprio padre\ngravemente ammalato e incapace di una vita autonoma, rientri fra le\nipotesi di contemperamento con un superiore dovere di solidarieta\u0027\nsociale, qualificato come «inderogabile» dagli articoli 2 e 29 della\nCostituzione, in grado di costituire una ragionevole giustificazione\ndell\u0027inadempimento del predetto onere. \n \n (13) Coinvolgendo categorie e valori di rilevanza costituzionale e\ntrattandosi di un principio generale concernente i rapporti\nobbligatori come tali, esso deve avere applicazione universale\nnell\u0027ordinamento giuridico e non puo\u0027, dunque, essere trascurato\nneppure nell\u0027interpretazione della legge regionale o (come nel caso\ndeciso dalla C. cost.) delle province autonome. \n \n (15) Cio\u0027, nel presupposto delle profonde interconnessioni\nesistenti fra i due piani, quale desumibile anche dalla\nsindacabilita\u0027 della clausola relativa all\u0027adeguatezza del\ncorrispettivo, e, quindi, relativa all\u0027equilibrio economico, ove\n«intrasparente». \n \n (16) Ne\u0027 sono accoglibili quei tentativi di ricostruzione\ndell\u0027istituto che muovono dall\u0027accostamento della stessa - almeno per\nquanto concerne il diritto contrattuale dei consumatori, al principio\ndi uguaglianza - la giustizia del caso concreto essendo concetto\ndistinto da quello dell\u0027eguale ripartizione dei sacrifici economici o\ndelle situazioni giuridiche attive o passive. E la giustizia del caso\nconcreto, in tale specifico ambito materiale, deve intendersi come\n«giustizia nella determinazione dell\u0027equilibrio dello scambio» di cui\ndeve essere presidiata l\u0027adeguatezza economica dello scambi16. Il\nsummenzionato art. 2, inoltre, consente di ritenere che l\u0027equita\u0027,\nnell\u0027ordinamento vigente, connotato da un sistema rimediale\nmultilivello per l\u0027innestarsi di regole di protezione di provenienza\ncomunitaria, possa operare non solo in presenza di una norma a cio\u0027\nabilitante, ma, ogniqualvolta, tale operare non sia precluso da una\nnorma, destinata a regolare diversamente la fattispecie. \n \n (17) Ne\u0027, al fine di dilatare l\u0027ambito operativo della norma,\nsembra sufficiente - nella logica di una interpretazione\ncostituzionalmente orientata - richiamare il principio di\nuguaglianza, assoggettando il non imprenditore-consumatore al\nmedesimo regime dell\u0027imprenditore quando il primo si trovi nelle\nmedesime condizioni di debolezza del secondo. \n \n (19) sentenze n. 11066 e n. 11067 del 2012. \n \n (20) Cosi\u0027 Cass., 20 aprile 1950, n. 1056, in Giur. it., 1950, I,\n1, 642 ss., e in Foro it., 1950, I, 529 ss..: L\u0027inammissibilita\u0027 di\ntale rapporto e\u0027 tradizionalmente fatta discendere dall\u0027esigenza,\nimmanente nell\u0027ordinamento, di «impedire la dissociazione in perpetuo\ndella proprieta\u0027 dal suo contenuto economico» l\u0027utilita\u0027 economica\ndel diritto di proprieta\u0027, che la legge vuole «pieno ed esclusivo»\n(art. 832 cod. civ.), rappresenta la ragione stessa della sua tutela\ngiuridica, sicche\u0027 l\u0027ordinamento non potrebbe, riconoscendo un\nvincolo perpetuo tale da comprimere quella utilita\u0027, privare di\noggetto la relativa tutela, conservandola a uno stadio puramente\nformale e avallando una dissociazione strutturale e non meramente\ncontingente tra il diritto e il relativo contenuto economico (cosi\u0027\nanche Cass., 30.7.1984, n. 4530, sez. III). Per usare le parole di\nAndrea Torrente, estensore di questa notissima sentenza che\nrappresenta il leading case nella materia in esame, «[n]on si sa\nperche\u0027 l\u0027ordinamento giuridico dovrebbe riconoscere questo esangue\ndiritto costretto ad alimentarsi nei secoli soltanto della sua\nvacuita\u0027» (Cass., 20 aprile 1950, n. 1056, cit.). \n \n (21) Invero, vi e\u0027 stato chi, stigmatizzando il ricorso a tale\nparametro, ha affermato che «la giurisprudenza sulla ragionevolezza\nappare ormai del tutto ingovernabile, in quanto si e\u0027 negli anni\ntrasformata in una sorta di valutazione circa la ingiustizia della\nlegge o che trattasi di una nozione \"inafferrabile nel suo\ncontenuto\"». \n \n (22) Il principio di ragionevolezza e\u0027, peraltro, ispiratore\ncostante dell\u0027attivita\u0027 esegetica come in materia probatoria come\ndimostra l\u0027approdo delle Sezioni Unite, n. 13533 del 2001, in materia\ndi prova dell\u0027inadempimento, nella responsabilita\u0027 contrattuale, e\nche rinviene il proprio fulcro nel criterio, chiaramente ispirato al\nprincipio di ragionevolezza, della vicinanza alla fonte della prova\ncome criterio di distribuzione e selezione dell\u0027onere della prova in\nrelazione alle parti del rapporto contrattuale. \n \n (23) «Nel vigente ordinamento, alla responsabilita\u0027 civile non e\u0027\nassegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del\nsoggetto che ha subito la lesione, poiche\u0027 sono interne al sistema la\nfunzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile\ncivile.» \n \n (24) Ed ancora, per finire, la Convenzione richiede agli stati\nagenti un ulteriore responsabilita\u0027 in materia di proprieta\u0027. Invero,\ndifatti, il dovere dello Stato di astenersi dall\u0027interferire nel\ngodimento dei beni non esaurisce il contenuto della norma in oggetto,\ndifatti, per come interpretato dalla Corte EDU, dall\u0027art. 1\nprotocollo 1 derivano, per le autorita\u0027 nazionali, tanto obblighi\nnegativi quanto positivi. Questo perche\u0027 solo con la previsione di\nmisure anche positive puo\u0027 essere realizzata una concreta ed\neffettiva, quindi piena, protezione della proprieta\u0027: alle autorita\u0027\nnazionali non e\u0027 fatto solo divieto di interferenze illegittime e non\ngiustificate, ma dato anche l\u0027obbligo di collaborare attivamente al\nfine di assicurare l\u0027effettivo esercizio del diritto garantito dalla\nConvenzione (si pensi, ad esempio, alle misure di protezione della\nproprieta\u0027 privata). Peraltro, tali obblighi permangono in capo allo\nStato anche quando si tratta di rapporti tra privati o tra societa\u0027,\nin particolare quando sussiste un nesso diretto tra le misure che un\nricorrente puo\u0027 legittimamente attendersi dalle autorita\u0027 e\nl\u0027effettivo pacifico godimento dei suoi «beni». Per tal ragione, si\nparla di effetto orizzontale delle misure positive. \n\n9. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3\nCost. \n Si sono gia\u0027 evidenziati gli approdi interpretativi del Giudice\ndelle leggi e della Corte di cassazione, in materia di tutela\ndell\u0027equilibrio contrattuale e di poteri di rimodulazione ex officio\n(come per la clausola penale), cosi\u0027 come di operare della sanzione\ndella nullita\u0027 (parziale, come in materia di caparra confirmatoria). \n Il disconoscere la possibilita\u0027 di una determinazione ex post del\nmassimo esigibile, a titolo di penale, rischierebbe di creare\nun\u0027evidente disparita\u0027 di trattamento, rispetto alle predette\nipotesi, con conseguente violazione dell\u0027art. 3 Cost. \n D\u0027altronde, e\u0027 innegabile l\u0027assimilazione, sotto il profilo\nontologico, di tali tipologie di fattispecie. Tutte appaiono\npreordinate a consentire al giudice, investito della controversia,\nove ravvisi un evidente squilibrio dei pesi e sacrifici economici\ngravanti sulle parti, un intervento riequilibratore che avviene in\nmodo piu\u0027 pregnante in materia di clausola penale e caparra\nconfirmatoria, incidendo sulla misura originariamente prevista dalle\nparti o, persino, escludendo la debenza della prestazione\nprogrammata; solo ab extrinseco, invece, nell\u0027ipotesi della misura\ncoercitiva indiretta, limitandosi il giudice dell\u0027opposizione a\nprecetto. \n Questo Giudice e\u0027 consapevole di come la possibilita\u0027 di\nricercare, in via officiosa, un equilibrio postumo delle prestazioni\ncontrattuali (come nel caso di clausola penale e caparra\nconfirmatoria) o, in generale, dei pesi gravanti sulle parti di un\nrapporto, per effetto di un provvedimento giudiziale o normativo\n(come nel caso delle misure coercitive indirette), rappresenti un\nprofilo controverso. \n Cio\u0027, specie quando avvenga ex officio. \n Il raffronto fra le due tipologie di fattispecie, nonostante la\nloro diversita\u0027 ontologica, non e\u0027 priva di utili spunti\nricostruttivi, se non altro, per la loro analogia funzionale. \n Sotto il primo profilo ovvero quello dell\u0027equilibrio fra\nprestazioni di natura contrattuale, l\u0027ordinamento sembrerebbe, di\nnorma, circoscrivere l\u0027intervento giudiziale alle ipotesi di\npatologia del procedimento formativo della volonta\u0027 delle parti,\ncosi\u0027 come di espressa tipizzazione normativa come accade in materia\ndi usura. \n Invero, a tali ipotesi espresse devono essere aggiunte quelle\nemerse in sede interpretativa la cui portata rispetto ai principi\ntradizionali non e\u0027 ancora, perfettamente, definita. \n Non e\u0027, cioe\u0027, chiaro se il rapporto fra principio\n(inammissibilita\u0027 di un controllo d\u0027ufficio, con finalita\u0027\nriequilibratorie) e deroga (ammissibilita\u0027 di siffatto sindacato) si\nsia invertito o si avvii, comunque, ad essere superato. \n E\u0027 il problema, piu\u0027 generale, dell\u0027equilibrio delle prestazioni\ne della loro congruita\u0027 e dell\u0027eventuale ricerca di un equilibrio\noggettivo, ad opera del Giudice, che dovrebbe portare a sostituire ai\nvalori contrattuali, non un l\u0027esito di un proprio personale\nconvincimento, bensi\u0027 i c.d. valori di mercato. \n E\u0027, altresi\u0027, la questione del rapporto tra mercato e regolazioni\ndel mercato e quindi, tra liberta\u0027 negoziale, solidarieta\u0027 ed\nequita\u0027, che pongono limiti alla liberta\u0027 negoziale. La liberta\u0027\nnegoziale non e\u0027 un valore che puo\u0027 ritenersi assoluto, ma,\ninteragendo e dovendo essere contemperata con altri valori, ha una\nportata relativa. I controlli del giudice, cui la stessa\nsoggiacerebbe, secondo la dottrina piu\u0027 moderna, sarebbero due, di\ncui il primo oramai dato acquisto del bagagliaio giuridico e l\u0027altro\npiu\u0027 controverso: \n I) causale; \n II) contenutistico. \n In entrambi i casi, si parla di controllo, destinato a\nestrinsecarsi sull\u0027assetto originario del contratto, ovvero esistente\nal momento della stipulazione, al fine di verificare se lo stesso: \n I) fosse sorretto da una causa originaria, idonea; \n II) avesse un contenuto adeguato ed equilibrato(25). \n Prendendo le mosse dalla causa, il nostro ordinamento ha una\nconformazione di tipo causale ed e\u0027 percio\u0027 diverso da esperienze\ncome quello tedesca, cosi\u0027 come dai sistemi di Common Law,\ndall\u0027Unidroit, dal Codice europeo dei contratti, dai principi del\ndiritto uniforme dei contratti. \n Gli stessi, infatti, non sono retti dal principio causalistico, e\nsi fondano sull\u0027idea per cui e\u0027 sufficiente, per produrre un effetto\nvincolante, il nudo patto, il nudum pactum. \n Se la volonta\u0027 e\u0027 stata espressa ed e\u0027 sorretta da una volonta\u0027\nnon viziata, cio\u0027 e\u0027 sufficiente al fine di giustificare l\u0027effetto\nobbligatorio, o traslativo. \n Tali esperienze, volendo tutelare il principio di certezza dei\nrapporti giuridici, si fondano sulla considerazione che le indagini\ncausali siano caratterizzate da eccessiva complessita\u0027, abbiano\nnatura introspettiva e siano, per loro natura, opinabili e, dunque,\nin grado di destabilizzare il rapporto giuridico e incide\nsull\u0027efficienza del mercato. \n L\u0027ordinamento italiano, modellandosi su quello francese,\naccoglie, invece, il principio di necessaria causalita\u0027 del\ncontratto, espressamente enunciato nel codice civile, agli articoli: \n a) 1325 n. 2, secondo cui la causa rappresenta un elemento\ncostitutivo del contratto; b) l\u0027art. 1343, secondo cui il contratto\ne\u0027 affetto da nullita\u0027 se la causa e\u0027 illecita; c) l\u0027art. 1344, per\ncui il contratto e\u0027 nullo se la causa e\u0027 fraudolenta, d) l\u0027art. 1418,\nsecondo il contratto e\u0027 nullo se la causa manca oltre che se e\u0027\nillecita; e) l\u0027art. 1411, in virtu\u0027 del quale il contratto a favore\ndi terzo e\u0027 nullo nella parte relativa al trasferimento al terzo del\ndiritto, se la causa non ha una giustificazione adeguata avuto\nriguardo all\u0027interesse dello stipulante; f) l\u0027art. 1322, in materia\ndi contratti atipici, fissa la regola della nullita\u0027 e della non\nmeritevolezza del contratto se non c\u0027e\u0027 un interesse giuridico\nmeritevole di considerazione: g) l\u0027art. 2645-ter: in relazione al\nc.d. negozio di destinazione, positivizza il principio della\ncausalita\u0027 rafforzata, che deve essere addirittura sovraindividuale o\nsocialmente utile, vista la rilevanza del vincolo. \n Anche l\u0027art. 1376 del codice civile, che parrebbe essere ispirato\nad una logica consensualistica pura (per cui la proprieta\u0027 si\ntrasferisce per effetto del consenso legittimamente manifestato),\ndeve essere letto unitamente all\u0027art. 1325 del codice civile, in\nvirtu\u0027 del quale il consenso dev\u0027essere legittimo ed e\u0027 tale se e\u0027 un\ncontratto che abbia una causa idonea a giustificare il trasferimento. \n L\u0027ordinamento italiano del \u002742 si reggeva su un approccio\npaternalistico, ponendosi il problema delle ragioni che muovono i\ncontraenti a stipulare. \n La volonta\u0027 libera, che, nei sistemi di common law, e\u0027\nsufficiente ai fini del prodursi dell\u0027effetto traslativo, dev\u0027essere\nsorretta da una causa, osteggiandosi gli spostamenti patrimoniali che\nrisultino privi di giustificazione, com\u0027e\u0027 evidente anche dalla norma\nsull\u0027arricchimento senza causa, articoli 2041 e 2042 c.c(26). \n Cio\u0027 premesso, si deve tornare a affrontare il problema se\nl\u0027equilibrio sia in se\u0027 e\u0027 valutabile dal giudice a prescindere dal\nfatto che sia configurabile un problema di liberta\u0027 e, quindi, di\nvolonta\u0027 libera e di causalita\u0027 (ragionevole causa del singolo\ncontratto negoziale). \n Come evidenziato da autorevole dottrina, sono individuabili tre\nfasi dell\u0027evoluzione giurisprudenziale. In un primo momento, si\nafferma il principio per cui il concetto di contratto,\nnecessariamente giusto, e\u0027 incompatibile con il nostro ordinamento\ngiuridico perche\u0027 categoria sostanzialmente eversiva del principio\ndell\u0027autonomia privata giusta il quale sono le parti a decidere se il\ncontratto e\u0027 giusto per i loro interessi. \n Se le parti hanno deciso in modo libero, con volonta\u0027 non viziata\ne sulla base di una causa adeguata, la scelta di convenienza e\u0027\ninsindacabile e insostituibile dal giudice. \n Questa impostazione della generale irrilevanza, salvo eccezioni\nnormative specifiche e di stretta interpretazione, si fonda su varie\nragioni: \n a. l\u0027argomento di natura economica che richiama il liberismo\neconomico che, a sua volta, si ricollega al principio di liberta\u0027 e\nl\u0027impossibilita\u0027 di un sindacato che la limiti; \n b. l\u0027argomento dogmatico: il contratto e\u0027 espressione della\nsignoria della volonta\u0027, quale volonta\u0027 sovrana, che non concilia con\nnessuna forma di tutela; \n c. l\u0027argomento sistematico: alcune norme del codice civile,\nal contrario, dimostrano che il problema della giustizia rimarrebbe\nestraneo al codice, in quanto problema destinato a rilevare sul piano\netico e non giuridico. \n Si pensi, in particolare, agli articoli 1447 del codice civile in\nmateria di rescissione per lesione e 1815 del codice civile\nsull\u0027usura. Entrambe le norme, dando rilievo, eccezionalmente, allo\nsquilibrio, confermano la generale irrilevanza dello stesso.\nPeraltro, l\u0027art. 1447 del codice civile fa riferimento solo ad alcuni\ncontratti, quelli a prestazioni corrispettive, ad uno squilibrio\nultra dimidium qualificato e soprattutto ad uno squilibrio che\ndiscende, eziologicamente, da una condizione soggettiva di\nparticolare vulnerabile. \n Quindi, se ne deduce l\u0027indiretta conferma dell\u0027irrilevanza dello\nsquilibrio inteso in senso oggettivo. Le stesse considerazioni sono\nmutuabili per l\u0027usura 1815 del codice civile. \n Prima della riforma del 2006, l\u0027usura si profilava quale\nfattispecie di soggettivo, sia a fini penali, sia ai fini civili e il\nmutuo usurario, si configurava quando c\u0027era un approfittamento dello\nstato di bisogno che era idoneo a cagionare un interesse usurario. \n Le suddetta considerazioni (liberismo economico, la signoria\ndella volonta\u0027, la previsione di norme confermative della irrilevanza\ndello squilibrio oggettivo e in generale), hanno indotto gli\ninterpreti a ritenere che, salvi casi eccezionali di stretta\ninterpretazione, lo squilibrio sia quello soggettivo, che quello\noggettivo, sono irrilevanti e non valutabili dal giudice come\ncriterio di controllo dell\u0027autonomia negoziale. \n Alla seconda fase hanno dato la stura, a livello interpretativo,\nla sentenza a SS.UU. del 13 settembre 2005 n. 18128 in materia di\nclausola penale ex art. 1384 del codice civile, cosi\u0027 come la\nnormativa interna di recepimento della direttiva n. 93 in tema di\nconsumatore. \n Come gia\u0027 evidenziato, le ragioni che hanno indotto al\nsuperamento della tesi tradizionale dell\u0027insindacabilita\u0027 della\nliberta\u0027 sotto il profilo della giustizia economico-normativa del\nprogramma sono le seguenti: \n a) il principio costituzionale di solidarieta\u0027 che consente\ndi affermare che un contratto iniquo possa soggiacere a sanzione\nanche in difetto di una norma espressa che ne preveda il divieto o\nstabilisca una sanzione. Il principio di solidarieta\u0027 e\u0027 un principio\ngenerale dell\u0027ordinamento costituzionale, dotato di immediata\nprecettivita\u0027 nei rapporti fra privati e osta a regolamenti\ncontrattuali che producano squilibri ingiusti, sproporzionati e\ninammissibili; \n b) la buona fede civilistica, che e\u0027 la categoria\ncontrattuale attraverso cui opera la solidarieta\u0027, che implica il\ndivieto che un contratto assuma un contenuto contrario alla buona\nfede oggettiva, e, dunque, ad una logica di correttezza e di tutela\ndegli interessi della controparte; \n c) il superamento, anche alla luce delle interferenze\ncomunitarie, del principio interpretativo secondo cui le parti\nsarebbero libere di tutelare, da se\u0027, i propri interessi, cioe\u0027\navrebbero il potere di decidere liberamente cio\u0027 che e\u0027 giusto e\nconveniente per la propria sfera giuridica. Il contratto giusto\npresuppone la piena liberta\u0027 del contraente. Se il contraente fosse\nveramente libero, si potrebbe dire che cio\u0027 che e\u0027 giusto o no lo\ndecide il contraente e l\u0027ordinamento, in un sistema liberale, si\nlimita a prendere atto della sua conclusione. Emerge, quindi, la\nconsapevolezza che, non solo nelle ipotesi previste dalla legge di\nvizi della volonta\u0027, di rescissione o di usura, si puo\u0027 assistere ad\nuna compressione della liberta\u0027 che rende l\u0027autonomia contrattuale\nnon piena e non effettivamente libera, ma sono ravvisabili una serie\ndi casi che ineriscono ai contratti asimmetrici in senso ampio, in\ncui l\u0027asimmetria informativa, economica e professionale rende il\nsoggetto potenzialmente meno idoneo rispetto alla controparte a\ntutelare il suo interesse; \n c1) l\u0027avvaloramento di tale superamento da parte dei\nreferenti normativi: \n1. la direttiva che tutela il consumatore proprio perche\u0027 e\u0027 un\ncontratto asimmetrico, qualificando nulle le clausole inique ovvero\ndestinate a produrre uno squilibrio significativo; \n2. la normativa nazionale di recepimento di questa direttiva: il cod.\ncons. agli articoli 33 e ss.; \n3. la normativa di altri ordinamenti: il BGB considera nulli o\ninefficaci i contratti stipulati dalla parte con volonta\u0027 viziata da\ninesperienza o immaturita\u0027, dalla mancanza di discernimento, dalla\ndebolezza della volonta\u0027, dall\u0027inferiorita\u0027 - casi, questi, molto\npiu\u0027 ampi rispetto a quelli tipizzati dal nostro legislatore; \n4. la soft law come i Principi Unidroit fanno riferimento\nall\u0027evidente sproporzione nei contratti asimmetrici che renderebbe\napplicabile la sanzione della nullita\u0027. \n Questa fase esita nelle pronunce che superano il principio della\ninsindacabilita\u0027, salve eccezioni tassativamente espresse dello\nsquilibrio, sia economico, di valore tra le prestazioni, sia\nnormativo, di regole e precetti. \n In questa fase si pone il problema dell\u0027individuazione delle\ncondizioni della rilevanza. \n Una sentenza della Cass., in materia di compravendita a prezzo\nvile e irrisorio, del 2015 n. 22567, conclude con una soluzione\nmediana: se non e\u0027 piu\u0027 vero che lo squilibrio e\u0027 sempre irrilevante,\nnon e\u0027 vero neanche che e\u0027 irrilevante di per se\u0027. \n E\u0027 rilevante solo quando a venire in rilievo siano contratti\nasimmetrici e solo quando, nel corso della procedura contrattuale, la\nparte forte del rapporto ha abusato della propria posizione per porre\nin essere un regolamento iniquo. \n E\u0027 un abuso che non deve essere, necessariamente, di tipo\npsicologico. Cio\u0027, in quanto non bisogna dimostrare il dolo, ma puo\u0027\noperare oggettivamente. \n La circostanza che, in presenza di una situazione asimmetrica fra\nle parti, la parte forte abbia conseguito un vantaggio iniquo denota\nl\u0027esistenza di un abuso oggettivo, funzionale, che non necessita di\nindagini psicologiche troppo complesse, come dimostra il cod. cons.\nche esclude la rilevanza della buona o cattiva fede proprio nella\ndisciplina degli artt. sui contratti del consumatore. \n Quanto alle ragioni invocate a sostegno di questa tesi mediana,\npossono richiamarsi: \n 1. il principio di liberta\u0027 negoziale: laddove si pervenisse\nad affermasse che, nel contratto tra due soggetti, che hanno deciso\nliberamente, il giudice possa valutare se i termini dello scambio\nsono proporzionati oppure no, allora l\u0027autonomia negoziale sarebbe\ndestinata ad essere atrofizzata. \n L\u0027ammissione di un sindacato della giustizia contrattuale, teso a\nvagliare la ragionevolezza contrattuale in relazione ai\ncontrosimmetrici tra parti uguali si pone in evidente antitesi\nrispetto al contenuto stesso della liberta\u0027 contrattuale. \n Inoltre, verrebbe in rilievo una soluzione giudice-centrica che\ndeterminerebbe una sorta di «giuristocrazia», in quanto si\nattribuirebbe al giudice un potere incontrollato in relazione ad ogni\ncontratto e cio\u0027 sulla base di giudizi meramente soggettivi,\nopinabili e, quindi, potenzialmente arbitrari, verrebbe sacrificato\noltremodo il principio di certezza dei rapporti e dei traffici\ngiuridici. \n A tal riguardo, si evidenzia che se il sindacato deve essere\nsull\u0027ingiustizia oggettiva e cioe\u0027 sull\u0027ingiustizia in quanto tale,\nal fine di valutare se il contratto e\u0027 adeguato e giusto o meno, vi\ne\u0027 la necessita\u0027 di rivenire un parametro oggettivo che almeno per lo\nsquilibrio economico, sia idoneo ad assicurare dei criteri di\nvalutazione per distinguere la sproporzione minima tollerabile\nrispetto a quella in qualche misura intollerabile. Per contro,\nl\u0027ammissione di un controllo sulla ingiustizia oggettiva, non\nancorato ad un parametro oggettivo crea una sostanziale\nimpossibilita\u0027 di giudizi attendibili e controllabili ex post. \n D\u0027altronde, in tal senso, depone anche la disciplina in materia\ndi usura: nel momento in cui il legislatore speciale l\u0027ha\noggettivizzata, espungendo dalla fattispecie incriminatrice\nl\u0027approfittamento dello stato di bisogno, ha fissato un parametro\noggettivo che e\u0027 il superamento del tasso-soglia. La stessa\ndisciplina comparata, internazionale, i principi unidroit, i principi\neuropei dei contratti, non danno mai rilievo alla gross disparity in\nquanto tale, ma a quella derivante da una condizione di debolezza e\ndi vulnerabilita\u0027. Condizioni che possono essere anche atipiche,\nperche\u0027 non riducentisi ai vizi di volonta\u0027 tipizzati e ricomprendono\ngli status, come la minore eta\u0027 o la condizione di lavoratore\nrispetto al direttore o al datore di lavoro; le relazioni fiduciarie\nin ambito familiare, scolastico, medico; i vizi incompleti della\nvolonta\u0027; la debolezza informativa. In ogni caso, si deve trattare di\ngiudizi di carattere asimmetrico riguardanti contratti\nasimmetrici(27). \n La terza fase e\u0027 quella del riconoscimento della rilevanza\ngeneralizzata dello squilibrio (che diverrebbe sindacabile dal\ngiudice in relazione a tutti i contratti, non solo per quelli\nasimmetrici, con un sindacato che riguarda l\u0027ingiustizia in se\u0027 e non\nsolo l\u0027ingiustizia come frutto di una procedura viziata di formazione\ndella volonta\u0027. \n A venire in rilievo sono, in particolare, le ordinanze n. 248 del\n2013 e n. 13 del 2014 Corte cost., SS.UU. C. cass. n. 9140 del 2016\nsulla claims made ulteriormente puntualizzata nel 2017 n. 10509 e\ninfine SS.UU. n. 4224 del 2017. \n Queste pronunce, pur diverse in relazione alla materia cui\nafferiscono se in campi diversi, introducono un concetto nuovo:\nl\u0027equita\u0027 contrattuale sarebbe un valore generale che il giudice deve\ntutelare a prescindere dall\u0027asimmetria delle parti e di eventuali\nprocessi perturbativi della volonta\u0027. Cio\u0027 in quanto a rilevare, alla\nluce dei precetti costituzionali di solidarieta\u0027, sarebbe anche la\nmera substantial injustice. \n Le Sezioni Unite, in materia di claims made, del 2016 e del 2017,\nhanno affermato che, se la clausola claims made di carattere spurio\n(\u003dche limita l\u0027indennizzo agli infortuni che, non solo siano accorsi,\nma anche denunciati nel corso della vigenza contrattuale) non e\u0027 di\nper se\u0027 nulla, in concreto puo\u0027 diventare tale laddove produca uno\nsquilibrio significativo di carattere irragionevole, perseguendo un\ninteresse ingiusto e sproporzionato e producendo una incontrollata\nsoggezione dell\u0027assicurato nei confronti della assicurazione, cosi\u0027\nviolando i principi di solidarieta\u0027 e parita\u0027 e di non\nprevaricazione. \n Infine, SS.UU. del 2017, con riferimento alla clausola nel\ncontratto di concessione per la derivazione d\u0027acqua che imponeva il\npagamento del canone anche durante il periodo di non utilizzabilita\u0027,\nper motivi oggettivamente impossibilitanti all\u0027uso della fonte\nidrica, hanno ritenuto che si tratti di una clausola iniqua,\nsperequata che deroga la corrispettivita\u0027 della concessione e che\ntrasforma il contratto atipico commutativo, in un contratto aleatorio\nche lede l\u0027art. 41 Cost. \n Quindi, tutte le suddette sentenze danno rilevanza alla\ningiustizia in quanto tale e utilizzano come parametri di\nvalutazione, addirittura principi costituzionali fondamentali, come\nla solidarieta\u0027, la parita\u0027, la non prevaricazione, l\u0027equita\u0027,\nl\u0027iniziativa economica. \n Tale orientamento non ha mancato di destare plurime critiche: \n il sovvertimento radicale del principio di autonomia privata.\nA tal riguardo, e\u0027 stato affermato che e\u0027 difficile immaginare\nqualcosa di piu\u0027 contrastante con il principio di autonomia privata\nrispetto al precetto dell\u0027ingiustizia contrattuale, sindacabile in\nbase a valori che, secondo taluna dottrina, sarebbero di rilievo\ncostituzionale; \n il venir meno delle certezza dei rapporti giuridici: con\nconseguente «deriva da Common Law», che attribuisce al giudice il\ncompito, sostanzialmente sovrano, tipico di quei sistemi. Padolesi\nafferma che l\u0027art. 2 Cost. diventa in un qualche modo un apriscatole\ngiuridico, che entra nel contratto e impone un contenuto conforme a\nbuona fede; \n il superamento della distinzione tra norme di comportamento e\nnorme sull\u0027atto: se la substantive justice implica una valutazione in\ntermini di giustizia sostanziale, allora sono prefigurabili norme sul\ncomportamento, la cui violazione determina un divieto dell\u0027atto\ningiusto e, quindi, una causa di nullita\u0027. \n Invero, le ipotesi venute al vaglio del giudice di legittimita\u0027 e\ndi quello delle leggi, sembrano connotarsi per il carattere\nqualificato della soglia di proporzione che legittima l\u0027intervento\ngiudiziale. Deve, infatti, ricorrere un\u0027iniquita\u0027 manifesta, ovvero\neclatante e tale da esigere una ricomposizione. \n Dunque, pur nella sua generalizzazione l\u0027intervento giudiziale\nnon puo\u0027 prescindere dalla verifica di tale soglia di gravita\u0027 della\nsproporzione. \n Invero, secondo questo Giudice remittente, non esistono valide\nragioni logiche per ritenere che tale ordine di considerazioni sia\nestendibile anche alle ipotesi in cui la proporzione debba essere\nvagliata con riguardo non alle prestazioni convenute dalle parti, ma\nai sacrifici imposti aliunde, ad esempio, come nella fattispecie\nconcreta, per effetto di un provvedimento giudiziale o, in generale,\ndi un factum principis (come nel caso di un\u0027ipotetica sopravvenienza\nnormativa). \n Quanto alla possibilita\u0027 di poter prescindere da un\u0027istanza in\ntal senso della parte interessata, affermata, per la prima volta,\ndalle gia\u0027 menzionate Sezioni Unite del 2005 e ribadita dalla Corte\ncostituzionale nel 2014, con riguardo alle prestazioni contrattuali,\nsi ritiene di non poter prescindere dai correttivi che si vanno a\nenucleare. \n In particolare, deve ritenersi che quando, come nel caso di\nspecie, le difese della parte interessata non siano incompatibili con\nl\u0027intervento giudiziale, tale sindacato officioso debba essere\nassicurato. Cio\u0027, anche a prescindere dall\u0027esistenza di una formale\nistanza di parte. \n Si pensi anche all\u0027ipotesi in cui, a prescindere dalle richieste\ndi tutela formulate, sia stata, comunque, compiuta attivita\u0027\nassertiva e di prova ad opera delle parti che sia utile a consentire\nl\u0027esercizio di tale potere officioso. Cio\u0027, nella premessa che\nproprio l\u0027assolvimento di tale onere processuale, ad opera delle\nparti, costituisce condizione per la pronuncia ex officio, non\npotendo il Giudice, come noto, far uso della propria scienza privata. \n In tal senso, e\u0027 richiamabile anche Tribunale Ancona sez. II, 19\nagosto 2019, n. 1457, secondo cui «In tema di clausola penale, il\npotere di riduzione ad equita\u0027, attribuito al giudice ex art. 1384\ndel codice civile, a tutela dell\u0027interesse generale dell\u0027ordinamento,\npuo\u0027 essere esercitato d\u0027ufficio, ma l\u0027esercizio di tale potere e\u0027\nsubordinato all\u0027assolvimento degli oneri di allegazione e prova,\nincombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la\nvalutazione dell\u0027eccessivita\u0027 della penale, che deve risultare ex\nactis ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al\nprocesso, senza che il giudice possa ricercarlo d\u0027ufficio». \n Specularmente, l\u0027autonoma iniziativa giudiziale, in materia di\nriequilibrio contrattuale, dovrebbe ritenersi preclusa quando sia\nmanifestata (espressamente o tacitamente) una volonta\u0027 contraria alla\nstessa. \n Orbene, mutata mutandis, deve ritenersi che, anche nella\nfattispecie concreta di intervento volto ad assicurare la\nproporzionalita\u0027 non di una prestazione, liberamente convenuta, ma\ndel sacrificio imposto, ope iudicis, lo stesso non possa, comunque,\nattuarsi in contrasto con la volonta\u0027 della parte a cio\u0027 interessata. \n10. Sintesi della questione \n Come evidenziato dalla difesa dell\u0027opponente, solo a seguito\ndella riforma del 2022, la nuova formulazione dell\u0027art. 614-bis del\ncodice di procedura civile - inapplicabile nel caso di specie,\nratione temporis - ha previsto che, nell\u0027applicazione della misura\ncoercitiva indiretta, il giudice, che ha emesso il provvedimento,\n«puo\u0027», ma non deve, «fissare un termine di durata della misura,\ntenendo conto della finalita\u0027 della stessa e di ogni circostanza\nutile». \n La vecchia formulazione della norma, applicabile, invece, ratione\ntemporis, nulla prevedeva al riguardo. \n Nondimeno, ne\u0027 la norma previgente ne\u0027 la nuova - conservando una\nrigida dicotomia fra fase della cognizione e fase dell\u0027esecuzione -\nconsentono al G.e. di fissare un tetto massimo o un termine finale di\ndurata della misura all\u0027astreinte, irrogata dal Giudice della\ncognizione. \n Infatti, tale facolta\u0027 parrebbe concessa - e solo dalla novella -\nin alternativa, al giudice della cognizione - ovvero a quello che\nabbia emesso la misura in sede cautelare o che tale misura abbia a\nemettere ex novo o a confermare in sede di merito - oppure a quello\ndell\u0027esecuzione, senza alcuna possibilita\u0027 che il secondo possa\nintervenire, seppure solo in chiave specificativa e integrativa e non\ncorrettiva, sull\u0027operato del secondo. \n Nel caso di specie, il giudice del cautelare, in sede di\nemissione dell\u0027ordinanza, assunta il 2 settembre 2022, non fissava un\nlimite temporale di operativita\u0027 della misura, superato il quale si\npotesse (e dovesse) prendere atto della sua esorbitanza\nsopravvenuta(28). \n Si e\u0027 creata, quindi, una situazione paradossale - peraltro, non\neccezionale, ma suscettibile di riproporsi anche in altre fattispecie\n-: l\u0027astreinte - sia che la si riscostruisca in termini risarcitori,\nsia che la si consideri come finalizzata a sanzionare l\u0027inadempimento\ndi un\u0027obbligazione di consegna rientrante nell\u0027adempimento del\ncontratto di prestazione d\u0027opera professionale - permetterebbe al\ncreditore di conseguire, anzitempo, quanto richiesto nel successivo\ngiudizio di merito, con domanda di risarcimento per equivalente\nderivante dalla violazione contrattuale o, persino, di conseguire una\nmisura economica sine die e, per sua stessa natura, sproporzionata. \n Cio\u0027, peraltro, senza che sia in qualche modo previsto che,\nnell\u0027ipotesi in cui, come quella di cui al caso di specie, venga ad\nessere riconosciuta al creditore, una tutela risarcitoria per\nequivalente, la sanzione irrogata sia destinata a cessare di operare\nper il futuro. \n Peraltro, la possibilita\u0027 di un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente conforme non sembra agevolmente praticabile per le\nragioni gia\u0027 espresse. \n Cio\u0027 sembra doversi escludere, nonostante il tentato richiamo ai\nprincipi generali di: \n 1. buona fede oggettiva che sembrerebbe ristretta all\u0027ambito\nnegoziale; \n 2. equita\u0027, secondo molti, richiedente, per la sua\noperativita\u0027, un\u0027espressa previsione di legge; \n 3. della generale rilevanza delle sopravvenienze e della\ncorrelata clausola rebus sic stantibus. \n Cio\u0027, in considerazione della difficolta\u0027 di qualificare, nei\nsuddetti termini, l\u0027esorbitanza della somma maturata, sulla base di\nuna misura, periodica, fin dall\u0027origine predefinita e conosciuta dal\ndestinatario. Da cio\u0027, al contempo, la non invocabilita\u0027 dell\u0027art.\n669-decies del codice di procedura civile, in materia di revoca delle\nmisure cautelari. \n Tale assetto regolatorio parrebbe, ad una valutazione preliminare\ne di non manifesta infondatezza, quale e\u0027 tenuto questo Giudice,\nporsi in contrasto: \n 1) coi richiamati principi costituzionali di ragionevolezza e\ndi proporzionalita\u0027, per l\u0027evidente esorbitanza del sacrificio\neconomico inferto al destinatario della misura; \n a1) nonche\u0027 di uguaglianza, l\u0027ordinamento prevedendo, in\naltre sedi normative (come quella della caparra confirmatoria e della\npenale) in presenza di un sacrificio patrimoniale manifestamente\nsproporzionato, forme di riequilibrio, variamente modulate, peraltro,\ndisponibili anche d\u0027ufficio; \n b) sotto il profilo della tutela del dominium, con l\u0027art. 42,\ncomma 4, Cost. e - data la valenza di diritto personale,\nfondamentale, della persona cui lo stesso viene elevato dal sistema\nconvenzionale - con l\u0027articolo 117 Cost., come integrato, quale norma\ninterposta, dell\u0027art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione europea\ndei diritti dell\u0027uomo (CEDU). Infatti, una penale sproporzionata e\nsine die espone la sfera patrimoniale del destinatario della stessa -\ne, dunque, i beni di tal ultimo - al pericolo di un\u0027esecuzione\nforzosa, sia mobiliare sia immobiliare, con compressione ingiusta\ndell\u0027oggetto del suo dominium; \n c) con gli articoli 24, 113 Cost., 6, 13 CEDU e 47 Cost, che\npositivizzano, a vari livelli, il principio di effettivita\u0027 della\ntutela. Infatti, lo strumentario processuale attuale non\nconsentirebbe al Giudice dell\u0027esecuzione di porvi rimedio d\u0027ufficio\nal sacrificio sproporzionato cui e\u0027 esposto il destinatario della\nmisura, ponendo alla misura un tetto massimo (ne\u0027 quantitativo ne\u0027\ntemporale). \n11. Quesito posto al vaglio della Corte costituzionale \n Sulla base di quanto sinora esposto, dunque, ritiene questo\nTribunale che siano configurabili le condizioni richieste ai fini del\nrinvio al Giudice delle leggi. \n Occorre, quindi, procedere al rinvio pregiudiziale degli atti -\nper la risoluzione della questione di diritto sopra illustrata - al\nGiudice delle leggi, al quale la presente ordinanza deve essere\nimmediatamente trasmessa (con comunicazione alle parti). \n Dunque, il quesito che si vorrebbe sottoporre al Giudice delle\nleggi e\u0027 quello relativo all\u0027eventuale contrarieta\u0027 ai principi di\nragionevolezza e di proporzionalita\u0027 della previgente formulazione\ndell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile, applicabile ratione\ntemporis, nella parte in cui non prevede la possibilita\u0027, da parte\ndel Giudice dell\u0027esecuzione, di determinare ex post un tetto\nquantitativo massimo (o anche solo temporale) all\u0027operare delle\nmisure ex 614-bis del codice di procedura civile su istanza di parte\no, come nel caso di specie, anche d\u0027ufficio. Cio\u0027, ogniqualvolta una\nfissazione ex ante non sia avvenuta ne\u0027 ad opera del giudice della\ncautela, ne\u0027 del giudice del merito (e sempre che non esista un\ngiudicato in relazione a tale profilo). Ove, infatti, esista una\npronuncia passata in giudicato con riguardo all\u0027entita\u0027 massima della\nmisura coercitiva esigibile, qualunque interferenza da parte del\ngiudice dell\u0027opposizione darebbe luogo ad una violazione della res\niudicata. \n Si chiede all\u0027ill. ma Corte di valutare e dichiarare tale profilo\nd\u0027incostituzionalita\u0027, sempre, che l\u0027ill.ma Corte adita non ritenga\nammissibile - come pure prospettato dalla suesposta dottrina\nminoritaria, non del tutto condivisa da questo Giudice - un\u0027esegesi\ndella norma che consenta al Giudice dell\u0027opposizione all\u0027esecuzione\ndi determinare un tetto quantitativo massimo (o anche solo temporale)\nall\u0027operare delle misure ex art. 614-bis del codice di procedura\ncivile (su istanza di parte o, come nel caso di specie, anche\nd\u0027ufficio). \n A tale remissione consegue la necessita\u0027 di sospendere il\nprocedimento (non configurandosi peraltro, almeno allo stato, alcuna\nnecessita\u0027 di compiere atti urgenti, ne\u0027 attivita\u0027 istruttorie non\ndipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio\npregiudiziale), sino alla determinazione da parte del Giudice delle\nleggi ed alla successiva riassunzione. \n \n__________ \n \n (25) Tale sindacato, inerendo al momento genetico, non va confuso\ncon quello che puo\u0027 essere svolto alla luce di sopravvenienze che\nincidano sui presupposti iniziali della stipulazione, delle c.d.\nsopravvenienze perturbatrici, idonee a sconvolgere il programma\nnegoziale, o a interferire sullo stesso, alla luce di eventi\nimprevisti al momento della pattuizione. Si tratta di sopravvenienze\ntipiche, come la eccessiva onerosita\u0027, l\u0027impossibilita\u0027 sopravvenuta,\nma anche quelle atipiche, come la presupposizione, come il difetto\nsopravvenuto della causa del negozio, come lo squilibrio sopravvenuto \n \n (26) In relazione al principio di causalita\u0027, deve ricordarsi\nquanto segue: i) lo stesso e\u0027 generale e vale per tutti i negozi,\nanche se espresso in modo esplicito per il solo contratto. Vale per\ntutti i contratti - tipici/atipici, gratuiti/onerosi, formali/non\nformali - e anche per tutti i negozi diversi dal contratto, com\u0027e\u0027\nreso evidente dall\u0027art. 1324 del codice civile, che per i negozi\nunilaterali rinvia alle norme compatibili sul contratto, tra cui c\u0027e\u0027\nindubbiamente la norma sulla causalita\u0027. In questo, per esempio, ci\ndifferenziamo dal sistema anglosassone, che collega la causa alla\nforma, per cui reputa necessaria la consideration, solo quando non\nc\u0027e\u0027 una forma pubblica, mentre laddove questa c\u0027e\u0027, essendoci il\ncontrollo notarile, assorbe il problema causale. Il problema della\nforma non sostituisce, ma lascia impregiudicato il problema della\ncausa. Il principio di necessaria causalita\u0027 trova una deroga\nparziale solo nei titoli di credito, negli articoli 1992 e ss. del\ncodice civile; ii) Il principio di causalita\u0027 e\u0027 inderogabile: non\nsolo e\u0027 generale, ma e\u0027 anche imperativo, cioe\u0027 le pattuizioni che\nstabiliscano che l\u0027effetto giuridico si produrra\u0027, nonostante la\nmancanza di causa, quindi negozi che svincolino la validita\u0027 del\nnegozio dal problema causale sono chiaramente illeciti, perche\u0027\ncontrari alla norma imperativa non derogabile che impone la causa. Si\npuo\u0027 non stipulare un contratto attraverso l\u0027intento giuridico\nnegativo (\u003dun accordo tra gentiluomini), ma se lo si stipula non si\npuo\u0027 derogare alle norme imperative del contratto. Un contratto senza\ncausalita\u0027 non e\u0027 un contratto valido a prescindere dalla volonta\u0027\ndelle parti; iii) Non solo il principio di causalita\u0027 e\u0027 generale e\nnon e\u0027 derogabile dalle parti, ma non e\u0027 neppure derogato\ndall\u0027ordinamento giuridico. Tranne in parte i titoli di credito, che\npero\u0027 hanno una disciplina legata alla letteralita\u0027 e alle modalita\u0027\ndi circolazione che li rende non comparabili con il contratto in\ngenerale, non esiste alcun ipotesi normativa che preveda questo\nprecetto: questo contratto e\u0027 valido ed efficace definitivamente,\nnonostante l\u0027assenza di una causa. Non c\u0027e\u0027 nessuna ipotesi in cui il\nLegislatore svincoli la validita\u0027 e l\u0027efficacia definitiva del\ncontratto dal problema della causa. E\u0027 come se il legislatore avesse\npercepito il valore costituzionale del principio causale e quindi\nl\u0027impossibilita\u0027 di derogarlo in pieno, anche per gli atti di legge.\nCi sono dei temperamenti e delle deroghe parziali del principio\ncausale, ma non delle deroghe di carattere assoluto, ne\u0027 eccezioni di\nnatura radicale. \n \n (27) Questa seconda fase, si conclude con il porsi il problema di\nquale sia la sanzione che l\u0027ordinamento giuridico da\u0027 a un contratto\ningiusto frutto di un procedimento iniquo in un contratto\nasimmetrico. In disparte le fattispecie tipiche, per le quali la\nlegge offre una soluzione espressa (v. l\u0027art. 33 che qualifica come\nnulli i contratti limitatamente alle clausole che determinano uno\nsquilibrio normativo ed eccezionalmente economico), la soluzione che\nviene prefigurata si fonda sul binomio responsabilitÃ\u{A0}-inefficacia. Si\nesclude, per contro, la nullita\u0027 perche\u0027 l\u0027art. 1418, comma 1 del\ncodice civile non e\u0027 estensibile alle violazioni procedimentali e,\nquindi, quando risulti violata una norma comportamentale. Si ritiene\nche l\u0027art. 36 del cod. cons., che sancisce la nullita\u0027 delle clausole\ndi cui all\u0027art. 33 cod. cons., sia una norma dalla portata\neccezionale e, come tale, non suscettibile di applicazione analogica.\nInvero, a tal riguardo, sono individuabili delle ipotesi in cui la\ndisparita\u0027 da\u0027 luogo a mancanza di causa, dunque una nullita\u0027 sul\npiano causale. Quindi, sotto il profilo dell\u0027apparato rimediale, la\nregola sarebbe: a) la responsabilita\u0027 precontrattuale, per i danni\npatiti dal contraente debole per aver stipulato un contratto meno\nfavorevole di quello che avrebbe altrimenti stipulato. Dunque,\nsarebbe prefigurabile una responsabilita\u0027 precontrattuale da\ncontratto valido; b) laddove la tutela risarcitoria non sia efficace,\nperche\u0027 il problema riguarda l\u0027an piu\u0027 che il contenuto economico, lo\nsquilibrio normativo piu\u0027 che quello valoristico, o vi sia una\ndifficolta\u0027 di prova del danno risarcibile, e\u0027 prefigurabile il\nricorso all\u0027inefficacia ex bona fidem. La dottrina si e\u0027 espressa in\ntermini di esecuzione in forma specifica dell\u0027obbligo di buona fede\noggettiva che deve ritenersi violato dal contraente che abbia imposto\nun regolamento iniquo. Tale forma rimediale si sostanzia in un\ndiniego di tutela rispetto a comportamenti scorretti e, quindi,\nnell\u0027inesigibilita\u0027 della prestazione contrattuale, nella parte in\ncui prevede delle prestazioni inique. L\u0027iniquita\u0027 e\u0027, dunque, un\nprofilo che il giudice deve stigmatizzare, ma solo se si tratta di\nuna ingiustizia procedurale, registrata in relazione a dei contratti\nasimmetrici. \n \n (28) Va precisato pero\u0027 che alla data di emissione non risultava\nancora in vigore la riforma di cui all\u0027art. 3, comma 44, decreto\nlegislativo 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 30\ngiugno 2023 e con applicazione ai procedimenti instaurati\nsuccessivamente a tale data. \n\n \n P.Q.M. \n \n Il Tribunale ordinario di Brindisi, pronunziando nel giudizio in\nepigrafe meglio indicato: \n 1. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 della legge\ncost. 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87\ndichiara rilevante nel caso di specie e non manifestamente infondata\nla questione di legittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 614-bis del\ncodice di procedura civile con riferimento: \n a) all\u0027art. 3 della Costituzione, con particolare\nriferimento ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e\nproporzionalita\u0027; \n b) all\u0027art. 42, comma 4, Cost. e - data la valenza di\ndiritto personale, fondamentale, della persona cui lo stesso viene\nelevato dal sistema convenzionale - all\u0027articolo 117 Cost., come\nintegrato, quale norma interposta, dell\u0027art. 1 del Protocollo 1 della\nConvenzione europea dei diritti dell\u0027uomo (CEDU); \n c) agli articoli 24, 113 Cost., 6, 13 CEDU e 47 Cost.; \n 2. dispone l\u0027immediata trasmissione degli atti alla Corte\ncostituzionale, perche\u0027: «voglia dichiarare l\u0027incostituzionalita\u0027\ndell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile - nella formulazione\napplicabile, pro tempore, alla fattispecie concreta - nella parte in\ncui - legittimando un vincolo sine die e, quindi, perpetuo - non\nprevede, da parte del Giudice dell\u0027opposizione a precetto,\nl\u0027esercizio, su istanza di parte o d\u0027ufficio, del potere di\ndeterminare un tetto quantitativo massimo (o anche solo temporale)\nall\u0027operare delle misure ex art. 614-bis del codice di procedura\ncivile. Cio\u0027, nell\u0027ipotesi in cui tale fissazione non sia gia\u0027\navvenuta, ex ante, da parte del giudice della cautela, oppure da\nparte dal giudice del merito (e sempre che non esista un giudicato\nsul punto)»; \n 3. sospende il procedimento sino alla restituzione degli atti\nda parte della successivamente alla definizione della questione; \n 4. ordina che, a cura della cancelleria, la presente\nordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del\nConsiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei\ndeputati e del Senato della Repubblica. \n Brindisi, 29 luglio 2025 \n \n Il GI: Natali","elencoNorme":[{"id":"63818","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"pc","denominaz_legge":"codice di procedura civile","data_legge":"","data_nir":"","numero_legge":"","descrizionenesso":"nel testo anteriore alle modifiche apportate 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