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L.. \n \nProcesso  civile  -  Esecuzione  forzata  -  Misure  di   coercizione\n  indiretta - Esercizio, su istanza di parte o  d\u0027ufficio,  da  parte\n  del giudice  dell\u0027opposizione  a  precetto  (e,  in  generale,  del\n  giudice dell\u0027esecuzione) del potere di determinare ex post un tetto\n  quantitativo massimo (o di durata) all\u0027applicazione delle misure di\n  coercizione indiretta, in mancanza di  predeterminazione  da  parte\n  del giudice della  cautela  o  del  giudice  del  merito  -  Omessa\n  previsione. \n- Codice  di  procedura  civile,  art.  614-bis,  nella  formulazione\n  anteriore a quella sostituita dall\u0027art. 3, comma  44,  del  decreto\n  legislativo 10 ottobre 2022, n.  149  (Attuazione  della  legge  26\n  novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo  per  l\u0027efficienza\n  del processo civile e  per  la  revisione  della  disciplina  degli\n  strumenti di risoluzione alternativa delle  controversie  e  misure\n  urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti\n  delle persone e delle famiglie nonche\u0027  in  materia  di  esecuzione\n  forzata). \n\n\r\n(GU n. 45 del 05-11-2025)\n\r\n \n                        TRIBUNALE DI BRINDISI \n           Sezione civile - Settore procedure concorsuali \n \n    Il GI, letti gli atti ed i documenti di causa; \n    viste le deduzioni delle parti e  sciolta  la  riserva  formulata\nall\u0027udienza del 10 luglio 2025; \n \n                               Osserva \n \n    Per comodita\u0027 espositiva si fa precedere al testo  dell\u0027ordinanza\nl\u0027indice seguito nella stesura della stessa: \nIndice \n    1. La fattispecie concreta \n    2.  La  questione  d\u0027incostituzionalita\u0027:  la   contrarieta\u0027   ai\nprincipi  di   uguaglianza,   ragionevolezza,   di   proporzionalita\u0027\ndell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile, nella  formulazione\nprevigente alla riforma Cartabia, nella parte in cui non  prevede  la\npossibilita\u0027, da parte del Giudice dell\u0027opposizione  a  precetto,  di\ndeterminare ex post un  tetto  quantitativo  massimo  (o  anche  solo\ntemporale)  all\u0027operare  delle  misure  ex  614-bis  del  codice   di\nprocedura civile (su istanza di parte o, come  nel  caso  di  specie,\nanche d\u0027ufficio). \n    3. Presupposti per l\u0027ammissibilita\u0027 del rinvio  all\u0027ill.ma  Corte\ncostituzionale. \n      3.1. Perimetrazione della questione e  rilevanza  ai  fini  del\ncaso di specie. \n      3.2. Inquadramento dell\u0027istituto. \n    4.   Possibilita\u0027   di   un\u0027interpretazione    costituzionalmente\nconforme: gli argomenti a  favore  della  soluzione  favorevole  alla\npossibilita\u0027, per il giudice dell\u0027esecuzione, ove gia\u0027 non fatto  dal\ngiudice del merito, di determinare ex post un  tetto  quantitativo  o\ntemporale, massimo, all\u0027operare delle stesse. \n      4.1. La clausola generale rebus sic stantibus  e  la  rilevanza\ndelle sopravvenienze. La  qualificabilita\u0027  della  esorbitanza  della\nsomma maturata nei suddetti termini. \n      4.2.  La  riduzione  d\u0027ufficio  della   penale   manifestamente\neccessiva  quale  argomento  logico  richiamabile  a   favore   della\npossibilita\u0027 di apporre d\u0027ufficio un tetto massimo. L\u0027estensione  del\nprincipio di necessario  equilibrio  del  rapporto  contrattuale,  ad\nopera del giudice delle leggi,  alla  caparra  confirmatoria  (seppur\nricorrendo  al  diverso  rimedio  della   sanzione   della   nullita\u0027\nparziale). \n      4.3. Il fondamento equitativo del potere del G.e. di fissare ex\npost di un limite massimo all\u0027astreinte, determinata dal giudice  del\nmerito; cosi\u0027 come dello stesso potere del giudice  della  cognizione\ndi provvedere alla sua riduzione (ove non gia\u0027 coperta da giudicato). \n      4.4. Un argomento sistematico in favore del potere di  fissare,\nanche ex officio, un tetto massimo ad una misura,  aliunde  irrogata:\nla posizione della giurisprudenza amministrativa. \n      4.5. Argomento sistematico-evolutivo. \n      4.6. La qualificabilita\u0027 dell\u0027eccessiva esosita\u0027  della  penale\nquale fatto sopravvenuto \n      4.7. Opponibilita\u0027 dell\u0027exceptio doli generalis  (al  di  fuori\ndell\u0027ambito contrattuale). \n    5. Le criticita\u0027 mosse alla soluzione favorevole e la non agevole\nsperimentazione di un\u0027interpretazione costituzionalmente orientata. \n    6. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita\u0027\ncostituzionale  per  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e\nproporzionalita\u0027 ex art. 3 Cost. \n      6.1. Il divieto di  vincoli  perpetui  quale  declinazione  dei\nprincipi de quibus. \n      6.2. Ricostruzione dei principi alla luce della  giurisprudenza\ncostituzionale. \n        6.2.1. Il principio di ragionevolezza. \n        6.2.2. Il principio di proporzionalita\u0027. \n        6.2.3. La peculiarita\u0027 della disciplina del caso di specie. \n        6.2.4. I profili  evidenziati  dalla  difesa  dell\u0027opponente,\nrappresentata dal prof. V. Farina. \n    7. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione dell\u0027art. 42, comma 4,  Cost.,  nonche\u0027\ndell\u0027articolo 117 Cost.,  come  integrato,  quale  norma  interposta,\ndell\u0027art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione  europea  dei  diritti\ndell\u0027uomo (CEDU). \n    8. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del  principio  di  effettivita\u0027  della\ntutela giurisdizionale ex articoli 24, 111 Cost. e 47 CDFUE,  nonche\u0027\ndell\u0027117  Cost.,  come  integrato,  quali  norme  interposte,   dagli\narticoli 6 e 13 Cedu \n    9. Non manifesta infondatezza  della  questione  di  legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del principio di uguaglianza ex art.  3\nCost. \n    10. Sintesi della questione. \n    11. Quesito posto al vaglio della Corte costituzionale. \n1. La fattispecie concreta \n    L\u0027opposizione  a  precetto  nasce  da  un  giudizio   di   natura\ncautelare, a seguito del quale, e\u0027 stata emessa una misura coercitiva\nindiretta  al  fine  di   indurre   gli   opponenti   all\u0027adempimento\ndell\u0027obbligazione  di  consegna  di  una  determinata  documentazione\nmedica, formata e acquisita nel corso  dell\u0027attuazione  del  rapporto\nprofessionale. \n    In particolare, consta  ex  actis  che  l\u0027anno  ...  gli  opposti\nchiedevano al dott. ... (medico dentista), che  accettava,  di  poter\nusufruire della sua opera professionale  per  la  risoluzione  di  un\nproblema dentario che affiggeva la loro figlia minore, L. M. \n    Veniva, quindi, effettuato  un  esame  radiologico  sull\u0027apparato\ndentario della minore, in base al quale il suddetto professionista  e\nla sua collaboratrice dott.ssa ... (medico  specialista  odontoiatra)\nverificavano il tipo di cure di cui necessitava L. M. \n    Ebbe, poi, inizio,  presso  lo  studio  professionale,  un  lungo\npercorso terapeutico. Nel ..., quando il ciclo terapeutico volgeva al\ntermine, i genitori, ritenendo che le cure cui era  stata  sottoposta\nla figlia M. , non avessero prodotto l\u0027esito sperato, si  rivolgevano\nad altro medico dentista, il dott. ..., per avere un nuovo consulto. \n    Con atto di diffida e costituzione in mora del 17 settembre 2021,\ngli opposti chiedevano al dott. ...  il  risarcimento  di  tutti  gli\n(asseriti) danni patiti e patiendi - ancora in corso di  accertamento\n- nonche\u0027 di  indicare  la  propria  compagnia  assicurativa  per  la\nresponsabilita\u0027 professionale. \n    Con nota in data 1° ottobre 2021, il dott. ...  riferiva  che  le\ncure sulla minore, per quanto praticate  presso  il  proprio  studio,\nerano state eseguite, in piena autonomia, dalla  dott.ssa  ...  ,  in\nquanto specialista, abilitata in ortodonzia,  nei  cui  confronti  li\ninvitava a rivolgere le richieste risarcitorie. \n    Con nota, in data 11 ottobre 2021,  gli  opposti  reiterarono  la\nrichiesta di risarcimento dei danni  nei  confronti  del  dott.  ...,\nestendendola anche nei confronti della dott.ssa ... . \n    Con nota del 12 ottobre 2021, la dott.ssa ...  riferiva  di  aver\navuto in cura L. M. , presso lo studio del dott. ..,  «esclusivamente\nper le cure odontoiatriche», invitandoli  a  rivolgere  le  richieste\nrisarcitorie nei confronti del collega, «quale titolare dello studio,\nal quale si era rivolta  la  minore  L.  M.  ,  come  paziente  della\nstruttura su menzionata. \n    Dovendo  procedere,   prima   di   agire   giudizialmente,   alla\ndeterminazione dei danni, subiti dalla loro figlia, con nota in  data\n3 febbraio 2022, gli opposti chiedevano, al dott. ... e alla dott.ssa\n... , la restituzione delle radiografie  eseguite  prima  dell\u0027inizio\ndel ciclo terapeutico cui era stata sottoposta L .M. \n    Con nota, in data 11 febbraio 2022, il dott. ... riferiva di  non\npossedere i referti degli esami diagnostici, ribadendo che L. M.  era\nstata «curata e trattata solo ed esclusivamente dalla dr.ssa ...». \n    Con nota pec in data 15 febbraio 2022, la dott.ssa ...  riferiva,\ninvece, che «gli originali delle radiografie eseguite sulla minore M.\nL. [...] (era)no state restituite presso lo Studio  ...  in  data  24\nottobre 2019». \n    Premesso tale quadro fattuale, gli opposti adivano  (con  ricorso\nex artt. 670 e-o 700 ed ex artt. 669-bis  e  614-bis  del  codice  di\nprocedura civile, iscritto sub n. 1668/2022 r.g.)  questo  Tribunale,\ncui chiedevano di essere  autorizzati,  anche  con  decreto  inaudita\naltera parte, a procedere al sequestro giudiziario delle  radiografie\nin questione, con la contestuale determinazione, ai  sensi  dell\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile, di una somma  di  denaro  per\n«ogni   giorno»   di   ritardo   nella   esecuzione    dell\u0027adottando\nprovvedimento. \n    Con decreto, emesso inaudita altera  parte,  in  data  27  maggio\n2022, questo  Tribunale  autorizzava  gli  opposti  «a  procedere  al\nsequestro giudiziario delle  radiografie  eseguite  su  L.  M.  ...»,\nfissando  l\u0027udienza  del  7   luglio   2022   per   i   provvedimenti\nconsequenziali. \n    Nelle  more,  gli  opposti  ponevano  in  esecuzione  il  decreto\ninaudita altera parte del 27 maggio 2022, eseguendo il sequestro  sia\npresso lo studio del dott. ..., sia presso quello della dott.ssa .... \n    Tuttavia, entrambi i tentativi risultavano infruttuosi in  quanto\ni due professionisti dichiaravano di non  essere  in  possesso  delle\nradiografie di cui trattasi (v. verbale del  sequestro  eseguito  nei\nconfronti della dott.ssa ..., in atti). \n    Entrambi i medici si costituivano, poi, nel  giudizio  cautelare,\nribadendo  le  medesime  (e  antitetiche)  versioni,  relative   alla\ndisponibilita\u0027 della documentazione richiesta,  gia\u0027  sostenute  ante\ncausam. \n    Con ordinanza resa in data 2-5 settembre 2022,(... v. doc. 1,  in\natti), questo Tribunale, sciogliendo la riserva, confermava  la  gia\u0027\nconcessa autorizzazione a procedere al  sequestro  giudiziario  delle\nradiografie e,  avendo  constatato  il  perdurare  dell\u0027inadempimento\nnella  riconsegna  delle  radiografie,  condannava  i  resistenti  al\npagamento, in solido, della somma di euro 50,00 per  ogni  giorno  di\nritardo nella esecuzione dell\u0027ordinanza stessa. \n    Avverso tale ordinanza proponevano reclamo sia  la  dott.ssa  ...\n(iscritto sub n. 2805/2022 r.g.), sia il dott. ... (iscritto  sub  n.\n2833/2022 r.g.). \n    Nell\u0027attesa dell\u0027adottando provvedimento collegiale (che  avrebbe\ndefinito la fase cautelare), gli opposti introducevano il giudizio di\nmerito   (che    pende    sub    n.    3474/2022    r.g.    Tribunale\nBrindisi), avanzando, nei confronti dei due  medici,  la  domanda  di\nrisarcimento danni, alla cui quantificazione avevano dovuto procedere\nsenza poter disporre delle ridette radiografie. \n    Con provvedimento, in data 10 luglio 2023  (v.  doc.  2),  questo\nTribunale rigettava entrambi i reclami, condannando i  reclamanti  al\npagamento  delle  spese  legali  e  confermando  l\u0027ordinanza  del  25\nsettembre 2022, con cui i  due  medici  erano  stati  condannati,  in\nsolido, al pagamento della somma di euro 50,00  per  ogni  giorno  di\nritardo nella esecuzione della medesima. \n    Sulla scorta degli accadimenti sin qui narrati ed in forza  della\nordinanza, resa da questo Tribunale, in data 2-5 settembre 2022,  gli\nopposti hanno notificato, in data 20 luglio 2023, atto di precetto al\ndott. ... e alla dott.ssa ... (v. doc.  3),  intimando  il  pagamento\ndella somma dovuta a titolo  di  astreinte,  ossia  per  ogni  giorno\nritardo (a decorrere dal 5 settembre 2022 e sino al 20  luglio  2023)\nnella esecuzione della ordinanza medesima. \n    L\u0027importo che veniva  precettato  era  pari  a  15917.06  ed  era\nlimitato al quantum maturato fino al giorno del precetto,  senza  che\nla parte manifestasse la volonta\u0027 di limitare, nel futuro, la propria\npretesa a quanto richiesto con l\u0027attivita\u0027 precettizia. \n    Avverso il succitato  precetto  (soltanto)  la  dott.ssa  ...  ha\nproposto opposizione, ai sensi dell\u0027art. 615 del codice  civile,  con\natto notificato in data 4  agosto  2023  (v.  doc.  4),  citando  gli\nopposti a comparire innanzi a questo Tribunale per l\u0027udienza  del  20\ndicembre 2023. \n    In  particolare,  l\u0027opponente  si   doleva   dell\u0027assenza   delle\ncondizioni  giuridiche  richieste   per   una   legittima   attivita\u0027\nprecettizia. \n    Orbene, ritiene questo Giudice, ad una valutazione  prima  facie,\nche  le  ragioni  formulate  non  possano  essere  accolte   ed,   in\nparticolare, che non sia ammissibile una riduzione  delle  misure  ex\nart. 614-bis del codice di procedura civile su  istanza  di  parte  o\nanche d\u0027ufficio; \n    Dal contraddittorio con le parti, stimolato per l\u0027udienza  del  9\nmaggio, infatti, scaturito  che  in  relazione  al  suddetto  profilo\nesiste un precedente specifico della suprema Corte.  Con  riferimento\nalla formulazione anteriore alla novella  del  2022,  il  giudice  di\nlegittimita\u0027  ha  avuto  modo  di  affermare  che   «nell\u0027opposizione\nall\u0027esecuzione promossa in forza di un\u0027ordinanza ex art. 614-bis  del\ncodice  di  procedura  civile  (nella  formulazione  anteriore   alle\nmodifiche introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2022) non  e\u0027\nconsentito dedurre la  scarsa  importanza  dell\u0027inadempimento  o  del\nritardo nell\u0027adempimento con l\u0027effetto di ottenere una riduzione  del\n\"quantum\"   della   misura   coercitiva,   risolvendosi    altrimenti\nquest\u0027ultima  in   un\u0027inammissibile   modificazione   della   portata\nprecettiva del titolo esecutivo giudiziale, permessa  unicamente  nel\nprocesso di cognizione e attraverso il rituale esperimento dei  mezzi\ndi impugnazione» (Cass. sentenza n. 22714 del 26 luglio 2023). \n    Cio\u0027 induceva questo Giudice a sottoporre, in udienza, alle parti\npresenti il diverso, per  quanto  correlato,  profilo  relativo  alla\npossibilita\u0027, per il Giudice dell\u0027opposizione a precetto, non essendo\nstato fatto dal giudice della cautela o del merito, di predeterminare\nun tetto quantitativo massimo  all\u0027operare  della  misura  pecuniaria\nirrogata ex art. 614-bis del codice di procedura civile \n2. La questione d\u0027incostituzionalita\u0027: la contrarieta\u0027 ai principi di\nuguaglianza, ragionevolezza, di  proporzionalita\u0027  dell\u0027art.  614-bis\ndel codice di procedura civile, nella  formulazione  previgente  alla\nriforma Cartabia, nella parte in cui non prevede la possibilita\u0027,  da\nparte del Giudice dell\u0027opposizione a precetto, di determinare ex post\nun tetto quantitativo massimo (o anche  solo  temporale)  all\u0027operare\ndelle misure ex 614-bis del codice di procedura civile (su istanza di\nparte o, come nel caso di specie, anche d\u0027ufficio). \n    Parte  opponente  si  oppone   all\u0027esigibilita\u0027   della   misura,\nnegandone la liceita\u0027 e la congruita\u0027 sotto il profilo quantitativo. \n    Pacifiche risultano tutte le sopra esposte circostanze di fatto. \n    Rileva,  a  tal  riguardo,  questo   Giudice   che,   come   gia\u0027\nevidenziato,  la  definizione  della   controversia   presuppone   la\nnecessaria risoluzione di una  complessa  questione  giuridica,  che,\nperaltro, non risulta  essere  gia\u0027  stata  risolta  dalla  Corte  di\ncassazione, relativa al disposto di cui all\u0027art. 614-bis  del  codice\ndi procedura civile nella formulazione applicabile, pro tempore, alla\nfattispecie concreta, previgente alla riforma  Cartabia,  entrata  in\nvigore dal 28 febbraio 2023. \n    La  norma  prevedeva  che  «Con  il  provvedimento  di   condanna\nall\u0027adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di  denaro\nil giudice, salvo che  cio\u0027  sia  manifestamente  iniquo,  fissa,  su\nrichiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall\u0027obbligato per ogni\nviolazione  o  inosservanza  successiva  ovvero  per   ogni   ritardo\nnell\u0027esecuzione  del  provvedimento.  Il  provvedimento  di  condanna\ncostituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute  per\nogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di  cui  al  presente\ncomma non  si  applicano  alle  controversie  di  lavoro  subordinato\npubblico o privato e  ai  rapporti  di  collaborazione  coordinata  e\ncontinuativa  di  cui  all\u0027articolo   409.   Il   giudice   determina\nl\u0027ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore\ndella  controversia,  della  natura  della  prestazione,  del   danno\nquantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.». \n    Per contro, per effetto della  riforma  Cartabia,  l\u0027istituto  e\u0027\nstato dilatato alla fase esecutiva  con  implementazione  dei  poteri\ncognitivi  del  G.e.,  salvo,  poi,  comprendere  se  si  tratti   di\ncognizione sommaria,  qual  e\u0027  quella  tipica  dello  stesso  o  con\ncaratteri di pienezza. \n    E\u0027 stata, infatti, aggiunta la previsione  per  cui  «Se  non  e\u0027\nstata  richiesta  nel  processo  di  cognizione,  ovvero  il   titolo\nesecutivo e\u0027 diverso da un provvedimento di  condanna,  la  somma  di\ndenaro dovuta dall\u0027obbligato per ogni  violazione  o  inosservanza  o\nritardo nell\u0027esecuzione del provvedimento e\u0027 determinata dal  giudice\ndell\u0027esecuzione,   su   ricorso   dell\u0027avente   diritto,   dopo    la\nnotificazione del precetto. Si applicano  in  quanto  compatibili  le\ndisposizioni di cui all\u0027articolo 612». \n    La finalita\u0027 di tale previsione - ispirata a evidenti esigenze di\nsemplificazione ed economia processuale - e\u0027 quella di evitare che il\ncreditore, che si sia  gia\u0027  provvisto  di  titolo  esecutivo,  debba\nattivare un  giudizio  di  cognizione,  al  fine  di  conseguire  una\npronuncia, che,  invece,  a  ben  vedere,  secondo  taluna  dottrina,\nsarebbe,  fisiologicamente,  rientrante  nei   poteri   del   Giudice\ndell\u0027esecuzione quale Giudice  chiamato  all\u0027attuazione  del  comando\n(giudiziale o negoziale) rimasto inadempiuto. Potere da  esercitarsi,\nd\u0027ufficio, oppure, ove investito di specifica istanza. \n    In tal senso, deporrebbero,  invero,  chiari  indici  sistematici\ncome la stessa previsione di un potere similare in  capo  al  Giudice\ndell\u0027ottemperanza, in sede amministrativa (v. infra). \n    Invero, la nuova formulazione dell\u0027art.  614-bis  del  codice  di\nprocedura civile, come novellata dalla riforma Cartabia, consente  di\navanzare la domanda  di  misure  coercitive  anche  nel  giudizio  di\nesecuzione  solo  se  non  richiesta  nel  precedente   processo   di\ncognizione. \n    Cio\u0027 premesso, a venire, potenzialmente,  in  rilievo,  sotto  il\nprofilo della compatibilita\u0027  costituzionale  dell\u0027assetto  normativo\nprevigente,  e\u0027  la  possibilita\u0027  o  meno,  da  parte  del   Giudice\ndell\u0027opposizione a  precetto  e,  in  generale,  dell\u0027esecuzione,  di\ndeterminare ex post un  tetto  quantitativo  massimo  (o  anche  solo\ntemporale)  all\u0027operare  delle  misure  ex  614-bis  del  codice   di\nprocedura civile su istanza di parte o,  come  nel  caso  di  specie,\nanche d\u0027ufficio. Cio\u0027, ogniqualvolta ne\u0027 il  giudice  della  cautela,\nne\u0027  quello  del  merito  abbiano  provveduto  a  predeterminare   il\nsacrificio massimo imponibile all\u0027obbligato. \n    Tale  facolta\u0027  processuale,  secondo  un  minoritario  approccio\ninterpretativo, dovrebbe ritenersi possibile alla stregua: \n        a) della profonda  crisi  della  tradizionale  distinzione  -\navente, invero, una sua intrinseca ragionevolezza - tra attivita\u0027  di\ntipo cognitorio e attivita\u0027 esecutiva cosi\u0027 come del passaggio da  un\nquadro interpretativo  -  nella  vigenza  del  quale  le  opposizioni\nesecutive costituivano gli unici momenti  cognitivi  di  un\u0027attivita\u0027\nesecutiva, congeniata non «per conoscere, ma per attuare un  pensiero\ngiuridico gia\u0027 definito». Ragione per cui, nell\u0027ambito  dell\u0027economia\ncomplessiva  dell\u0027attivita\u0027  giudiziaria,   l\u0027attivita\u0027   accertativa\nveniva ad assumere un ruolo del  tutto  marginale  -  ad  uno  stadio\nevolutivo,  contrassegnato  da  una  vera   e   propria   metamorfosi\ndell\u0027azione esecutiva verso un modello poliforme in cui la componente\ncognitiva, seppur in una logica di strumentalita\u0027 e nelle forme di un\naccertamento sommario e provvisorio, appare fortemente potenziata. \n    In  via  interpretativa,  infatti,  si  ritiene  in   essere   la\ntransizione da un ruolo monolitico del G.e., quale mero esecutore  di\nun comando gia\u0027 formato, ad una veste composita e duplice,  non  solo\nesecutiva, bensi\u0027 anche di giudice con poteri cognitivi  sommari,  se\nnon altro per tutte le questioni veicolabili dalle c.d. eccezioni  in\nsenso lato; \n        b) dell\u0027applicazione, in via analogica,  di  quanto  previsto\ndall\u0027art. 1384 del codice civile,  in  materia  di  clausola  penale;\nfattispecie rispetto alla quale quella in esame presenterebbe profili\ndi affinita\u0027 e che sarebbe espressione di un  principio  generale,  a\nsua volta,  fondato  sull\u0027osservanza  del  principio  di  buona  fede\noggettiva e di equita\u0027; \n        c) della generalita\u0027 dell\u0027ambito  applicativo  del  principio\nequitativo,  nella  nuova  dimensione  operativa,  conseguita   dallo\nstesso, con l\u0027evoluzione dell\u0027ordinamento interno anche alla luce dei\nprincipi costituzionali come quello solidaristico. La  valorizzazione\ndi tale clausola generale potrebbe legittimare il giudice del  merito\nalla revisione, ex officio, di quanto  disposto  in  sede  cautelare,\nnonche\u0027 il giudice dell\u0027esecuzione alla  quantificazione,  seppur  in\nvia postuma,  del  massimo  concretamente  esigibile  dall\u0027obbligato,\ndestinatario della misura; \n        d) della generalita\u0027 dell\u0027ambito applicativo del principio di\nbuona fede oggettiva; \n        e) di  stringenti  argomenti  sistematici  che  si  vanno  ad\nesplicitare, tra cui la posizione assunta dall\u0027Adunanza plenaria  del\nConsiglio di Stato (Ad. Pl. 2019, n. 2); \n        f) della naturale vocazione  del  Giudice  dell\u0027esecuzione  a\nconoscere delle vicende sopravvenute, specie, in fatto,  rispetto  al\nmomento genetico del comando da eseguire. \n    Secondo taluni autori, la verifica della sopravvenuta esorbitanza\ndella misura sarebbe una  prerogativa  che  compete  fisiologicamente\nproprio al giudice dell\u0027esecuzione, che e\u0027 posto nelle condizioni  di\nverificare gli effetti prodotti dalla  misura,  successivamente  alla\nsua irrogazione e cio\u0027 potendo compiere una  valutazione  comparativa\ndegli interessi in gioco, in relazione -  eventualmente  -  anche  al\nnuovo assetto degli stessi  venutosi  a  delineare  per  effetto  del\ndecorso del tempo nonche\u0027 della condotta concretamente  tenuta  dalle\nparti successivamente all\u0027irrogazione della misura. \n    D\u0027altronde, si afferma, e\u0027  proprio  il  giudice  dell\u0027esecuzione\nche, come nella  fattispecie  concreta,  a  seguito  del  concreto  e\ncompiuto sviluppo della vicenda  fattuale  e  del  suo  snodarsi  nel\ntempo, puo\u0027 valutare  la  ragionevolezza  e  equita\u0027  di  una  misura\nrimasta parzialmente indeterminata da parte del giudice della cautela\n(o del merito). \n    Ne\u0027, invero, tale funzione puo\u0027  essere,  efficacemente,  assunta\ndal giudice del correlato giudizio di merito,  instaurato  a  seguito\ndella definizione della fase cautelare e ai fini della  conservazione\ndella stabilita\u0027 degli effetti della stessa. \n    Cio\u0027, per due ordini di ragioni: \n        a) il destinatario della misura che ambisca alla  fissazione,\nex post, della durata temporale o  dell\u0027importo  massimi,  per  poter\nconseguire la tutela agognata  -  indicando  al  giudice  un  importo\ncomplessivo dell\u0027astreinte, che non sia eccedente rispetto  al  danno\nsubito  dal  creditore  -   dovrebbe   attendere   la   definitivita\u0027\ndell\u0027eventuale  sentenza  di  merito  che  venga  ad  accogliere   la\nrichiesta risarcitoria  della  controparte.  Come  noto,  infatti,  e\nconformemente  alla  dogmatica  processualistica   tradizionale,   le\nsentenze di tipo dichiarativo  o  costitutivo,  ai  fini  della  loro\nesecutivita\u0027, richiedono il passaggio in giudicato. \n    Correlativamente,   il   tempo   di   attesa   potrebbe    essere\ninconcepibile  con  il  principio  di   effettivita\u0027   della   tutela\ngiurisdizionale,  in  tal  caso,  coincidente  con   l\u0027interesse   al\ncontenimento di una misura sanzionatoria di  tipo  patrimoniale  che,\ndiversamente, sarebbe destinata, ad incidere sine die  sulla  propria\nsfera patrimoniale; \n        b)  per  contro,  il   giudice   dell\u0027esecuzione,   investito\nattraverso lo strumento dell\u0027opposizione a precetto o all\u0027esecuzione,\npotrebbe gia\u0027 in sede di sospensiva  arginare  l\u0027effetto  dirompente,\nper  la  sfera  giuridica  dell\u0027obbligato,  della   predetta   misura\ncoercitiva. \n    Dunque, secondo la suddetta dottrina, la richiesta di fissazione,\nex post, della durata temporale o dell\u0027importo massimi della  misura,\ndovrebbe ritenersi pienamente  ammissibile,  anche  nella  logica  di\nun\u0027interpretazione   costituzionalmente   orientata    della    norma\nprocessuale, rispettosa del diritto di proprieta\u0027,  quale  valore  di\nrango costituzionale ex art. 42 Cost. e che deve ritenersi preclusivo\ndi   qualunque   misura   che,   traducendosi    in    un\u0027aggressione\nsproporzionata della  sfera  giuridica  e  patrimoniale,  assuma  una\nportata sostanzialmente espropriativa della stessa. \n    Cio\u0027, varrebbe anche per quanto concerne la  possibilita\u0027  di  un\nrilievo d\u0027ufficio, ma cio\u0027, pero\u0027,  sempre  che  lo  stesso  non  sia\nincompatibile con le richieste processuali dell\u0027obbligato. Venendo in\nrilievo diritti e  obblighi  disponibili,  non  puo\u0027  escludersi,  in\nastratto, che  l\u0027obbligato,  nel  costituirsi,  nulla  obietti  circa\nl\u0027illegittimita\u0027 della misura coercitiva o, addirittura,  esprima  la\nvolonta\u0027 di soggiacere alla stessa per  ragioni  etiche  o  di  altra\nnatura. \n2. Presupposti per l\u0027ammissibilita\u0027  del  rinvio  all\u0027ill.  ma  Corte\ncostituzionale. \n    2.1. Perimetrazione della questione e rilevanza ai fini del  caso\ndi specie \n    Invero, la soluzione di siffatta questione e\u0027  propedeutica  alla\ndecisione della  controversia,  dovendo  questo  Giudice  sondare  la\npossibilita\u0027 di un intervento ex officio su una penale che rischia di\nassumere una portata sproporzionata  rispetto  al  danno  inferto  al\ndestinatario della stessa, cosi\u0027 come rispetto alla sua  funzione  di\ncoercizione all\u0027adempimento. \n    Infatti, a fronte di un danno non patrimoniale di tipo biologico,\nancora in corso di quantificazione davanti al giudice del  merito  e,\napparentemente, di entita\u0027 non grave, i creditori  della  prestazione\nhanno precettato l\u0027importo finora maturato, pari ad euro ... . \n    Peraltro, la misura  e\u0027  stata  irrogata,  cautelativamente,  dal\ngiudice del 700 del codice di procedura civile e su di  essa  non  e\u0027\ndisceso alcun giudicato ne\u0027  esplicito,  ne\u0027  implicito,  essendo  il\ngiudice di merito ancora in corso. \n    Inoltre,    tale    questione    presenta    gravi    difficolta\u0027\ninterpretative, essendosi gia\u0027 manifestati contrastanti  orientamenti\nsia in giurisprudenza sia in dottrina. \n    Si deve premettere che, come gia\u0027 evidenziato, tale questione  e\u0027\ndistinta,  per  quanto  affine,  a  quella  relativa  al  potere   di\nriduzione,  da  parte  del  Giudice  dell\u0027esecuzione,  della  penale,\ndisposta, come in questo caso,  dal  giudice  della  cautela  (o  del\nmerito). \n    Con  riferimento  alla  fattispecie  della  riducibilita\u0027   della\npenale, aliunde irrogata, da parte del giudice dell\u0027esecuzione,  come\ngia\u0027  evidenziato,  in  relazione  alla  formulazione   della   norma\nprocessuale  anteriore  alla  novella  del  2022,   il   giudice   di\nlegittimita\u0027  ha  avuto  modo  di  affermare  che   «nell\u0027opposizione\nall\u0027esecuzione promossa in forza di un\u0027ordinanza ex art. 614-bis  del\ncodice  di  procedura  civile  (nella  formulazione  anteriore   alle\nmodifiche introdotte dal decreto legislativo n. 149 del 2022) non  e\u0027\nconsentito dedurre la  scarsa  importanza  dell\u0027inadempimento  o  del\nritardo nell\u0027adempimento con l\u0027effetto di ottenere una riduzione  del\n\"quantum\"   della   misura   coercitiva,   risolvendosi    altrimenti\nquest\u0027ultima  in   un\u0027inammissibile   modificazione   della   portata\nprecettiva del titolo esecutivo giudiziale, permessa  unicamente  nel\nprocesso di cognizione e attraverso il rituale esperimento dei  mezzi\ndi impugnazione» (Cass. sentenza n. 22714 del 26 luglio 2023). \n    In suddetto caso, gia\u0027 sottoposto al vaglio della suprema  Corte,\nveniva in  rilevo  il  problema  di  un\u0027eventuale  rimodulazione  del\nquantum, irrogato da parte del  giudice  dell\u0027esecuzione,  che,  come\nevidenziato dalla suprema Corte, ove ritenuta ammissibile, darebbe la\nstura  ad  una  (illegittima)  duplicazione  della  valutazione  gia\u0027\nespressa  dal  giudice  del  merito  (o  della  fase  interinale)   e\nrientrante nella  sua  competenza  funzionale.  Cio\u0027,  peraltro,  con\neffetti, potenzialmente, non solo ex nunc ma anche ex tunc.  Infatti,\ntale rivisitazione, laddove, per ipotesi, fosse ritenuta ammissibile,\nincidendo sulla misura della sanzione, possa  intervenire  anche  con\nriguardo al momento genetico della stessa. Cio\u0027,  salvo  considerare,\nquale circostanza ostativa a cio\u0027, il legittimo affidamento,  riposto\ndal  creditore,  sulla  stabilita\u0027,  almeno  per  gli  effetti   gia\u0027\nprodotti, della misura coercitiva, costituendo  gli  stessi  «diritti\nquesiti». \n    Per contro, la diversa fattispecie - integrata nel caso di specie\n- che e\u0027 incentrata sulla possibilita\u0027 di una  cristallizzazione  pro\nfuturo della pretesa sanzionatoria, ex officio o su istanza di  parte\n(con la specificazione,  ad  opera  del  giudice  dell\u0027opposizione  a\nprecetto, di una durata o di un  importo  massimo,  complessivamente,\nesigibile)   sottende   la   mera   precisazione   di   un   precetto\ngiurisdizionale  che   non   viene   travolto   nella   sua   portata\ncontenutistica,  neanche  solo  in  parte,  ma   solo   integrato   e\nspecificato «per il suo armonioso e virtuoso funzionamento». \n    In particolare, taluni tribunali hanno ritenuto  che  il  giudice\ndell\u0027esecuzione non possa, in alcun modo, interferire su  una  misura\neterodeterminata   dal   Giudice   della   cognizione,   diversamente\ntravalicando la sua «vocazione istituzionale» e cio\u0027 neanche sotto il\nprofilo della possibilita\u0027 di determinare ex post un importo massimo. \n    Inoltre,  specie,  quando  la  misura   sia   contenuta   in   un\nprovvedimento definitivo perche\u0027 passato in giudicato, si porrebbe un\nproblema di violazione della res iudicata. \n    Invero, analogo problema viene posto  per  l\u0027ipotesi -  quale  e\u0027\nquella del caso di specie - del  giudicato  cautelare,  assistito  da\nquella peculiare stabilita\u0027 rebus sic stantibus che  e\u0027  propria  dei\nprovvedimenti cautelari, non  piu\u0027  reclamabili  o  gia\u0027  passati  al\nvaglio  del  Collegio  (per  essere   dallo   stesso   confermati   o\nrimodulati). Stabilita\u0027 destinata a venire meno solo in  presenza  di\nun mutamento del quadro fattuale o giuridico che, per cosi\u0027 dire,  ha\nfatto  da  sfondo  all\u0027assunzione  del   provvedimento,   come   pure\ndesumibile dalla disciplina in materia di  revoca  dei  provvedimenti\ncautelari ex art. 669-decies del codice di procedura civile. \n    Dunque,  il  potere  di  riduzione  del  giudice  dell\u0027esecuzione\nsarebbe da ritenersi del tutto precluso anche  in  tale  fattispecie,\ncosi\u0027 come - profilo rilevante nella fattispecie concreta -  in  sede\nesecutiva, non  sarebbe  apponibile  alcun  limite  massimo,  in  via\npostuma, all\u0027astreinte irrogata in sede esecutiva. \n    Altri giudici, invece, si sono  espressi  limitatamente  al  gia\u0027\nmenzionato potere di riduzione, ammettendolo per la  misura  irrogata\ndal Giudice della cautela,  ma  in  capo  al  Giudice  investito  del\nmerito. \n    A  tal  riguardo,  si  e\u0027  ritenuto  che  tale   facolta\u0027   fosse\nesercitabile anche d\u0027ufficio, se necessario, per cui  il  giudice  di\nmerito potrebbe, ad esempio, valutare la congruita\u0027  e  l\u0027adeguatezza\ndella penale disposta da una  ordinanza  cautelare  ed  eventualmente\nrideterminarla (v. Tribunale Milano Sez. spec.  Impresa,  15  ottobre\n2019 secondo cui «Al giudice del merito  chiamato  ad  applicare  una\npenale disposta da una ordinanza cautelare per il caso di  violazione\ndell\u0027inibitoria all\u0027utilizzo di  un  marchio,  spetta  il  potere  di\nvalutarne la congruita\u0027 e l\u0027adeguatezza, con conseguente possibilita\u0027\ndi sua rideterminazione»). \n    Nondimeno, non constano pronunce che si siano  interrogate  sulla\npossibilita\u0027, a fronte di una misura coercitiva stabilita in sede  di\n700 del codice di procedura civile, di una  fissazione  ex  post  del\nsuddetto limite quantitativo o temporale in sede esecutiva. \n    Per quanto  concerne  il  formante  dottrinale,  invece,  secondo\ntaluni autori, nell\u0027ipotesi di comminatoria di una misura  coercitiva\nindiretta, verrebbe in rilievo una fattispecie analoga  a  quella  di\ncui all\u0027art. 1382 del codice civile (rubricata come «clausola  penale\nin caso d\u0027inadempimento o di ritardo nell\u0027adempimento»), in quanto il\ncreditore sarebbe esonerato dalla prova di alcun danno e con il  solo\nelemento di differenziazione, rappresentato  dalla  circostanza  che,\nnell\u0027ipotesi dell\u0027art. 614-bis del codice  di  procedura  civile,  la\nsomma e\u0027 determinata dal  giudice,  non  dalle  parti  nell\u0027esercizio\ndella loro autonomia. \n    La  disamina  della  questione  relativa  al  riconoscimento  del\npotere, in capo al G.e., di un\u0027eventuale modulazione  ex  post  della\ndurata o dell\u0027importo massimo della misura, richiede una  preliminare\nricostruzione della disciplina in materia anche al fine  di  definire\nla natura giuridica e la ratio ispirativa dell\u0027istituto. \n    2.2. Inquadramento dell\u0027istituto \n    Come  noto,  con  la  legge  n.  69/2009,  hanno  fatto  ingresso\nnell\u0027ordinamento giuridico le misure di coercizione indiretta, che si\nappalesa come «l\u0027unico strumento in grado di assicurare  l\u0027attuazione\ndei diritti a prestazioni infungibili e insurrogabili  con  le  forme\ntradizionali di esecuzione forzata». \n    A tal riguardo, non e\u0027 peregrino ricordare come  il  concetto  di\ninfungibilita\u0027 sia stato  inteso  variamente  in  dottrina.  Infatti,\noltre all\u0027infungibilita\u0027 che discende dalla natura della  prestazione\n(diversa dalla realizzazione di un\u0027opera materiale, di cui  si  legge\nnell\u0027art. 612 del codice di procedura civile)  o  che  si  riconnette\n«all\u0027interesse del  creditore  derivante  dall\u0027intuitus  personae,  o\ncomunque all\u0027obiettivo regolamento contrattuale», ulteriori  elementi\nrivelatori della infungibilita\u0027  erano  «fatti  derivare  da  divieti\ninderogabili dell\u0027ordinamento (riduzione in schiavitu\u0027, soggezione al\npotere altrui, status familiari) o  piu\u0027  in  generale  da  sfere  di\nautonomia e liberta\u0027 non coercibili in quanto protette al  piu\u0027  alto\nlivello costituzionale». \n    Invero, la precedente formulazione  della  norma  in  termini  di\n«Attuazione degli obblighi di fare infungibile o  di  non  fare»,  ne\nimplicava l\u0027applicabilita\u0027 solo alle predette obbligazioni. \n    Si sosteneva, infatti, che trattandosi, come  si  avra\u0027  modo  di\nspiegare, di  una  misura  sanzionatoria  e,  dunque,  di  una  «pena\nprivata», avrebbero trovato applicazione il principio di tassativita\u0027\ne il suo corollario logico  della  necessita\u0027  di  un\u0027interpretazione\nrestrittiva della norma. \n    L\u0027iniziale formulazione non conteneva alcun riferimento, al  fine\ndi escluderli dalla propria portata  applicativa,  ai  diritti  della\npersonalita\u0027.  Nondimeno,  prevedeva  «una   innovativa   limitazione\nconsistente nel potere del giudice di negare la comminatoria in  caso\ndi  manifesta  iniquita\u0027  della  stessa»,   formulazione   fortemente\ncriticata per la sua eccessiva genericita\u0027. \n    Nella   vigenza   dell\u0027originaria   formulazione   della   norma,\nautorevole  dottrina  aveva  sollecitato  la  generalizzazione  della\nportata  operativa  dell\u0027astreinte,  anche  con  riguardo  ai  titoli\nesecutivi, di natura stragiudiziale. \n    Con il  decreto-legge  n.  83/2015,  convertito  dalla  legge  n.\n132/2015, e\u0027 stata novellata la rubrica, che si esprime - e cosi\u0027 e\u0027,\ntutt\u0027ora, anche a seguito della riforma  Cartabia  -  in  termini  di\n«Misure di coercizione indiretta». \n    Al  contempo,  per  effetto  della  predetta  novella,  e\u0027  stato\nprecisato il novero delle obbligazioni cui  l\u0027istituto  puo\u0027  trovare\napplicazione,  ovvero  tutti  gli  obblighi  differenti   da   quelli\npecuniari ovvero aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro. \n    Il riferimento e\u0027 alle obbligazioni di facere infungibili,  cosi\u0027\ncome a quelle di non fare, ascrivibili alla  prima  categoria,  cosi\u0027\ncome alla prestazione di consegna o di rilascio di  cose  e  ad  ogni\naltro provvedimento condannatorio («diverso»  da  quelli  relativi  a\nsomme di denaro) anche di «indole inibitoria». \n    Come evidenziato in dottrina, la  novella  assume  rilievo  nella\nmisura in cui contribuisce a mutare del tutto  sia  «la  fisionomia»,\nsia «la ratio dell\u0027istituto», elevandolo da «strumento  residuale  di\ntutela rispetto all\u0027esecuzione forzata diretta, per  i  casi  in  cui\nessa non puo\u0027 operare», a  «rimedio  con  essa  concorrente,  potendo\nessere  utilizzato  dal  giudice  anche  a   presidio   di   obblighi\nperfettamente fungibili e passibili di  esecuzione  nelle  forme  del\ncodice di rito». \n    Per la sua importanza nella ricostruzione  dell\u0027istituto,  appare\nutile precisarne, ulteriormente, l\u0027ambito operativo. \n    Secondo la dottrina piu\u0027 accreditata, non sarebbe  superabile  il\nlimite costituito dalla natura  necessariamente  «condannatoria»  del\nprovvedimento, per  cui  dovrebbero  ritenersi  escluse  le  sentenze\ndichiarative e costitutive. Nondimeno, e\u0027 stato osservato come, sotto\nil profilo della sua «ontologia e della sua dinamica funzionale», «la\nmisura coercitiva non si attaglia esclusivamente a una  pronuncia  di\ncondanna,  ben  potendosi  immaginarla  accessoria  a  una  pronuncia\ncostitutiva  o  di  accertamento  e  finanche  a   un   provvedimento\nendoprocessuale». \n    A tal  riguardo,  dubbia  e\u0027  l\u0027ammissibilita\u0027  della  stessa  in\nconcorso con l\u0027azione ex art. 2932 del codice civile,  quale  ipotesi\nparadigmatica di esecuzione in forma specifica, in  quanto  volta  ad\nassicurare al creditore il medesimo bene della vita agognato. \n    A tal riguardo, militano in senso favorevole, elementari esigenze\nconnesse al principio di effettivita\u0027 della tutela. \n    Diversamente, infatti, l\u0027interessato, per  conseguire  la  tutela\nagognata, sarebbe costretto a attendere  il  passaggio  in  giudicato\ndella sentenza  costitutiva  che  abbia,  eventualmente,  accolto  la\ndomanda di pronuncia giurisdizionale, sostitutiva  del  consenso  non\nmanifestato nei termini convenuti. \n    Ne\u0027, in senso contrario, appare utile richiamare  la  circostanza\nper cui l\u0027obbligo di contrarre non  si  configura  come  infungibile,\npotendosi sempre richiedere una pronuncia del giudice che tenga luogo\ndel contratto non stipulato spontaneamente dall\u0027obbligato. \n    A tale obiezione e\u0027,  agevolmente,  replicabile  che  presupposto\napplicativo della norma - e, al contempo, suo limite - e\u0027 che si  non\nsi aneli all\u0027esecuzione di un\u0027obbligazione pecuniaria,  quale  tipico\nobbligo di genere, non  rilevando,  per  contro,  la  sostituibilita\u0027\ndella prestazione dovuta e non eseguita. \n    Peraltro, chiaramente,  l\u0027obbligazione  di  datio  del  consenso,\nestrinsecandosi in una manifestazione di volonta\u0027 negoziale e non  in\nuna consegna materiale della res, non puo\u0027 considerarsi tale. \n    Peraltro, al fine di delimitare l\u0027ambito operativo  della  norma,\nper scelta esplicita del legislatore, non possono venire  in  rilievo\ncontroversie di lavoro subordinato pubblico e privato, cosi\u0027 come  la\nmisura  risulta   inapplicabile   in   relazione   ai   rapporti   di\ncollaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 del  del  codice\ndi procedura civile. \n    D\u0027altronde,  e\u0027  innegabile   che   le   stesse   afferiscano   a\nobbligazioni di natura personalissima, oltre che, per taluni  autori,\ndi rango costituzionale, essendo indubbio  che  alcune  tipologie  di\nprestazione  come  quella  artistica   costituiscano   strumento   di\nestrinsecazione e affermazione della personalita\u0027  umana  ex  art.  2\nCost. \n    Sotto il profilo della  natura  giuridica,  come  evidenziato  in\ndottrina, tale  forma  rimediale,  di  cui  si  conoscono  precedenti\nnell\u0027ordinamento francese e tedesco,  avrebbe  natura  sanzionatoria,\nsostanziandosi nell\u0027imposizione, in capo all\u0027obbligato, di una specie\ndi penale per  l\u0027inadempimento  in  senso  assoluto  o  l\u0027adempimento\ntardivo di una pronuncia di condanna. \n    Ne\u0027 costituisce circostanza ostativa a tale qualificazione che la\nsomma di denaro abbia quale beneficiario il creditore e non lo Stato,\ntrattandosi  di  sanzione  destinata  a  esplicare  la  sua  funzione\nrepressiva nei rapporti fra due privati, coincidenti con le parti del\nrapporto obbligatorio. \n    Invero, taluna dottrina ne rivendica una finalita\u0027  composita  e,\nsostanzialmente, duplice: «una funzione anzitutto compulsoria, ovvero\ntesa a stimolare l\u0027adempimento alle statuizioni del provvedimento  di\ncondanna sotto pena del pagamento di una  somma  di  denaro...  ;  in\nsecondo luogo sanzionatoria, ove riguardata ex post, nella misura  in\ncui, non essendosi realizzata  la  prima  funzione,  in  mancanza  di\nesatto  adempimento  da  parte  del  soggetto  tenuto,  questi  sara\u0027\nchiamato a corrispondere alla controparte una somma di denaro». \n    Da cio\u0027, come autorevolmente sostenuto, deriverebbe che quando il\ndebitore destinatario della misura, perche\u0027 inadempiente rispetto  al\ncomando giudiziale, ottenga, eventualmente, la riforma dello  stesso,\nnon potrebbe ripetere quanto pagato. \n    Diversamente, si afferma, verrebbe  ad  essere  neutralizzata  la\nfunzione sanzionatoria che non avrebbe piu\u0027 modo  di  dispiegarsi  in\nmodo effettivo. \n    Invero, proprio la natura ancillare del provvedimento, irrogativo\ndell\u0027astreinte, rispetto  al  titolo  giudiziale  caducato,  dovrebbe\nindurre a considerare criticamente tale soluzione. \n    Sotto il diverso piano strutturale, la misura coercitiva  di  cui\nall\u0027art. 614-bis del  codice  di  procedura  civile  ha  una  portata\naccessoria rispetto al provvedimento di condanna  e  ha  essa  stessa\ncontenuto condannatorio. \n    Per quanto concerne l\u0027ambito operativo della misura, pur dopo  la\nnovella del  2015,  in  una  prospettiva  de  iure  ferendo,  si  era\nprospettata - sollecitazione, poi, accolta, seppur con dei correttivi\noperativi, dalla riforma Cartabia - l\u0027introduzione di una  competenza\nconcorrente del giudice dell\u0027esecuzione. \n    Infatti, la circostanza che la  misura  dovesse  essere  irrogata\ncontestualmente   con   la   condanna   impediva   la    «modulazione\ndell\u0027astreinte rispetto ai fatti successivi alla sua irrogazione», da\nparte del Giudice dell\u0027esecuzione. \n    In ultimo, si era proposto di attribuire a quest\u0027ultimo anche  il\npotere di procedere  alla  liquidazione  della  somma,  anche  quando\nl\u0027irrogazione della misura fosse avvenuta da parte del giudice  della\ncognizione, nell\u0027ambito di un processo sommario in contraddittorio. \n    La legge delega sulla riforma del processo civile  e  il  decreto\nlegislativo n. 149 del 2022, che vi ha  dato  attuazione,  come  gia\u0027\nevidenziato, hanno arginato solo in parte tali profili di criticita\u0027. \n    Come  gia\u0027  evidenziato,  per  effetto  della  riforma  Cartabia,\nl\u0027istituto e\u0027 stato dilatato alla fase esecutiva. \n    Orbene, la questione di legittimita\u0027 e\u0027 posta in  relazione  alla\nformulazione previgente, ma  ritiene  questo  Giudice  che  l\u0027analisi\ndelle modifiche, apportate  dalla  riforma  Cartabia,  possa  offrire\nelementi utili nella logica  di  un\u0027interpretazione  evolutiva  della\nversione previgente, applicabile, ratione temporis, alla  fattispecie\nconcreta. In particolare, il  riferimento  e\u0027  alla  possibilita\u0027  di\nformulare la richiesta di 614-bis  del  codice  di  procedura  civile\nanche al di fuori dei termini perentori previsti per la  formulazione\ndi domande e eccezioni in senso stretto. \n    Cio\u0027 premesso, e\u0027 stata aggiunta la previsione per cui «Se non e\u0027\nstata  richiesta  nel  processo  di  cognizione,  ovvero  il   titolo\nesecutivo e\u0027 diverso da un provvedimento di  condanna,  la  somma  di\ndenaro dovuta dall\u0027obbligato per ogni  violazione  o  inosservanza  o\nritardo nell\u0027esecuzione del provvedimento e\u0027 determinata dal  giudice\ndell\u0027esecuzione,   su   ricorso   dell\u0027avente   diritto,   dopo    la\nnotificazione del precetto. Si applicano  in  quanto  compatibili  le\ndisposizioni di cui all\u0027articolo 612». \n    Secondo la Relazione  illustrativa,  la  nuova  formulazione  «e\u0027\nvolta a porre rimedio ad  una  lacuna  della  normativa  vigente  che\nattribuisce al solo giudice» della cognizione il potere  di  irrogare\nla misura coercitiva, «cosi\u0027 evitando di imporre  all\u0027avente  diritto\nalla prestazione risultante da un titolo esecutivo stragiudiziale  di\ninstaurare un processo ad hoc. Lo stesso puo\u0027 ripetersi per  il  lodo\narbitrale». \n    Orbene, la nuova formulazione dell\u0027art.  614-bis  del  codice  di\nprocedura civile, come introdotta dalla riforma Cartabia, consente di\navanzare la domanda  di  misure  coercitive  anche  nel  giudizio  di\nesecuzione. Cio\u0027, sempre che la stessa non sia stata  gia\u0027  richiesta\nnel precedente processo di cognizione. \n    Cio\u0027 vuol dire che, stando al tenore  testuale  della  norma,  la\ncompetenza  del   secondo   all\u0027assunzione   del   provvedimento   e\u0027\nsubordinata non alla mancata concessione da parte del  giudice  della\ncognizione, ma alla sua mancata richiesta da parte dell\u0027interessato. \n    Ne   consegue,   logicamente,   che   il   potere   del   giudice\ndell\u0027esecuzione e\u0027 inibito anche nell\u0027ipotesi in cui  la  misura  sia\nstata meramente richiesta al giudice della cognizione, ma tal  ultimo\nl\u0027abbia negata(1). \n    E\u0027 chiara la valenza preclusiva che il legislatore della  riforma\nha voluto accordare alle valutazioni del giudice del merito, anche in\nnome di quella competenza funzionale che esclude  la  proponibilita\u0027,\ndavanti al giudice dell\u0027esecuzione, delle questioni dedotte (o  anche\nsemplicemente deducibili) in sede di cognizione. \n    A fronte di un  chiaro  dato  testuale,  non  pare  condivisibile\nl\u0027opzione esegetica che ritiene la  misura  applicabile  dal  giudice\ndella  esecuzione  anche  quando  la  misura  sia  stata  ritualmente\nrichiesta ma non concessa. \n    Si e\u0027 affermato che, in tale ipotesi, non  vi  sarebbero  ragioni\ngiuridiche impeditive della competenza del  G.e..  La  ratio  sarebbe\nquella di non ingenerare sovrapposizioni (cognitive e decisorie)  tra\nil  giudice  della  cognizione  e  quello  dell\u0027esecuzione   e   tale\ninterferenza,  del  secondo,  nella  sfera  del  primo   sarebbe   da\nescludersi quando l\u0027istanza al giudice della cognizione  sia  rimasta\ntrascurata, a meno che non possa dirsi implicitamente rigettata. \n    Inoltre, in tale ipotesi nell\u0027ipotesi di omissione di  pronuncia,\n«non puo\u0027  formarsi  il  giudicato  mancando  una  decisione  neppure\nimplicita». \n    Ne\u0027, a tal riguardo, data l\u0027insuperabilita\u0027 del  dato  normativo,\ne\u0027   sufficiente   invocare    l\u0027esigenza    di    un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente conforme (in  funzione  del  diritto  della  parte\nall\u0027effettivita\u0027 della tutela giurisdizionale e del  principio  della\nragionevole durata del processo). \n    D\u0027altronde,  vale  anche  in  tale  caso  il  generale  principio\ndell\u0027insuperabilita\u0027 del dato testuale racchiusa  nel  noto  brocardo\nper cui in claris non fit interpretatio. Dunque,  il  potere  de  quo\nviene riconosciuto anche in capo al  giudice  dell\u0027esecuzione(2)  «in\nchiave complementare» e non concorrente, rispetto  al  giudice  della\ncognizione, implementando, in ogni caso,  la  soglia  complessiva  di\neffettivita\u0027 del sistema di tutela esecutiva(3), quale corollario del\npiu\u0027 generale  principio  del  giusto  processo,  che  ha  fondamento\nnormativo costituzionale nell\u0027art. 24, 111 Cost., nonche\u0027 comunitario\ne convenzionale negli articoli 6, 13 Cedu e 47 CDFUE. \n    In particolare, l\u0027art. 13 della CEDU sancisce il  diritto  ad  un\nricorso effettivo a favore di ogni persona i cui diritti  e  liberta\u0027\nfondamentali siano stati violati. \n    A tal riguardo, sotto il profilo dell\u0027ambito operativo  temporale\ndella norma, la novella permette di formulare  richiesta  al  giudice\ndell\u0027esecuzione in relazione a condanne che siano state emesse  prima\ndel 2009, sempre che il diritto di agire in  via  esecutiva  non  sia\nprescritto. Data la sopra evidenziata complementarieta\u0027  dei  poteri,\nappare utile l\u0027esatta individuazione  del  termine  finale  entro  il\nquale la misura e\u0027 richiedibile nel processo di cognizione. \n    Deve convenirsi con quella dottrina, secondo cui la richiesta  di\napplicazione dell\u0027art. 614-bis, 1°  comma  del  codice  di  procedura\ncivile  conosca  quale  momento  consumativo  del  potere  di   farne\nrichiesta la «precisazione delle conclusioni  ...  nei  limiti  degli\natti introduttivi o a norma dell\u0027art. 171-ter» (art. 189,  1°  comma,\nn. 1, del codice di procedura civile. \n    Per contro, per  quanto  concerne  il  dies  a  quo,  non  appare\nconforme ai superiori dettami costituzionali, la tesi di chi  ritiene\nche  se   ne   debba   fare   richiesta   necessariamente   nell\u0027atto\nintroduttivo. \n    Peraltro, sotto il profilo  processuale  e  del  raccordo  con  i\nprincipi generali che conformano l\u0027autonomia processuale delle parti,\nsecondo autorevole dottrina, la suddetta istanza non sarebbe idonea a\ningenerare ne\u0027 una domanda nuova,  ne\u0027  una  modifica  della  domanda\noriginaria, in quanto preordinata  al  conseguimento  di  una  misura\nmeramente  strumentale  al  conseguimento   del   bene   della   vita\noriginariamente dedotto in giudizio. \n    Il provvedimento irrogativo della misura,  assunto  dal  giudice,\navrebbe un rilievo meramente  processuale  o  di  rito,  non  essendo\nconfigurabile, per l\u0027appunto, un diritto sostanziale  a  ottenere  la\nmisura coercitiva. Esso, infatti, non ha la funzione di  definire  un\nrapporto   giuridico,   assicurandone   una   regolamentazione,    ma\ningenererebbe «un nuovo rapporto  obbligatorio  la  cui  funzione  e\u0027\nquella, strettamente processuale, di dare esecuzione  indiretta  alla\npronuncia giudiziale». \n    D\u0027altronde,   l\u0027aver   la   novella   attribuito    al    giudice\ndell\u0027esecuzione una competenza (non concorrente, ma  alternativa)  in\nmateria, costituirebbe un\u0027indiretta conferma della  natura  meramente\nstrumentale e accessoria del provvedimento, al pari  dell\u0027istanza  di\nconversione. \n    Tale tesi non e\u0027 stata priva di riscontri nella giurisprudenza di\nlegittimita\u0027 (Corte di cassazione;  sezione  III,  ordinanza  del  23\nmarzo 2024, n. 7927; secondo cui «Il provvedimento con  il  quale  il\ngiudice del merito, ex art. 614-bis del codice di  procedura  civile,\nconcede  (o  nega)  la  misura  coercitiva  indiretta  ha  natura  di\nprovvedimento in rito. Tale inquadramento giustifica e da\u0027 fondamento\nalla  cognizione  piena  della  S.C.  per  inosservanza  della  norma\nprocessuale». \n    Sulla base  di  tali  premesse  ricostruttive,  nel  processo  di\ncognizione l\u0027applicazione dell\u0027art. 614-bis del codice  di  procedura\ncivile potrebbe essere domandata - naturalmente senza poter  allegare\nnuove circostanze di fatto - nelle conclusioni contenute  nelle  note\nscritte depositate nel termine di cui all\u0027art. 189, 1° comma,  n.  1,\ndel codice di procedura civile e, per il  procedimento  semplificato,\nin quelle che  il  giudice  invita  a  precisare  a  norma  dell\u0027art.\n281-sexies del codice di procedura civile quando rimette la causa  in\ndecisione (art. 281-terdecies c.p.c). \n    Nella  vigenza  della  disciplina  anteriore   alla   novella   e\nall\u0027anticipazione  delle   preclusioni   processuali,   era,   stato,\ncorrelativamente, affermato che poiche\u0027 la  richiesta  di  astreintes\nnon veicola, nel  processo,  una  nuova  situazione  soggettiva,  ne\u0027\ndilata l\u0027oggetto del decidere, non  vi  sarebbero  state  preclusioni\nprocessuali  alla  sua  proposizione  fino  alla  precisazione  delle\nconclusioni e, persino, in appello. \n    Inoltre, sotto il profilo del sindacato  di  legittimita\u0027  e  dei\nsuoi  limiti,  lo  stesso,  vertendo  sull\u0027inosservanza  della  norma\nprocessuale che disciplina tali misure, potrebbe avere ad oggetto sia\nl\u0027an, ovvero, la verifica dei presupposti necessari  per  l\u0027esercizio\ndel  potere,  sia  la  correttezza  di  tal  ultimo,  in   punto   di\nliquidazione dell\u0027astreinte. \n    A tale riguardo, cio\u0027 che la S.C. puo\u0027 valutare non e\u0027 il  merito\ndella valutazione operata dal giudice ma la motivazione e, dunque, il\npercorso ragionativo che sorregge il provvedimento  «in  quanto  resa\ncon  riferimento  concreto  ai  parametri  di  riferimento»  previsti\ndall\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile \n    Altri  autori,  in   cio\u0027   seguiti   dalla   giurisprudenza   di\nlegittimita\u0027,  hanno  visto,  invece,  nella   misura   de   qua   un\nprovvedimento, preordinato alla tutela  di  un  autonomo  bene  della\nvita, a sua volta, oggetto di uno specifico diritto  soggettivo,  con\nla  conseguenza  che  la  relativa  istanza  sarebbe  soggetta   alle\npreclusioni processuali applicabili alle domande nuove. \n    Sotto il profilo della tutela del  diritto  alla  difesa  ed,  in\nparticolare, di quello al contraddittorio processuale, i fatti, posti\na fondamento della suddetta richiesta di  tutela,  dovrebbero  essere\noggetto di tempestiva allegazione, cosi\u0027  da  consentire  cosi\u0027  alla\ncontroparte  l\u0027esercizio   delle   proprie   prerogative   difensive;\nesercizio che sarebbe precluso, se la domanda potesse essere avanzata\noltre  il  limite  temporale   di   maturazione   delle   preclusioni\nprocessuali. \n    In tal senso, di recente, anche Cass. sezione III, ordinanza  del\n23 maggio 2024, n. 14461, secondo cui «l\u0027istanza volta ad ottenere la\nmisura di  coercizione  indiretta  ex  art.  614-bis  del  codice  di\nprocedura  civile  (nella  formulazione  anteriore   alle   modifiche\napportate dal decreto legislativo n. 149 del  2022)  costituisce  una\nvera e propria domanda giudiziale e, come  tale,  va  avanzata  prima\ndella maturazione delle preclusioni assertive, poiche\u0027  non  consegue\nnecessariamente alla pronuncia di condanna, a differenza delle  spese\ndi lite, e dev\u0027essere determinata  tenuto  conto  di  circostanze  di\nfatto  -  quali  il  valore  della  controversia,  la  natura   della\nprestazione,  il  danno  quantificato  o  prevedibile  -  che   vanno\ntempestivamente  allegate  (e,  se  del  caso,  provate),  cosi\u0027   da\nconsentire  alla  controparte   una   compiuta   difesa,   altrimenti\nimpossibile se la richiesta fosse sottratta alle barriere  preclusive\ndel rito». \n    Invero, la nuova formulazione della norma, nella  misura  in  cui\nriconosce la richiedibilita\u0027 della misura in sede  esecutiva,  sembra\noffrire argomenti insuperabili  ai  fini  della  ricostruzione  della\nmisura quale mero strumento processuale, rilevante in rito e inidoneo\nad ampliare il thema decidendum. \n    Al fine di comprimere la discrezionalita\u0027 valutativa del  giudice\nche ha natura,  essenzialmente,  tecnica,  la  novella,  ampliando  i\ncriteri gia\u0027 previsti dal vecchio testo  -  ovvero  il  valore  della\ncontroversia,  la  natura  della   prestazione   dovuta,   il   danno\nquantificato o prevedibile  e  ogni  altra  circostanza  utile  -  ha\nprevisto in aggiunta quello del «vantaggio per l\u0027obbligato  derivante\ndall\u0027inadempimento».  Cio\u0027,  pero\u0027,  senza  prevedere  una  qualunque\ncornice edittale che possa fungere da limite massimo e minimo cui  il\ngiudice debba attenersi (comma 3). \n    Cio\u0027, impregiudicato il diritto del creditore  di  agire  in  via\nrisarcitoria per i pregiudizi, eventualmente,  non  compensati  dalla\nmisura. \n    Anche per l\u0027ipotesi in cui la misura  sia  richiesta  al  giudice\ndell\u0027esecuzione, ai fini della concreta commisurazione della  penale,\nvalgono i parametri  fin  dall\u0027origine  previsti  dalla  norma  quale\ncriteri conformativi del potere del Giudice della cognizione. \n    Cio\u0027, per quanto  la  Cartabia  sia  intervenuta  a  specificare,\ntraendo tale criterio commisurativo dall\u0027indifferenziata  formula  di\nchiusura della norma, che si debba avere riguardo anche al «vantaggio\nper l\u0027obbligato derivante dall\u0027inadempimento»,  ovvero  all\u0027utilita\u0027,\ntradibile da tal ultimo dal proprio inadempimento.  D\u0027altronde,  come\ndesumibile dalla Relazione  illustrativa,  data  la  finalita\u0027  della\nnorma che e\u0027 quella di spronare  all\u0027adempimento,  appare  del  tutto\nimprescindibile - anche nella  logica  di  un\u0027analisi  economica  del\ndiritto - porsi (anche) dall\u0027angolo visuale del  debitore.  Cio\u0027,  al\nfine di verificare il tipo di  valutazione  da  questi  astrattamente\nesperibile,   in   termini   di   maggiore   o   minore   convenienza\ndell\u0027adempimento. \n    L\u0027approccio  e\u0027,  evidentemente,  quello   della   valorizzazione\ndell\u0027agire razionale delle parti,  secondo  categorie  e  giudizi  di\nmatrice essenzialmente  economica  che  sono  quelle  che  conformano\nl\u0027agire dell\u0027homo economicus. \n    In  questa  prospettiva   appare   prioritario   il   riferimento\nall\u0027utilitas traibile  dal  debitore  dalla  propria  inerzia  o  dal\nproprio ritardo nell\u0027adempimento delle prestazioni dovute. \n    Deve, invece, ritenersi subvalente il diverso criterio del  danno\nche l\u0027inadempimento medesimo e\u0027 idoneo a ingenerare. \n    Cio\u0027,  anche  perche\u0027  l\u0027esecuzione  c.d.  indiretta   non   puo\u0027\nassurgere a rimedio sostitutivo del risarcimento  del  danno  causato\ndall\u0027inadempimento. \n    A tal riguardo, non puo\u0027 sottacersi la diversa opinione  per  cui\n«tale  criterio»  avrebbe  fatto  «assumere  alla  misura  coercitiva\nindiretta anche il carattere di risarcimento punitivo,  ora  ritenuto\ncompatibile col nostro ordinamento», ma non incondizionatamente. \n    Infatti, la configurazione di una  finalita\u0027  punitiva  richiede,\ncome ricordato dalle  S.U.  5  luglio  2017,  n.  16601,  che  esista\nun\u0027espressa previsione legislativa che renda attuale alcune di quelle\nfunzioni che, nella logica di un sistema polifunzionale, sono proprie\ndell\u0027apparato rimediale risarcitorio.(4) \n    In tal caso, pur a fronte di un nomen iuris non univoco, sarebbe,\ncomunque, individuabile un solido argomento normativo. \n    Evidente e\u0027 la suggestione proveniente dal riferimento  al  danno\ncagionato (o cagionabile) dall\u0027obbligato, nonche\u0027 la sua idoneita\u0027 ad\nevocare i criteri di risarcimento del danno ambientale e previsti per\nle altre ipotesi - eccezionali e  di  stretta  interpretazione  -  di\ndanno punitivo. \n    Peraltro, sotto il profilo della sua concreta applicazione,  deve\nritenersi che il criterio commisurativo  de  quo  non  si  presti  ad\nun\u0027agevole  applicazione,  con   la   conseguenza   che   originera\u0027,\ntendenzialmente, solo liquidazioni in via equitativa. \n    Altro  profilo  innovativo  della  nuova  formulazione  dell\u0027art.\n614-bis del codice di  procedura  civile  e\u0027  quello  concernente  il\npotere del giudice, investito della richiesta, di stabilire il dies a\nquo dal quale procedere al computo della somma dovuta, cosi\u0027 come  la\ndurata massima della misura. \n    Si e\u0027 previsto  che  questi  non  possa,  ma  debba  indicare  la\ndecorrenza (cosi\u0027 da assicurare al soccombente il tempo necessario ad\nadempiere) e, dall\u0027altro, possa fissare il termine massimo di  durata\ndella misura «tenendo conto della finalita\u0027 della stessa  e  di  ogni\ncircostanza utile» (comma 1); termine, decorso il  quale,  la  misura\ncoercitiva e\u0027  destinata  a  perdere  effetti,  non  producendo  piu\u0027\nesborsi a carico del destinatario della stessa. \n    Come evincibile dal dato testuale, il  potere  di  cui  al  primo\nsegmento normativo ha  natura  vincolata,  in  contrapposizione  alla\nportata meramente discrezionale di  quello  di  indicare  il  termine\nfinale che sancisce lo spirare giuridico della stessa. \n    Secondo un\u0027autorevole e condivisibile  dottrina,  il  legislatore\ndella riforma si sarebbe limitato a consacrare, in  norma  formale  e\nespressa, un principio gia\u0027 operante a livello ordinamentale. \n    Verrebbe in rilievo «una razionalizzazione dell\u0027esistente, questi\npoteri essendo esercitabili anche nella vigenza del testo  precedente\ndell\u0027art.  614-bis  del  codice  di  procedura  civile»,  con  chiare\nfinalita\u0027 deflattive del contenzioso in materia. \n    Dunque, in  sintesi,  l\u0027attuale  formulazione  della  norma,  per\nquanto abbia ribadito la tradizionale dicotomia  fra  giudizio  della\ncognizione presupposto e giudizio esecutivo,  radica  una  competenza\ncomminatoria in capo al Giudice  dell\u0027esecuzione.  Soprattutto,  come\nevidenziato, la domanda di penale  sembrerebbe  sfuggire  ai  termini\nprevisti per la proposizione di eccezioni e domande riconvenzionali e\ncosi\u0027 deve ritenersi anche per le  difese  e  le  eccezioni  volte  a\ncontrastarne o a mitigarne l\u0027applicazione. \n    E\u0027 indubbio che tale conformazione dell\u0027istituto  possa  incidere\nsull\u0027interpretazione della stessa, nella formulazione previgente. \n4. Possibilita\u0027 di  un\u0027interpretazione  costituzionalmente  conforme:\ngli argomenti a favore della soluzione favorevole alla  possibilita\u0027,\nper il giudice dell\u0027esecuzione, ove gia\u0027 non fatto  dal  giudice  del\nmerito, di determinare ex post un  tetto  quantitativo  o  temporale,\nmassimo, all\u0027operare delle stesse. \n    Cio\u0027 premesso, la norma, come gia\u0027 evidenziato, nella  sua  nuova\nformulazione, conseguente alla novella, non prevede espressamente  la\npossibilita\u0027, per il giudice dell\u0027esecuzione, ove gia\u0027 non fatto  dal\ngiudice del merito, di determinare ex post un tetto  quantitativo  (o\ntemporale) massimo all\u0027operare delle stesse. \n    Si limita a prevedere come lo stesso possa: \n        1) irrogare la misura, solo ove la stessa non sia stata  gia\u0027\nrichiesta nell\u0027eventuale giudizio di merito presupposto e sempre  che\nil titolo esecutivo sia diverso da un provvedimento di condanna; \n        2) fissare, al momento dell\u0027irrogazione, un termine di durata\ndella misura, tenendo conto della finalita\u0027 della stessa  e  di  ogni\ncircostanza utile. Tale  potere  non  e\u0027  espressamente  riferito  al\nGiudice dell\u0027esecuzione, ma si desume da un\u0027interpretazione combinata\ndel primo e del secondo comma; l\u0027uno volto a  conformare  l\u0027esercizio\ndel potere di irrogazione da parte del giudice del  merito;  l\u0027altro,\npreordinato  a  sancire  la  legittimazione  sussidiaria  del   G.e.,\nrispetto al Giudice del merito. \n    Come gia\u0027 evidenziato, pero\u0027, taluna dottrina  ha  ritenuto  che,\nnondimeno, il potere di fissazione ex post di un limite massimo,  pur\nin difetto di un\u0027espressa previsione abilitante, fosse ammissibile. \n    In tal senso, deporrebbero una pluralita\u0027  di  ragioni  testuali,\nlogiche e sistematiche. \n    4.1. La clausola generale rebus  sic  stantibus  e  la  rilevanza\ndelle sopravvenienze. La  qualificabilita\u0027  della  esorbitanza  della\nsomma maturata nei suddetti termini. \n    In primis, deve  richiamarsi  quell\u0027orientamento  dottrinale  che\nritiene operativa, anche in materia di misure coercitive, la clausola\ngenerale, rebus sic stantibus, che e\u0027 alla base della possibilita\u0027  -\nnel contesto dell\u0027ordinamento interno - di  richiedere  una  modifica\ngiudiziale di un qualunque provvedimento di volontaria  giurisdizione\n(come quello regolativo delle condizioni di separazione), cosi\u0027 come,\nin  relazione  all\u0027ordinamento  internazionale,  della  facolta\u0027   di\nrecedere dello Stato dagli impegni assunti  con  altri  soggetti  del\ndiritto internazionale(5) \n    Si ritiene che, ogniqualvolta vi sia un rapporto  di  durata,  il\nprovvedimento giurisdizionale che lo vada a regolare,  dettandone  la\ndisciplina,  possa  essere  oggetto   di   mutamenti   e   variazioni\ncontenutistiche  e  cio\u0027  quando  si  registri  una  modifica   delle\ncondizioni (fattuali e giuridiche)  che  hanno  presieduto  alla  sua\nassunzione. \n    La sua stabilita\u0027 contenutistica  sarebbe,  dunque,  condizionata\nrisolutivamente all\u0027invarianza delle predette condizioni. \n    A tal riguardo, si sostiene,  espressamente,  che  «un  principio\ngenerale dell\u0027ordinamento e\u0027 quello per  il  quale  --  il  giudicato\nopera rebus sic stantibus, sicche\u0027 la  statuizione  che  lo  contiene\npuo\u0027 essere modificata per fatti successivi alla sua formazione»... \n    Cio\u0027  premesso,  come  gia\u0027  evidenziato,  presupposto   per   la\nrevisione  della  regola  giurisdizionale,  non  consacrata  in   una\nsentenza di merito passata in giudicato, e\u0027  la  configurabilita\u0027  di\nuna sopravvenienza. \n    Se ne rinviene conferma in specifiche previsioni normative: \n        a) nell\u0027art. 669-decies del codice di  procedura  civile  per\ncui «Salvo che sia stato  proposto  reclamo  ai  sensi  dell\u0027articolo\n669-terdecies, nel corso dell\u0027istruzione il giudice istruttore  della\ncausa di merito puo\u0027, su istanza di parte, modificare o revocare  con\nordinanza il provvedimento cautelare, anche se  emesso  anteriormente\nalla causa, se si verificano mutamenti  nelle  circostanze  o  se  si\nallegano  fatti  anteriori  di  cui  si   e\u0027   acquisita   conoscenza\nsuccessivamente al provvedimento cautelare. In tale  caso,  l\u0027istante\ndeve fornire la prova del momento in cui ne e\u0027 venuto  a  conoscenza.\nQuando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato  dichiarato\nestinto, la revoca e  la  modifica  dell\u0027ordinanza  di  accoglimento,\nesaurita l\u0027eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell\u0027articolo\n669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha  provveduto\nsull\u0027istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o\nse si allegano fatti anteriori di  cui  si  e\u0027  acquisita  conoscenza\nsuccessivamente al provvedimento cautelare. In  tale  caso  l\u0027istante\ndeve fornire la prova del momento in cui ne e\u0027 venuto  a  conoscenza.\nSe la causa di merito e\u0027 devoluta alla giurisdizione  di  un  giudice\nstraniero  o  ad  arbitrato,  ovvero  se  l\u0027azione  civile  e\u0027  stata\nesercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti previsti\ndal presente articolo devono essere  richiesti  dal  giudice  che  ha\nemanato   il   provvedimento   cautelare,   salvo   quanto   disposto\ndall\u0027articolo 818, primo comma»; \n        b) nel 2° comma dell\u0027art. 283 del codice di procedura  civile\n- introdotto proprio dalla Riforma Cartabia -  in  virtu\u0027  del  quale\nl\u0027istanza di sospensiva dell\u0027efficacia  esecutiva  o  dell\u0027esecuzione\ndella sentenza impugnata  «puo\u0027  essere  proposta  o  riproposta  nel\ngiudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze  che\ndevono  essere  specificamente   indicati   nel   ricorso,   a   pena\nd\u0027inammissibilita\u0027». \n    Ovviamente, se il provvedimento,  contenente  la  misura  di  cui\nall\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile  e  emanato  in  sede\ncognitiva, non sia ancora  definitivo,  revoca  o  modifica  potranno\nessere  richieste  al  giudice  della  cognizione,  con  il   reclamo\n(articoli 183-ter e 669-terdecies del codice di procedura  civile)  o\nanche in sede di gravame della sentenza. \n    Nell\u0027ipotesi in cui il  provvedimento  non  sia  piu\u0027  tangibile,\nl\u0027istanza di revoca o modifica  non  potranno  essere  presentate  al\ngiudice   dell\u0027esecuzione(6),    ma,    quando    il    provvedimento\ngiurisdizionale non sia ancora, definitivo, tale  potere  processuale\nsarebbe esercitabile, anche ex officio. \n    Ovviamente, deve ritenersi che tale principio operi limitatamente\nai provvedimenti che si proiettino  nel  tempo  e  che  non  assumano\nefficacia di giudicato, almeno inteso in senso stretto, come  quelli,\nper l\u0027appunto, di natura cautelare,  quale  e\u0027  quello  del  caso  di\nspecie. \n    Laddove, invece, il provvedimento sia assistito  dal  crisma  del\ngiudicato  formale,  perche\u0027  emesso  a  seguito  di  un  giudizio  a\ncognizione   piena,   affermarne   la   rivedibilita\u0027   ingenererebbe\nun\u0027evidente aporia logica. Cio\u0027, salvo assumere  la  configurabilita\u0027\ndi giudicati cedevoli o relativi che, invero, appare una costruzione,\ndi per se\u0027, «barocca» e priva di linearita\u0027 logica oltre  che  essere\nin contrasto con il generale principio di certezza del  diritto  (che\nlo stesso giudice comunitario ha ritenuto essere presidio di civilta\u0027\ngiuridica) e di tutela del legittimo affidamento. \n    Orbene,  secondo  tale   prospettazione   teorica,   il   giudice\ndell\u0027esecuzione, in difetto di un giudicato, potrebbe, in ogni  caso,\nritenere che la sopravvenuta esorbitanza dell\u0027importo  rispetto  agli\ninteressi da tutelare costituisca una modifica delle circostanze  che\nil  giudice  della  cognizione  (piena  o  sommaria)  abbia  posto  a\nfondamento della sua determinazione; con la conseguente  possibilita\u0027\ndi apporvi un limite massimo. \n    4.2. La riduzione d\u0027ufficio della penale manifestamente eccessiva\nquale argomento logico richiamabile a favore  della  possibilita\u0027  di\napporre d\u0027ufficio un tetto massimo.  L\u0027estensione  del  principio  di\nnecessario equilibrio del rapporto contrattuale, ad opera del Giudice\ndelle leggi, alla caparra confirmatoria (seppur ricorrendo al diverso\nrimedio della sanzione della nullita\u0027 parziale). \n    In  secondo  luogo,  secondo  taluni   autori,   accogliendo   la\nricostruzione della misura coercitiva quale speciale clausola  penale\no quale penale sui  generis,  sarebbe  applicabile  l\u0027art.  1384  del\ncodice civile(7) che subordina l\u0027applicabilita\u0027 della riduzione della\nstessa alla  circostanza  che  l\u0027obbligazione  principale  sia  stata\neseguita in  parte  oppure  che  la  prestazione  sia  manifestamente\nsproporzionata, avuto sempre riguardo all\u0027interesse che il  creditore\naveva all\u0027adempimento. \n    Si ritiene che, ammettendo l\u0027operare  del  potere  di  riduzione,\nanche ex officio, dell\u0027entita\u0027 della misura coercitiva, in tal  caso,\npraticabile solo dal giudice della cognizione, dovrebbe  ritenersi  a\nfortiori  che  lo  stesso  possa  determinare  ex   post   un   tetto\nquantitativo massimo all\u0027operare delle stesse. E quando cio\u0027 non  sia\naccaduto, analogo potere dovrebbe riconoscersi  in  capo  al  giudice\ndell\u0027esecuzione. \n    D\u0027altronde, se la novella del 2022 ha riconosciuto il potere  per\nil G.e. di irrogare,  per  la  prima  volta,  l\u0027astreinte,  non  puo\u0027\nragionevolmente escludersi che lo stesso possa porre un tetto massimo\na quella irrogata, aliunde, ovvero in sede di cognizione. \n    Cio\u0027, secondo il principio, logico prima che  giuridico,  secondo\ncui «nel piu\u0027 sta il meno», ovvero, il riconoscimento di un potere di\nuna certa ampiezza e latitudine, implica la tacita attribuzione anche\ndi una facolta\u0027 a contenuto piu\u0027  ristretto,  idealmente,  ricompresa\nnella prima. \n    Invero, la trasposizione in relazione alla misura coercitiva  del\nregime proprio della clausola penale, impone la  ricostruzione  della\nnatura di entrambe al fine di  vagliarne  l\u0027eventuale  accostabilita\u0027\nsotto il profilo funzionale. \n    Come gia\u0027 evidenziato, plurime sono  le  teorie  che  sono  state\nventilate con riguardo alla seconda. \n    E\u0027 stata  elaborata  una  prima  tesi  che  sostiene  la  natura,\nessenzialmente, risarcitoria della penale, di  predeterminazione  del\ndanno e di esonero dalla  relativa  prova  in  un\u0027ottica  chiaramente\nsemplificatoria, in relazione alla  quale  l\u0027intervento  del  giudice\nassume una funzione correttiva e di riequilibrio contrattuale. \n    Tale ricostruzione muove dalla considerazione per  cui  l\u0027opposta\nqualificazione  in  termini  di  pena  avrebbe  contrastato  con   il\nprincipio per cui, nel nostro ordinamento, sono da ritenersi  bandite\nle  pene  private,  essendo  il  potere   sanzionatorio   prerogativa\nesclusiva dello Stato e, piu\u0027 esattamente -  dato  l\u0027attuale  assetto\ndell\u0027ordinamento costituzionale -  dei  pubblici  poteri  centrali  e\nlocali. \n    E\u0027, infatti, indubbio che il  nostro  ordinamento  sia  ispirato,\ndopo la novella costituzionale del 2001, al  principio  pluralista  e\nche lo stesso sia connotato da un sistema di governo  multilivello  e\naffidato al dialogo fra  piu\u0027  enti  territoriali  di  pari  dignita\u0027\ncostituzionale. \n    E\u0027 chiaro che l\u0027adesione a tale ricostruzione e\u0027 idonea a rendere\ndifficilmente accostabili i  due  istituti,  essendo  inequivoco  che\nl\u0027astreinte, per la preminente opzione  interpretativa,  non  assolva\nmai  ad  una  funzione  risarcitoria,  ovvero  di  compensazione  del\npregiudizio subito dal creditore. \n    Cio\u0027, salvo  che  si  acceda  alla  tesi  ricostruttiva  per  cui\nl\u0027introduzione,   quale   criterio   commisurativo   della    stessa,\ndell\u0027utilitas tratta dal debitore,  sarebbe  idonea  ad  attrarre  la\nstessa nell\u0027alveo del risarcimento del danno c.d. punitivo. \n    La  sovrapposizione  delle  due  fattispecie  rimediali   diviene\nagevole  ove,  invece,  si  opti  per  la  ricostruzione  in  termini\nsanzionatori,  nel  qual   caso   l\u0027intervento   giudiziale   sarebbe\npreordinato a garantire l\u0027adeguatezza e la congruita\u0027 della sanzione. \n    Invero, esiste, come  noto,  anche  una  terza  ricostruzione  in\nrelazione alla natura della penale che distingue tra: \n        clausola  penale  c.d.   «pura»   (con   funzione   meramente\npreventiva di coazione all\u0027adempimento e, successivamente, punitiva); \n        la clausola penale «non pura» (quella nella quale  le  parti,\ncon  dichiarazione  espressa,  hanno  introdotto   la   funzione   di\nliquidazione del danno indipendentemente della prova di esso. \n    Nell\u0027ipotesi  di  clausola  penale  «non  pura»,  la  parte   non\ninadempiente potrebbe non domandare l\u0027adempimento  della  prestazione\ndedotta nella penale e preferire il risarcimento integrale del danno.\nCio\u0027, in virtu\u0027 di un\u0027applicazione analogica dell\u0027art. 1385, comma 3,\ncc. \n    A  tal  riguardo,  si  rende   opportuna   una   breve   disamina\ndell\u0027istituto. \n    Al fine di comprendere se la riduzione  della  misura  coercitiva\nindiretta possa avvenire anche d\u0027ufficio, potrebbe essere  richiamate\nle stesse considerazioni svolte dalla suprema  Corte  in  materia  di\nclausola penale. \n    Al momento dell\u0027entrata in vigore del codice civile del 1942,  la\ngiurisprudenza della Corte di cassazione era concorde  nell\u0027affermare\nche il potere del Giudice di ridurre la  penale  non  potesse  essere\nesercitato d\u0027ufficio, sebbene talvolta  si  fosse  affermato  che  la\nrichiesta di  riduzione  della  penale  dovesse  ritenersi  implicita\nnell\u0027affermazione di nulla dovere a tale titolo. \n    Invero, con il passare del tempo, e\u0027 venuto  emergendo  un  altro\norientamento, che, al fine di mitigare il rigore del dato  normativo,\nha  affermato  che  l\u0027istanza  di  riduzione  della  penale   potesse\nritenersi implicita nella deduzione difensiva di non dovere alcunche\u0027\na tale titolo. \n    Tale tesi e\u0027 stata, successivamente, oggetto di revisione critica\nad opera della sentenza n. 10511/1999 della Corte di cassazione,  che\nha, invece, ritenuto che la penale potesse essere ridotta ex officio,\nanche in assenza di una sollecitazione delle parti in tal senso(8) \n    Tale opzione esegetica si e\u0027 fondata su due distinte ragioni: \n        1. la prima relativa «al riscontro nella giurisprudenza,  che\nfino ad  allora  aveva  negato  il  potere  del  giudice  di  ridurre\nd\u0027ufficio la penale, di taluni cedimenti, individuati nel fatto  che,\nin alcune  delle  pronunzie,  l\u0027ossequio  al  principio  tradizionale\nappariva solo formale, poiche\u0027 si giungeva  talvolta  a  ritenere  la\ndomanda di riduzione implicita  nell\u0027assunto  della  parte  di  nulla\ndovere a titolo di penale ovvero l\u0027eccezione relativa proponibile  in\nappello»; \n        2.  la  seconda  fondata  «sull\u0027osservazione  che   l\u0027esegesi\ntradizionale non appariva piu\u0027 adeguata alla luce  di  una  rilettura\ndegli  istituti  codicistici  in  senso  conformativo   ai   precetti\nsuperiori della Costituzione, individuati nel dovere di  solidarieta\u0027\nnei rapporti intersoggettivi (art. 2  Cost.),  nell\u0027esistenza  di  un\nprincipio di  inesigibilita\u0027  come  limite  alle  pretese  creditorie\n(Corte cost. n. 19/1994), da valutare insieme ai canoni  generali  di\nbuona fede oggettiva e di correttezza  (articoli  1175,  1337,  1359,\n1366, 1375 del codice civile)». \n    La suprema Corte, a  Sezioni  Unite,  con  la  pronuncia  del  13\nsettembre 2005 n. 18128, componendo il  contrasto  interpretativo  al\nriguardo, ha optato per tale ultima soluzione. \n    A tale esito, e\u0027 pervenuta tentando di superare le critiche mosse\ndalla tesi tradizionale, contraria alla riducibilita\u0027 d\u0027ufficio. \n    La  tesi  «negazionista»  invocava  il  generale  principio  c.d.\ndispositivo che conformerebbe anche la fattispecie  di  cui  all\u0027art.\n1384 del codice civile, secondo cui il giudice non  puo\u0027  pronunciare\nse non nei limiti della domanda  e  delle  eccezioni  proposte  dalle\nparti. \n    Dal punto  di  vista  processuale,  pertanto,  si  era  affermato\n(Cass., sez. lav., 19 aprile  2002  n.  5691)  che  la  richiesta  di\nriduzione  ad  equita\u0027  doveva   tenere   conto   delle   preclusioni\nprocessuali  previste  nel  contesto  dei  diversi   riti,   con   la\nconseguenza, ad esempio, che, nel processo  del  lavoro,  la  domanda\ndoveva essere avanzata soltanto  nel  ricorso  introduttivo  o  nella\ncomparsa di risposta, oppure nel primo atto difensivo  successivo  al\nverificarsi di fatti sopravvenuti idonei ad  incidere  sull\u0027ammontare\ndella penale. \n    Orbene,  secondo  le  Sezioni  Unite,  «il  giudice  che   riduca\nl\u0027ammontare della penale, al cui pagamento il  creditore  ha  chiesto\nche il debitore sia condannato, non viola(va) in alcun modo la  prima\nproposizione del richiamato art. 112 del codice di procedura  civile,\natteso che il limite postogli dalla norma (era), in  linea  generale,\nche egli non puo\u0027 condannare il debitore ad  una  somma  superiore  a\nquella richiesta, mentre puo\u0027 condannarlo al pagamento di  una  somma\ninferiore». \n    Peraltro, l\u0027art. 112 del codice di procedura civile, nel disporre\nche il Giudice  non  puo\u0027  pronunciare  d\u0027ufficio  su  eccezioni  che\npossono essere proposte soltanto dalle parti, lasciava intendere  che\nvi sono, oltre alle eccezioni proponibili soltanto dalle parti, anche\neccezioni che non lo sono e, in quanto tali, rilevabili d\u0027ufficio. \n    Se cosi\u0027 e\u0027, allora, il problema della riducibilita\u0027 della penale\nnon era risolto dal riferimento all\u0027art. 112 del codice di  procedura\ncivile e dalla verifica della sua osservanza, ma  dalla  risposta  al\nquesito se la riduzione della penale sia oggetto di una eccezione che\npuo\u0027 essere proposta soltanto dalla parte. \n    A tal riguardo, giova ricordare che le eccezioni in senso stretto\nrappresentano  un   numerus   clausus,   essendo   tutte   le   altre\nriconducibili al potere di rilevazione del giudice adito. \n    Cio\u0027 premesso, secondo le Sezioni Unite, l\u0027art. 1384  del  codice\ncivile  non  conteneva   alcun   riferimento   all\u0027imprescindibilita\u0027\ndell\u0027eccezione della parte, quale presupposto per  l\u0027attivazione  del\npotere di riduzione. \n    Peraltro,   in   alcune   pronunce,   l\u0027ossequio   al   principio\ntradizionale appariva solo formale, poiche\u0027 si  giungeva  talvolta  a\nritenere la domanda di riduzione implicita nell\u0027assunto  della  parte\ndi nulla dovere  a  titolo  di  penale  ovvero  l\u0027eccezione  relativa\nproponibile in appello (Cass., sez.  III,  30  marzo  1984  n.  2112;\nCass., sez. II, 26 gennaio 1982 n. 519; Cass., sez.  III,  26  giugno\n1981 n. 4157(9). \n    Il  secondo   argomento   storico,   invocato   dall\u0027orientamento\nmaggioritario, era quello per cui la riduzione della  penale  sarebbe\nposta a tutela di un interesse individuale e particolare, quello  del\ndebitore a non subire un eccessivo  sacrificio  della  propria  sfera\ngiuridica; ragione per cui a tal  ultimo  sarebbe  stata  rimessa  la\ndecisione del riequilibrio della penale. \n    Orbene, per la suprema Corte anche questo argomento si fondava su\nun assioma non dimostrato e  cioe\u0027  che  l\u0027istituto  della  riduzione\ndella penale fosse predisposto nell\u0027interesse della parte debitrice. \n    In particolare,  \"una  affermazione  di  questo  tipo  appar(iva)\ncontraddetta dall\u0027osservazione che la penale  «puo\u0027»  ma  non  «deve»\nessere ridotta dal  giudice,  avuto  riguardo  all\u0027interesse  che  il\ncreditore aveva all\u0027adempimento\". \n    Da cio\u0027 si desumeva che: \n        a) non esisteva un diritto del debitore alla riduzione  della\npenale; \n        b) il criterio che il Giudice doveva utilizzare per  valutare\nse una penale fosse eccessiva aveva natura oggettiva, atteso che  non\nera previsto che il Giudice  dovesse  tenere  conto  della  posizione\nsoggettiva del debitore e del riflesso  che  sul  suo  patrimonio  la\npenale potesse avere, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle\nparti, mentre il riferimento all\u0027interesse  del  creditore  aveva  la\nsola funzione di indicare lo strumento per mezzo del  quale  valutare\nse la penale sia manifestamente eccessiva o meno. \n    Ne discendeva, logicamente, che, pur sostanziandosi la  riduzione\ndella penale in un provvedimento che rende in concreto  meno  onerosa\nla posizione del debitore e che deve  essere  adottato  tenuto  conto\ndell\u0027interesse che il creditore aveva all\u0027adempimento, il  potere  di\nriduzione  appariva  attribuito  al  Giudice  non   per   la   tutela\ndell\u0027interesse della parte tenuta  al  pagamento  della  penale,  ma,\npiuttosto, a tutela di un interesse che lo trascendeva  e  di  natura\nsovraindividuale(10). \n    Infine, il supremo Collegio ha ritenuto non determinante  neppure\nl\u0027argomento per cui il giudice, nell\u0027esercizio dei poteri  equitativi\ndiretti  alla  determinazione  dell\u0027oggetto  dell\u0027obbligazione  della\nclausola, non dispone di altri parametri di  giudizio  rispetto  alla\nverifica  dell\u0027equilibrio  raggiunto  dalle   parti   stesse,   nelle\npreventiva determinazione delle conseguenze dell\u0027inadempimento. \n    E cio\u0027 sia con riguardo al  momento  genetico  sia  in  relazione\nall\u0027attuazione concreta del rapporto. \n    Ha  affermato,  infatti,  che  questo  argomento   non   appariva\ndecisivo,   considerando   che   la   mancata   allegazione   (o   la\nimpossibilita\u0027 di riscontri negli atti acquisiti) della  eccessivita\u0027\ndella penale  puo\u0027  rendere  in  concreto  maggiormente  difficoltoso\nl\u0027accertamento della  medesima,  ma  non  costituisce,  di  per  se\u0027,\ncircostanza  preclusiva  dell\u0027esercizio  officioso  del  potere   del\ngiudice. \n    A tal proposito, richiamava cio\u0027 che accade in tema  di  nullita\u0027\ndel contratto, che  il  Giudice  puo\u0027  dichiarare  d\u0027Ufficio  purche\u0027\nrisultino dagli atti i presupposti della nullita\u0027 medesima (Cass.  n.\n4062/87), senza  che  per  l\u0027accertamento  della  nullita\u0027  occorrano\nindagini di fatto per le quali manchino gli elementi necessari (Cass.\nn. 1768/86, 4955/85, 985/81), e piu\u0027 di  recente  Cass.  n.  1552/04,\nsecondo  cui  «La  rilevabilita\u0027  d\u0027Ufficio  della  nullita\u0027  di   un\ncontratto prevista dall\u0027art. 1421 del codice civile non comporta  che\nil Giudice sia obbligato ad un accertamento d\u0027ufficio in  tal  senso,\ndovendo  invece  detta  nullita\u0027  risultare  \"ex  actis\",  ossia  dal\nmateriale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo  i\npoteri officiosi del Giudice limitati al rilievo della nullita\u0027 e non\nintesi percio\u0027 ad esonerare la parte dall\u0027onere  probatorio  gravante\nsu di essa». \n    Secondo  le  Sezioni  Unite,  il  potere  conferito  al   giudice\ndall\u0027art. 1384 del codice civile di ridurre la penale  manifestamente\neccessiva era da considerarsi fondato sulla necessita\u0027 di  correggere\nl\u0027esercizio dell\u0027autonomia  privata,  mediante  l\u0027attivazione  di  un\npotere equitativo che ristabilisca un congruo  contemperamento  degli\ninteressi   contrapposti,   valutando   l\u0027interesse   del   creditore\nall\u0027adempimento,  cui  ha  diritto,  tenendosi  conto  dell\u0027effettiva\nincidenza di esso sull\u0027equilibrio delle prestazioni e sulla  concreta\nsituazione contrattuale. \n    Cio\u0027, a tutela di un interesse  superiore  all\u0027osservanza  di  un\ngenerale principio di equilibrio che ha un fondamento  essenzialmente\nequitativo. \n    Secondo il supremo consesso, la legge,  quindi,  nel  riconoscere\nl\u0027autonomia contrattuale delle parti, ne sanciva i limiti  operativi.\nLa verifica dell\u0027osservanza del rispetto di tali ultimi e\u0027  demandato\nal Giudice, che non puo\u0027 riconoscere tutela al diritto fatto  valere,\nse esso si fonda su un contratto il cui contenuto  non  sia  conforme\nalla legge ovvero sia diretto a realizzare interessi che non appaiono\nmeritevoli secondo l\u0027ordinamento giuridico. \n    L\u0027intervento  del  Giudice,  in  tali  casi,   e\u0027   indubbiamente\nesercizio di un potere officioso attribuito dalla legge. \n    Lo stesso articolo 1384 c.c.m secondo la  suprema  Corte,  doveva\nconsiderarsi mero momento di  emersione  formale  di  tale  principio\ngenerale che avrebbe portata  inderogabile  e  sarebbe,  comunque,  a\nimporsi all\u0027autonomia delle parti. \n    Se nel nostro ordinamento non fosse stato previsto e disciplinato\nl\u0027istituto della clausola  penale  e,  tuttavia,  le  parti  avessero\nintrodotto in  un  contratto  una  clausola  con  tale  funzione,  il\nGiudice, chiamato a pronunciarsi in ordine ad una domanda di condanna\ndel  debitore  al  pagamento  della  penale  pattuita   per   effetto\ndell\u0027inadempimento, avrebbe dovuto formulare, d\u0027ufficio, un  giudizio\nsulla validita\u0027 della clausola; giudizio  che  avrebbe  potuto  avere\nesito negativo, ove fosse stato ravvisato un  contrasto  dell\u0027accordo\ncon principi fondamentali dell\u0027ordinamento, ad esempio per  il  fatto\nche la penale doveva essere pagata anche se il danno non sussisteva. \n    In questo caso, vi sarebbe stato  un  controllo  d\u0027ufficio  sulla\ntutelabilita\u0027 dell\u0027accordo delle parti e, ove il controllo  si  fosse\nconcluso negativamente, la tutela, programmata dall\u0027ordinamento,  non\nsarebbe stata accordata. \n    Nel nostro diritto positivo, questo controllo non  e\u0027  necessario\nperche\u0027 l\u0027istituto e\u0027 riconosciuto e disciplinato dal legislatore che\nha  effettuato  una  valutazione,  di  tipo  preventivo,  generale  e\nastratta circa la liceita\u0027 della fattispecie (art. 1382 e  segg.  del\ncodice civile). \n    Le Sezioni  Unite  hanno  invocato,  inoltre,  la  necessita\u0027  di\nun\u0027esegesi costituzionalmente orientata della norma, secondo cui tale\npotere  giudiziale  di  riduzione  della   penale   potrebbe   essere\nesercitato  d\u0027ufficio.  E  cio\u0027  sia  con  riferimento  alla   penale\nmanifestamente eccessiva, sia con riferimento all\u0027ipotesi in  cui  la\nriduzione avvenga perche\u0027  l\u0027obbligazione  principale  sia  stata  in\nparte eseguita, giacche\u0027 in quest\u0027ultimo caso, la mancata  previsione\nda parte dei contraenti di una riduzione  della  penale  in  caso  di\nadempimento di parte dell\u0027obbligazione, si traduce  comunque  in  una\neccessivita\u0027 della penale  se  rapportata  alla  sola  parte  rimasta\ninadempiuta. \n    La suprema Corte ha invocato i principi conformatori della stessa\ncostruzione costituzionale, ovvero: \n        a) il dovere di  solidarieta\u0027  nei  rapporti  intersoggettivi\n(art. 2 Cost.); \n        b)  il  principio  generale  di  inesigibilita\u0027  come  limite\n(esterno) alle pretese creditorie (C. cost. n.  19/94),  fondato  sui\ncanoni generali di buona fede oggettiva e  di  correttezza  (articoli\n1175, 1337, 1359, 1366, 1375 del codice  civile)  e  suscettibile  di\nfondare  il  ricorso  ad  un\u0027eccezione  o  anche  ad   un\u0027azione   di\naccertamento dell\u0027eventuale superamento di tale limite. \n    Con riguardo a tale principio di inesigibilita\u0027, richiamato dalle\nSS.  UU.,  esso  trova  riscontro  in  talune  pronunce  della  Corte\ncostituzionale(11). \n    Questo principio di inesigibilita\u0027 era gia\u0027 stato affermato anche\ndalle supreme magistrature, ordinaria e amministrativa(12). \n    Peraltro, tale principio non e\u0027 applicabile soltanto  nell\u0027ambito\ndell\u0027ordinamento giuridico statale(13) \n    Secondo le S.U. del 2005,  si  rende,  pertanto,  necessaria  una\nlettura della norma di cui all\u0027art. 1384 del codice civile che meglio\nrispecchi l\u0027esigenza di tutela di un interesse oggettivo fondato  sui\nprincipi costituzionali richiamati. \n    Proprio il suddetto principio viene  evocato  in  supporto  della\ntesi favorevole alla possibilita\u0027, per il giudice  della  cognizione,\ndi predeterminare ex ante il tetto massimo delle  misure  coercitive;\nnonche\u0027, per quello dell\u0027esecuzione, di procedere, sia su istanza  di\nparte sia ex officio, ad una determinazione ex post. \n    Invero, ritiene questo Giudice remittente che forti dubbi sorgono\nin relazione alla possibilita\u0027  che  cio\u0027  possa  avvenire  anche  in\npresenza  di  una   volonta\u0027   di   segno   opposto   (ed   espressa)\ndell\u0027obbligato che ben puo\u0027 scegliere, per una qualunque ragione,  di\nsoggiacere ad una sanzione sproporzionata e di prestarvi adesione. \n    Peraltro, il principio  di  necessario  equilibrio  del  rapporto\ncontrattuale,  o  meglio  di   non   eccessiva   sproporzione   delle\nprestazioni legate da un vincolo sinallagmatico, sposato con riguardo\nalla clausola penale, e\u0027 stato trasposto anche in materia di  caparra\nconfirmatoria. \n    Infatti, con un\u0027ordinanza (ord. 2 aprile 2014, n. 77), il giudice\ndelle  leggi  si  e\u0027  pronunciato,  nuovamente,  sulla  questione  di\nlegittimita\u0027 costituzionale del  secondo  comma  dell\u0027art.  1385  del\ncodice civile «nella parte in cui non dispone che - nelle ipotesi  in\ncui la parte che ha dato la caparra  e\u0027  inadempiente,  l\u0027altra  puo\u0027\nrecedere dal contratto, ritenendo la caparra e nella ipotesi in  cui,\nse inadempiente e\u0027 invece la parte che l\u0027ha  ricevuta,  l\u0027altra  puo\u0027\nrecedere dal contratto ed  esigere  il  doppio  della  caparra  -  il\ngiudice possa equamente ridurre la somma da ritenere o il  doppio  da\nrestituire, in ipotesi di manifesta  sproporzione  o  ove  sussistano\ngiustificati motivi». \n    La  questione  e\u0027  stata  dichiarata  inammissibile  dalla  Corte\ncostituzionale, la quale ha evidenziato come ai sensi dell´art.  1385\ndel codice civile non operi alcun automatismo di  attribuzione  della\ncaparra in favore del contraente, rimasto adempiente. E  cio\u0027,  anche\nladdove ricorra una manifesta sproporzione,  in  quanto  gli  effetti\ncontrattuali sono, sempre, eterointegrati dalle norme di  legge,  con\ncarattere  imperativo  e  imponentisi  all\u0027autonomia  negoziale,  con\nconseguente interferenza sull\u0027assetto di interessi, programmato dalle\nparti. \n    In particolare, a venire in rilievo, in chiave integrativa, e\u0027 la\nbuona fede contrattuale di cui all\u0027art. 1375 del codice  civile  che,\ncome  noto,  rinviene  il  proprio  fondamento   costituzionale   nel\nprincipio solidaristico di cui all\u0027art. 2 Cost. \n    Dunque, in ipotesi di evidente sproporzione, continua  la  Corte,\nil Giudice e\u0027 legittimato a rilevare ex officio la nullita\u0027  ex  art.\n1418 del codice civile della clausola contrattuale, introduttiva, nel\nregolamento contrattuale, della caparra confirmatoria, derivando tale\nradicale sanzione dal contrasto della regola negoziale con  l´art.  2\nCost.  (che   pone   l\u0027adempimento   del   dovere   inderogabile   di\nsolidarieta\u0027), che entra direttamente  nel  contratto,  in  combinato\ncontesto  con  il  canone  della  buona  fede,  cui  attribuisce  vis\nnormativa, «\"funzionalizzando cosi\u0027  il  rapporto  obbligatorio  alla\ntutela anche dell\u0027interesse del partner negoziale nella misura in cui\nnon  collida  con  l\u0027interesse  proprio  dell\u0027obbligato\"  (Corte   di\ncassazione n. 10511 del  1999;  ma  gia\u0027  n.  3775  del  1994  e,  in\nprosieguo, a Sezioni unite, n. 18128 del 2005 e n. 20106 del 2009)». \n    Tale  pronuncia  mutua  le  conclusioni  cui  era  pervenuta  una\nprecedente ordinanza del Giudice delle leggi (ord. n. 248/2013) sulla\nmedesima questione, pervenendo a generalizzare il principio  per  cui\nil regolamento contrattuale deve essere ispirato ad un equilibrio che\nnon risulti, gravemente, alterato in favore di una delle parti  e  in\ndanno dell\u0027altra. \n    Da notare, pero\u0027, come l\u0027estensione del principio  di  necessario\nequilibrio del rapporto contrattuale,  ad  opera  del  Giudice  delle\nleggi, alla caparra confirmatoria sia avvenuto, ricorrendo al diverso\nrimedio della sanzione della nullita\u0027 parziale. \n    Cio\u0027, peraltro, nel contesto di un\u0027operazione  esegetica  che  ha\nattribuito alla buona fede oggettiva, una funzione,  eccezionalmente,\ninvalidatoria, a fronte di un suo consueto utilizzo in chiave di mera\neterointegrazione del rapporto contrattuale. \n    4.3. Il fondamento equitativo del potere del G.e. di  fissare  ex\npost un limite massimo all\u0027astreinte,  determinata  dal  giudice  del\nmerito; cosi\u0027 come dello stesso potere del giudice  della  cognizione\ndi provvedere alla sua riduzione (ove non gia\u0027 coperta da giudicato) \n    In ogni caso, deve ritenersi che la riduzione rinvenga il proprio\nfondamento  nel  principio  equitativo,  quale  ratio   decidendi   -\nricorribile solo in difetto di una previsione di legge, gia\u0027 idonea a\nregolare la fattispecie concreta - che, secondo un  illustre  autore,\n«assicura il saggio bilanciamento degli interessi in  gioco  dando  a\nciascun uomo il suo senza sottrarre quanto spetta agli altri».  Essa,\ninfatti,   «significa    ricerca    d\u0027equilibrio    tra    situazioni\nantagonistiche». \n    Il richiamo della stessa assume ancora piu\u0027 rilievo in virtu\u0027 del\nruolo, attualmente, rivestito dalla equita\u0027 nell\u0027ambito  delle  fonti\ndel diritto, quale principio,  al  pari  di  molti  altri,  non  piu\u0027\nrelegato ad una funzione di mero supporto dell\u0027esegesi, ma dotato  di\nuna funzione,  per  cosi\u0027  dire,  «normopoietica»,  ovvero  di  fonte\nregolativa di tutte le fattispecie non espressamente disciplinate. \n    E cio\u0027 al di la\u0027 della circostanza che la  stessa  possa  operare\nsecondo  lo  schema  dell\u0027equita\u0027   secundum   legem,   sia,   cioe\u0027,\nespressamente richiamata dal titolo contrattuale o dalla legge. \n    Invero, l\u0027equita\u0027,  nell\u0027attuale  assetto  ordinamentale,  sembra\naver assunto una  triplice  configurazione:  1.  quella  di  criterio\ninterpretativo del regolamento contrattuale o anche  solo  negoziale;\n2. quella di fonte eterointegrativa del contratto o  del  negozio  in\nvirtu\u0027 della clausola  generale  di  cui  all\u0027art.  1374  del  codice\ncivile; 3.  quella  di  strumento  di  disciplina  della  fattispecie\nconcreta, seppur in una chiave di residualita\u0027 rispetto alla norma di\nlegge ordinaria (o costituzionale, ove direttamente precettiva). \n    In particolare, tal ultima funzione troverebbe la propria  ragion\ndi essere nella preesistenza dell\u0027equita\u0027 e, dunque, del c.d. diritto\nnaturale -  quale  insieme  di  regole  necessariamente  generali  e,\ntendenzialmente, onnicomprensive perche\u0027 innate ai rapporti  umani  -\nrispetto al diritto positivo; diritto positivo  che  dovrebbe  sempre\nambire a recepire la prima, quale condizione per la sua stessa valida\nformazione e cogenza. \n    La legge formale deve (o meglio, dovrebbe), sempre, «rispettare i\ndiritti naturali (ossia i diritti innati e non «posti»)  dell\u0027uomo  e\ndeve nello stesso tempo piegarsi di fronte  agli  ideali  di  equita\u0027\nallo scopo di evitare che il summum ius degradi in summa iniura». \n    D\u0027altronde, come sottolineato dalla gia\u0027 menzionata dottrina,  e\u0027\nindubbio che l\u0027equita\u0027 non possa non «compenetr(are) il  diritto;  il\ndiritto senza equita\u0027 e\u0027 come un corpo  che  non  si  lascia  vibrare\ndall\u0027anima; il valore sostanziale del diritto e\u0027  ravvisabile  quando\nrealizzi un ordine sociale giusto». \n    Cio\u0027, anche perche\u0027 \"il diritto non e\u0027 un «ordine cieco»,  ma  e\u0027\n«ordine  cosciente»,  ossia  un  ordine  ancorato  ai  valori   della\numanita\u0027, tolleranza, coerenza e giustizia\". \n    Invero,  nel  codice  civile,  le  norme   che   fanno   espresso\nriferimento all\u0027equita\u0027 sono scarse, o, comunque, poche. \n    Esse  sembrano  fondarsi  su  due  principi  comuni,  che   sono,\nprobabilmente, in parte, suscettibili di una revisione critica: 1. il\ngiudizio secondo equita\u0027 e\u0027 diverso da quello secondo stretto diritto\ne consente di temperarne il rigore applicativo, ovvero di coniare una\nregola decisoria che tenga conto di tutte le circostanze del caso  di\nspecie; 2. il ricorso all\u0027equita\u0027 e\u0027  possibile  solo  se  la  stessa\nnorma di diritto  positivo  lo  consenta,  con  previsione  espressa,\ndovendosi  altrimenti  fare  applicazione  della  regola  di  stretto\ndiritto. \n    In taluni casi, come rilevato da acuta dottrina il  ricorso  allo\nstrumento equitativo puo\u0027 discendere, in via implicita, dal  richiamo\nalla categoria di uno strumento rimediale,  intrinsecamente,  fondato\nsullo stesso quale deve intendersi quello indennitario  di  cui  agli\narticoli 1381 e 2047 del codice civile. \n    Infatti, «l\u0027indennizzo, a differenza del risarcimento  del  danno\nda inadempimento contrattuale,  costituisce  un  minus  negli  stessi\ntermini in cui l\u0027indennita\u0027 dovuta dall\u0027amministrazione  espropriante\nal proprietario rappresenta una prestazione monetaria che  non  copre\nil valore di mercato  del  bene.  Sotto  il  profilo  della  concreta\ncommisurazione,  \"l\u0027indennizzo,  tenuto   conto   delle   circostanze\nconcrete, non deve necessariamente  eguagliare  l\u0027intero  pregiudizio\nsofferto dalla vittima\" e  \"la  quantificazione  della  somma  dovuta\ndall\u0027obbligato  giustifica  l\u0027uso  di  criteri  equitativi,  i  quali\nsciolgono il diritto vivente dalla morsa dell\u0027art.  1223  del  codice\ncivile». \n    Da cio\u0027 la dottrina tradizionale trae il corollario  per  cui  il\nricorso all\u0027equita\u0027, anche in  sede  interpretativa,  dovrebbe  avere\nnatura eccezionale. Paradigmatica di questa logica  di  funzionamento\ndelle norme in materia di  equita\u0027  e\u0027  l\u0027articolo  1374  del  codice\ncivile, che  disciplina  le  fonti  di  integrazione  del  contratto,\nmenzionando l\u0027equita\u0027 unitamente alla  legge  e  agli  usi  normativi\nquali possibili fonti del regolamento contrattuale. Cio\u0027, secondo  un\nordine non casuale ma, secondo la interpretazione  piu\u0027  accreditata,\npreordinato a individuare una vera  e  propria  gerarchia  in  virtu\u0027\ndella quale l\u0027(eventuale) operare della prima  esclude  quello  della\nseconda. \n    Riferimenti  all\u0027equita\u0027   sono   contenuti   anche   in   ambito\nprocessuale,   ma   anche   nella   disciplina    delle    trattative\nprecontrattuali cosi\u0027 come dell\u0027esecuzione del  contratto,  assumendo\nla stessa in ogni sede una peculiare vocazione funzionale. \n    L\u0027art.  1371  del  codice  civile  prevede  che,   in   caso   di\nimpossibilita\u0027  di  determinare  il   significato   del   regolamento\ncontrattuale, sarebbe possibile far ricorso all\u0027equo  contemperamento\ndegli interessi delle parti. \n    Anche in tal caso il ricorso all\u0027equita\u0027  e\u0027  residuale,  perche\u0027\nsubordinato  all\u0027inadeguatezza  delle  altre  regole  interpretative,\ndettate dal Codice, e deve  mirare  all\u0027obiettivo  di  conservare  un\nragionevole equilibrio  fra  le  reciproche  prestazioni  dedotte  in\ncontratto. \n    Accanto  all\u0027equita\u0027  in   funzione   interpretativa,   si   puo\u0027\nrichiamare l\u0027equita\u0027 c.d. correttiva che implica la  possibilita\u0027  di\nrimodulare la penale ex art.  1384  del  codice  civile).  Previsioni\nanaloghe sono contenute anche da altri articoli in  tema  di  mandato\n(articoli 1733, 1736 del codice civile), agenzia (ex  articoli  1749,\n1751 del codice civile), mediazione (ex art. 1755 del codice civile). \n    La progressiva emersione del generale principio equitativo  trova\nconferma anche nelle seguenti ipotesi normative. L\u0027art. 7,  comma  1,\ndecreto legislativo n. 231/2002, in materia di ritardi del  pagamento\nnelle transazioni commerciali, prevede  la  nullita\u0027  delle  clausole\ninique nei casi ivi  enumerati  (sebbene  in  tale  ambito  la  parte\nprotetta sia il creditore, considerato come  partie  faible  rispetto\nall\u0027imprenditore suo debitore (siamo nel campo  dei  c.dd.  contratti\nd\u0027impresa); \n        a) l\u0027intera  disciplina  dettata  all\u0027art.  1526  del  codice\ncivile ha una inequivocabile matrice equitativa.  Prova  ne  sia  che\nl\u0027antecedente normativo di tale regola e\u0027 dato dalla Abzahlungsgesetz\n(AbzG)  del  18  maggio  1894.  Essa  innalzo\u0027   un   argine,   tanto\nrivoluzionario quanto pioneristico - estraneo alla logica  formale  e\navalutativa   della   pandettistica   tedesca   della   prima   meta\u0027\ndell\u0027Ottocento -, alla diffusione di condizioni generali di contratto\nfissanti, in caso di inadempimento del  compratore-particulier,  pene\ncontrattuali «strangolatorie» o patti  di  incameramento  delle  rate\ngia\u0027 pagate e destinate a rappresentare un\u0027anticipazione  del  valore\ndi scambio della cosa  compravenduta,  allorche\u0027  l\u0027attuazione  della\ncausa concreta traslativa  fosse  stata  frustrata  dal  sopravvenuto\nscioglimento del contratto di vendita per inadempimento del debitore; \n        b) tutta la disciplina in tema di garanzie  e\u0027  informata  al\nprincipio    di    proporzionalita\u0027,     il     quale     costituisce\nun\u0027estrinsecazione  dell\u0027aequitas.  Tant\u0027e\u0027  che  gli  articoli  1851\n(pegno irregolare), 2893 (pegno  di  credito),  2872  ss.  (riduzione\ndelle ipoteche) e  1941  (in  tema  di  limite  della  fideiussione),\nattestano l\u0027emersione de iure  condito  del  predetto  principio,  in\nguisa da evitare che la forza imperativa del diritto  positivo  venga\nad  assumere  le  improprie  fattezze  di  mezzo  di   vessazione   o\njugulatorio a scapito del debitore principale; \n        c) lo scopo di finanziamento, assicurato  dalla  vendita  con\npatto  di  riscatto  (privo  di  causa  commissoria)  ha  indotto  il\nlegislatore ad applicare il su evocato principio di  proporzionalita\u0027\nonde scoraggiare le condotte prevaricatrici a detrimento di chi vende\nspinto dal bisogno di monetizzare il bene di sua proprieta\u0027. In detta\ndirezione depone l\u0027art. 1500, comma 2, del codice civile, a mente del\nquale il «patto di restituire un prezzo superiore a quello  stipulato\nper la vendita e\u0027 nullo per l\u0027eccedenza». \n    In ultimo, puo\u0027 richiamarsi l\u0027equita\u0027  nella  commisurazione  del\nquantum del danno da risarcire, prevista dagli articoli 1226  e  2056\ndel codice civile. \n    A tal riguardo, non puo\u0027 non menzionarsi  come  alla  Tabella  di\nMilano la suprema Corte  abbia  riconosciuto  valenza  essenzialmente\nparanormativo, non in quanto espressione della  volonta\u0027  legislativa\nin senso proprio e stretto, ma proprio in applicazione del  principio\ndi valutazione equitativa del danno, richiamato  dell\u0027art.  1226  del\ncodice civile. In particolare, come affermato  dalla  suprema  Corte,\ncon la sentenza del  2011,  n.  12408,  alle  tabelle  milanesi  deve\nriconoscersi «una sorta di vocazione nazionale», anche  perche\u0027,  coi\nvalori da esse tabellati, esprimono il valore da ritenersi «equo»,  e\ncioe\u0027 quello in grado di garantire la parita\u0027  di  trattamento  e  da\napplicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti\ncircostanze idonee ad aumentarne o ridurne l\u0027entita\u0027. \n    Cio\u0027, al punto che l\u0027applicazione delle suddette tabelle sarebbe,\ncome  gia\u0027  evidenziato,  oggetto  di   un   vero   e   proprio   uso\n«paranormativo». \n    Le potenzialita\u0027 applicative del principio equitativo sono state,\npero\u0027,  colte  da  quegli  interpreti  che  riconoscono  rilievo   al\nprincipio equitativo, anche al di  fuori  delle  ipotesi  in  cui  la\nstessa sia oggetto di espresso richiamo  da  parte  della  previsione\nnormativa. \n    E cio\u0027 per la sua,  gia\u0027  menzionata,  immanenza  alle  relazioni\numane cosi\u0027 come per la sua anteriorita\u0027 rispetto alla disciplina  di\ndiritto positivo. \n    Sotto il profilo metodologico, la  generalizzazione  del  ricorso\nall\u0027equita\u0027 si avvale, spesso, della mediazione  di  quelle  clausole\ngenerali che  rendono  doverosa  per  l\u0027interprete  una  valutazione,\nsecondo prudenza di tutte le circostanze del caso di specie,  come  i\nprincipi di buona fede e correttezza o il concetto di giusta causa  o\ngiusti motivi, o ancora la locuzione normativa, frequente  specie  in\nmateria di obbligazioni, di «natura dell\u0027affare». \n    Invero, deve, pero\u0027, ritenersi che l\u0027equita\u0027 possa operare  anche\nsenza la  necessita\u0027  della  mediazione  delle  suddette  clausole  o\nprincipi, il ricorso (surrettizio) alle quali denota il timore, anche\nsolo implicito, di sfruttare,  in  maniera  piena,  le  potenzialita\u0027\napplicative dell\u0027istituto. \n    Depongono, in tal senso, una serie di indizi  normativi,  spesso,\nrinvenienti   dalla   disciplina   comunitaria   o   di   derivazione\ncomunitaria. \n    Si pensi al diritto del  consumatore,  qualificato  espressamente\ncome fondamentale, «alla correttezza, alla trasparenza ed all\u0027equita\u0027\nnei  rapporti  contrattuali  concernenti  beni  e  servizi»,  di  cui\nall\u0027art. 1, comma 2, della legge 30 luglio 1998, n. 281,  recante  la\ndisciplina dei diritti dei consumatori. \n    La norma e\u0027 stata inserita nel codice del  consumo  nell\u0027art.  2,\ncomma 2, lettera e), con l\u0027eliminazione della locuzione  «concernenti\nbeni e servizi», cio\u0027 «al fine  di  ampliare  la  originaria  portata\ndella normativa e conferirle un valore generale». \n    Noto  e\u0027  il  dibattitto  sulla  portata  effettiva  o  meramente\ndeclamatoria e simbolica della norma(14) , cosi\u0027 come quello relativo\nal contenuto  del  suddetto  diritto  all\u0027equita\u0027  contrattuale,  se,\ncioe\u0027, ristretto all\u0027equilibrio giuridico ovvero dei  diritti  e  dei\ndoveri derivanti dal contratto o se esteso ai  profili  economici  e,\ndunque, alla proporzionalita\u0027 del valore delle prestazioni(15). \n    Peraltro, si  e\u0027  pure  sostenuto  che  \"il  diritto  all\u0027equita\u0027\ncontrattuale  segnerebbe  il   «superamento»   dell\u0027alternativa   tra\nequilibrio  normativo  ed  equilibrio  economico,   con   conseguente\nriduzione della stessa ad  una  superfetazione  normativa  o  ad  una\ncategoria concettuale priva di utilita\u0027. \n    Orbene, la suddetta norma,  nella  logica  di  un\u0027interpretazione\nsistematica e evolutiva, deve considerarsi previsione non  settoriale\nma espressione di un  principio  generale,  quello  equitativo,  gia\u0027\nimmanente al sistema, o, comunque, in via di formazione(16). \n    Altra norma, espressione del generale principio della necessita\u0027,\nper l\u0027interprete - in difetto  di  una  regolamentazione  legislativa\nespressa - di  perseguire  la  giustizia  del  caso  concreto,  nella\ncomposizione degli interessi ad esso sotteso, e\u0027 l\u0027art. 9 della legge\nn. 192 del 1998 di cui, da taluni,  viene  postulata  un\u0027applicazione\ngeneralizzata,  talvolta,  in  via  diretta,  ma,   piu\u0027   spesso   e\ncondivisibilmente, in via analogica(17). \n    Analogia anch\u0027essa «non facile»,  in  considerazione  della  poca\nfrequenza statistica di  uno  stato  di  vera  e  propria  necessita\u0027\neconomica in capo dal consumatore, e, peraltro, solo quando a  venire\nin rilievo sia il conseguimento di servizi pubblici essenziali. \n    Sono forse maturi i tempi per una rivisitazione dei  tradizionali\nlimiti al principio  equitativo,  quali  narrati  dalla  manualistica\nclassica. \n    (In difetto di una disciplina  di  diritto  positivo),  l\u0027equita\u0027\npuo\u0027 essere, cioe\u0027, invocata dall\u0027interprete non  solo  secundum,  ma\nanche praeter legem, quale clausola che consente  all\u0027ordinamento  di\nsmussare le sue asperita\u0027 per piegarsi alle esigenze  specifiche  del\ncaso concreto e, talvolta, assumendo la portata  di  fonte  oggettiva\ndel diritto(18). \n    Nondimeno,  anche  accettando  tale  ricostruzione   dei   limiti\noperativi  della  equita\u0027  in  termini  piu\u0027   elastici,   non   puo\u0027\nsovvertirsi il principio per cui la stessa non puo\u0027  contrastare  con\nla regola di stretto diritto. \n    Per quanto concerne le modalita\u0027, metodologiche,  di  svolgimento\ndel giudizio equitativo, mediante il rinvenimento della regola  della\nfattispecie, come evidenziato da  Autorevole  dottrina,  «il  diritto\nequo va inteso con senso pragmatico: esso, infatti, non si  adegua  a\nspecifici indirizzi filosofici  o  ad  un  ethos  trascendentale  ma,\nsull\u0027abbrivio  della   ragione   ponderante,   assicura   il   saggio\nbilanciamento degli interessi in gioco dando a ciascun  uomo  il  suo\nsenza sottrarre quanto spetta agli altri». \n    Dunque, equita\u0027 «significa ricerca  d\u0027equilibrio  tra  situazioni\nantagonistiche» e cio\u0027 ne denota  l\u0027intima  relazione  con  un  altro\nprincipio generale che e\u0027 quello di ragionevolezza. \n    Ed essendo la ragionevolezza della composizione  degli  interessi\nin gioco la sostanza e il fine ultimo  del  giudizio  equitativo,  lo\nstesso incontra dei limiti - operativi e contenutistici - precisi. \n    Infatti, «deve essere  ben  chiaro  che  la  ricerca  dei  valori\nattorno ai quali e\u0027 edificato lo Stato di diritto... non puo\u0027  essere\ncompromessa dalla c.d. aequitas cerebrina di chi antepone la  propria\nnozione di giusto al Wesengehalt qualificante la legislazione». \n    Cio\u0027, perche\u0027  «equita\u0027  non  equivale  ad  arbitrio  assoluto  o\nall\u0027assenza di  qualsivoglia  vincolo  legalitario».  L\u0027equita\u0027,  per\ncontro, per assumere a divenire parametro oggettivabile, deve  essere\nancorata ai principi ordinamentali quali quelli di  ragionevolezza  e\nproporzionalita\u0027. \n    Principi generali del diritto che \"non costituiscono il risultato\ndi aride generalizzazioni o di formalistiche acrobazie teoretiche, ma\noffrono  la  somma  dei  «criteri  di  valutazione   costituenti   il\nfondamento dell\u0027ordine  giuridico  e  aventi  una  funzione  genetica\nrispetto alle singole norme\". \n    Dunque, si puo\u0027 affermare che «la decisione di equita\u0027 e\u0027 un atto\nsempre secondo diritto ma non necessariamente applicativo della legge\npositiva», ovvero di norme puntuali, ma,  per  l\u0027appunto,  di  quelle\nclausole generali che sono i principi. \n    Delineate  le  suddette  premesse   ricostruttive,   per   taluna\ndottrina, dovrebbe ritenersi che ben possa il giudice dell\u0027esecuzione\nintervenire   sulla   misura   coercitiva,   modulandola   in   senso\ncontenitivo, ogniqualvolta la sua applicazione  ingeneri  conseguenze\npatrimoniali contrarie a equita\u0027. \n    Cio\u0027, avendo riguardo a quel generale  principio  equitativo  che\nimpone la ricerca della giustizia del caso di specie,  valorizzandone\ne ponderandone tutte le caratteristiche concrete. \n    4.4. Un argomento sistematico in favore del  potere  di  fissare,\nanche ex officio, un tetto massimo ad una misura,  aliunde  irrogata:\nla posizione della giurisprudenza amministrativa \n    La possibilita\u0027 per il G.e. di  fissare,  anche  ex  officio,  un\ntetto  massimo  ad  una  misura,  aliunde  irrogata  (e  non   ancora\ncristallizzata)   rinverrebbe.   peraltro,   conferma,   a    livello\nsistematico,  in  quanto  affermato  da  parte  della  giurisprudenza\namministrativa in materia di riduzione dell\u0027astreintes, irrogate  dal\ngiudice della cognizione. \n    L\u0027Adunanza plenaria  e\u0027  stata  chiamata  a  pronunciarsi  su  un\npeculiare profilo dell\u0027istituto della c.d. astreinte, declinata,  con\nla  pronuncia  n.  15/2014,  quale  «misura  coercitiva  indiretta  a\ncarattere pecuniario, inquadrabile nell\u0027ambito delle pene  private  o\ndelle sanzioni civili indirette, che mira a vincere la resistenza del\ndebitore, inducendolo ad adempiere  all\u0027obbligazione  sancita  a  suo\ncarico  dall\u0027ordine  del  giudice»  risolvendosi  in  un  «meccanismo\nautomatico  di  irrogazione  di   penalita\u0027   pecuniarie   in   vista\ndell\u0027assicurazione dei  valori  dell\u0027effettivita\u0027  e  della  pienezza\ndella tutela giurisdizionale a fronte della mancata o  non  esatta  o\nnon tempestiva esecuzione delle sentenze emesse nei  confronti  della\npubblica amministrazione e, piu\u0027 in generale, della  parte  risultata\nsoccombente all\u0027esito del giudizio di cognizione». \n    Con la  sentenza  9  maggio  2019,  n.  7,  il  supremo  consesso\namministrativo ha affrontato la questione che agitava gli  interpreti\nrelativa alla modificabilita\u0027 o meno del criterio di  quantificazione\nstatuito dal giudice di merito;  e  cio\u0027  in  forza  di  una  vistosa\niniquita\u0027 a cui l\u0027applicazione di esso avrebbe condotto. \n    Il  giudice  amministrativo   -   tratteggiando   le   differenze\nintercorrenti tra l\u0027atteggiarsi dell\u0027istituto  in  sede  di  giudizio\ncivile   e    il    giudizio    amministrativo    e    individuandole\nnell\u0027applicabilita\u0027 delle  stesse,  in  questo  secondo,  anche  alle\ncondanne aventi ad oggetto  obbligazioni  pecuniarie  -  ha  ritenuto\nmodificabile il criterio statuito in sentenza, ogniqualvolta vi siano\nsopravvenienze fattuali o giuridiche. \n    In particolare,  l\u0027Adunanza  plenaria  ha  enucleato  i  seguenti\nprincipi: \n        1.  e\u0027  possibile,  in  sede   di   c.d.   «ottemperanza   di\nchiarimenti», modificare la statuizione, relativa alla  penalita\u0027  di\nmora contenuta in una precedente sentenza d\u0027ottemperanza,  ove  siano\ncomprovate sopravvenienze fattuali o giuridiche  che  dimostrino,  in\nconcreto, la manifesta iniquita\u0027  in  tutto  o  in  parte  della  sua\napplicazione; \n        2. salvo il caso delle sopravvenienze, non e\u0027 in via generale\npossibile la revisione ex tunc dei criteri  di  determinazione  della\nastreinte dettati in una precedente sentenza d\u0027ottemperanza,  si\u0027  da\nincidere sui crediti a titolo di penalita\u0027 gia\u0027 maturati dalla  parte\nbeneficiata. Tuttavia, ove il  giudice  dell\u0027ottemperanza  non  abbia\nesplicitamente fissato, a causa dell\u0027indeterminata progressivita\u0027 del\ncriterio dettato, il tetto massimo  della  penalita\u0027,  e  la  vicenda\nsuccessiva alla determinazione abbia fatto emergere, a causa  proprio\ndella mancanza del tetto, la manifesta iniquita\u0027,  quest\u0027ultimo  puo\u0027\nessere  individuato  in   sede   di   chiarimenti,   con   principale\nriferimento, fra i parametri indicati nell\u0027art. 614-bis del codice di\nprocedura civile, al danno da ritardo nell\u0027esecuzione del giudicato. \n    E\u0027 proprio tale seconda ipotesi che  potrebbe  sovvenire  per  il\ncaso di specie. \n    In applicazione analogica del principio  enucleato  dall\u0027adunanza\nplenaria, e\u0027 stato ritenuto che  il  giudice  dell\u0027esecuzione  civile\npossa fissare  un  tetto  massimo  all\u0027importo  dovuto  a  titolo  di\nastreintes, quando a cio\u0027  non  abbia  provveduto  il  giudice  della\ncognizione e, dunque, neppure esista un giudicato sul punto. \n    Tale ordine  di  considerazioni  parrebbe,  peraltro,  avvalorato\ndalla nuova formulazione della  norma  codicistica.  Infatti,  se  al\ngiudice dell\u0027esecuzione compete la fissazione ex  novo  delle  misure\ncoercitive, non sembra «trascendentale» la scelta di riconoscere allo\nstesso il potere di determinare l\u0027importo massimo di una misura  gia\u0027\npreviamente irrogata dal Giudice della cognizione. \n    4.5. Argomento sistematico-evolutivo \n    Nel senso di un potere di integrazione e  specificazione  (e  non\nanche di modifica)  della  misura  ex  art.  614-bis  del  codice  di\nprocedura civile, da parte del  giudice  dell\u0027esecuzione,  deporrebbe\nanche la metamorfosi conosciuta dal processo esecutivo, da  strumento\ndi mera attuazione del comando alla nuova veste cognitoria: \n    Gli approdi recenti della giurisprudenza di legittimita\u0027 denotano\nuna vera e propria metamorfosi del processo esecutivo. \n    In particolare, deve ritenersi che  si  vadano  attenuando  anche\nalcuni principi che hanno contraddistinto il processo  esecutivo  fin\ndal  suo  ingresso  nell\u0027ordinamento  giuridico,  quando   aveva   la\nconnotazione  di  strumento  di  attuazione  del   comando,   rimasto\ninadempiuto, sia esso di fonte stragiudiziale, sia  esso  di  matrice\ngiudiziaria. \n    Il riferimento e\u0027 ai caratteri dell\u0027autonomia, dell\u0027astrattezza e\ndell\u0027autosufficienza, propri del titolo esecutivo. \n    Appare, decisamente, in crisi anche la tradizionale distinzione -\navente, invero, una sua intrinseca ragionevolezza - tra attivita\u0027  di\ntipo   cognitorio   e   attivita\u0027   esecutiva,   che   implicava   il\nriconoscimento  agli  organi  esecutivi  di  una  funzione  di   mera\ntraduzione  nella  realta\u0027  della  regola   «scolpita»   dal   titolo\nesecutivo. \n    L\u0027ultimo    dei    suddetti    connotati    distintivi     ovvero\nl\u0027autosufficienza, nella logica  della  separazione  fra  il  momento\ndell\u0027accertamento  e  quello  dell\u0027esecuzione,  veniva  intesa   come\nl\u0027idoneita\u0027  del  titolo  esecutivo  a  consentire,   legittimandola,\nl\u0027azione esecutiva. Cio\u0027, attribuendo al possessore dello stesso,  il\ndiritto,  in  un  certo  qual  modo,  incondizionato,   di   ottenere\nl\u0027attivazione dell\u0027ufficio esecutivo, su  cui,  dal  suo  canto  suo,\nsarebbe gravato il dovere di tutelare la pretesa giuridica soggettiva\n(normalmente, coincidente con il diritto) incorporata nel titolo. \n    Cio\u0027, in un contesto in cui il G.E., di norma, non avrebbe potuto\naccertare l\u0027effettiva esistenza della  stessa,  fatta  eccezione  per\nl\u0027ipotesi in cui non fosse a cio\u0027 legittimato dalla  proposizione  di\nrituale opposizione all\u0027esecuzione  (peraltro,  fino  ad  un  recente\npassato, esperibile sine die). \n    Nella vigenza della suddetta disciplina, le opposizioni esecutive\ncostituivano gli unici momenti cognitivi  di  un\u0027attivita\u0027  esecutiva\ncongeniata non «per conoscere, ma per attuare un  pensiero  giuridico\ngia\u0027 definito». \n    Nell\u0027ambito dell\u0027economia complessiva dell\u0027attivita\u0027 giudiziaria,\nl\u0027attivita\u0027  accertativa  veniva  ad  assumere  un  ruolo  del  tutto\nmarginale e, comunque, servente alla definizione delle  controversie,\nveicolate a mezzo delle c.d. opposizioni esecutive. \n    Altro carattere  che  si  riteneva  consustanziale  alla  vicenda\nesecutiva  era  quello  relativo  all\u0027astrattezza  del   titolo,   da\nintendersi quale inidoneita\u0027 dello  stesso  ad  essere  condizionato,\nnella sua funzione e vitalita\u0027, dal rapporto sottostante. \n    Gia\u0027 le pronunce a  Sezioni  Unite  del  2012(19),  in  punto  di\nintegrazione giudiziale del  titolo  esecutivo  da  parte  del  G.e.,\navevano  iniziato   a   erodere   progressivamente   tali   principi,\nalimentando un ancora non sopito dibattito interpretativo. \n    In particolare, la sentenza n. 11067 del 2.07.2012 attribuiva  al\ngiudice dell\u0027esecuzione, nell\u0027ipotesi di (obiettive e non superabili)\nincertezze interpretative nella ricostruzione dell\u0027obbligo  posto  da\nuna sentenza, il potere di integrare con  elementi  extratestuali  il\nprecetto giudiziale. Cio\u0027, pero\u0027, subordinatamente  al  fatto  che  i\ndati di  riferimento,  con  cui  effettuare  l\u0027eterointegrazione  del\ntitolo giudiziale, potessero  essere  tratti  da  documenti,  a  loro\nvolta, ritualmente acquisiti al  processo  che  aveva  condotto  alla\nformazione del titolo giudiziale. \n    D\u0027altronde, e\u0027 innegabile che le suddette pronunce, nel garantire\nl\u0027eseguibilita\u0027 di comandi sia sostanziali sia giudiziali, affetti da\nuna  genetica  genericita\u0027,  abbiano  assicurato   l\u0027osservanza   del\nprincipio di effettivita\u0027 della  tutela,  il  cui  fondamento  e\u0027  da\nricercarsi sia a livello  costituzionale  negli  articoli  24  e  113\nCost., sia sovranazionale negli artt. 6 e 13 CEDU e 47 Cost. \n    Si attua, dunque, il passaggio da un ruolo  monolitico  del  G.e.\nquale mero esecutore di un comando gia\u0027 formato ad una veste duplice,\nnon solo esecutiva, bensi\u0027 di giudice della cognizione, se non  altro\nper tutte le questioni veicolabili  dalle  c.d.  eccezioni  in  senso\nlato. E cio\u0027 con  poteri  di  cognizione,  di  norma,  solo  sommari;\ntalvolta, di cognizione piena, quando lo  stesso  sia  investito  del\nmerito di un\u0027opposizione esecutiva, o quando  lo  stesso  proceda  al\nrilievo  d\u0027ufficio  di  una  causa  estintiva  o  del  difetto  delle\ncondizioni stesse per procedere ad esecuzione. \n    Anche di recente, in virtu\u0027 dell\u0027obbligo  generale  di  recezione\ndel diritto unionale  -  che,  come  noto  direttamente  applicabile,\nunitamente  alle  sentenze  della  Corte   di   giustizia,   che   ne\neterointegrano  il  contenuto  precettivo  -  si  e\u0027   assistito   ad\nun\u0027ulteriore erosione della  distinzione  concettuale  tra  attivita\u0027\ncognitiva e esecutiva. \n    Distinzione, secondo la dogmatica tradizionale, afferente al c.d.\nordine pubblico processuale e come tale inderogabile. \n    Di  essa  rappresentava  logico  corollario  l\u0027impossibilita\u0027   -\nassoluta  e  incondizionata  -  per  il  giudice  dell\u0027esecuzione  di\nsindacare  la  legittimita\u0027  del  titolo  esecutivo,  specie  se   di\nformazione   giudiziale,   facendo   valere   fatti   anteriori    al\nconseguimento  della  sua  definitivita\u0027.   Fatti   che   risultavano\nazionabili esclusivamente davanti al giudice della cognizione. \n    Del suddetto principio si e\u0027 imposto, pero\u0027,  il  superamento  al\nfine di tutelare quella liberta\u0027 negoziale del consumatore che, nella\nlogica dell\u0027ordinamento comunitario, non rileva, di per se\u0027, ma quale\nbene  strumentale  o  intermedio,  la  cui  garanzia  si  impone  per\nassicurare l\u0027assetto concorrenziale  del  mercato,  in  quanto  unico\nmodello  di  organizzazione   che   possa   assicurarne   un\u0027adeguata\ncompetitivita\u0027. \n    Si discute,  peraltro,  se  tale  eccezione  valga  per  la  sola\ndisciplina consumieristica oppure sia estendibile ad ogni ipotesi  in\ncui venga in rilievo una violazione della disciplina comunitaria. \n    Si e\u0027 affermato, in dottrina, che la nuova formulazione dell\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile, nella parte  in  cui  prevede\nche il G.e. dell\u0027esecuzione possa irrogare l\u0027astreinte,  non  avrebbe\nfatto che positivizzare una tendenza, gia\u0027 insita  nel  sistema,  nel\nsenso dell\u0027attribuzione al Giudice dell\u0027esecuzione di sempre maggiori\npoteri cognitivi, meramente sommari o anche a  cognizione  piena,  ma\npur sempre strumentali alle finalita\u0027 dell\u0027esecuzione. \n    D\u0027altronde,  e\u0027   indubbio,   che   il   G.e.   adito   ai   fini\ndell\u0027emanazione di  una  misura  coercitiva,  e\u0027  tenuto  a  svolgere\nun\u0027attivita\u0027 istruttoria, volta all\u0027accertamento della ricorrenza dei\npresupposti di cui all\u0027art. 614-bis del codice di  procedura  civile.\nDunque, lo stesso,  come  sottolineato  da  Autorevole  dottrina,  e\u0027\ngravato di «una vera e propria attivita\u0027 cognitiva (seppure informale\ne semplificata) che sfocera\u0027 nell\u0027adozione  di  un  provvedimento  di\ncondanna». \n    4.6. La qualificabilita\u0027  dell\u0027eccessiva  esosita\u0027  della  penale\nquale fatto sopravvenuto \n    Secondo una certa angolazione ricostruttiva, la  mancanza  di  un\ntetto massimo implica il pericolo che la penale possa diventare,  con\nil passare del tempo,  eccessivamente  onerosa,  se  non  addirittura\nesosa, e tale circostanza e\u0027 qualificabile quale fatto sopravvenuto. \n    Come noto, per principio interpretativo consolidato, in  sede  di\nopposizione sia esecutiva sia pre-esecutiva  (per  l\u0027ipotesi  in  cui\nl\u0027actio esecutiva non sia ancora iniziata), promossa sulla base di un\ntitolo esecutivo di formazione giudiziale, e\u0027, in generale,  preclusa\nla spendita di eccezioni in senso stretto, fondate su fatti di natura\nimpeditiva,  modificativa  o  estintiva  anteriori  cronologicamente,\nquanto alla loro venuta ad esistenza, alla definitivita\u0027 del  decreto\ningiuntivo o del diverso provvedimento giurisdizionale opposto. \n    Pertanto, eventuali fatti estintivi o  modificativi  del  diritto\nazionato  con  un  titolo  di  formazione  giudiziale  che  si  siano\nverificati anteriormente alla  formazione  del  titolo  stesso  -  e,\ndunque, come tali  dedotti  o  anche,  semplicemente,  giuridicamente\ndeducibili  -  non  possono  essere  fatti  valere  con   opposizione\nall\u0027esecuzione, dovendo essere oggetto di  specifiche  eccezioni  nel\ngiudizio di merito che ha portato all\u0027emissione del titolo esecutivo. \n    Si pensi, in particolare, all\u0027eccezione di compensazione  legale,\ni cui presupposti di liquidita\u0027,  esigibilita\u0027  e  coesistenza  siano\nvenuti ad esistenza dopo la scadenza dei termini per l\u0027opposizione  a\ndecreto  ingiuntivo  oppure  dopo  il  maturare   delle   preclusioni\nprocessuali nel giudizio di  opposizione  (v.  ex  multis,  Cass.  17\nfebbraio 2011, n.  3850,  secondo  cui  «[...]  il  titolo  esecutivo\ngiudiziale non puo\u0027 essere rimesso in discussione dinanzi al  giudice\ndell\u0027esecuzione ed a quello dell\u0027opposizione per fatti anteriori alla\nsua  definitivita\u0027,  in  virtu\u0027  dell\u0027intrinseca  riserva   di   ogni\nquestione di merito  al  giudice  naturale  della  causa  in  cui  la\ncontroversia tra le parti ha avuto o sta avendo pieno sviluppo ed  e\u0027\nstata od e\u0027 tuttora in via di esame ex professo  o  comunque  in  via\nprincipale»). \n    In tal senso, depongono non solo ragioni di carattere logico e di\neconomia processuale, ma anche la necessita\u0027 di conservare una cesura\nnetta fra le vicende giuridiche inerenti al  giudizio  presupposto  e\nl\u0027esecuzione del provvedimento, conclusivo  dello  stesso.  Cio\u0027,  in\nvirtu\u0027 di un principio di «competenza» intesa in senso lato, per  cui\ndella valida formazione del provvedimento portato a esecuzione e\u0027  (o\npuo\u0027 essere) investito unicamente  il  giudice  cui  e\u0027  devoluto  il\ngravame o l\u0027impugnativa promossa avverso lo stesso. \n    Principio di «competenza» che, peraltro, si interseca  anche  con\nil  diverso  principio,  pure  ispirato  ad  esigenze   di   economia\nprocessuale, del deducibile (valevole) come dedotto. \n    Esigenze, tali ultime, meritevoli di tutela secondo la logica e i\nvalori ispiratori dell\u0027ordinamento giuridico multilivello quale  deve\nconsiderarsi quello italiano in conseguenza dell\u0027eterointegrazione da\nparte del livello di tutela comunitario, nonche\u0027 delle sollecitazioni\nprovenienti dalla CEDU. \n    E\u0027 indubbio che l\u0027attuazione, in via coattiva, del decisum  e  la\ntempestivita\u0027 della tutela siano due corollari  logici  indefettibili\ndi quel diritto all\u0027effettivita\u0027  della  tutela  giurisdizionale  che\nrinviene il proprio fondamento oltre che nell\u0027art.  24  Cost.,  anche\nnegli articoli 6 e 13 CEDU e 47 CDFUE. \n    Peraltro,   considerato    l\u0027attuale    stadio    dell\u0027evoluzione\ninterpretativa  interna,  trovando   applicazione   la   regola   del\ndeducibile come  dedotto,  deve  ritenersi  che  l\u0027impossibilita\u0027  di\nazionare vizi del titolo di formazione giudiziale valga non solo  per\nquelli concretamente dedotti nel giudizio c.d. presupposto, ma  anche\nper quelli che lo erano sulla  base  di  un  criterio  di  normalita\u0027\nstatistica e di diligenza (di fatto, rimasto inosservato); \n    Nondimeno, in sede esecutiva, possono essere dedotti nuovi  fatti\ngiuridici, non esistenti prima della  scadenza  del  termine  per  la\nproposizione  dell\u0027opposizione  (o  del  gravame)  e  in   grado   di\nestinguere o modificare (in tutto o anche solo in parte) il  rapporto\nin contestazione. \n    D\u0027altronde, venendo alla fattispecie concreta, e\u0027  evidente  come\nla fissazione di un tetto massimo  costituisca  naturale  prerogativa\ndel G.e., in quanto giudice  delle  c.d.  sopravvenienze  fattuali  e\ngiuridiche.  Infatti,  solo  il  G.e.  puo\u0027  apprezzare   l\u0027eventuale\nesorbitanza  dell\u0027importo  raggiunto  dalla  misura   rispetto   agli\ninteressi che la stessa e\u0027  preordinata  a  tutelare,  provvedendo  a\ncomparare gli stessi con quello antagonista a che la sfera  giuridica\ndell\u0027obbligato non sia esposta a un sacrificio sproporzionato. \n    Gli  effetti  patrimoniali  della   misura   sono   destinati   a\nproiettarsi  naturalmente  nel  futuro  e  le  parti,  in   sede   di\ncognizione, sono, spesso, sprovviste di idonei elementi valutativi da\nsottoporre all\u0027attenzione del Giudice, investito della  richiesta  di\nastreinte. \n    Cosi\u0027 il giudice investito della controversia non e\u0027,  di  norma,\nnelle condizioni di predeterminare l\u0027entita\u0027  massima,  raggiungibile\ndalla misura. Si pensi, a titolo esemplificativo, all\u0027ipotesi in  cui\nil giudice della cognizione, al fine di determinare la  misura  della\nstessa, voglia - compiendo  un\u0027operazione  esegetica  contrastata  da\nchi, condivisibilmente, sostiene che l\u0027astreinte non  possa  svolgere\nun ruolo di surrogazione dello strumento risarcitorio tradizionale  e\nazionato nelle debite forme - commisurare la pretesa risarcitoria  al\ndanno cagionato o cagionabile dall\u0027inadempiente.  Non  essendovi,  al\nmomento  dell\u0027irrogazione  dell\u0027astreinte,  alcun  accertamento   del\ndanno,   diverrebbe   impossibile   ricorrere   a    tale    criterio\ncommisurativo. \n    Cosi\u0027, in  generale,  se  il  giudice  della  cognizione  volesse\nancorare la massima soglia raggiungibile dalla misura  coercitiva  in\nbase  alle  specifiche  modalita\u0027  della   condotta   dell\u0027obbligato,\ndovrebbe, tendenzialmente,  fare  riferimento  -  sulla  base  di  un\ngiudizio, necessariamente, predittivo e prognostico -  a  circostanze\nfuture, non agevolmente governabili, con conseguente  incertezza  dei\nprescelti parametri del riferimento. \n    Vi e\u0027, peraltro, dottrina che assume, piu\u0027 radicalmente,  che  la\nmisura   coercitiva   sarebbe   una   misura   tipica   del   giudice\ndell\u0027attuazione del comando (stragiudiziale o giudiziale) come denota\nanche la  previsione  di  similare  competenza  in  capo  al  giudice\ndell\u0027ottemperanza, in sede amministrativa. \n    Peraltro, nel senso che la stessa debba avere necessariamente  (e\nindefettibilmente) un termine massimo di durata  depone  il  generale\nprincipio  di  temporaneita\u0027  di  ogni   vincolo   obbligatorio   che\ncostituisce corollario della tradizionale avversione dell\u0027ordinamento\nper i vincoli perpetui. \n    4.7. Opponibilita\u0027 dell\u0027exceptio  doli  generalis  (al  di  fuori\ndell\u0027ambito contrattuale) \n        a. Rapporti fra abuso del diritto, da un lato, e buona fede e\ncorrettezza, dall\u0027altra \n    Orbene,  in  disparte  le  superiori   considerazioni,   potrebbe\nritenersi che, nella condotta del  beneficiario  dell\u0027astreintes  che\ndecida di avvalersi di una clausola che sia  divenuta  manifestamente\niniqua, siano ravvisabili  gli  estremi  dell\u0027abuso  del  diritto  e,\nquindi,  della  condotta  contraria  a   buona   fede   oggettiva   e\ncorrettezza.  Principi  che  conformano   e   innervano   il   nostro\nordinamento,  cosi\u0027  come  affermato   dalla   suprema   Corte,   con\norientamento oramai costante. \n    Peraltro,  buona  fede  e  correttezza  avrebbero,   secondo   la\nprevalente  e  preferibile  ricostruzione  teorica,   un   fondamento\ncostituzionale. \n    Precisamente,  il  principio  de  quo  -  il  quale,  secondo  la\nRelazione ministeriale al codice civile, «richiama  nella  sfera  del\ncreditore la considerazione dell\u0027interesse del debitore e nella sfera\ndel debitore il giusto riguardo all\u0027interesse del creditore» -  opera\ncome un criterio di reciprocita\u0027 e, una volta collocato nel quadro di\nvalori introdotto dalla Carta Costituzionale, deve essere inteso come\nuna  specificazione  degli  «inderogabili  doveri   di   solidarieta\u0027\nsociale» dettati dall\u0027art. 2 Cost. \n    La sua rilevanza si esplica nell\u0027imporre, a ciascuna delle  parti\ndel rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo  da  preservare\ngli interessi dell\u0027altra, a prescindere dall\u0027esistenza  di  specifici\nobblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da  singole\nnorme di legge (Sez. L, sentenza n. 4057 del 16 febbraio  2021;  Sez.\n3, ordinanza n. 24691 del 5 novembre 2020; Cass. n. 12310/1999). \n    Essa si sostanzia in un  generale  obbligo  di  solidarieta\u0027  che\nimpone a ciascuna delle parti di agire  in  modo  da  preservare  gli\ninteressi dell\u0027altra,  a  prescindere  tanto  da  specifici  obblighi\ncontrattuali,  quanto  dal  generale  dovere  extracontrattuale   del\n«neminem  laedere»,  ma  trova,  tuttavia,  un  suo  limite  precipuo\nnell\u0027impossibilita\u0027  che  il  comportamento   preteso   dalle   parti\ncontrattuali (o, in genere, dai consociati,  ove  non  legati  da  un\nrapporto negoziale) possa comportare  un  apprezzabile  sacrificio  a\ncarico delle stesse (o degli stessi). \n    In altri termini, la buona fede oggettiva ha assunto  valenza  di\nfonte di  obblighi  ulteriori  rispetto  all\u0027obbligo  di  prestazione\nriveniente dal contratto,  che  si  pongono  in  posizione  ancillare\nrispetto a quest\u0027ultimo, assicurando la realizzazione dell\u0027assetto di\ninteressi prospettato dalle parti. \n    E cio\u0027 in virtu\u0027 del combinato disposto  degli  articoli  1375  e\n1175 del codice civile. che,  dettati  in  materia  contrattuale,  si\nconsiderano espressione di un principio generale volto  a  conformare\nla condotta dei consociati anche al di fuori della sede contrattuale,\ntanto da considerare  lo  stesso  quale  una  declinazione  del  piu\u0027\ngenerale dovere del neminem laedere. \n    Sotto il profilo operativo, dunque, la buona  fede  -  anche  se,\ntestualmente, riferita al momento esecutivo del contratto  -  integra\ngli obblighi  derivanti  dal  contratto  e,  quindi,  arricchisce  il\nrapporto o, in alternativa, il divieto del neminem  laedere,  venendo\nad  assumere  la  funzione  di  regola  obiettiva  che   concorre   a\nindividuare il  comportamento  dovuto,  imponendo  una  condotta  non\nprestabilita e cio\u0027  in  dipendenza  delle  circostanze  concrete  di\nattuazione del rapporto o di quelle che connotano la singola  vicenda\nin cui si consuma l\u0027illecito aquiliano. \n    Dunque, la  clausola  generale  di  buona  fede  ha  assunto  nel\ndibattito   giurisprudenziale   un\u0027importanza    sempre    crescente,\nevolvendosi da mero criterio per la valutazione delle condotte a vero\ne proprio strumento  di  integrazione  degli  obblighi  nascenti  dal\ncontratto  in  capo  alle  parti,  attraverso   l\u0027individuazione   di\nulteriori condotte a tenersi, ad opera delle stesse. \n    Peraltro,  in  relazione  a  tale  principio,  e\u0027  frequente   il\nriferimento all\u0027istituto della Verwirkung (Cass. Sez. 3, sentenza  n.\n10549 del 3 giugno 2020; Cass. Sez. 3, sentenza n. 10182 del 4 maggio\n2009; Cass. Sez. 3, sentenza n. 5240 del 15 marzo 2004). \n    Come noto, la Corte di cassazione ritiene, infatti,  che  l\u0027abuso\ndel diritto rappresenti uno dei criteri rivelatori  della  violazione\ndel principio di buona fede oggettiva. \n    Intervenendo sul rapporto tra abuso del diritto e buona fede,  ha\naffermato la configurabilita\u0027 della figura dell\u0027abuso del diritto  in\ntutte le ipotesi in cui siano tenute condotte contrarie al  principio\ndi buona fede oggettiva e di correttezza. \n    Tale orientamento e\u0027 stato sostenuto per la prima  volta  in  una\nsentenza  della  suprema  Corte  degli  anni  Sessanta  in   cui   la\ndisposizione concernente la buona fede e\u0027 stata considerata idonea  a\nreprimere l\u0027abuso del diritto soggettivo (Cass., 15 novembre 1960, n.\n3040). \n    Le  pronunce  piu\u0027  recenti  si  muovono  nello   stesso   solco:\nrecentemente la Corte ha confermato che  i  principi  di  buona  fede\noggettiva e di divieto dell\u0027abuso del diritto si integrano a vicenda:\nla  buona  fede  rappresenta  un  canone  generale  cui  riferire   i\ncomportamenti delle parti, anche di un rapporto  privatistico  (Cass.\nCiv., Sez. VI, 21 luglio 2020, n. 15436). \n    A dimostrazione della vitalita\u0027 e delle  potenzialita\u0027  operative\ndel principio de quo, la suprema Corte e\u0027  giunta  a  valorizzare  il\nprincipio di buona fede fino all\u0027esplicita affermazione  secondo  cui\nanche il decorso di un «termine» legale (nella vicenda  esaminata  si\ntrattava  di  quello  del  precetto)  non  determina  necessariamente\nl\u0027effetto sfavorevole previsto dalla legge, allorche\u0027 «in  concreto»,\naccertate le «circostanze rilevanti nella singola fattispecie» vi sia\nun comportamento adempiente («pagamento in un  termine  ragionevole»)\ndella parte obbligata. \n    Da ultimo, ad essa viene riconosciuta una funzione disapplicativa\ndella regola negoziale o, comunque, di paralisi della singola pretesa\nazionata da una delle parti del rapporto. \n    La conseguenza che, di norma, l\u0027ordinamento riconnette  alla  sua\nviolazione  e\u0027  quella  dell\u0027insorgere  di  un  obbligo  a  contenuto\nrisarcitorio, con le precisazioni che si vanno a svolgere. \n        b. Fondamento normativo del principio dell\u0027abuso del diritto \n    Quanto al  fondamento  normativo  del  principio  dell\u0027abuso  del\ndiritto, come noto, nel  nostro  Codice  non  esiste  una  norma  che\nsanzioni, in via generale, l\u0027abuso del diritto. Cio\u0027, per  quanto  si\nancori lo stesso, in materia proprietaria e di rapporti di  vicinato,\nal divieto di atti emulativi ex art. 833  del  codice  civile,  quale\nipotesi paradigmatica di deviazione dell\u0027esercizio di un diritto  dal\nsuo  scopo  tipico,  ovvero  da  quello  cristallizzato  dalla  norma\nattributiva dello stesso. \n    Nondimeno,  in  via  interpretativa,   come   gia\u0027   evidenziato,\ncostituisce  oramai  dato  acquisito  quello  per  cui   l\u0027abuso   e\u0027\nconfigurabile «quando il titolare di un diritto  soggettivo,  pur  in\nassenza di divieti formali, lo eserciti con modalita\u0027 non  necessarie\ned irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando  uno\nsproporzionato  ed  ingiustificato   sacrificio   della   controparte\ncontrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori\nrispetto  a  quelli  per  i  quali  quei  poteri  o  facolta\u0027  furono\nattribuiti» (Cass. III Civile, 18 settembre 2009, n. 20106). \n    Invero, il principio de quo ha conosciuto una positivizzazione, a\nlivello sovranazionale ed, in particolare, comunitario,  nella  Carta\ndei diritti fondamentali dell\u0027Unione europea, all\u0027art.  54  («Divieto\ndell\u0027abuso del diritto»). \n    Peraltro, dopo l\u0027entrata in vigore (nel  2009)  del  Trattato  di\nLisbona, esso ha il medesimo valore giuridico dei trattati comunitari\ne  delle  norme   comunitarie   direttamente   applicabili,   perche\u0027\nsufficientemente determinate nel loro contenuto  precettivo,  godendo\ndella c.d. primazia sulle norme interne. \n    Cio\u0027 premesso, elementi costitutivi dell\u0027abuso del diritto sono i\nseguenti: 1) la titolarita\u0027 di un diritto soggettivo in  capo  ad  un\nsoggetto; 2) la  possibilita\u0027  che  il  concreto  esercizio  di  quel\ndiritto possa essere effettuato secondo una pluralita\u0027  di  modalita\u0027\nnon rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale  esercizio\nconcreto, anche se formalmente rispettoso della  cornice  attributiva\ndi quel diritto, sia svolto secondo modalita\u0027 censurabili rispetto ad\nun criterio  di  valutazione,  giuridico  od  extragiuridico;  4)  la\ncircostanza che, a causa di  una  tale  modalita\u0027  di  esercizio,  si\nverifichi  una  sproporzione  ingiustificata  tra  il  beneficio  del\ntitolare del diritto ed il sacrifico cui e\u0027 soggetta  la  controparte\n(v. expressim, Cass. n. 20106, 2009, cit.). \n    Per contro, come  noto,  la  verifica  giudiziale  del  carattere\nabusivo o meno della condotta prescinde dal dolo  e  dalla  specifica\nintenzione di nuocere alla propria  controparte  contrattuale  o,  in\ngenere, ad un terzo: elementi questi tipici degli atti emulativi,  ma\nnon delle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di dipendenza\neconomica. \n    Ricorrendo tali presupposti,  ricorrendo  una  certa  traiettoria\nargomentativa, sarebbe consentito al giudice di  merito  sindacare  e\ndichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto  di\nabuso del diritto (v., expressim, Cass. n. 20106, 2009, cit.). \n    La tutela riconosciuta al contraente che ha  subito  l\u0027abuso  del\ndiritto e\u0027, infatti, l\u0027exceptio doli generalis,  che  attribuisce  al\ntitolare la possibilita\u0027 di opporsi ad un\u0027altrui pretesa o eccezione,\nastrattamente fondata ma che, in realta\u0027, costituisce espressione  di\nuno scorretto esercizio di un diritto, volto  al  soddisfacimento  di\ninteressi non meritevoli di tutela per l\u0027ordinamento giuridico. \n    Tale rimedio e\u0027 fruibile in caso di condotte sleali anche se  non\nfraudolente e rappresenta, pertanto, un rimedio di natura  oggettiva,\na tal fine essendo sufficiente la prova della mera conoscenza o della\nconoscibilita\u0027 della contrarieta\u0027 alla correttezza del  comportamento\nposto in essere. \n    Orbene, declinando tali categorie  con  riferimento  al  caso  di\nspecie, considerando come abusiva la richiesta di una  penale,  anche\ndopo che la stessa,  per  il  suo  ammontare  complessivo  e  perche\u0027\ncomminata  sine  die,  diventi  contraria  a  buona  fede  oggettiva,\npotrebbe  ritenersi  prefigurabile  il  ricorso   all\u0027exceptio   doli\ngeneralis, con conseguente paralisi degli effetti (di  preordinazione\nall\u0027esecuzione) del precetto intimato. \n    In  tal  senso  deporrebbe  anche  l\u0027attuale  e  gia\u0027  menzionata\ntendenza interpretativa ad estendere l\u0027ambito operativo  della  buona\nfede (oggettiva) al di fuori del suo alveo fisiologico, che e\u0027 quello\ndei rapporti di natura negoziale, facendone, al contempo, un criterio\nintegratore del piu\u0027 generale dovere del neminem laedere. \n    Ad essa viene riconosciuta, infatti, anche la vocazione  a  porsi\nquale parametro cui commisurare la liceita\u0027 del comportamento  di  un\nsoggetto nei confronti di un altro, al quale il primo non sia  legato\nda un precedente vincolo negoziale. \n5. Le criticita\u0027 mosse alla soluzione favorevole  e  la  non  agevole\nsperimentazione di un\u0027interpretazione costituzionalmente orientata. \n    Invero, questo Giudice remittente non ritiene che  gli  argomenti\ninvocati,   possano   indurre,   con   sufficiente   solidita\u0027,    ad\nun\u0027interpretazione   costituzionalmente   orientata   della    norma,\nsottoposta al vaglio dell\u0027ecc. ma Corte. E  cio\u0027,  in  considerazione\ndelle seguenti considerazioni: \n        1. l\u0027univoco dato testuale dell\u0027art. 614-bis  del  codice  di\nprocedura civile, illo tempore applicabile alla fattispecie concreta,\nche prevedeva il potere d\u0027irrogazione dell\u0027astreinte solo in capo  al\ngiudice della  cognizione  e  non  anche  a  quello  dell\u0027esecuzione.\nDunque,  il  legislatore  del  2009,  con  il  modulare  l\u0027originaria\nformulazione della norma, sembrava ribadire la netta cesura fra  fase\ncognitoria e fase esecutiva, in parte ribadita  anche  dalla  riforma\nCartabia. Ne\u0027, alla stregua delle suddette coordinate  normative,  il\npotere del  G.e.  di  intervenire  sulla  misura  «eterodata»  poteva\nritenersi  insito  nel  sistema  perche\u0027  sarebbe  stata   necessaria\nun\u0027espressa previsione a cio\u0027 legittimante. \n    Invero, per quanto estraneo  al  presente  thema  decidendum,  la\nquestione non pare essere stata risolta alla stregua del novello dato\ntestuale della norma che sembra precludere un intervento del  Giudice\ndell\u0027esecuzione in materia di 614-bis del codice di procedura civile,\nal di fuori dell\u0027ipotesi in cui il  Giudice  della  cognizione  nulla\nabbia stabilito al riguardo e, dunque, secondo una logica di evidente\nsussidiarieta\u0027 o, comunque, di rigorosa alternativita\u0027. \n    Infatti, come gia\u0027 evidenziato, la nuova  formulazione  dell\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile, come novellata dalla  riforma\nCartabia, consente di avanzare la domanda di misure coercitive  anche\nnel giudizio di esecuzione  solo  se  non  richiesta  nel  precedente\nprocesso di cognizione. \n    Cio\u0027, vuol dire che, in virtu\u0027 del dato testuale della norma,  la\ncompetenza del G.e. all\u0027assunzione del provvedimento  e\u0027  subordinata\nnon alla mancata concessione da parte del giudice  della  cognizione,\nma alla sua mancata richiesta, al primo, da parte dell\u0027interessato. \n    Dunque, anche a voler ritenere, come  gia\u0027  prospettato,  che  la\nnuova formulazione dell\u0027art. 614-bis si limiti a evocare poteri  gia\u0027\ninsiti nel sistema, cosi\u0027 come  evolventisi,  la  stessa  esprime  la\nvolonta\u0027 di tenere separate le competenze in materia dei due  giudici\ndella cognizione e della esecuzione; \n        2. la  non  invocabilita\u0027  della  soluzione  prescelta  dalla\ngiurisprudenza amministrativa in  virtu\u0027  dei  penetranti  poteri  di\ncognizione  che  sono  riconosciuti  al   Giudice   dell\u0027ottemperanza\namministrativa, nella logica di  un  sindacato  che  e\u0027  destinato  a\nestrinsecarsi in relazione ad una realta\u0027 giuridica, non statica,  ma\ndinamica, qual e\u0027 l\u0027esercizio del potere amministrativo, esercitabile\nnegli spazi non  coperti  dal  giudicato  amministrativo.  Sindacato,\nperaltro, naturalmente, destinato  a  confrontarsi  con  il  fenomeno\ndelle sopravvenienze in fatto  e  in  diritto.  Inoltre,  al  Giudice\ndell\u0027ottemperanza, in virtu\u0027 dell\u0027oramai categoria  del  giudicato  a\nformazione  progressiva,  e\u0027  riconosciuto  il  potere  non  solo  di\nattuare,  ma   anche   di   integrare   e   precisare   il   precetto\ngiurisdizionale da portare a esecuzione proprio al fine di consentire\nl\u0027adattamento della regola giudiziale  alle  suddette  sopravvenienze\n(rilevanti solo se non successive alla notifica della  sentenza  alla\nparte interessata); \n        3. la tendenziale assolutezza del  principio  di  separazione\nfra  il   momento   dell\u0027accertamento   e   quello   dell\u0027esecuzione,\nrispondente  ad  un  principio  di   ordine   pubblico   processuale,\nderogabile solo per effetto di una specifica previsione  normativa  o\nper effetto  della  prevalenza  del  diritto  comunitario  su  quello\nnazionale, come in materia di clausole abusive; \n        4. l\u0027inidoneita\u0027 del rimedio  della  revoca  o  modifica  del\nprovvedimento cautelare di cui  all\u0027art.  669-decies  del  codice  di\nprocedura civile a far fronte al problema in esame. E cio\u0027 in  quanto\nla  sopravvenuta  esorbitanza  della  penale  non   potrebbe   essere\nconfigurabile, per la sua configurazione ontologica,  quale  modifica\ndelle circostanze iniziali. \n    Trattasi, infatti, a bene vedere, non di un mutamento del  quadro\nfattuale che ha presieduto all\u0027emanazione del  provvedimento  e  che,\ndunque, ha costituto parte integrante della base cognitoria,  assunta\na fondamento del provvedimento, ma di una aspetto diverso, ovvero  di\nuna sopravvenienza di natura fattuale per  cosi\u0027  dire  «estrinseca»,\nperche\u0027 non inerente al fatto  storico  che  ha  mosso  alla  propria\ndeterminazione il giudice  cautelare,  bensi\u0027  alle  conseguenze  che\nl\u0027ordinamento, per il tramite della statuizione giudiziale, ricollega\nal fatto ed, in  particolare,  alla  modulazione  quantitativa  della\nmisura irrogata, in conseguenza dell\u0027accertamento fattuale compiuto. \n    Sotto altro aspetto,  trattasi  di  un  profilo  -  quella  della\nentita\u0027 massima richiedibile e  irrogabile  -  che  si  correla  alla\ndurata  temporale  della  misura;  aspetto   tal   ultimo   che   era\nsuscettibile di  essere  ponderato  gia\u0027  nel  momento  genetico,  di\nemissione del provvedimento e che,  dunque,  esula  dal  concetto  di\nmodifica del quadro fattuale. \n    In tal senso, e\u0027 richiamabile anche Tribunale  Verona,  4  agosto\n2001, secondo cui «il semplice decorso del tempo, in quanto  elemento\ngia\u0027 valutabile da parte del giudice che ha emesso  il  provvedimento\ncautelare o eventualmente del giudice del reclamo,  i  quali  possono\nlimitare nel tempo la durata di un\u0027inibitoria, non costituisce di per\nse mutamento nelle circostanze che legittimi il ricorso per revoca  o\nmodifica ex art. 669-decies del codice di procedura civile»; \n        5. la difficolta\u0027 di applicare il  principio  di  buona  fede\noggettiva al di fuori dell\u0027esecuzione di un contratto o di un negozio\ne, quindi, dell\u0027ambio negoziale. D\u0027altronde, l\u0027art. 1374  del  codice\ncivile  che  disciplina  le  fonti  di  integrazione  del  contratto,\nmenzionando la legge, gli usi normativi e l\u0027equita\u0027, quali  possibili\nfonti del regolamento contrattuale, e\u0027 una norma  che  inerisce  alla\nmateria del contratto. \n    Cosi\u0027 gli articoli 1375 del  codice  civile  e  1175  del  codice\ncivile  concorrono   alla   disciplina   dello   «statuto   normativo\ncontrattuale» e non sarebbero applicabili al di fuori del  suo  alveo\ngenetico. \n    Inoltre,  l\u0027effetto  tipico  dell\u0027exceptio  doli  e\u0027  quello   di\nparalisi  della  pretesa  azionata   che   viene   per   cosi\u0027   dire\n«sterilizzata» e, anche ad ipotizzare che  la  buona  fede  oggettiva\npossa rilevare quale fonte di responsabilita\u0027 aquiliana, appare arduo\nriconoscere alla stessa un ruolo diverso da quello risarcitorio e, in\nparticolare, di carattere invalidatorio. \n    Nel caso di specie, a venire in rilievo e\u0027, invece, la  richiesta\ndi dare attuazione ad un  provvedimento  giurisdizionale  di  cui  la\nparte istante e\u0027 beneficiaria; \n        6. la  non  qualificabilita\u0027  dell\u0027eccessiva  esosita\u0027  della\npenale quale fatto sopravvenuto che  sarebbe  idoneo  a  superare  la\ntradizionale preclusione alla cognizione del Giudice  dell\u0027esecuzione\ndi circostanze dedotte  (o,  semplicemente,  deducibili)  davanti  al\nGiudice della cognizione. \n    A  ben  vedere,  si   obietta,   lo   squilibrio   dell\u0027ammontare\ncomplessivo della penale maturata rispetto all\u0027interesse debitorio da\ntutelare,  non  costituirebbe  una  circostanza  fattuale  idonea   a\nstravolgere il quadro fattuale posto a fondamento del  provvedimento.\nCio\u0027, anche per  la  sua  intrinseca  componente  valutativa  che  ne\nimpedirebbe l\u0027ascrizione al novero dei fatti in senso stretto; \n        5. la non estendibilita\u0027 del principio equitativo al  di  la\u0027\ndelle ipotesi in cui  lo  stesso  e\u0027  espressamente  richiamato,  non\npotendosi,  peraltro,  prescindere  dall\u0027esistenza   di   un\u0027espressa\nprevisione di legge che ne legittimi il ricorso. \n    Dunque,  ritiene  sommessamente  questo  Giudice  che   non   sia\nagevolmente  sperimentabile  la  possibilita\u0027  di  un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente orientata. \n    Da  cio\u0027  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di\nlegittimita\u0027 costituzionale nei termini che si vanno a precisare. \n6.  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita\u0027\ncostituzionale  per  violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e\nproporzionalita\u0027 ex art. 3 Cost. \n    6.1. Il  divieto  di  vincoli  perpetui  quale  declinazione  dei\nprincipi de quibus \n    Invero,   la   mancata   previsione   dell\u0027apponibilita\u0027,   anche\nd\u0027ufficio, di un tetto massimo, appare in contrasto con il  principio\ndi  ragionevolezza  -  declinazione  del   correlato   principio   di\neguaglianza ex art. 3  Cost.  -,  cosi\u0027  come  con  il  principio  di\nproporzionalita\u0027 delle sanzioni, quali - secondo  una  certa  opzione\nricostruttiva -  dovrebbero  ritenersi  anche  le  misure  coercitive\nindirette. \n    D\u0027altronde,  deve  ritenersi   irragionevole   e   sproporzionato\nqualunque vincolo - quale parrebbe essere  quello  di  specie  -  con\ncaratteristiche di perpetuita\u0027. \n    Una tale tipologia di vincolo - per  le  ragioni  che  si  va  ad\nesplicitare  e  che  si  differenziano  a  seconda  dei   valori   di\nriferimento - parrebbe porsi in contrasto anche con il  principio  di\nliberta\u0027 negoziale di cui e\u0027, unanimemente, riconosciuto l\u0027ancoraggio\ncostituzionale all\u0027art. 42, comma 2, Cost.; nonche\u0027 con la tutela che\nl\u0027ordinamento, a vari livelli, riconosce al  diritto  dominicale.  E\u0027\nevidente, infatti, come una penale eccessiva vada  potenzialmente  ad\nincidere anche sulla sfera patrimoniale  dell\u0027obbligato,  venendo  lo\nstesso esposto al pericolo di un\u0027esecuzione mobiliare o immobiliare. \n    L\u0027inammissibilita\u0027 dei vincoli perpetui - in  particolare  quelli\nche limitano il diritto di proprieta\u0027 ma anche la sfera  patrimoniale\no negoziale delle  parti  -  risponde  ad  un  principio  consolidato\nnell\u0027ordinamento  italiano,  basato  sulla  necessita\u0027   di   evitare\nrestrizioni  eccessive  e  indefinite  nel  tempo  alle  facolta\u0027  di\ngodimento e disposizione dei beni, cosi\u0027 come della  sfera  personale\ndei soggetti dell\u0027ordinamento. \n    Piu\u0027 in generale, questo principio emerge  da  diverse  norme  ma\nanche dal panorama interpretativo, essendo molteplici le pronunce che\npervengono a dichiarare l\u0027invalidita\u0027 di clausole negoziali che siano\npreordinate a creare vincoli di durata  illimitata,  specialmente  se\ninerenti a beni immobili. \n    Ne e\u0027 evidente la motivazione giuridica. \n    Il diritto di proprieta\u0027, sancito, come  noto,  dall\u0027articolo  42\ndella Costituzione - quale valore di  rango  anche  sovranazionale  -\nimplica la conservazione della possibilita\u0027 per  il  proprietario  di\ndisporre liberamente del bene, godendone e  alienandolo.  Vincoli  di\ncarattere perpetuo tendono a limitare eccessivamente questa liberta\u0027,\nsvuotando il diritto  del  suo  contenuto  effettivo  e  venendosi  a\nconfigurare, in alcuni casi, come una sorta di «espropriazione  senza\nindennizzo». \n    Inoltre, da un punto vista sociale, vincoli perpetui  impediscono\nl\u0027adattamento a nuove situazioni, generando rigidita\u0027  e  ostacolando\nil progresso economico e sociale. \n    Dunque, il nostro  ordinamento  giuridico,  pur  riconoscendo  la\npossibilita\u0027 di costituire vincoli, li subordina alla  temporaneita\u0027,\nevitando cosi\u0027 situazioni di stallo e di  perpetua  compressione  dei\ndiritti individuali. \n    Costituiscono esempi paradigmatici di tale principio: \n        a) le servitu\u0027 irregolari. Sebbene sia  possibile  costituire\nservitu\u0027 a favore di persone (servitu\u0027 irregolari),  il  vincolo  non\npuo\u0027 essere perpetuo, ma deve essere temporaneo o legato alla  durata\ndella vita del beneficiario; \n        b) i vincoli urbanistici. Anche  in  materia  urbanistica,  i\nvincoli imposti su immobili, sebbene necessari per la  pianificazione\ndel territorio, devono avere una durata  limitata  nel  tempo  e  non\npossono essere perpetui. \n        c) convenzioni e contratti: \n    Le  clausole  che  prevedono  vincoli  perpetui  in  contratti  o\nconvenzioni,  come  ad  esempio  accordi  di  cessione  di   immobili\nconnotati dall\u0027impressione agli stessi di  vincoli  di  destinazione,\nsono considerate nulle. Anche in via interpretativa, sono frequenti i\nriferimenti al principio in esame (Cfr. Corte appello Milano, n. 366,\ndel 1° febbraio 2012). \n    Come  evidenziato  dalla  difesa  dell\u0027opponente,  lo  stesso  ha\norigini autorevoli e datate anche a livello interpretativo. \n    Chiamata  a  pronunciarsi  sulla  questione  relativa   all\u0027onere\ntestamentario di consentire in perpetuo l\u0027utilizzo di un immobile  da\nparte della  locale  parrocchia,  la  S.C.(20)  (estensore  Torrente)\nstabili\u0027  che  la  disposizione  controversa,  «se  configurata  come\nun\u0027obbligazione personale a  carattere  perpetuo»,  doveva  ritenersi\n«nulla, anche se si parli di  obbligazione  reale  (...),  in  quanto\ndisintegra in perpetuo il diritto di  proprieta\u0027  dal  suo  contenuto\neconomico». Essa fu invece «salvata» mediante  la  qualificazione  di\nessa, non gia\u0027 come una obligatio propter rem, che non si sottrae, in\nquanto rapporto  obbligatorio  vero  e  proprio,  alla  regola  della\ntemporaneita\u0027,  bensi\u0027,  accogliendo  la  soluzione  prospettata   da\nautorevole  dottrine  (F.  Salvi,  Perpetuita\u0027  di  un   diritto   di\ngodimento? , in Riv. trim.  dir.  proc.  civ.  ,  1949,  192  ss.  in\nparticolare p. 201  ss.)  come  «attributiva  di  un  diritto  d\u0027uso,\nnaturalmente limitato al tempo massimo stabilito dalla legge». \n    In  materia  d\u0027inammissibilita\u0027  di   un   vincolo   obbligatorio\nperpetuo, e\u0027 ritornata la Corte di cassazione affermando: «Nel nostro\nsistema positivo e\u0027 inammissibile un vincolo obbligatorio,  destinato\na durare all\u0027infinito, senza che sia possibile al debitore o ai  suoi\nsuccessori la possibilita\u0027 di liberarsene» (Cass. Sez. II, 30  luglio\n1984, n. 4530. Sulla stessa scia si e\u0027 posta sempre la giurisprudenza\ndi legittimita\u0027 allorche\u0027 piu\u0027 di recente (Cass., 20 settembre  1995,\nn. 9975) ha affermato la nullita\u0027 dei contratti atipici istitutivi di\nobbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo, in  quanto\nnon meritevoli di tutela ai sensi dell\u0027ordinamento giuridico. \n    Peraltro, nel  caso  di  specie,  il  sequestro  giudiziario  con\nfinalita\u0027 probatorie aveva esaurito il suo  compito,  in  quanto  nel\ngiudizio  di  merito  si   era   gia\u0027   proceduto   al   conferimento\ndell\u0027incarico peritale  sulla  base  della  documentazione  per  come\nrinvenuta e consegnata. \n    Detto principio e\u0027 stato di recente  ribadito  da  Corte  appello\nBari Sez. I,  7  luglio  2022,  n.  1148  secondo  cui:  «Nel  nostro\nordinamento, vige il principio della generale inammissibilita\u0027  delle\nobbligazioni  perpetue,  il  quale  non  consente  ai   soggetti   la\npossibilita\u0027 di vincolarsi ad vitam, giustificandosi,  per  converso,\nla perpetuita\u0027 del diritto soltanto dove non si ponga un problema  di\nsoggetti vincolati a tempo indeterminato, come nella fattispecie  del\ndiritto di proprieta\u0027». \n    In  sintesi,  l\u0027inammissibilita\u0027  dei  vincoli  perpetui  e\u0027   un\nprincipio fondamentale del nostro ordinamento giuridico  che  mira  a\ngarantire la liberta\u0027 e la flessibilita\u0027  nella  gestione  dei  beni,\nevitando restrizioni eccessive e dannose per  il  singolo  e  per  la\nsocieta\u0027 nel suo complesso. \n    E\u0027  evidente  come  lo  stesso  rinvenga  il  proprio  fondamento\ncostituzionale nel principio di ragionevolezza, ma, al contempo,  nei\nprincipi di tutela della proprieta\u0027  e  di  liberta\u0027  dell\u0027iniziativa\neconomica ex art. 41 Cost., comma 2, di  cui  la  liberta\u0027  negoziale\ncostituisce logico corollario. \n    Nel caso dell\u0027astreintes, a venire in rilievo sembrerebbe essere,\nin  particolare,  tale  primo  profilo.  Cio\u0027,  specie  per  la  gia\u0027\nevidenziata potenziale attitudine della stessa a incidere sulla sfera\ndominicale del debitore  inadempiente,  nella  prospettiva  tanto  di\nun\u0027esecuzione mobiliare, quanto di un\u0027esecuzione immobiliare. \n    6.2. Ricostruzione dei principi alla  luce  della  giurisprudenza\ncostituzionale \n    6.2.1. Il principio di ragionevolezza \n    Tornando ai principi di cui all\u0027art. 3 Cost. cui sopra, sotto  il\nprofilo  del  rispetto  del  primo  di  essi,  proprio  di   recente,\nautorevole  dottrina  ha  affermato  che  «l\u0027attuale   controllo   di\ncostituzionalita\u0027   e\u0027   totalmente   pervaso   dal   metodo    della\nragionevolezza: e\u0027 un controllo di ragionevolezza»(21). \n    D\u0027altronde,  a  fronte  dell\u0027indubbio  dinamismo   interpretativo\nindotto dal principio de quo, e\u0027  innegabile  l\u0027indispensabilita\u0027  di\ntale categoria e la sua correlazione con quello di  proporzionalita\u0027:\nragionevole e\u0027 qualunque opzione esegetica sia idonea a realizzare un\nequo  contemperamento  degli  interessi  in  gioco,  imponendone   un\nsacrificio non sproporzionato. E, nel  caso  di  specie,  gli  stessi\ncoincidono, da un lato, con l\u0027esigenza del  debitore  di  non  subire\nesecuzioni  sproporzionate  rispetto  alla  consistenza  quantitativa\ndella pretesa creditoria azionata; dall\u0027altro,  con  l\u0027interesse  del\ncreditore  a  conservare  lo  strumento  processuale,   astrattamente\npreordinato alla sua attuazione coattiva(22). \n    In cio\u0027 e\u0027 evidente la stretta connessione tra  ragionevolezza  e\nequita\u0027 cui,  senza  dubbio,  nell\u0027attuale  assetto  ordinamentale  e\ninterpretativo, devono riconoscersi spazi operativi ben piu\u0027 ampi  di\nquelli consegnati dalla tradizione  giuridica  che  vedeva  l\u0027equita\u0027\nconfinata alle  ipotesi  in  cui  il  legislatore  avesse  consentito\nespressamente il ricorso ad essa (c.d. equita\u0027 secundum legem). \n    Ragionevolezza e equita\u0027 sono clausole  generali  che  consentono\nall\u0027ordinamento   -   unitamente   ai   principi   personalistico   e\nsolidaristico ex art. 2 Cost. - di  adattarsi  alla  molteplicita\u0027  e\nnovita\u0027 delle istanze di tutela, provenienti dal corpo sociale  cosi\u0027\ncome dal tessuto costituzionale,  smussando  il  rigore  del  diritto\npositivo e  assicurandone  la  tenuta  costituzionale.  Oppure,  piu\u0027\nsemplicemente, possono risultare idonei ad assicurare un  equilibrato\nbilanciamento fra valori  confliggenti,  individuando,  di  volta  in\nvolta, modalita\u0027 di composizione adeguate alla fattispecie di cui  si\nimponga la definizione giudiziale. \n    Invero, la ricerca  di  un  contemperamento  -  equo  e,  dunque,\nragionevole   -   degli   interessi   in   gioco,   con   conseguente\nvalorizzazione  delle  caratteristiche  delle   singole   fattispecie\n(astratte)  poste  all\u0027attenzione  del  Giudice  delle  leggi,  e\u0027  a\nfondamento di molteplici recenti sentenze delle Corte adita. \n    Cosi\u0027, in Corte cost. n. 88 del 2023, in cui veniva in rilievo un\nreato  di  lieve  entita\u0027  commesso  da  un  immigrato  che   avrebbe\ncomportato l\u0027esclusione del rinnovo del  permesso  di  soggiorno  per\nlavoro,  la  Corte  ha  valorizzato  l\u0027argomento  fondato  sulla  non\nopportunita\u0027 di sradicare lo straniero dal luogo in cui ha  costruito\nsignificativi rapporti sociali, lavorativi e familiari. \n    L\u0027applicazione,   secondo   criteri   di   automaticita\u0027,   della\nprevisione  normativa,  sindacata  in  punto  di   costituzionalita\u0027,\navrebbe originato un esito, oggettivamente, iniquo. \n    Da cio\u0027 la necessita\u0027 di considerare  gli  elementi,  connotativi\ndella specifica situazione di fatto, tra i quali il  tempo  trascorso\ndalla commissione del reato, il percorso rieducativo compiuto dal suo\nautore, il suo radicamento nel tessuto sociale. \n    Ispirata a evidenti esigenze equitative  e\u0027  anche  la  soluzione\nfatta propria da Corte cost. n. 177 del 2023, in cui  l\u0027ill.ma  Corte\nadita e\u0027 pervenuta ad escludere che sia ammissibile  la  consegna  in\nesecuzione di un mandato di arresto europeo di  una  persona,  quando\nquesta versi in gravi condizioni di salute. Seguendo una  concorrente\ntraiettoria   argomentativa   e   richiamando    la    giurisprudenza\nsovranazionale,   ha   evidenziato   come    l\u0027esecuzione    suddetta\noriginerebbe in un  trattamento  disumano  e  degradante,  come  tale\nvietato dall\u0027art. 4 della Carta dei diritti dell\u0027Unione. \n    Dello stesso tenore e\u0027 anche la n.  178  del  2023,  secondo  cui\nl\u0027art. 18-bis, comma I,  lettera  c),  legge  n.  69  del  2005  deve\nconsiderarsi illegittimo «nella parte in cui non prevede che la corte\nd\u0027appello possa  rifiutare  la  consegna  di  una  persona  ricercata\ncittadina di uno Stato terzo, che  legittimamente  ed  effettivamente\nabbia  residenza   o   dimora   nel   territorio   italiano   e   sia\nsufficientemente  integrata  in  Italia,  nei  sensi   precisati   in\nmotivazione, sempre che la Corte d\u0027appello disponga che la pena o  la\nmisura di sicurezza sia eseguita in Italia». \n    E\u0027 richiamabile anche Corte cost. n. 86 del 2024, in  materia  di\nrapina  impropria,   aggravata   dalla   pluralita\u0027   degli   autori,\nconcernente  beni  di   esiguo   valore   economico,   ha   giudicato\nirragionevole il minimo edittale di «notevole asprezza» previsto  per\nla fattispecie de qua. \n    E cio\u0027 non perche\u0027 lo stesso sia considerato in se\u0027  e  per  se\u0027,\nbensi\u0027 in relazione al frutto del reato suddetto. \n    Il  Giudice  delle  leggi  invoca  il  concetto  di  «valvola  di\nsicurezza»,  che  sarebbe  costituzionalmente  imposta  al  fine   di\nconsentire al giudice a quo, che se ne  duole,  di  poter  far  luogo\nall\u0027applicazione di un trattamento punitivo congruo e, dunque,  equo,\nin rapporto alla specificita\u0027 del caso di specie.  Cio\u0027,  specie,  in\nvirtu\u0027 dei principi di «individualizzazione»  e,  quindi,  necessaria\npersonalizzazione  della  pena  e  della  finalita\u0027  rieducativa   di\nquest\u0027ultima. \n    Al giudice de quo deve essere  consentito  di  poter  riconoscere\ngiuridico rilievo a circostanze di  fatto  aventi  natura  oggettiva,\ncome le modalita\u0027 di commissione del reato, l\u0027eta\u0027  e  le  condizioni\npsico-fisiche  della  vittima,   la   reiterazione   della   condotta\ncriminosa, l\u0027entita\u0027 del danno, e via dicendo. \n    Medesima ratio ispirativa  parrebbe  essere  quella  della  Corte\ncost. n. 91 del 2024, intervenuta in  relazione  alla  produzione  di\nmateriale pedopornografico, laddove parimenti la censura investiva la\nmancata previsione dell\u0027attenuante per i  fatti  criminosi  di  lieve\nentita\u0027. \n    Con la sentenza n. 122 del 2014,  poi,  la  Corte  ha  dichiarato\nl\u0027illegittimita\u0027  costituzionale  del  disposto   di   cui   all\u0027art.\n2-quinquies, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 151 del 2008,  che\nnegava i benefici ai  superstiti  delle  vittime  della  criminalita\u0027\norganizzata, se parenti o affini entro il quarto  grado  di  soggetti\nnei cui riguardi sia in  corso  un  procedimento  per  l\u0027applicazione\novvero sia applicata una misura di prevenzione, di cui alla legge  n.\n575 del 1965 e successive  modifiche,  ovvero  di  soggetti  nei  cui\nconfronti sia in corso un procedimento penale per uno dei delitti  di\ncui  all\u0027art.  51,  comma  3-bis,  c.p.p.  La  Corte  ha   dichiarato\nl\u0027irragionevolezza   della   norma    de    qua,    che    penalizza,\nirragionevolmente, proprio le persone  maggiormente  meritevoli  che,\npur  legate  da  vincoli  di  parentela  o   affinita\u0027   a   soggetti\nappartenenti alla  criminalita\u0027  organizzata,  ne  abbiano  preso  le\ndistanze. \n    Nondimeno, chi richieda  elargizioni  o  assegni  vitalizi,  deve\nfornire la  prova  della  estraneita\u0027  all\u0027organizzazione  criminale,\ncosi\u0027 come di tenere «una condotta di vita antitetica  al  codice  di\ncomportamento delle organizzazioni malavitose». \n    Dunque,  evocando,  ancora  una  volta,  la  necessita\u0027   di   un\naccertamento case by case, il giudice e\u0027 chiamato ad «una  penetrante\nverifica» della sussistenza delle condizioni previste dalla  legge  e\ndell\u0027adempimento  del   «rigoroso   onere   probatorio   imposto   al\nbeneficiario». \n    Anche al di  fuori  della  materia  penale,  peraltro,  risultano\nessere non  poche  le  ipotesi  nelle  quali  la  Corte  ha  posto  a\nfondamento l\u0027equita\u0027, come esigenza di un ragionevole contemperamento\ndegli interessi in gioco e, dunque, indirettamente, il  principio  di\nragionevolezza. A titolo esemplificativo, si v. la sent. n.  183  del\n2023, in materia di regime applicabile ai minori dati in  adozione  e\nai loro rapporti con la famiglia di origine. \n    L\u0027ill.ma Corte adita ha voluto distinguere fra legami, di  natura\nlegale  formale,  con  la  famiglia  suddetta,  recisi  per   effetto\ndell\u0027adozione, e i legami affettivi che,  invece,  possono  e  devono\nessere preservati ogniqualvolta cio\u0027 sia consigliato  dal  preminente\ninteresse del minore. Da cio\u0027, l\u0027enucleazione del diritto secondo cui\nl\u0027identita\u0027  del  minore  non  risulta   «compatibile   con   modelli\nrigidamente  astratti  e  con   presunzioni   assolute,   del   tutto\ninsensibili alla complessita\u0027 delle situazioni personali». \n    6.2.2. Il principio di proporzionalita\u0027 \n    Cosi\u0027 non  puo\u0027  sottacersi  come,  nel  contesto  decisorio  del\ngiudice delle leggi, abbia assunto un\u0027importanza  primaria  anche  il\nprincipio di proporzionalita\u0027. \n    Concepito  in  origine  nell\u0027alveo  del  diritto   amministrativo\nprussiano, successivamente  estesosi  in  altri  ambiti  del  diritto\ntedesco, ha fatto ingresso, da ultimo, nel giudizio  di  legittimita\u0027\ncostituzionale in materia di diritti  fondamentali,  ponendosi  quale\nstrumento fondamentale del giudizio di bilanciamento. \n    Per esigenze di  economia  espositiva,  deve  precisarsi  che  il\ngiudizio di proporzionalita\u0027, in sede di sindacato  di  legittimita\u0027,\nsi articola in quattro diversi momenti: \n        quello di «legittimita\u0027», volto ad  accertare  che  la  norma\nsindacata sia conforme all\u0027impianto costituzionale; \n        il secondo traducentisi in una  valutazione  sub  specie  del\nprofilo  dell\u0027efficienza,  ovvero  della  relazione  (quantitativa  e\nqualitativa) tra  mezzi-fini,  cosi\u0027  da  verificare  che  sia  stata\ngarantita una «connessione razionale» tra i mezzi cui sia ricorso  il\nlegislatore e gli obiettivi perseguiti; \n        l\u0027accertamento della «necessita\u0027» della  scelta  legislativa,\novvero   della   sua   imprescindibilita\u0027   e   (eventualmente)   non\ndifferibilita\u0027; \n        la quarta fase e\u0027 quella  della  «proporzionalita\u0027  in  senso\nstretto» preordinato a verificare che l\u0027obiettivo avuto di  mira  sia\nstato perseguito, recando il  minor  sacrificio  possibile  di  altri\ndiritti o interessi costituzionalmente protetti; \n    Come acutamente sottolineato, tal ultima momento e\u0027  quello  piu\u0027\ncomplesso, esigendo che «il giudice spalanchi lo  sguardo  delle  sue\nvalutazioni,  fino  a  proiettarsi   sull\u0027impatto   effettivo   della\nlegislazione sottoposta al suo esame: cio\u0027  richiede  una  conoscenza\ndel dato di esperienza reale che la legge disciplina, che  supera  di\ngran lunga il dato giuridico positivo, strettamente inteso».  E\u0027  «in\nquesta dimensione esperienziale» che il giudice e\u0027 chiamato a cio\u0027 in\ncui si sostanzia ogni operazione  esegetica  ovvero  una  valutazione\ncomparativa degli interessi in gioco, spesso, di  segno  contrastante\ne, dunque, conflittuali. \n    Questa nozione di proporzionalita\u0027 di origine tedesca, in cui  e\u0027\nevidente  la  genesi  del  pensiero  di  Robert  Alexy,  risulta   di\nparticolare diffusione sulla scena internazionale. \n    Orbene, il principio di proporzionalita\u0027 e\u0027  spesso  evocato  dal\nGiudice delle  leggi,  insieme  al  principio  di  ragionevolezza  o,\nqualche volta, quale concetto sovrapponibile a  questo  secondo;  non\nessendo  infrequente  l\u0027affermazione  per   cui   il   principio   di\nproporzionalita\u0027 «rappresenta una diretta  espressione  del  generale\ncanone di ragionevolezza»\u003csup\u003e11\u003c/sup\u003e . \n    Come acutamente  evidenziato  dalla  dottrina  costituzionalista,\naccade spesso che la Corte «effettui una valutazione di congruenza  e\nadeguatezza del mezzo rispetto al fine\u003csup\u003e12\u003c/sup\u003e ; cosi\u0027  come  da  tempo  e\u0027\nentrato nei giudizi della Corte costituzionale il  bilanciamento  dei\nvalori, che molto si avvicina alla fase  della  \"proporzionalita\u0027  in\nsenso  stretto\",  specie  nei   casi   che   riguardano   i   diritti\nfondamentali\u003csup\u003e13\u003c/sup\u003e ». \n    Una delle ipotesi che appare  maggiormente  idonea  a  richiamare\nquella complessita\u0027 diacronica che il test di proporzionalita\u0027 assume\nal di fuori del contesto italiano, e\u0027 rappresentata dalla sentenza in\nmateria mandato di arresto europeo, in cui  il  Giudice  delle  leggi\nCorte ha affermato che: «Il divieto  di  discriminazione  sulla  base\ndella nazionalita\u0027 consente si\u0027 di differenziare  la  situazione  del\ncittadino di uno Stato  membro  dell\u0027Unione  rispetto  a  quella  del\ncittadino di un altro Stato membro, ma la differenza  di  trattamento\ndeve avere una giustificazione legittima e ragionevole, sottoposta ad\nun  rigoroso  test   di   proporzionalita\u0027   rispetto   all\u0027obiettivo\nperseguito [...]»\u003csup\u003e14\u003c/sup\u003e . \n    Il  principio  di  proporzionalita\u0027,  al  pari   di   quello   di\nragionevolezza ed equita\u0027, costituiscono oramai ratio  decidendi  del\ngiudice  ordinario  di  merito  e  di   legittimita\u0027,   conformandone\ncostantemente    l\u0027attivita\u0027     esegetica.     Cio\u0027,     ovviamente,\nnell\u0027amministrazione di quegli spazi di discrezionalita\u0027 che gli sono\nlasciati dal dettato normativo. \n    Cosi\u0027 costituisce parametro  frequente  ai  fini  del  vaglio  di\ncostituzionalita\u0027 delle leggi ordinarie, rimesse  all\u0027attenzione  del\nGiudice delle leggi. \n    6.2.3. La peculiarita\u0027 della disciplina del caso di specie \n    Orbene,  venendo  al  caso   di   specie,   con   riguardo   alla\nragionevolezza della disciplina de qua, la dottrina ha  stigmatizzato\nla   mancata   regolamentazione   di    un    momento    processuale,\nspecificatamente, deputato alla liquidazione della penalita\u0027. \n    In cio\u0027, non esiste contiguita\u0027  con  il  modello  francese  che,\ninvece, si fonda sul riconoscimento della facolta\u0027 per  le  parti  di\nrivolgersi al giudice dell\u0027esecuzione. \n    Ne consegue che la sua liquidazione,  seppur  indirettamente,  e\u0027\nstata, irragionevolmente,  affidata  allo  stesso  creditore  su  cui\nincombe  l\u0027onere  di  specificare  l\u0027importo  maturato  nell\u0027atto  di\nprecetto, con conseguente alimentazione del contenzioso  in  sede  di\nopposizione all\u0027esecuzione. \n    Invero, in  via  interpretativa,  vi  e\u0027  anche  chi  ritiene  di\nsovvenire a tale carenza  dell\u0027apparato  rimediale,  prefigurato  dal\nlegislatore, riconoscendo al creditore la facolta\u0027  e,  al  contempo,\nl\u0027onere di  adire  il  giudice  del  c.d.  giudizio  presupposto  per\nconseguire  una  liquidazione  ex  post  dell\u0027ammontare  dovuto,  con\nconseguente  aggravamento  dell\u0027iter   procedurale   necessario   per\nconseguire l\u0027agognata tutela. \n    Cio\u0027, nel (discutibile)  presupposto  teorico  che  difetti  quel\nrequisito  di  necessaria  liquidita\u0027,  prescritto  ai   fini   della\nvalidita\u0027 di ogni titolo provvisto di efficacia esecutiva;  efficacia\nche, pero\u0027 -  come  evidenziato  da  autorevole  dottrina  -,  l\u0027art.\n614-bis del codice di procedura civile riconosce, espressamente, alla\nmisura de qua fin dal suo momento genetico. \n    Per contro, al giudice dell\u0027esecuzione non e\u0027 stato  riconosciuto\nun ruolo «piu\u0027 consono alla sua natura, ovvero  quello  di  liquidare\nl\u0027importo della somma dovuta quando l\u0027inottemperanza al provvedimento\ndi condanna si e\u0027 gia\u0027 manifestato, si\u0027 da tarare la  penalita\u0027  alla\nluce del concreto evolversi dei rapporti». \n    Dunque, attualmente,  l\u0027art.  614-bis  del  codice  di  procedura\ncivile non prefigura una fase liquidatoria del  provvedimento  emesso\ndal giudice della cognizione insieme alla condanna. \n    Evidenzia, invece, la difesa  dell\u0027opponente  come  «il  giudizio\nd\u0027efficacia dell\u0027astreinte deve essere un giudizio razionale da parte\ndel giudice, dovendo verificare se sussiste in concreto un nesso  tra\nl\u0027impiego   della   misura   e   il    raggiungimento    del    fine,\ncontestualizzando  nella  realta\u0027  patrimoniale  del  debitore,   che\novviamente muta caso per caso, la  misura  coercitiva  da  adottarsi,\nverificando il nesso fra mezzo e  scopo,  rendendola  cosi\u0027  un  mero\ngiudizio  di  efficacia».  Nondimeno,  non   consentendo   la   norma\nl\u0027apposizione di un  limite  temporale  o  quantitativo  massimo,  la\nmisura  risulta  «applicabile  sine  die»,  dando   luogo   ad   «una\nobbligazione  a  carattere  sanzionatorio   sproporzionata   rispetto\nall\u0027originaria obbligazione inadempiuta». \n    Inoltre,  se  e\u0027  vero  che  le  Sezioni  Unite  della  Corte  di\ncassazione (Cassazione civile sez. un. , 5 luglio 2017, n.  16601(23)\nhanno riconosciuto la polifunzionalita\u0027 della responsabilita\u0027 civile,\nalla quale sono interne anche finalita\u0027 sanzionatorie  e  deterrenti;\nnondimeno,  la   pronuncia   ha   indicato,   quali   condizioni   di\ndelibabilita\u0027 delle pronunce di condanna ai punitive  damages,  oltre\nalla necessita\u0027 che esse siano emesse «sulla scorta di basi normative\nadeguate, che rispondano ai principi di tipicita\u0027  e  prevedibilita\u0027»\n(Cass. Sez. Un. civ., 5 luglio 2017, n. 16601) anche il rispetto  del\nprincipio di proporzionalita\u0027 (espresso dall\u0027art. 49 della Carta  dei\ndiritti   fondamentali   dell\u0027Unione   europea).   Ora,   se    nella\nricostruzione della Corte la proporzionalita\u0027 e\u0027 riferita al rapporto\n«tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo  e\ntra quest\u0027ultimo e la condotta censurata» (Sez. Un.  civ.,  5  luglio\n2017, n. 16601),  il  principio  in esame  sembra  piu\u0027  in  generale\nesprimere l\u0027esigenza  che  non  si  attribuisca  al  danneggiato  «un\nrimedio risarcitorio che non gli compete perche\u0027 del tutto  privo  di\nconnessioni significative con la sua sfera giuridica sia  sostanziale\nche processuale». \n    6.2.4.  I  profili  evidenziati  dalla   difesa   dell\u0027opponente,\nrappresentata dal prof. V. Farina \n    Secondo la difesa dell\u0027opponente, alla luce delle considerazioni,\nche precedono, e avuto riguardo all\u0027attuale stato della normativa che\nriconosce al G.E. solo la possibilita\u0027, ove non sia «stata  richiesta\nnel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo» sia  «diverso\nda  un  provvedimento  di  condanna»  «la  somma  di  denaro   dovuta\ndall\u0027obbligato  per  ogni  violazione  o   inosservanza   o   ritardo\nnell\u0027esecuzione  del  provvedimento»  sia  «determinata  dal  giudice\ndell\u0027esecuzione,   su   ricorso   dell\u0027avente   diritto,   dopo    la\nnotificazione del precetto», sembrerebbe ricorrere la violazione  sia\ndel  principio  di  proporzionalita\u0027  che  di  ragionevolezza.  Come,\ncondivisibilmente,  evidenziato  dalla  difesa  dell\u0027opponente,   «la\nproporzionalita\u0027   evoca,   sul   versante   dello    scrutinio    di\ncostituzionalita\u0027, una correlazione del mezzo rispetto al  fine,  nel\nsenso che, tra strumento normativo regolatore,  e  realizzazione  del\nfine che con esso si intende perseguire, l\u0027opera  di  \"bilanciamento\"\ndeve condurre ad un \"equilibrato\" componimento dei sacrifici». \n    La  Corte  «ha  affermato  che  l\u0027automatismo   della   sanzione,\nricorrente nel caso di specie  nella  sua  staticita\u0027  e  perduranza,\n\"offende quel  principio  di  proporzione  che  e\u0027  alla  base  della\nrazionalita\u0027 che domina il principio di  eguaglianza  e  che  postula\nl\u0027adeguatezza della sanzione al caso concreto (sentenza  n.  297/1993\n(Granata)». \n    Dunque,  evidenzia  parte  opponente,  come  «il   principio   di\nproporzionalita\u0027 sembr(i)  idoneo,  di  concerto  con  il  canone  di\nragionevolezza ricavabile dall\u0027art. 3 Cost., a limitare  la  facolta\u0027\ndel  legislatore  ordinario  di  prevedere  spostamenti  patrimoniali\ningiustificati o, comunque, sproporzionati». \n    Sotto questo aspetto, un risarcimento punitivo o una sanzione - a\nseconda della ricostruzione che se ne  voglia  accogliere  -  che  si\nprotraggano  «sine  die  per  come  confezionat(i)  dal  legislatore,\n(paiono) non rispettos(i) di tali parametri e, quindi,  non  alien(i)\nad una censura di incostituzionalita\u0027». \n    D\u0027altronde, adottando una prospettiva risarcitoria, «la  Consulta\n... ha a piu\u0027 riprese dichiarato l\u0027incostituzionalita\u0027 di norme  che,\nponendo un massimale alla responsabilita\u0027  di  determinati  soggetti,\nammettevano la possibilita\u0027 di un ristoro inferiore al danno e dunque\nsottocompensativo. Ad opinione della Corte, infatti, tale limitazione\nnon assicurava ne\u0027 l\u0027equo contemperamento degli  interessi  in  gioco\nne\u0027 il razionale perseguimento degli obiettivi pur  insindacabilmente\nprefissati dal legislatore,  ponendosi  cosi\u0027  in  contrasto  con  il\nprincipio di  ragionevolezza  ricavabile  dall\u0027art.  3  Cost.  (Corte\ncost., 6 maggio 1985, n. 132, in  Foro  it.,  1985,  I,  1585;  Corte\ncost., 22 novembre 1991, n. 420, ivi, 1992, I, 642)». \n    Di recente, in tal senso, e\u0027 richiamabile  Corte  costituzionale,\nche con la sentenza n. 118/2025, ha  dichiarato  incostituzionale  il\nlimite massimo di sei mensilita\u0027 previsto dal decreto legislativo  n.\n23 del 2015 per i lavoratori dipendenti delle piccole  imprese,  c.d.\nsotto soglia, ossia quelle che occupano fino a 15 dipendenti per ogni\nsede o unita\u0027  produttiva  o  Comune,  e  comunque  non  piu\u0027  di  60\ndipendenti in totale. \n    Secondo la  Corte,  tale  limite  fisso  e  invalicabile  di  sei\nmensilita\u0027 di retribuzione che  il  datore  di  lavoro  e\u0027  tenuto  a\ncorrispondere al dipendente ove  il  licenziamento  sia  riconosciuto\nillegittimo e\u0027 incostituzionale perche\u0027: \n        preclude al giudice di commisurare  il  rimedio  risarcitorio\nalla gravita\u0027 del caso concreto; \n        ha l\u0027effetto di rendere l\u0027indennita\u0027 risarcitoria  inadeguata\ne non congrua in rapporto al danno che il  lavoratore  potrebbe  aver\nrealmente subito; \n        dato l\u0027importo  basso,  neutralizza  la  funzione  deterrente\ndella sanzione nei confronti del datore di lavoro. \n    Sottolinea, sempre, l\u0027opponente come, «almeno in  linea  teorica,\nquindi, ben potrebbe la Corte estendere il proprio vaglio anche  alle\nnorme    che,    specularmente,    prevedono     dei     risarcimenti\nultracompensativi.   I   parametri   applicabili    in    punto    di\nproporzionalita\u0027 (e  ragionevolezza),  infatti,  sono  esattamente  i\nmedesimi». \n    Inoltre,  sotto  il  profilo  del  rispetto  del   principio   di\nproporzionalita\u0027, «il ricorso a risarcimenti ultracompensativi per il\nperseguimento  di  finalita\u0027  regolatorie   generali   determina   il\nriconoscimento, a beneficio del danneggiato, di un rimedio totalmente\nprivo di relazione con le modalita\u0027 con cui la sua sfera giuridica e\u0027\nstata intaccata». \n    Tale evenienza si e\u0027 concretizzata nel caso di  specie,  «ove  il\ndanneggiato  della  mancata  estensione  della   prova   rischia   di\nconseguire  con  l\u0027astreinte,  di   piu\u0027   di   quello   che   potra\u0027\n(eventualmente)  conseguire  ove  la  domanda  risarcitoria   venisse\naccolta». \n    Cio\u0027, «non sembra ammissibile nel nostro ordinamento,  nel  quale\nla   responsabilita\u0027   civile,   anche   alla   luce   dei   principi\ncostituzionali,  appare  improntata,  piu\u0027   che   al   perseguimento\ndell\u0027efficienza di sistema, alla tutela dei diritti  secondo  logiche\ndi giustizia». Sottolinea ancora la difesa  dell\u0027opponente,  come  «i\nrisarcimenti  sanzionatori  siffatti  assegnano  ai  danneggiati  che\nagiscono in giudizio un  premio  per  essersi  fatti  carico  di  una\nesigenza sociale di dissuasione, delegando una funzione pubblica a un\nsoggetto privato, che diviene una sorta di cacciatore di taglie, come\npuntualmente rilevato dalla dottrina. \n    Tale aspetto «non e\u0027 sfuggito  alla  Corte  di  cassazione  della\nFrancia (luogo  di  nascita  dell\u0027istituto).  Una  recente  pronuncia\n[Cass.   2°   civ.,   20   janv.    2022,    n.    19-    23721    in\nhttps://www.legifrance.gouv.fr/juri/id.]  ha   invocato   sul   punto\nl\u0027applicazione in materia della CEDU e del suo protocollo  n.  1,  in\nquanto l\u0027astreinte impone, nella fase  della  sua  liquidazione,  una\ncondanna pecuniaria al  debitore  dell\u0027obbligazione,  che  e\u0027  dunque\nsuscettibile di incidere su un interesse sostanziale di quest\u0027ultimo,\nnonostante non esista alcuna normativa  che  pregiudichi  il  diritto\ndegli  Stati  di  emanare  le  leggi  che  ritengano  necessarie  per\nassicurare il pagamento di imposte, contributi o sanzioni.  Pertanto,\nil Giudice di legittimita\u0027 Francese, con la pronuncia  del  2022,  ha\naffermato che, se e\u0027 pur vero che l\u0027astreinte non costituisce di  per\nse\u0027 una misura contraria ai requisiti del protocollo n. 1 della  CEDU\nin quanto prevista dalla legge e tende, nell\u0027obiettivo di  una  buona\namministrazione della giustizia, a garantire  l\u0027effettiva  esecuzione\ndelle decisioni giudiziarie entro un tempo ragionevole, si impone  al\ngiudice chiamato a liquidare la  misura,  in  caso  di  inadempimento\ntotale  o  parziale  dell\u0027obbligazione,   di   tenere   conto   delle\ndifficolta\u0027 incontrate dal  debitore  nell\u0027adempimento  e  della  sua\nvolonta\u0027 di rispettare l\u0027ingiunzione. In definitiva, il  giudice  che\ndecide  sulla  liquidazione  di   un\u0027astreinte   deve   valutare   la\nproporzionalita\u0027  della  violazione  dei  diritti  patrimoniali   del\ndebitore alla luce dello scopo legittimo che il creditore persegue». \n    Tornando al vaglio alla stregua del principio di  ragionevolezza,\nevidenzia  ancora  la  difesa  dell\u0027opponente,  come  «nota   e\u0027   la\nriconduzione del principio di ragionevolezza nell\u0027ambito di quello di\neguaglianza sostanziale di cui  all\u0027art.  3  della  Costituzione.  Ha\naffermato La Corte costituzionale (sentenza n. 89  del  1996  ):  \"Il\ngiudizio  di  eguaglianza,  ......,  e\u0027  in  se\u0027   un   giudizio   di\nragionevolezza, vale a dire un apprezzamento di  conformita\u0027  tra  la\nregola introdotta e la \"causa\" normativa che la deve  assistere:  ove\nla disciplina positiva si discosti dalla funzione che  la  stessa  e\u0027\nchiamata a svolgere nel sistema  e  ometta,  quindi,  di  operare  il\ndoveroso  bilanciamento  dei  valori  che   in   concreto   risultano\ncoinvolti, sara\u0027 la  stessa  \"ragione\"  della  norma  a  venir  meno,\nintroducendo  una  selezione  di  regime  giuridico  priva  di  causa\ngiustificativa  e,  dunque,  fondata   su   scelte   arbitrarie   che\nineluttabilmente perturbano  il  canone  dell\u0027eguaglianza\u0026gt;\u0026gt;enti,  che\npossono avere  indotto  il  legislatore  a  formulare  una  specifica\nopzione: se dall\u0027analisi di tale motivazione scaturira\u0027  la  verifica\ndi una carenza di \"causa\" o \"ragione\"  della  disciplina  introdotta,\nallora  e  soltanto  allora  potra\u0027  dirsi  realizzato  un  vizio  di\nlegittimita\u0027 costituzionale  della  norma,  proprio  perche\u0027  fondato\nsulla  \"irragionevole\"  e  per  cio\u0027  stesso  arbitraria  scelta   di\nintrodurre un regime che necessariamente finisce  per  omologare  fra\nloro  situazioni  diverse  o,  al  contrario,  per  differenziare  il\ntrattamento di situazioni analoghe». \n    Il sindacato de quo sembra riflettersi anche sul piano funzionale\ndella norma, chiamando l\u0027interprete ad una operazione  di  «ermeneusi\nteleologica»  non  facile,  soprattutto   in   presenza   di   prassi\nlegislative   nelle   quali   abbondano   «norme   intruse»,    norme\nsintatticamente  ambigue,  norme  pletoriche  o,  addirittura,  norme\ncontraddittorie.   Cio\u0027   premesso,   «l\u0027attribuzione   patrimoniale,\ninfatti, appare giustificata  quando  la  sanzione  e\u0027  funzionale  a\ngarantire l\u0027interesse del soggetto a cui  spetta  il  provento  della\nstessa. E l\u0027esistenza di questo rapporto tra interesse e rimedio  che\nassicura  la  proporzionalita\u0027  (e,  dunque,  la  ragionevolezza)  di\nquest\u0027ultimo, non diversamente da quanto accade  in  tema  di  penale\n(cfr. art. 1384 del codice civile)». \n    Cio\u0027  premesso,  a  giudizio  di  questo   remittente,   non   e\u0027\nmanifestamente infondata la questione  di  incostituzionalita\u0027  della\nnorma, sotto il profilo del rispetto dei principi  di  ragionevolezza\nCost. e di proporzionalita\u0027 ex art. 3 Cost., specie, se si  consideri\nche il debitore si puo\u0027 trovare  esposto  in  sede  esecutiva  ad  un\nsacrificio, di gran lunga superiore rispetto al danno cagionato,  con\neffetti sostanzialmente espropriativi della propria sfera giuridica. \n    Dunque,  l\u0027assenza  di  un  limite   massimo   all\u0027astreinte   (e\nl\u0027impossibilita\u0027 di chiedere la fissazione dello  stesso  al  Giudice\ndell\u0027esecuzione) possono comportare a un\u0027eccessiva penalizzazione del\ndebitore, soprattutto se  l\u0027obbligo  non  viene  adempiuto  in  tempi\nragionevoli. E l\u0027irragionevolezza della norma deriva, peraltro, anche\ndall\u0027impossibilita\u0027,   o,   meglio,   dall\u0027oggettiva   e    rilevante\ndifficolta\u0027,  per  il  debitore  inadempiente   di   richiedere   una\npredeterminazione del massimo della misura, concretamente  esigibile,\nal giudice della cognizione che, peraltro, non puo\u0027 valutare ex  ante\nun  eventuale  profilo  di  esorbitanza  che  puo\u0027   manifestarsi   e\napprezzarsi solo in sede esecutiva. \n    Dunque, imporre al destinatario della misura di richiedere che la\nstessa sia tarata nei massimi fin  da  subito  appare  sproporzionato\nrispetto ai suoi doveri di diligenza processuale. \n7.  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione dell\u0027art. 42, comma 4,  Cost.,  nonche\u0027\ndell\u0027articolo 117 Cost.,  come  integrato,  quale  norma  interposta,\ndell\u0027art. 1 del Protocollo 1 della Convenzione  europea  dei  diritti\ndell\u0027uomo (CEDU) \n    Il diritto di proprieta\u0027, sancito, come  noto,  dall\u0027articolo  42\ndella Costituzione - quale valore di  rango  anche  sovranazionale  -\nimplica la conservazione della possibilita\u0027 per  il  proprietario  di\ndisporre liberamente del bene, godendone e  alienandolo.  Vincoli  di\ncarattere perpetuo tendono a limitare eccessivamente questa liberta\u0027,\nsvuotando il diritto  del  suo  contenuto  effettivo  e  venendosi  a\nconfigurare, in alcuni casi, come una sorta di «espropriazione  senza\nindennizzo».  Una  tale  tipologia  di  vincolo  parrebbe  porsi   in\ncontrasto anche con la tutela  che  l\u0027ordinamento,  a  vari  livelli,\nriconosce al diritto  dominicale.  E\u0027  evidente,  infatti,  come  una\npenale eccessiva vada potenzialmente ad incidere  anche  sulla  sfera\npatrimoniale dell\u0027obbligato, venendo lo stesso esposto al pericolo di\nun\u0027esecuzione mobiliare o immobiliare. \n    Vulnus che, data  la  natura  polistrutturata  della  tutela  del\ndominium, nel contesto  di  un  ordinamento  multilivello,  quale  il\nnostro, viene a tangere una pluralita\u0027 di disposizioni. \n    In particolare, l\u0027art. 1 Protocollo 1 della  Convenzione  europea\nprevede che: \n        «1. Ogni persona fisica o giuridica ha  diritto  al  rispetto\ndei suoi beni. Nessuno puo\u0027 essere privato della  sua  proprieta\u0027  se\nnon per causa di pubblica utilita\u0027 e nelle condizioni previste  dalla\nlegge e dai principi generali del diritto internazionale. \n        2. Le disposizioni  precedenti  non  portano  pregiudizio  al\ndiritto degli Stati di porre in vigore  le  leggi  da  essi  ritenute\nnecessarie  per  disciplinare  l\u0027uso  dei  beni  in   modo   conforme\nall\u0027interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte  o\ndi altri contributi o delle ammende.» \n    La prima previsione ha portata generale e prescrive la tutela dei\nbeni della persona, la  seconda  si  riferisce  alle  condizioni  che\npossono legittimare la privazione della liberta\u0027 e la terza,  invece,\nconcerne il  riconoscimento  allo  Stato  il  potere  di  normare  le\nfacolta\u0027  di  godimento  dei  beni,  conformando  lo  stesso  secondo\nl\u0027interesse generale. \n    In particolare, la terza  ipotesi  contempla  provvedimenti  meno\nincisivi di quello privativo della  proprieta\u0027  e  ad  assicurare  il\npagamento di tasse ed imposte. \n    Invero, la Convenzione adotta un concetto di «bene»  peculiare  e\nproprio solo del sistema convenzionale,  funzionale  all\u0027applicazione\ndella procedura, concetto autonomo dalla legislazione nazionale. \n    La  nozione  convenzionale,  infatti,  comprende  sia   i   «beni\nesistenti» sia i diritti patrimoniali, categoria che include anche  i\ncrediti in relazione ai quali il ricorrente puo\u0027 sostenere  di  avere\nuna situazione giuridica qualificabile come  «aspettativa  legittima»\n(e, quindi, sia i diritti «in rem» che quelli «in personam»), nonche\u0027\nbeni immobili e mobili (si pensi alla proprieta\u0027 intellettuale,  alle\nlicenze commerciali, alle clientele professionali ecc.). \n    Cio\u0027 posto, la circostanza che  la  legislazione  di  un  singolo\nStato non riconosca che un  particolare  interesse  sia  un  «diritto\npatrimoniale» non preclude una diversa e opposta qualificazione  alla\nstregua dell\u0027articolo 1 del Protocollo n. 1. \n    Orbene,  al  fine  di  superare  il  vaglio   di   compatibilita\u0027\nconvenzionale  -  l\u0027ingerenza  dello  Stato  deve  soddisfare  alcuni\nrequisiti: e\u0027 necessaria la presenza di una  base  legale  che  abbia\ngiustificato l\u0027interferenza stessa; tale base legale - se esistente -\ndeve avere uno scopo legittimo; in ultimo, qualora venisse  accertato\nanche lo scopo legittimo della norma giustificatrice, si valutera\u0027 se\nl\u0027autorita\u0027 nazionale  competente  lo  abbia  perseguito  in  maniera\nnecessaria e proporzionale. \n    In sintesi, dunque, il  giudice  deve  verificare  se,  nel  caso\nconcreto, siano stati osservati i principii di legalita\u0027,  necessita\u0027\ne di proporzionalita\u0027, gia\u0027 menzionati. \n    Oltre ai  suddetti  requisiti  summenzionati,  ogni  limitazione,\napposta al diritto di proprieta\u0027 - in qualunque forma si attui che se\ndi  perdita,  restrizione  o  altre  interferenze   -   deve   essere\ngiustificata dall\u0027interesse pubblico o dall\u0027interesse generale. \n    Le due espressioni sono contemplate dal  primo  e  secondo  comma\ndell\u0027art. 1 Protocollo n. 1 e  sono  equipollenti  sotto  il  profilo\nsemantico. \n    Invero, la Convenzione non definisce i due concetti,  perche\u0027  la\nCorte riconosce in proposito agli stati un margine di apprezzamento. \n    In base al sistema di  protezione  stabilito  dalla  Convenzione,\ndifatti,  spetta  alle  autorita\u0027   nazionali   compiere   l\u0027iniziale\nvalutazione dell\u0027esistenza di un problema di interesse  pubblico  che\ngiustifichi misure di privazione della proprieta\u0027 o di ingerenza  nel\npacifico godimento di «beni». \n    In particolare, nel caso della protezione della proprieta\u0027,  tale\nmargine e\u0027 legato alla considerazione di interessi politici, sociali,\neconomici o di altro genere (si pensi alla protezione  dell\u0027ambiente,\nall\u0027equilibrio del bilancio generale  dello  stato,  alla  fissazione\ndelle priorita\u0027 nell\u0027impegno delle risorse pubbliche disponibili). \n    Cio\u0027 posto, si  comprende  come  detta  discrezionalita\u0027  statale\ndiventa ampia quando  si  tratta  di  interventi  di  grande  portata\nlegislativa, quali quelli per la realizzazione di politiche sociali o\nper la regolamentazione delle conseguenze dovute al cambiamento di un\nregime politico o, ancora,  nell\u0027adozione  di  misure  finalizzate  a\ntutelare  le  risorse  finanziarie  pubbliche  o  di  una  differente\nassegnazione  di  fondi  o  nel  contesto  di  misure  di  austerita\u0027\nsollecitate da un\u0027importante crisi economica. \n    Si badi bene, tuttavia, che cio\u0027 non vuol dire che  tutto  quello\nche viene ricondotto - nei vari periodi  storici  -  dalle  autorita\u0027\nnazionali nel concetto di «pubblica utilita\u0027» non sia in  alcun  modo\nsindacabile e,  quindi,  valutabile  convenzionalmente  solo  perche\u0027\nrientrante nel margine di apprezzamento  statale  riconosciuto  dalla\nConvenzione.  Anche  in  tali  casi,  difatti,  sussiste  il   limite\nrappresentato dalla manifesta irragionevolezza dell\u0027intervento  dello\nStato(24). \n    Cio\u0027 premesso, la mancata  previsione  dell\u0027apponibilita\u0027,  anche\nd\u0027ufficio, di un tetto massimo, appare in  contrasto  oltre  che  con\nl\u0027art. 42, comma 4, Cost.,  in  materia  di  diritto  di  proprieta\u0027,\nnonche\u0027  con  l\u0027articolo  117  Cost.,  come  integrato,  quale  norma\ninterposta, dall\u0027art. 1 del Protocollo 1della Convenzione Europea dei\nDiritti dell\u0027Uomo (CEDU), nonche\u0027 dell\u0027articolo 6 che  garantisce  il\ndiritto a un processo equo. \n    Per   principio   interpretativo   consolidato,    le    sanzioni\nsproporzionate possono configurare una violazione  della  Convenzione\neuropea dei diritti dell\u0027uomo (CEDU), in particolare, dell\u0027articolo 1\ndel Protocollo 1, che tutela il diritto di proprieta\u0027. \n    La Corte europea dei diritti  dell\u0027uomo  (Corte  EDU)  valuta  la\nproporzionalita\u0027  delle  sanzioni,  considerando  la  gravita\u0027  della\nviolazione, le conseguenze  per  l\u0027individuo  e  la  finalita\u0027  della\nsanzione. \n    Sotto il profilo della violazione dell\u0027articolo 1 del  Protocollo\n1 CEDU, rubricato come Protezione della proprieta\u0027,  le  sanzioni  di\nnatura pecuniaria, in particolare, possono interferire sul diritto di\nproprieta\u0027,  ogniqualvolta  impediscano,   illegittimamente   perche\u0027\nsproporzionate, l\u0027utilizzo della  proprieta\u0027  per  le  sue  finalita\u0027\ntipiche oppure la sanzione sia  cosi\u0027  elevata  da  compromettere  il\npatrimonio del sanzionato. \n8.  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del  principio  di  effettivita\u0027  della\ntutela giurisdizionale ex articoli 24, 111 Cost. e 47 CDFUE,  nonche\u0027\ndell\u0027117  Cost.,  come  integrato,  quali  norme  interposte,   dagli\narticoli 6 e 13 Cedu \n    La disciplina nazionale, nella misura in cui non consentirebbe di\nliberarsi  da  un  vincolo  proiettato  indirettamente   nel   tempo,\nsembrerebbe porsi in contrasto anche con il principio di effettivita\u0027\ndella   tutela   giurisdizionale   che   ha   fondamento    normativo\ncostituzionale ex articoli  24,  111  Cost.,  nonche\u0027  comunitario  e\nconvenzionale ex articoli 6, 13 Cedu e 47 CDFUE. \n    Il tradizionale diritto di azione, quale situazione giuridica cui\nriconoscere diretta  e  immediata  precettivita\u0027  -  e  non  piu\u0027  da\nricostruirsi in chiave meramente programmatica - implica non solo  la\ngaranzia dell\u0027accesso  alla  tutela  giurisdizionale,  ma  che  siano\napprestate idonee forme di garanzia processuale. \n    Tale diritto si e\u0027 dotato di altre basi giuridiche in conseguenza\ndell\u0027evoluzione ordinamentale e dello stratificarsi di altri  livelli\ndi tutela  a  livello  sovranazionale  che  ne  hanno,  al  contempo,\narricchito la portata contenutistica e le potenzialita\u0027 operative. \n    Alcune di esse, come noto, non rilevano, direttamente, nel nostro\nordinamento, quali parametri di commisurazione della validita\u0027  delle\nnorme interne, svolgendo, pero\u0027, il ruolo di norme interposte ai fini\ndel vaglio  di  costituzionalita\u0027;  altre  godono,  invece,  di  tale\npeculiare condizione giuridica, riassumibile nel concetto di  diretta\napplicabilita\u0027 e di primazia rispetto al diritto nazionale. \n    Al novero delle prime sono riconducibili le norme della Cedu, che\nanche  dopo  l\u0027approvazione  del  Trattato   di   Lisbona,   che   ha\ncomunitarizzato la Carta  di  Nizza,  sono  improduttive  di  effetti\ndiretti  nei  singoli   sistemi   nazionali,   rilevando,   comunque,\nindirettamente, quale contenuto precettivo  idoneo  a  sostanziare  i\nc.d. principi generali del diritto comunitario. \n    Alle seconde sono, invece, ascrivibili  le  norme  dettate  dalla\nCdfue. \n    In particolare, sotto il primo versante, e\u0027  richiamabile  l\u0027art.\n13 della CEDU sancisce il diritto ad un ricorso effettivo a favore di\nogni persona i  cui  diritti  e  liberta\u0027  fondamentali  siano  stati\nviolati. \n    Di recente, lo stesso, a livello di  legislazione  ordinaria,  e\u0027\nstato codificato dall\u0027art. 1 c.p.a.,  secondo  cui  lo  stesso  «deve\nassicurare una tutela piena ed effettiva  secondo  i  principi  della\nCostituzione e del diritto europeo». \n    Il principio de  quo  assume  un  rilievo  primario  nel  sistema\nprocessuale sia nazionale sia sovranazionale, rappresentando non solo\nun vincolo destinato a orientare e, a volte, anche  a  conformare  le\nscelte del legislatore,  nel  modulare  gli  strumenti  di  tutela  a\npresidio  della  sfera  giuridica  dei  singoli,  ma  anche  uno  dei\nparametri cui deve attenersi il Giudice,  nella  ricostruzione  della\nportata precettiva delle norme, al fine di consentire la massimazione\ndel risultato di tutela, conseguibile da chi lo  abbia  investito  di\nuna determinata controversia. \n    Nel caso di specie, e\u0027,  altresi\u0027,  configurabile  la  violazione\ndell\u0027articolo 6 Cedu che garantisce il diritto a un processo equo, da\nintendersi  quale  meccanismo  processuale  idoneo  a  consentire  al\nricorrente o all\u0027attore il conseguimento dell\u0027anelata tutela,  se  ne\nricorrano i  presupposti;  cosi\u0027  come  al  convenuto  di  difendersi\nadeguatamente. \n    Invero,  il  principio  del  giusto   processo   ha   conosciuto,\ninizialmente, a livello interpretativo, una declinazione  in  termini\ndi mera adeguatezza delle regole processuali in  termini  di  parita\u0027\ndelle armi e  di  ragionevole  durata,  cosi\u0027  come  di  terzieta\u0027  e\nimparzialita\u0027 del giudice, investito della controversia. \n    Si e\u0027 affermato, condivisibilmente,  che  «il  suo  potenziamento\npertanto, all\u0027interno del processo unionale, richiede da un  lato  la\ngaranzia  di  un  accesso   ragionevolmente   agevole   alla   tutela\ngiurisdizionale, da realizzarsi attraverso la previsione di titoli di\ngiurisdizione uniformi e dall\u0027altro, la garanzia di un\u0027efficacia  non\nmeramente domestica dell\u0027accertamento compiuto dal giudice, cioe\u0027  la\npossibilita\u0027 di far valere ovunque in Europa le posizioni  giuridiche\noggetto di tale accertamento». \n    Solo, successivamente, anche  grazie  alla  virtuosa  sinergia  -\nsotto il profilo interno allo stesso sistema Cedu, con  l\u0027art.  13  e\nsotto quello esterno con le pronunce della  Cge  -  il  principio  ha\niniziato ad abbracciare l\u0027idea della stessa idoneita\u0027  della  singola\nvicenda processuale a consentire l\u0027effettiva soddisfazione  del  bene\ndella vita anelito. \n    Costituisce, seppur indirettamente, indizio sintomatico  di  tale\nmodifica del profilo funzionale della norma, la  stessa  formulazione\ndell\u0027art. 111 Cost. introdotto dalla legge costituzionale  n.  1  del\n1999 proprio  per  dare  attuazione,  a  livello  costituzionale,  al\nprincipio convenzionale del giusto processo. \n    Dispone, infatti, l\u0027art.  111  che  «la  giurisdizione  si  attua\nmediante il giusto processo regolato dalla legge.  Ogni  processo  si\nsvolge nel contraddittorio tra le parti, in  condizioni  di  parita\u0027,\ndavanti a giudice  terzo  e  imparziale.  La  legge  ne  assicura  la\nragionevole durata». \n    D\u0027altronde, lo stesso art. 6 Cedu ha, fin  dall\u0027inizio,  adottato\nuna formulazione ispirata ad una concezione, prettamente formale, del\ngiusto processo cui era estranea la (diversa) prospettiva finalistica\ne sostanziale. \n    Come  gia\u0027  evidenziato  proprio  il  dialogo  con  la  Corte  di\ngiustizia ha consentito l\u0027assunzione di una  diversa  prospettiva  di\ntutela che esulasse dal dato meramente formale processuale. \n    A tal riguardo, giova richiamare la sentenza  CEDU  del  6  marzo\n2025, secondo cui «in materia di diritto a un  processo  equo.  Viola\nl\u0027art. 6, comma 1, CEDU, sotto il profilo del  diritto  di  adire  un\ntribunale, la mancata esecuzione - entro un tempo  ragionevole  -  di\nsentenze di varie autorita\u0027 giurisdizionali interne emanate in favore\ndel ricorrente.». \n    Orbene, il principio di effettivita\u0027, con riferimento  alla  CEDU\n(Convenzione europea dei diritti dell\u0027uomo), implica che le norme e i\nmezzi  di  ricorso  nazionali  non  devono  rendere   impossibile   o\neccessivamente  difficile  l\u0027esercizio  dei  diritti  sanciti   dalla\nConvenzione, inclusi quelli relativi a un equo processo. \n    Dalla  disamina   della   giurisprudenza   della   CEDU   emerge,\nincontestabilmente, che il  diritto  a  un  equo  processo  non  puo\u0027\nconsiderarsi osservato in presenza di una disciplina  fatta  solo  di\ngaranzie  formali,  ma  richiede  anche  che  tali   garanzie   siano\neffettivamente utilizzabili e che i rimedi offerti siano in grado  di\nriparare le violazioni che abbiano a consumarsi. \n    Cio\u0027 premesso, e\u0027 evidente come non sia  equa,  ne\u0027  ragionevole,\nuna disciplina processuale che non consenta al  G.e.  di  apporre  un\nlimite massimo all\u0027astreinte irrogata in sede di cognizione. \n    Sotto il profilo delle norme  sovranazionali  dotate  del  crisma\ndella diretta applicabilita\u0027  e  della  primaute\u0027,  il  principio  di\neffettivita\u0027 rinviene il proprio  fondamento  espresso  nell\u0027art.  47\ndella Carta dei  diritti  fondamentali  dell\u0027UE,  secondo  cui  «ogni\npersona i cui  diritti  e  le  cui  liberta\u0027  garantiti  dal  diritto\ndell\u0027Unione siano stati violati ha diritto  a  un  ricorso  effettivo\ndinanzi a un giudice, nel  rispetto  delle  condizioni  previste  nel\npresente articolo». \n    Come,  condivisibilmente,  evidenziato,  «dal  punto   di   vista\noggettivo, tale norma e\u0027 funzionale  a  garantire  il  raggiungimento\ndegli scopi perseguiti dall\u0027Unione europea  nel  singolo  settore  di\nintervento ed e\u0027 sancito nell\u0027art. 19, paragrafo  1,  secondo  comma,\nTUE, dove  si  prevede:  \"gli  Stati  membri  stabiliscono  i  rimedi\ngiurisdizionali necessari per assicurare una  tutela  giurisdizionale\neffettiva nei settori disciplinati dal diritto dell\u0027Unione\"». \n    Sotto il distinto piano soggettivo, «il principio di effettivita\u0027\nrafforza i diritti riconosciuti dalle direttive ai singoli  cittadini\ndell\u0027Unione  sul  piano  sostanziale,  ma  ha  anche  una  dimensione\nprocessuale, oggi ancor piu\u0027 accentuata, a seguito  dell\u0027approvazione\ndella Carta di Nizza e della sua equiparazione ai trattati. L\u0027art. 47\ndella  Carta  ha  fatto   assurgere   il   diritto   a   una   tutela\ngiurisdizionale effettiva al rango di diritto fondamentale». \n \n__________ \n \n  (1) In tale ipotesi, pur essendo precluso l\u0027intervento del  giudice\ndell\u0027esecuzione, l\u0027omessa pronuncia  sara\u0027  censurabile  in  sede  di\ngravame, ove il grado di giudizio sia definito, oppure  nello  stesso\ngiudizio, per il tramite  degli  strumenti  a  cio\u0027  previsti.  Sara\u0027\npossibile conseguire la misura dal giudice del reclamo  di  cui  agli\narticoli 183-ter, 3°  comma,  oppure,  in  relazione  alle  ordinanze\npronunciate a norma degli articoli 186-bis, ter e quater, del  codice\ndi procedura civile, dallo stesso giudice che si  sia  incorso  nella\npredetta omissione. \n \n  (2) L\u0027ampia formulazione della norma, unitamente alla necessita\u0027 di\nun\u0027esegesi improntata al  principio  di  effettivita\u0027  della  tutela,\ninducono a ritenere che la misura sia richiedibile anche in  sede  di\nattuazione di un provvedimento cautelare,  rimasto  inadempiuto.  Ne\u0027\ncostituisce  circostanza   ostativa   il   fatto   che   il   giudice\ndell\u0027attuazione venga a  coincidere  con  quello  che  ha  emesso  il\nprovvedimento  di  natura  cautelare.  D\u0027altronde,   «la   necessita\u0027\ncostituzionale della ragionevole durata del processo  impone  (per  i\nprocedimenti  cautelari)  interpretazioni  in  grado  di  evitare  il\nricorso al processo a cognizione piena al solo scopo di ritardare  il\nmomento  della  realizzazione  dell\u0027obbligo  da   parte   dell\u0027avente\ndiritto». \n \n  (3)  E\u0027  evidente,   come   correttamente   sottolineato   in   via\ninterpretativa,  come  il  giudizio  di  cognizione  nel   quale   e\u0027\nrichiedibile la misura coercitiva indiretta e\u0027 anche quello arbitrale\ndi cui agli articoli 816 ss.  del  codice  di  procedura  civile,  in\nmateria di arbitrato rituale. D\u0027altronde, non si  tratta  che  di  un\ncorollario logico della natura giurisdizionale di tale procedimento. \n \n  (4) Secondo la predetta sentenza: «Nel  vigente  ordinamento,  alla\nresponsabilita\u0027 civile non e\u0027 assegnato solo il compito di restaurare\nla sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione,  poiche\u0027\nsono  interne  al  sistema  la  funzione  di  deterrenza   e   quella\nsanzionatoria   del   responsabile   civile».   Dunque,    non    «e\u0027\nontologicamente incompatibile con l\u0027ordinamento  italiano  l\u0027istituto\ndi origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il  riconoscimento\ndi una sentenza straniera che contenga una pronuncia  di  tal  genere\ndeve pero\u0027 corrispondere alla condizione  che  essa  sia  stata  resa\nnell\u0027ordinamento straniero su  basi  normative  che  garantiscano  la\ntipicita\u0027 delle ipotesi di condanna, la prevedibilita\u0027  della  stessa\ned i limiti  quantitativi,  dovendosi  avere  riguardo,  in  sede  di\ndelibazione, unicamente agli effetti dell\u0027atto straniero e alla  loro\ncompatibilita\u0027 con l\u0027ordine  pubblico».  In  relazione  alle  ipotesi\ntipiche di danno punitivo, giovi la seguente  esemplificazione,  come\nevocata dalle Sezioni Unite del 2017: in tema di brevetto e  marchio,\nil regio decreto 29 giugno 1127, n. 1939, art. 86, e regio decreto 21\ngiugno 1942, n. 929, art. 66, abrogati  dal  decreto  legislativo  10\nfebbraio 2005, n. 30, che ha dettato a tal fine le  misure  dell\u0027art.\n124, comma 2, e art. 131, comma 2; il decreto legislativo 6 settembre\n2005, n. 206, art. 140, comma 7, c.d. codice  del  consumo,  dove  si\ntiene conto  della  «gravita\u0027  del  fatto»;  secondo  alcuni,  l\u0027art.\n709-ter del codice di procedura civile, n. 2 e n. 3, introdotto dalla\nlegge 8 febbraio 2006, n. 54, per le inadempienze  agli  obblighi  di\naffidamento della prole;  l\u0027art.  614-bis  del  codice  di  procedura\ncivile, introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n.  69,  art.  49,  il\nquale contempla il potere del giudice di fissare una somma pecuniaria\nper  ogni  violazione  ulteriore  o   ritardo   nell\u0027esecuzione   del\nprovvedimento, «tenuto conto del  valore  della  controversia,  della\nnatura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile  e  di\nogni altra circostanza utile»; il decreto legislativo 2 luglio  2010,\nn.  104,  art.  114,  redatto  sulla  falsariga  della  norma  appena\nricordata, che attribuisce analogo potere al  giudice  amministrativo\ndell\u0027ottemperanza». Ha considerato «le ipotesi in cui e\u0027 la legge che\ndirettamente commina una determinata pena per il trasgressore: come -\naccanto alle disposizioni penali degli artt. 388 e 650 c.p. -  l\u0027art.\n18,  comma  14,  dello  statuto  dei  lavoratori,   ove,   a   fronte\ndell\u0027accertamento  dell\u0027illegittimita\u0027   di   un   licenziamento   di\nparticolare gravita\u0027, la mancata reintegrazione e\u0027 scoraggiata da una\nsanzione aggiuntiva; la legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 31,  comma\n2, per il quale il locatore paghera\u0027 una somma in caso di recesso per\nuna ragione  poi  non  riscontrata;  l\u0027art.  709-ter  del  codice  di\nprocedura civile, n. 4, che  attribuisce  al  giudice  il  potere  di\ninfliggere una  sanzione  pecuniaria  aggiuntiva  per  le  violazioni\nsull\u0027affidamento della prole; o ancora il decreto-legge 22  settembre\n2006, n. 259, art. 4, convertito in legge 20 novembre 2006, n. 281  ,\nin tema di pubblicazione di  intercettazioni  illegali».  L\u0027ordinanza\n9978/16 ha, invece, menzionato tra gli altri:  gli  legge  22  aprile\n1941, n. 633,  art.  158,  e,  soprattutto,  decreto  legislativo  10\nfebbraio 2005, n. 30, art. 125, (proprieta\u0027 industriale), pur  con  i\nlimiti posti dal cons. 26 della direttiva  CE  (cd.  Enforcement)  29\naprile  2004,  n.  48  (sul  rispetto  dei  diritti   di   proprieta\u0027\nintellettuale), attuata dal decreto legislativo 16 marzo 2006, n. 140\n(v. art. 158) e  la  venatura  non  punitiva  ma  solo  sanzionatoria\nriconosciuta da Cass. n. 8730 del 2011; - il decreto  legislativo  24\nfebbraio 1998, n.  58,  art.  187-undecies,  comma  2,  (in  tema  di\nintermediazione finanziaria); - «il decreto  legislativo  15  gennaio\n2016, n. 7 (artt. 3 - 5), che ha abrogato varie fattispecie di  reato\npreviste a tutela della fede pubblica, dell\u0027onore e del patrimonio e,\nse i fatti sono dolosi, ha  affiancato  al  risarcimento  del  danno,\nirrogato in favore della  parte  lesa,  lo  strumento  afflittivo  di\nsanzioni  pecuniarie  civili,  con  finalita\u0027  sia   preventiva   che\nrepressiva». Entrambe le pronunce  annettono  precipuo  rilievo  alla\nlegge 8 febbraio  1948,  n.  47,  art.  12,  che  prevede  una  somma\naggiuntiva a titolo riparatorio nella diffamazione a mezzo  stampa  e\nal novellato art. 96, comma 3, del codice di  procedura  civile,  che\nconsente la condanna della parte  soccombente  al  pagamento  di  una\n«somma  equitativamente  determinata»,  in   funzione   sanzionatoria\ndell\u0027abuso del processo (nel processo amministrativo l\u0027art. 26, comma\n2, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104). Mette conto citare\nanche  l\u0027art.  28  del  decreto   legislativo   n.   150/2011   sulle\ncontroversie in materia  di  discriminazione,  che  da\u0027  facolta\u0027  al\ngiudice di condannare il convenuto al risarcimento del danno  tenendo\nconto  del  fatto  che  l\u0027atto  o  il  comportamento  discriminatorio\ncostituiscono ritorsione ad una precedente azione  giudiziale  ovvero\ningiusta reazione ad una precedente attivita\u0027 del soggetto leso volta\nad ottenere il rispetto del principio della parita\u0027 di trattamento. E\nancora,  si  vedano  l\u0027art.  18  comma  secondo  dello  Statuto   dei\nlavoratori, che prevede che in ogni caso la misura  del  risarcimento\nnon potra\u0027 essere inferiore a cinque  mensilita\u0027  della  retribuzione\nglobale di fatto; il decreto legislativo n. 81  del  2015,  art.  28,\ncomma 2,  in  materia  di  tutela  del  lavoratore  assunto  a  tempo\ndeterminato e la anteriore norma di cui alla legge n. 183  del  2010,\nart. 32, commi 5, 6 e 7, che prevede,  nei  casi  di  conversione  in\ncontratto a tempo indeterminato per  illegittimita\u0027  dell\u0027apposizione\ndel termine,  una  forfettizzazione  del  risarcimento.  L\u0027elenco  di\n«prestazioni sanzionatorie»,  dalla  materia  condominiale  (art.  70\ndisp. att. del codice  civile)  alla  disciplina  della  subfornitura\n(legge n. 192 del 1998, art. 3, comma 3),  al  ritardo  di  pagamento\nnelle transazioni commerciali (decreto legislativo n. 231  del  2002,\nartt. 2 e 5) e\u0027 ancora lungo. Non e\u0027 qui  il  caso  di  esaminare  le\nsingole ipotesi per dirimere il contrasto tra chi le  vuol  sottrarre\nad ogni abbraccio con la responsabilita\u0027 civile e chi ne  trae,  come\nle Sezioni Unite ritengono, il complessivo segno della  molteplicita\u0027\ndi funzioni che contraddistinguono il problematico istituto. \n \n  (5) In relazione a tal ultimo aspetto, a venire in rilievo, secondo\nla migliore dottrina internazionalistica, e\u0027 una causa di  estinzione\natipica o, comunque, rinveniente il proprio  fondamento  nel  diritto\ninternazionale consuetudinario, anche se trasposta  nel  Trattato  di\nVienna sui trattati del 1969. \n \n  (6) E\u0027 discusso se nel potere di revoca o di modifica debba  essere\nannoverato quello  di  rinnovare  la  misura  al  suo  scadere  o  di\ncircoscriverne  l\u0027efficacia  temporale.  Si  ritiene,   non   vietato\n(percio\u0027 consentito) dall\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile\ne coerente con la sua ratio, di rinnovare la misura allo spirare  del\ntermine di durata  previsto,  cosi\u0027  come  quello  di  circoscriverne\nl\u0027efficacia nel tempo. \n \n  (7) Dispone espressamente che  «la  penale  puo\u0027  essere  diminuita\nequamente dal giudice (1),  se  l\u0027obbligazione  principale  e\u0027  stata\neseguita  in  parte   ovvero   se   l\u0027ammontare   della   penale   e\u0027\nmanifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all\u0027interesse che  il\ncreditore aveva all\u0027adempimento». \n \n  (8)  Questo   nuovo   orientamento   non   aveva   pero\u0027   trovato,\ninizialmente, seguito nella successiva  giurisprudenza  della  Corte,\nche (fatta eccezione per Cass., sez. I, 23 maggio 2003 n. 8188) aveva\nribadito l\u0027orientamento tradizionale, con le sentenze n. 5324/03,  n.\n8813/03, n. 5691/02, n. 14172/00. \n \n  (9) Tale orientamento, invero, poteva essere  considerato  superato\ndalle successive pronunce  (Cass.,  sez.  III,  27  ottobre  2000  n.\n14172), che avevano aderito all\u0027orientamento piu\u0027  rigoroso,  secondo\ncui la riduzione ad equita\u0027 la penale (per manifesta  eccessivita\u0027  o\nsopravvenuta  onerosita\u0027)   non   poteva   ritenersi   implicitamente\ncontenuta nella deduzione di non dovere  nulla  a  titolo  di  penale\n(trattandosi di deduzione incompatibile con l\u0027istanza di riduzione). \n \n  (10) Del resto il nostro ordinamento  conosce  altri  casi  in  cui\nl\u0027intervento equitativo del Giudice pur risolvendosi in favore di una\ndelle parti in contesa non e\u0027 tuttavia predisposto specificamente per\nla tutela di un suo interesse. Si pensi all\u0027ipotesi in cui una  delle\nparti abbia chiesto il risarcimento del danno in forma specifica;  il\nGiudice,  in  questo  caso,  anche  se  l\u0027esecuzione  specifica   sia\npossibile, ha tuttavia il potere  di  disporre  che  il  risarcimento\navvenga per equivalente «se  la  reintegrazione  in  forma  specifica\nrisulta eccessivamente onerosa per il debitore» (art. 2058 del codice\ncivile). E\u0027 un potere che il Giudice  puo\u0027  esercitare  pacificamente\nd\u0027ufficio avuta presente l\u0027obiettiva difficolta\u0027 che il debitore puo\u0027\nincontrare nell\u0027eseguire la prestazione risarcitoria; la difficolta\u0027,\nappunto perche\u0027 obiettiva, non riguarda pero\u0027 la situazione economica\ndel debitore, ma piuttosto l\u0027esecuzione stessa della prestazione.  Si\npensi ancora al potere attribuito al Giudice di  liquidare  il  danno\ncon valutazione equitativa se lo stesso non puo\u0027 essere  provato  nel\nsuo preciso ammontare (art. 1226 del  codice  civile),  pacificamente\nesercitatile indipendentemente dalla richiesta delle parti. \n \n  (11)  L\u0027art.  2  del  decreto-legge  25  settembre  1987,  n.  393,\nconvertito nella legge 25 novembre 1987, n. 478, disponeva  l\u0027esonero\ndall\u0027obbligo risarcitorio di cui all\u0027art. 1591 del codice  civile  in\nfavore del conduttore  di  immobile  non  abitativo  nell\u0027ipotesi  di\ncomprovata insussistenza della difficolta\u0027 di reperire altro immobile\nidoneo. La Corte cost. (sentenza n. 22 del  1989)  aveva  qualificato\ntale previsione come una figura di  temporanea  inesigibilita\u0027  della\nprestazione restitutoria, disposta dalla legge impugnata in  esito  a\nun bilanciamento degli interessi in  gioco  commisurato  alla  \"grave\ndifficolta\u0027 per il conduttore,  dipendente  da  circostanze  estranee\nalla sua volonta\u0027, di trovare  un  altro  immobile  adatto  alle  sue\nnecessita\u0027  di  lavoro\"  11.  La  Corte  aveva  ritenuto   la   norma\ncostituzionalmente illegittima, nella parte in cui non consentiva  al\nlocatore di dare la  prova  dell\u0027insussistenza  dei  presupposti  per\nl\u0027esonero dal risarcimento, consistente nella  dimostrazione  che  il\nconduttore avrebbe potuto acquisire la  disponibilita\u0027  di  un  altro\nimmobile con l\u0027ordinaria  diligenza.  Anche  successivamente,  la  il\nGiudice delle Leggi (sent. 3 febbraio 1994, n.  19)  ha  riconosciuto\nl\u0027esistenza di un principio di inesigibilita\u0027 come  limite  superiore\nalle pretese creditorie (v. sent. n. 149 del 1992).  L\u0027interesse  del\ncreditore all\u0027adempimento degli obblighi dedotti in obbligazione deve\nessere inquadrato, infatti, nell\u0027ambito della  gerarchia  dei  valori\ncomportata dalle norme, di  rango  costituzionale  e  ordinario,  che\nregolano la materia in considerazione. E quando, in  relazione  a  un\ndeterminato adempimento, l\u0027interesse del creditore entra in conflitto\ncon un interesse del debitore tutelato dall\u0027ordinamento giuridico  o,\naddirittura, dalla Costituzione come valore preminente  o,  comunque,\nsuperiore  a  quello  sotteso   alla   pretesa   creditoria,   allora\nl\u0027inadempimento, nella misura e nei limiti in cui sia necessariamente\ncollegato all\u0027interesse di valore preminente, risulta  giuridicamente\ngiustificato. \n \n  (12) La giurisprudenza ricordata dal giudice  a  quo  relativamente\nall\u0027art. 98, terzo comma, del testo unico  sull\u0027edilizia  economia  e\npopolare, ancorche\u0027 riguardante una materia diversa da quella qui  in\ncontestazione, e\u0027 certamente espressiva dello  stesso  principio  la\u0027\ndove,  pur  nel  silenzio  della  legge,  ammette  che  l\u0027occupazione\niniziale dell\u0027alloggio possa essere omessa «per giustificati  motivi»\nsenza comportare pregiudizio all\u0027assegnazione dello stesso. Non  v\u0027e\u0027\ndubbio che il caso di  una  persona,  che  non  puo\u0027  assolvere  alla\ncondizione  posta  dalla  legge  per  continuare  a  beneficiare  del\ncontributo pubblico sul mutuo edilizio, consistente  nell\u0027occupazione\neffettiva, continuativa e stabile della propria abitazione,  a  causa\ndell\u0027esigenza  di  assistere  in  altra  citta\u0027  il   proprio   padre\ngravemente ammalato e incapace di una vita autonoma, rientri  fra  le\nipotesi di contemperamento con un superiore  dovere  di  solidarieta\u0027\nsociale, qualificato come «inderogabile» dagli articoli 2 e 29  della\nCostituzione, in grado di costituire una ragionevole  giustificazione\ndell\u0027inadempimento del predetto onere. \n \n  (13) Coinvolgendo categorie e valori di rilevanza costituzionale  e\ntrattandosi  di  un  principio  generale   concernente   i   rapporti\nobbligatori  come  tali,  esso  deve  avere  applicazione  universale\nnell\u0027ordinamento giuridico e  non  puo\u0027,  dunque,  essere  trascurato\nneppure nell\u0027interpretazione della legge regionale o (come  nel  caso\ndeciso dalla C. cost.) delle province autonome. \n \n  (15)  Cio\u0027,  nel  presupposto   delle   profonde   interconnessioni\nesistenti  fra  i   due   piani,   quale   desumibile   anche   dalla\nsindacabilita\u0027   della   clausola   relativa   all\u0027adeguatezza    del\ncorrispettivo, e,  quindi,  relativa  all\u0027equilibrio  economico,  ove\n«intrasparente». \n \n  (16)  Ne\u0027  sono  accoglibili  quei   tentativi   di   ricostruzione\ndell\u0027istituto che muovono dall\u0027accostamento della stessa - almeno per\nquanto concerne il diritto contrattuale dei consumatori, al principio\ndi uguaglianza - la giustizia  del  caso  concreto  essendo  concetto\ndistinto da quello dell\u0027eguale ripartizione dei sacrifici economici o\ndelle situazioni giuridiche attive o passive. E la giustizia del caso\nconcreto, in tale specifico ambito materiale,  deve  intendersi  come\n«giustizia nella determinazione dell\u0027equilibrio dello scambio» di cui\ndeve essere presidiata l\u0027adeguatezza  economica  dello  scambi16.  Il\nsummenzionato art. 2, inoltre, consente di  ritenere  che  l\u0027equita\u0027,\nnell\u0027ordinamento  vigente,  connotato   da   un   sistema   rimediale\nmultilivello per l\u0027innestarsi di regole di protezione di  provenienza\ncomunitaria, possa operare non solo in presenza di una norma  a  cio\u0027\nabilitante, ma, ogniqualvolta, tale operare non sia precluso  da  una\nnorma, destinata a regolare diversamente la fattispecie. \n \n  (17) Ne\u0027, al fine  di  dilatare  l\u0027ambito  operativo  della  norma,\nsembra  sufficiente   -   nella   logica   di   una   interpretazione\ncostituzionalmente   orientata   -   richiamare   il   principio   di\nuguaglianza,  assoggettando  il   non   imprenditore-consumatore   al\nmedesimo regime dell\u0027imprenditore quando  il  primo  si  trovi  nelle\nmedesime condizioni di debolezza del secondo. \n \n  (19) sentenze n. 11066 e n. 11067 del 2012. \n \n  (20) Cosi\u0027 Cass., 20 aprile 1950, n. 1056, in Giur. it.,  1950,  I,\n1, 642 ss., e in Foro it., 1950, I, 529 ss..:  L\u0027inammissibilita\u0027  di\ntale rapporto e\u0027  tradizionalmente  fatta  discendere  dall\u0027esigenza,\nimmanente nell\u0027ordinamento, di «impedire la dissociazione in perpetuo\ndella proprieta\u0027 dal suo contenuto  economico»  l\u0027utilita\u0027  economica\ndel diritto di proprieta\u0027, che la legge vuole  «pieno  ed  esclusivo»\n(art. 832 cod. civ.), rappresenta la ragione stessa della sua  tutela\ngiuridica,  sicche\u0027  l\u0027ordinamento  non  potrebbe,  riconoscendo   un\nvincolo perpetuo tale  da  comprimere  quella  utilita\u0027,  privare  di\noggetto la relativa tutela,  conservandola  a  uno  stadio  puramente\nformale e avallando una dissociazione  strutturale  e  non  meramente\ncontingente tra il diritto e il relativo contenuto  economico  (cosi\u0027\nanche Cass., 30.7.1984, n. 4530, sez. III). Per usare  le  parole  di\nAndrea  Torrente,  estensore  di  questa   notissima   sentenza   che\nrappresenta il leading case nella materia  in  esame,  «[n]on  si  sa\nperche\u0027 l\u0027ordinamento giuridico dovrebbe riconoscere  questo  esangue\ndiritto costretto  ad  alimentarsi  nei  secoli  soltanto  della  sua\nvacuita\u0027» (Cass., 20 aprile 1950, n. 1056, cit.). \n \n  (21) Invero, vi e\u0027 stato chi,  stigmatizzando  il  ricorso  a  tale\nparametro, ha affermato che «la giurisprudenza  sulla  ragionevolezza\nappare ormai del tutto ingovernabile, in  quanto  si  e\u0027  negli  anni\ntrasformata in una sorta di valutazione circa  la  ingiustizia  della\nlegge  o  che  trattasi  di  una  nozione  \"inafferrabile   nel   suo\ncontenuto\"». \n \n  (22)  Il  principio  di  ragionevolezza  e\u0027,  peraltro,  ispiratore\ncostante dell\u0027attivita\u0027 esegetica come  in  materia  probatoria  come\ndimostra l\u0027approdo delle Sezioni Unite, n. 13533 del 2001, in materia\ndi prova dell\u0027inadempimento, nella  responsabilita\u0027  contrattuale,  e\nche rinviene il proprio fulcro nel criterio, chiaramente ispirato  al\nprincipio di ragionevolezza, della vicinanza alla fonte  della  prova\ncome criterio di distribuzione e selezione dell\u0027onere della prova  in\nrelazione alle parti del rapporto contrattuale. \n \n  (23) «Nel vigente ordinamento, alla responsabilita\u0027 civile  non  e\u0027\nassegnato solo il compito di restaurare  la  sfera  patrimoniale  del\nsoggetto che ha subito la lesione, poiche\u0027 sono interne al sistema la\nfunzione  di  deterrenza  e  quella  sanzionatoria  del  responsabile\ncivile.» \n \n  (24) Ed ancora, per finire,  la  Convenzione  richiede  agli  stati\nagenti un ulteriore responsabilita\u0027 in materia di proprieta\u0027. Invero,\ndifatti, il dovere dello  Stato  di  astenersi  dall\u0027interferire  nel\ngodimento dei beni non esaurisce il contenuto della norma in oggetto,\ndifatti,  per  come  interpretato  dalla  Corte  EDU,   dall\u0027art.   1\nprotocollo 1 derivano, per le  autorita\u0027  nazionali,  tanto  obblighi\nnegativi quanto positivi. Questo perche\u0027 solo con  la  previsione  di\nmisure  anche  positive  puo\u0027  essere  realizzata  una  concreta   ed\neffettiva, quindi piena, protezione della proprieta\u0027: alle  autorita\u0027\nnazionali non e\u0027 fatto solo divieto di interferenze illegittime e non\ngiustificate, ma dato anche l\u0027obbligo di collaborare  attivamente  al\nfine di assicurare l\u0027effettivo esercizio del diritto garantito  dalla\nConvenzione (si pensi, ad esempio, alle misure  di  protezione  della\nproprieta\u0027 privata). Peraltro, tali obblighi permangono in capo  allo\nStato anche quando si tratta di rapporti tra privati o tra  societa\u0027,\nin particolare quando sussiste un nesso diretto tra le misure che  un\nricorrente  puo\u0027  legittimamente   attendersi   dalle   autorita\u0027   e\nl\u0027effettivo pacifico godimento dei suoi «beni». Per tal  ragione,  si\nparla di effetto orizzontale delle misure positive. \n\n9.  Non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita\u0027\ncostituzionale per violazione del principio di uguaglianza ex art.  3\nCost. \n    Si sono gia\u0027 evidenziati gli approdi interpretativi  del  Giudice\ndelle leggi e  della  Corte  di  cassazione,  in  materia  di  tutela\ndell\u0027equilibrio contrattuale e di poteri di rimodulazione ex  officio\n(come per la clausola penale), cosi\u0027 come di operare  della  sanzione\ndella nullita\u0027 (parziale, come in materia di caparra confirmatoria). \n    Il disconoscere la possibilita\u0027 di una determinazione ex post del\nmassimo  esigibile,  a  titolo  di  penale,  rischierebbe  di  creare\nun\u0027evidente  disparita\u0027  di  trattamento,  rispetto   alle   predette\nipotesi, con conseguente violazione dell\u0027art. 3 Cost. \n    D\u0027altronde,  e\u0027  innegabile  l\u0027assimilazione,  sotto  il  profilo\nontologico,  di  tali  tipologie  di  fattispecie.   Tutte   appaiono\npreordinate a consentire al giudice,  investito  della  controversia,\nove ravvisi un evidente squilibrio dei  pesi  e  sacrifici  economici\ngravanti sulle parti, un intervento riequilibratore  che  avviene  in\nmodo  piu\u0027  pregnante  in  materia  di  clausola  penale  e   caparra\nconfirmatoria, incidendo sulla misura originariamente prevista  dalle\nparti  o,  persino,   escludendo   la   debenza   della   prestazione\nprogrammata; solo ab extrinseco, invece,  nell\u0027ipotesi  della  misura\ncoercitiva  indiretta,  limitandosi  il  giudice  dell\u0027opposizione  a\nprecetto. \n    Questo  Giudice  e\u0027  consapevole  di  come  la  possibilita\u0027   di\nricercare, in via officiosa, un equilibrio postumo delle  prestazioni\ncontrattuali  (come  nel  caso   di   clausola   penale   e   caparra\nconfirmatoria) o, in generale, dei pesi gravanti sulle  parti  di  un\nrapporto, per effetto di  un  provvedimento  giudiziale  o  normativo\n(come nel caso delle misure  coercitive  indirette),  rappresenti  un\nprofilo controverso. \n    Cio\u0027, specie quando avvenga ex officio. \n    Il raffronto fra le due tipologie di fattispecie,  nonostante  la\nloro  diversita\u0027  ontologica,  non   e\u0027   priva   di   utili   spunti\nricostruttivi, se non altro, per la loro analogia funzionale. \n    Sotto  il  primo  profilo  ovvero  quello   dell\u0027equilibrio   fra\nprestazioni di natura  contrattuale,  l\u0027ordinamento  sembrerebbe,  di\nnorma,  circoscrivere  l\u0027intervento  giudiziale   alle   ipotesi   di\npatologia del procedimento  formativo  della  volonta\u0027  delle  parti,\ncosi\u0027 come di espressa tipizzazione normativa come accade in  materia\ndi usura. \n    Invero, a tali ipotesi espresse  devono  essere  aggiunte  quelle\nemerse in sede interpretativa la cui  portata  rispetto  ai  principi\ntradizionali non e\u0027 ancora, perfettamente, definita. \n    Non  e\u0027,   cioe\u0027,   chiaro   se   il   rapporto   fra   principio\n(inammissibilita\u0027  di   un   controllo   d\u0027ufficio,   con   finalita\u0027\nriequilibratorie) e deroga (ammissibilita\u0027 di siffatto sindacato)  si\nsia invertito o si avvii, comunque, ad essere superato. \n    E\u0027 il problema, piu\u0027 generale, dell\u0027equilibrio delle  prestazioni\ne della loro congruita\u0027 e dell\u0027eventuale  ricerca  di  un  equilibrio\noggettivo, ad opera del Giudice, che dovrebbe portare a sostituire ai\nvalori  contrattuali,  non  un  l\u0027esito  di  un   proprio   personale\nconvincimento, bensi\u0027 i c.d. valori di mercato. \n    E\u0027, altresi\u0027, la questione del rapporto tra mercato e regolazioni\ndel  mercato  e  quindi,  tra  liberta\u0027  negoziale,  solidarieta\u0027  ed\nequita\u0027, che pongono limiti  alla  liberta\u0027  negoziale.  La  liberta\u0027\nnegoziale  non  e\u0027  un  valore  che  puo\u0027  ritenersi  assoluto,   ma,\ninteragendo e dovendo essere contemperata con altri  valori,  ha  una\nportata  relativa.  I  controlli   del   giudice,   cui   la   stessa\nsoggiacerebbe, secondo la dottrina piu\u0027 moderna,  sarebbero  due,  di\ncui il primo oramai dato acquisto del bagagliaio giuridico e  l\u0027altro\npiu\u0027 controverso: \n        I) causale; \n        II) contenutistico. \n    In  entrambi  i  casi,  si  parla  di  controllo,   destinato   a\nestrinsecarsi sull\u0027assetto originario del contratto, ovvero esistente\nal momento della stipulazione, al fine di verificare se lo stesso: \n        I) fosse sorretto da una causa originaria, idonea; \n        II) avesse un contenuto adeguato ed equilibrato(25). \n    Prendendo le mosse dalla causa,  il  nostro  ordinamento  ha  una\nconformazione di tipo causale ed e\u0027  percio\u0027  diverso  da  esperienze\ncome  quello  tedesca,  cosi\u0027  come  dai  sistemi  di   Common   Law,\ndall\u0027Unidroit, dal Codice europeo dei  contratti,  dai  principi  del\ndiritto uniforme dei contratti. \n    Gli stessi, infatti, non sono retti dal principio causalistico, e\nsi fondano sull\u0027idea per cui e\u0027 sufficiente, per produrre un  effetto\nvincolante, il nudo patto, il nudum pactum. \n    Se la volonta\u0027 e\u0027 stata espressa ed e\u0027 sorretta da  una  volonta\u0027\nnon viziata, cio\u0027 e\u0027 sufficiente al fine  di  giustificare  l\u0027effetto\nobbligatorio, o traslativo. \n    Tali esperienze, volendo tutelare il principio  di  certezza  dei\nrapporti giuridici, si fondano sulla considerazione che  le  indagini\ncausali  siano  caratterizzate  da  eccessiva  complessita\u0027,  abbiano\nnatura introspettiva e siano, per loro natura, opinabili  e,  dunque,\nin  grado  di  destabilizzare  il   rapporto   giuridico   e   incide\nsull\u0027efficienza del mercato. \n    L\u0027ordinamento  italiano,   modellandosi   su   quello   francese,\naccoglie,  invece,  il  principio  di   necessaria   causalita\u0027   del\ncontratto, espressamente enunciato nel codice civile, agli articoli: \n        a) 1325 n. 2, secondo cui la causa  rappresenta  un  elemento\ncostitutivo del contratto; b) l\u0027art. 1343, secondo cui  il  contratto\ne\u0027 affetto da nullita\u0027 se la causa e\u0027 illecita; c) l\u0027art.  1344,  per\ncui il contratto e\u0027 nullo se la causa e\u0027 fraudolenta, d) l\u0027art. 1418,\nsecondo il contratto e\u0027 nullo se la  causa  manca  oltre  che  se  e\u0027\nillecita; e) l\u0027art. 1411, in virtu\u0027 del quale il contratto  a  favore\ndi terzo e\u0027 nullo nella parte relativa al trasferimento al terzo  del\ndiritto, se la  causa  non  ha  una  giustificazione  adeguata  avuto\nriguardo all\u0027interesse dello stipulante; f) l\u0027art. 1322,  in  materia\ndi contratti atipici, fissa la regola  della  nullita\u0027  e  della  non\nmeritevolezza del  contratto  se  non  c\u0027e\u0027  un  interesse  giuridico\nmeritevole di considerazione: g) l\u0027art.  2645-ter:  in  relazione  al\nc.d.  negozio  di  destinazione,  positivizza  il   principio   della\ncausalita\u0027 rafforzata, che deve essere addirittura sovraindividuale o\nsocialmente utile, vista la rilevanza del vincolo. \n    Anche l\u0027art. 1376 del codice civile, che parrebbe essere ispirato\nad una  logica  consensualistica  pura  (per  cui  la  proprieta\u0027  si\ntrasferisce per effetto  del  consenso  legittimamente  manifestato),\ndeve essere letto unitamente all\u0027art.  1325  del  codice  civile,  in\nvirtu\u0027 del quale il consenso dev\u0027essere legittimo ed e\u0027 tale se e\u0027 un\ncontratto che abbia una causa idonea a giustificare il trasferimento. \n    L\u0027ordinamento  italiano  del  \u002742  si  reggeva  su  un  approccio\npaternalistico, ponendosi il problema delle  ragioni  che  muovono  i\ncontraenti a stipulare. \n    La  volonta\u0027  libera,  che,  nei  sistemi  di  common   law,   e\u0027\nsufficiente ai fini del prodursi dell\u0027effetto traslativo,  dev\u0027essere\nsorretta da una causa, osteggiandosi gli spostamenti patrimoniali che\nrisultino privi di giustificazione, com\u0027e\u0027 evidente anche dalla norma\nsull\u0027arricchimento senza causa, articoli 2041 e 2042 c.c(26). \n    Cio\u0027 premesso, si  deve  tornare  a  affrontare  il  problema  se\nl\u0027equilibrio sia in se\u0027 e\u0027 valutabile dal giudice a  prescindere  dal\nfatto che sia configurabile un problema di  liberta\u0027  e,  quindi,  di\nvolonta\u0027 libera  e  di  causalita\u0027  (ragionevole  causa  del  singolo\ncontratto negoziale). \n    Come evidenziato da autorevole dottrina, sono  individuabili  tre\nfasi dell\u0027evoluzione  giurisprudenziale.  In  un  primo  momento,  si\nafferma  il   principio   per   cui   il   concetto   di   contratto,\nnecessariamente giusto, e\u0027 incompatibile con  il  nostro  ordinamento\ngiuridico perche\u0027 categoria sostanzialmente  eversiva  del  principio\ndell\u0027autonomia privata giusta il quale sono le parti a decidere se il\ncontratto e\u0027 giusto per i loro interessi. \n    Se le parti hanno deciso in modo libero, con volonta\u0027 non viziata\ne sulla base di una causa  adeguata,  la  scelta  di  convenienza  e\u0027\ninsindacabile e insostituibile dal giudice. \n    Questa impostazione della generale irrilevanza,  salvo  eccezioni\nnormative specifiche e di stretta interpretazione, si fonda su  varie\nragioni: \n        a. l\u0027argomento di natura economica che richiama il  liberismo\neconomico che, a sua volta, si ricollega al principio di  liberta\u0027  e\nl\u0027impossibilita\u0027 di un sindacato che la limiti; \n        b. l\u0027argomento dogmatico: il contratto e\u0027  espressione  della\nsignoria della volonta\u0027, quale volonta\u0027 sovrana, che non concilia con\nnessuna forma di tutela; \n        c. l\u0027argomento sistematico: alcune norme del  codice  civile,\nal contrario, dimostrano che il problema della  giustizia  rimarrebbe\nestraneo al codice, in quanto problema destinato a rilevare sul piano\netico e non giuridico. \n    Si pensi, in particolare, agli articoli 1447 del codice civile in\nmateria  di  rescissione  per  lesione  e  1815  del  codice   civile\nsull\u0027usura. Entrambe le norme, dando rilievo,  eccezionalmente,  allo\nsquilibrio,  confermano  la  generale   irrilevanza   dello   stesso.\nPeraltro, l\u0027art. 1447 del codice civile fa riferimento solo ad alcuni\ncontratti, quelli a  prestazioni  corrispettive,  ad  uno  squilibrio\nultra dimidium  qualificato  e  soprattutto  ad  uno  squilibrio  che\ndiscende,  eziologicamente,   da   una   condizione   soggettiva   di\nparticolare vulnerabile. \n    Quindi, se ne deduce l\u0027indiretta conferma dell\u0027irrilevanza  dello\nsquilibrio inteso in senso oggettivo. Le stesse  considerazioni  sono\nmutuabili per l\u0027usura 1815 del codice civile. \n    Prima  della  riforma  del  2006,  l\u0027usura  si  profilava   quale\nfattispecie di soggettivo, sia a fini penali, sia ai fini civili e il\nmutuo usurario, si configurava quando c\u0027era un approfittamento  dello\nstato di bisogno che era idoneo a cagionare un interesse usurario. \n    Le suddetta  considerazioni  (liberismo  economico,  la  signoria\ndella volonta\u0027, la previsione di norme confermative della irrilevanza\ndello  squilibrio  oggettivo  e  in  generale),  hanno  indotto   gli\ninterpreti  a  ritenere  che,  salvi  casi  eccezionali  di   stretta\ninterpretazione, lo squilibrio  sia  quello  soggettivo,  che  quello\noggettivo,  sono  irrilevanti  e  non  valutabili  dal  giudice  come\ncriterio di controllo dell\u0027autonomia negoziale. \n    Alla seconda fase hanno dato la stura, a livello  interpretativo,\nla sentenza a SS.UU. del 13 settembre 2005 n.  18128  in  materia  di\nclausola penale ex  art.  1384  del  codice  civile,  cosi\u0027  come  la\nnormativa interna di recepimento della direttiva n.  93  in  tema  di\nconsumatore. \n    Come  gia\u0027  evidenziato,  le  ragioni  che   hanno   indotto   al\nsuperamento  della  tesi  tradizionale  dell\u0027insindacabilita\u0027   della\nliberta\u0027 sotto il profilo  della  giustizia  economico-normativa  del\nprogramma sono le seguenti: \n        a) il principio costituzionale di solidarieta\u0027  che  consente\ndi affermare che un contratto  iniquo  possa  soggiacere  a  sanzione\nanche in difetto di una norma espressa che ne preveda  il  divieto  o\nstabilisca una sanzione. Il principio di solidarieta\u0027 e\u0027 un principio\ngenerale  dell\u0027ordinamento  costituzionale,   dotato   di   immediata\nprecettivita\u0027  nei  rapporti  fra  privati  e  osta   a   regolamenti\ncontrattuali  che  producano  squilibri  ingiusti,  sproporzionati  e\ninammissibili; \n        b)  la  buona  fede  civilistica,   che   e\u0027   la   categoria\ncontrattuale attraverso cui opera la  solidarieta\u0027,  che  implica  il\ndivieto che un contratto assuma un  contenuto  contrario  alla  buona\nfede oggettiva, e, dunque, ad una logica di correttezza e  di  tutela\ndegli interessi della controparte; \n        c)  il  superamento,  anche  alla  luce  delle   interferenze\ncomunitarie,  del  principio  interpretativo  secondo  cui  le  parti\nsarebbero libere di tutelare,  da  se\u0027,  i  propri  interessi,  cioe\u0027\navrebbero il potere di decidere liberamente  cio\u0027  che  e\u0027  giusto  e\nconveniente per la  propria  sfera  giuridica.  Il  contratto  giusto\npresuppone la piena liberta\u0027 del contraente. Se il  contraente  fosse\nveramente libero, si potrebbe dire che cio\u0027 che e\u0027  giusto  o  no  lo\ndecide il contraente e l\u0027ordinamento,  in  un  sistema  liberale,  si\nlimita a prendere atto della  sua  conclusione.  Emerge,  quindi,  la\nconsapevolezza che, non solo nelle ipotesi previste  dalla  legge  di\nvizi della volonta\u0027, di rescissione o di usura, si puo\u0027 assistere  ad\nuna compressione della liberta\u0027 che  rende  l\u0027autonomia  contrattuale\nnon piena e non effettivamente libera, ma sono ravvisabili una  serie\ndi casi che ineriscono ai contratti asimmetrici in  senso  ampio,  in\ncui l\u0027asimmetria informativa,  economica  e  professionale  rende  il\nsoggetto potenzialmente  meno  idoneo  rispetto  alla  controparte  a\ntutelare il suo interesse; \n          c1)  l\u0027avvaloramento  di  tale  superamento  da  parte  dei\nreferenti normativi: \n1. la direttiva che tutela  il  consumatore  proprio  perche\u0027  e\u0027  un\ncontratto asimmetrico, qualificando nulle le clausole  inique  ovvero\ndestinate a produrre uno squilibrio significativo; \n2. la normativa nazionale di recepimento di questa direttiva: il cod.\ncons. agli articoli 33 e ss.; \n3. la normativa di  altri  ordinamenti:  il  BGB  considera  nulli  o\ninefficaci i contratti stipulati dalla parte con volonta\u0027 viziata  da\ninesperienza o immaturita\u0027, dalla mancanza  di  discernimento,  dalla\ndebolezza della volonta\u0027, dall\u0027inferiorita\u0027  -  casi,  questi,  molto\npiu\u0027 ampi rispetto a quelli tipizzati dal nostro legislatore; \n4.  la  soft  law  come  i  Principi   Unidroit   fanno   riferimento\nall\u0027evidente sproporzione nei contratti  asimmetrici  che  renderebbe\napplicabile la sanzione della nullita\u0027. \n    Questa fase esita nelle pronunce che superano il principio  della\ninsindacabilita\u0027,  salve  eccezioni  tassativamente  espresse   dello\nsquilibrio,  sia  economico,  di  valore  tra  le  prestazioni,   sia\nnormativo, di regole e precetti. \n    In questa fase si  pone  il  problema  dell\u0027individuazione  delle\ncondizioni della rilevanza. \n    Una sentenza della Cass., in materia di  compravendita  a  prezzo\nvile e irrisorio, del 2015  n.  22567,  conclude  con  una  soluzione\nmediana: se non e\u0027 piu\u0027 vero che lo squilibrio e\u0027 sempre irrilevante,\nnon e\u0027 vero neanche che e\u0027 irrilevante di per se\u0027. \n    E\u0027 rilevante solo quando a  venire  in  rilievo  siano  contratti\nasimmetrici e solo quando, nel corso della procedura contrattuale, la\nparte forte del rapporto ha abusato della propria posizione per porre\nin essere un regolamento iniquo. \n    E\u0027 un  abuso  che  non  deve  essere,  necessariamente,  di  tipo\npsicologico. Cio\u0027, in quanto non bisogna dimostrare il dolo, ma  puo\u0027\noperare oggettivamente. \n    La circostanza che, in presenza di una situazione asimmetrica fra\nle parti, la parte forte abbia conseguito un vantaggio iniquo  denota\nl\u0027esistenza di un abuso oggettivo, funzionale, che non  necessita  di\nindagini psicologiche troppo complesse, come dimostra il  cod.  cons.\nche esclude la rilevanza della buona o  cattiva  fede  proprio  nella\ndisciplina degli artt. sui contratti del consumatore. \n    Quanto alle ragioni invocate a sostegno di questa  tesi  mediana,\npossono richiamarsi: \n        1. il principio di liberta\u0027 negoziale: laddove si  pervenisse\nad affermasse che, nel contratto tra due soggetti, che  hanno  deciso\nliberamente, il giudice possa valutare se  i  termini  dello  scambio\nsono proporzionati oppure no, allora  l\u0027autonomia  negoziale  sarebbe\ndestinata ad essere atrofizzata. \n    L\u0027ammissione di un sindacato della giustizia contrattuale, teso a\nvagliare   la   ragionevolezza   contrattuale   in    relazione    ai\ncontrosimmetrici tra  parti  uguali  si  pone  in  evidente  antitesi\nrispetto al contenuto stesso della liberta\u0027 contrattuale. \n    Inoltre, verrebbe in rilievo una soluzione  giudice-centrica  che\ndeterminerebbe  una  sorta  di   «giuristocrazia»,   in   quanto   si\nattribuirebbe al giudice un potere incontrollato in relazione ad ogni\ncontratto  e  cio\u0027  sulla  base  di  giudizi  meramente   soggettivi,\nopinabili e, quindi, potenzialmente arbitrari,  verrebbe  sacrificato\noltremodo il principio  di  certezza  dei  rapporti  e  dei  traffici\ngiuridici. \n    A tal riguardo, si evidenzia che  se  il  sindacato  deve  essere\nsull\u0027ingiustizia oggettiva e cioe\u0027 sull\u0027ingiustizia in  quanto  tale,\nal fine di valutare se il contratto e\u0027 adeguato e giusto o  meno,  vi\ne\u0027 la necessita\u0027 di rivenire un parametro oggettivo che almeno per lo\nsquilibrio  economico,  sia  idoneo  ad  assicurare  dei  criteri  di\nvalutazione  per  distinguere  la  sproporzione  minima   tollerabile\nrispetto a  quella  in  qualche  misura  intollerabile.  Per  contro,\nl\u0027ammissione  di  un  controllo  sulla  ingiustizia  oggettiva,   non\nancorato   ad   un   parametro   oggettivo   crea   una   sostanziale\nimpossibilita\u0027 di giudizi attendibili e controllabili ex post. \n    D\u0027altronde, in tal senso, depone anche la disciplina  in  materia\ndi  usura:  nel  momento  in  cui  il   legislatore   speciale   l\u0027ha\noggettivizzata,   espungendo   dalla    fattispecie    incriminatrice\nl\u0027approfittamento dello stato di bisogno,  ha  fissato  un  parametro\noggettivo  che  e\u0027  il  superamento  del  tasso-soglia.   La   stessa\ndisciplina comparata, internazionale, i principi unidroit, i principi\neuropei dei contratti, non danno mai rilievo alla gross disparity  in\nquanto tale, ma a quella derivante da una condizione di  debolezza  e\ndi vulnerabilita\u0027. Condizioni  che  possono  essere  anche  atipiche,\nperche\u0027 non riducentisi ai vizi di volonta\u0027 tipizzati e ricomprendono\ngli status, come  la  minore  eta\u0027  o  la  condizione  di  lavoratore\nrispetto al direttore o al datore di lavoro; le relazioni  fiduciarie\nin ambito familiare, scolastico,  medico;  i  vizi  incompleti  della\nvolonta\u0027; la debolezza informativa. In ogni caso, si deve trattare di\ngiudizi    di    carattere    asimmetrico    riguardanti    contratti\nasimmetrici(27). \n    La terza  fase  e\u0027  quella  del  riconoscimento  della  rilevanza\ngeneralizzata  dello  squilibrio  (che  diverrebbe  sindacabile   dal\ngiudice in relazione  a  tutti  i  contratti,  non  solo  per  quelli\nasimmetrici, con un sindacato che riguarda l\u0027ingiustizia in se\u0027 e non\nsolo l\u0027ingiustizia come frutto di una procedura viziata di formazione\ndella volonta\u0027. \n    A venire in rilievo sono, in particolare, le ordinanze n. 248 del\n2013 e n. 13 del 2014 Corte cost., SS.UU. C. cass. n. 9140  del  2016\nsulla claims made ulteriormente puntualizzata nel  2017  n.  10509  e\ninfine SS.UU. n. 4224 del 2017. \n    Queste pronunce,  pur  diverse  in  relazione  alla  materia  cui\nafferiscono se in  campi  diversi,  introducono  un  concetto  nuovo:\nl\u0027equita\u0027 contrattuale sarebbe un valore generale che il giudice deve\ntutelare a prescindere dall\u0027asimmetria delle  parti  e  di  eventuali\nprocessi perturbativi della volonta\u0027. Cio\u0027 in quanto a rilevare, alla\nluce dei precetti costituzionali di solidarieta\u0027,  sarebbe  anche  la\nmera substantial injustice. \n    Le Sezioni Unite, in materia di claims made, del 2016 e del 2017,\nhanno affermato che, se la clausola claims made di  carattere  spurio\n(\u003dche limita l\u0027indennizzo agli infortuni che, non solo siano accorsi,\nma anche denunciati nel corso della vigenza contrattuale) non  e\u0027  di\nper se\u0027 nulla, in concreto puo\u0027 diventare tale  laddove  produca  uno\nsquilibrio significativo di carattere irragionevole,  perseguendo  un\ninteresse ingiusto e sproporzionato e  producendo  una  incontrollata\nsoggezione dell\u0027assicurato nei confronti della  assicurazione,  cosi\u0027\nviolando  i  principi  di   solidarieta\u0027   e   parita\u0027   e   di   non\nprevaricazione. \n    Infine, SS.UU.  del  2017,  con  riferimento  alla  clausola  nel\ncontratto di concessione per la derivazione d\u0027acqua che  imponeva  il\npagamento del canone anche durante il periodo di non utilizzabilita\u0027,\nper  motivi  oggettivamente  impossibilitanti  all\u0027uso  della   fonte\nidrica,  hanno  ritenuto  che  si  tratti  di  una  clausola  iniqua,\nsperequata che deroga la corrispettivita\u0027  della  concessione  e  che\ntrasforma il contratto atipico commutativo, in un contratto aleatorio\nche lede l\u0027art. 41 Cost. \n    Quindi,  tutte  le  suddette  sentenze   danno   rilevanza   alla\ningiustizia  in  quanto  tale  e   utilizzano   come   parametri   di\nvalutazione, addirittura principi costituzionali  fondamentali,  come\nla  solidarieta\u0027,  la  parita\u0027,  la  non  prevaricazione,  l\u0027equita\u0027,\nl\u0027iniziativa economica. \n    Tale orientamento non ha mancato di destare plurime critiche: \n        il sovvertimento radicale del principio di autonomia privata.\nA tal riguardo,  e\u0027  stato  affermato  che  e\u0027  difficile  immaginare\nqualcosa di piu\u0027 contrastante con il principio di  autonomia  privata\nrispetto al precetto dell\u0027ingiustizia  contrattuale,  sindacabile  in\nbase a valori che, secondo  taluna  dottrina,  sarebbero  di  rilievo\ncostituzionale; \n        il venir meno delle  certezza  dei  rapporti  giuridici:  con\nconseguente «deriva da Common Law», che  attribuisce  al  giudice  il\ncompito, sostanzialmente sovrano, tipico di  quei  sistemi.  Padolesi\nafferma che l\u0027art. 2 Cost. diventa in un qualche modo un  apriscatole\ngiuridico, che entra nel contratto e impone un contenuto  conforme  a\nbuona fede; \n        il superamento della distinzione tra norme di comportamento e\nnorme sull\u0027atto: se la substantive justice implica una valutazione in\ntermini di giustizia sostanziale, allora sono prefigurabili norme sul\ncomportamento, la  cui  violazione  determina  un  divieto  dell\u0027atto\ningiusto e, quindi, una causa di nullita\u0027. \n    Invero, le ipotesi venute al vaglio del giudice di legittimita\u0027 e\ndi  quello  delle  leggi,  sembrano  connotarsi  per   il   carattere\nqualificato della soglia di proporzione  che  legittima  l\u0027intervento\ngiudiziale. Deve, infatti, ricorrere un\u0027iniquita\u0027  manifesta,  ovvero\neclatante e tale da esigere una ricomposizione. \n    Dunque, pur nella sua  generalizzazione  l\u0027intervento  giudiziale\nnon puo\u0027 prescindere dalla verifica di tale soglia di gravita\u0027  della\nsproporzione. \n    Invero, secondo questo Giudice remittente,  non  esistono  valide\nragioni logiche per ritenere che tale ordine  di  considerazioni  sia\nestendibile anche alle ipotesi in cui  la  proporzione  debba  essere\nvagliata con riguardo non alle prestazioni convenute dalle parti,  ma\nai sacrifici imposti aliunde,  ad  esempio,  come  nella  fattispecie\nconcreta, per effetto di un provvedimento giudiziale o, in  generale,\ndi un factum principis (come nel caso di un\u0027ipotetica  sopravvenienza\nnormativa). \n    Quanto alla possibilita\u0027 di poter prescindere  da  un\u0027istanza  in\ntal senso della parte interessata, affermata,  per  la  prima  volta,\ndalle gia\u0027 menzionate Sezioni Unite del 2005 e ribadita  dalla  Corte\ncostituzionale nel 2014, con riguardo alle prestazioni  contrattuali,\nsi ritiene di non poter prescindere dai correttivi  che  si  vanno  a\nenucleare. \n    In particolare, deve ritenersi  che  quando,  come  nel  caso  di\nspecie, le difese della parte interessata non siano incompatibili con\nl\u0027intervento  giudiziale,  tale  sindacato  officioso  debba   essere\nassicurato. Cio\u0027, anche a prescindere dall\u0027esistenza di  una  formale\nistanza di parte. \n    Si pensi anche all\u0027ipotesi in cui, a prescindere dalle  richieste\ndi  tutela  formulate,  sia  stata,  comunque,   compiuta   attivita\u0027\nassertiva e di prova ad opera delle parti che sia utile a  consentire\nl\u0027esercizio di  tale  potere  officioso.  Cio\u0027,  nella  premessa  che\nproprio l\u0027assolvimento di tale  onere  processuale,  ad  opera  delle\nparti, costituisce  condizione  per  la  pronuncia  ex  officio,  non\npotendo il Giudice, come noto, far uso della propria scienza privata. \n    In tal senso, e\u0027 richiamabile anche Tribunale Ancona sez. II,  19\nagosto 2019, n. 1457, secondo cui «In tema  di  clausola  penale,  il\npotere di riduzione ad equita\u0027, attribuito al giudice  ex  art.  1384\ndel codice civile, a tutela dell\u0027interesse generale dell\u0027ordinamento,\npuo\u0027 essere esercitato d\u0027ufficio, ma l\u0027esercizio di  tale  potere  e\u0027\nsubordinato all\u0027assolvimento degli  oneri  di  allegazione  e  prova,\nincombenti  sulla  parte,  circa  le  circostanze  rilevanti  per  la\nvalutazione dell\u0027eccessivita\u0027 della penale,  che  deve  risultare  ex\nactis ossia dal  materiale  probatorio  legittimamente  acquisito  al\nprocesso, senza che il giudice possa ricercarlo d\u0027ufficio». \n    Specularmente, l\u0027autonoma iniziativa giudiziale,  in  materia  di\nriequilibrio contrattuale, dovrebbe  ritenersi  preclusa  quando  sia\nmanifestata (espressamente o tacitamente) una volonta\u0027 contraria alla\nstessa. \n    Orbene,  mutata  mutandis,  deve  ritenersi  che,   anche   nella\nfattispecie  concreta  di   intervento   volto   ad   assicurare   la\nproporzionalita\u0027 non di una prestazione,  liberamente  convenuta,  ma\ndel sacrificio imposto, ope iudicis, lo stesso non  possa,  comunque,\nattuarsi in contrasto con la volonta\u0027 della parte a cio\u0027 interessata. \n10. Sintesi della questione \n    Come evidenziato dalla  difesa  dell\u0027opponente,  solo  a  seguito\ndella riforma del 2022, la nuova formulazione dell\u0027art.  614-bis  del\ncodice di procedura  civile  -  inapplicabile  nel  caso  di  specie,\nratione temporis - ha previsto che,  nell\u0027applicazione  della  misura\ncoercitiva indiretta, il giudice, che  ha  emesso  il  provvedimento,\n«puo\u0027», ma non deve, «fissare un  termine  di  durata  della  misura,\ntenendo conto della finalita\u0027 della  stessa  e  di  ogni  circostanza\nutile». \n    La vecchia formulazione della norma, applicabile, invece, ratione\ntemporis, nulla prevedeva al riguardo. \n    Nondimeno, ne\u0027 la norma previgente ne\u0027 la nuova - conservando una\nrigida dicotomia fra fase della cognizione e fase  dell\u0027esecuzione  -\nconsentono al G.e. di fissare un tetto massimo o un termine finale di\ndurata  della  misura  all\u0027astreinte,  irrogata  dal  Giudice   della\ncognizione. \n    Infatti, tale facolta\u0027 parrebbe concessa - e solo dalla novella -\nin alternativa, al giudice della cognizione -  ovvero  a  quello  che\nabbia emesso la misura in sede cautelare o che tale  misura  abbia  a\nemettere ex novo o a confermare in sede di merito - oppure  a  quello\ndell\u0027esecuzione, senza  alcuna  possibilita\u0027  che  il  secondo  possa\nintervenire, seppure solo in chiave specificativa e integrativa e non\ncorrettiva, sull\u0027operato del secondo. \n    Nel caso  di  specie,  il  giudice  del  cautelare,  in  sede  di\nemissione dell\u0027ordinanza, assunta il 2 settembre 2022, non fissava un\nlimite temporale di operativita\u0027 della misura, superato il  quale  si\npotesse   (e   dovesse)   prendere   atto   della   sua   esorbitanza\nsopravvenuta(28). \n    Si e\u0027 creata, quindi, una situazione paradossale - peraltro,  non\neccezionale, ma suscettibile di riproporsi anche in altre fattispecie\n-: l\u0027astreinte - sia che la si riscostruisca in termini  risarcitori,\nsia che la si consideri come finalizzata a sanzionare l\u0027inadempimento\ndi  un\u0027obbligazione  di  consegna  rientrante  nell\u0027adempimento   del\ncontratto di prestazione d\u0027opera  professionale  -  permetterebbe  al\ncreditore di conseguire, anzitempo, quanto richiesto  nel  successivo\ngiudizio di merito,  con  domanda  di  risarcimento  per  equivalente\nderivante dalla violazione contrattuale o, persino, di conseguire una\nmisura economica sine die e, per sua stessa natura, sproporzionata. \n    Cio\u0027, peraltro, senza che  sia  in  qualche  modo  previsto  che,\nnell\u0027ipotesi in cui, come quella di cui al caso di specie,  venga  ad\nessere  riconosciuta  al  creditore,  una  tutela  risarcitoria   per\nequivalente, la sanzione irrogata sia destinata a cessare di  operare\nper il futuro. \n    Peraltro,     la     possibilita\u0027      di      un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente conforme non sembra agevolmente praticabile per le\nragioni gia\u0027 espresse. \n    Cio\u0027 sembra doversi escludere, nonostante il tentato richiamo  ai\nprincipi generali di: \n        1. buona fede oggettiva che sembrerebbe ristretta  all\u0027ambito\nnegoziale; \n        2.  equita\u0027,  secondo  molti,   richiedente,   per   la   sua\noperativita\u0027, un\u0027espressa previsione di legge; \n        3. della generale  rilevanza  delle  sopravvenienze  e  della\ncorrelata clausola rebus sic stantibus. \n    Cio\u0027, in considerazione della  difficolta\u0027  di  qualificare,  nei\nsuddetti termini, l\u0027esorbitanza della somma maturata, sulla  base  di\nuna misura, periodica, fin dall\u0027origine predefinita e conosciuta  dal\ndestinatario. Da cio\u0027, al contempo, la  non  invocabilita\u0027  dell\u0027art.\n669-decies del codice di procedura civile, in materia di revoca delle\nmisure cautelari. \n    Tale assetto regolatorio parrebbe, ad una valutazione preliminare\ne di non manifesta infondatezza,  quale  e\u0027  tenuto  questo  Giudice,\nporsi in contrasto: \n        1) coi richiamati principi costituzionali di ragionevolezza e\ndi  proporzionalita\u0027,  per  l\u0027evidente  esorbitanza  del   sacrificio\neconomico inferto al destinatario della misura; \n        a1) nonche\u0027  di  uguaglianza,  l\u0027ordinamento  prevedendo,  in\naltre sedi normative (come quella della caparra confirmatoria e della\npenale) in presenza  di  un  sacrificio  patrimoniale  manifestamente\nsproporzionato, forme di riequilibrio, variamente modulate, peraltro,\ndisponibili anche d\u0027ufficio; \n        b) sotto il profilo della tutela del dominium, con l\u0027art. 42,\ncomma  4,  Cost.  e  -  data  la  valenza   di   diritto   personale,\nfondamentale, della persona cui lo stesso viene elevato  dal  sistema\nconvenzionale - con l\u0027articolo 117 Cost., come integrato, quale norma\ninterposta, dell\u0027art. 1 del Protocollo 1  della  Convenzione  europea\ndei diritti dell\u0027uomo (CEDU). Infatti, una  penale  sproporzionata  e\nsine die espone la sfera patrimoniale del destinatario della stessa -\ne, dunque, i beni di  tal  ultimo  -  al  pericolo  di  un\u0027esecuzione\nforzosa, sia mobiliare sia  immobiliare,  con  compressione  ingiusta\ndell\u0027oggetto del suo dominium; \n        c) con gli articoli 24, 113 Cost., 6, 13 CEDU e 47 Cost,  che\npositivizzano, a vari livelli, il  principio  di  effettivita\u0027  della\ntutela.   Infatti,   lo   strumentario   processuale   attuale    non\nconsentirebbe al Giudice dell\u0027esecuzione di porvi  rimedio  d\u0027ufficio\nal sacrificio sproporzionato cui e\u0027  esposto  il  destinatario  della\nmisura, ponendo alla misura un tetto massimo  (ne\u0027  quantitativo  ne\u0027\ntemporale). \n11. Quesito posto al vaglio della Corte costituzionale \n    Sulla base di  quanto  sinora  esposto,  dunque,  ritiene  questo\nTribunale che siano configurabili le condizioni richieste ai fini del\nrinvio al Giudice delle leggi. \n    Occorre, quindi, procedere al rinvio pregiudiziale degli  atti  -\nper la risoluzione della questione di diritto sopra illustrata  -  al\nGiudice delle leggi, al  quale  la  presente  ordinanza  deve  essere\nimmediatamente trasmessa (con comunicazione alle parti). \n    Dunque, il quesito che si vorrebbe sottoporre  al  Giudice  delle\nleggi e\u0027 quello relativo all\u0027eventuale contrarieta\u0027  ai  principi  di\nragionevolezza e di proporzionalita\u0027  della  previgente  formulazione\ndell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile, applicabile ratione\ntemporis, nella parte in cui non prevede la  possibilita\u0027,  da  parte\ndel  Giudice  dell\u0027esecuzione,  di  determinare  ex  post  un   tetto\nquantitativo massimo  (o  anche  solo  temporale)  all\u0027operare  delle\nmisure ex 614-bis del codice di procedura civile su istanza di  parte\no, come nel caso di specie, anche d\u0027ufficio. Cio\u0027, ogniqualvolta  una\nfissazione ex ante non sia avvenuta ne\u0027 ad opera  del  giudice  della\ncautela, ne\u0027 del giudice del merito  (e  sempre  che  non  esista  un\ngiudicato in relazione a tale  profilo).  Ove,  infatti,  esista  una\npronuncia passata in giudicato con riguardo all\u0027entita\u0027 massima della\nmisura coercitiva esigibile,  qualunque  interferenza  da  parte  del\ngiudice dell\u0027opposizione darebbe luogo ad una  violazione  della  res\niudicata. \n    Si chiede all\u0027ill. ma Corte di valutare e dichiarare tale profilo\nd\u0027incostituzionalita\u0027, sempre, che l\u0027ill.ma Corte adita  non  ritenga\nammissibile  -  come  pure  prospettato  dalla   suesposta   dottrina\nminoritaria, non del tutto condivisa da questo Giudice  -  un\u0027esegesi\ndella norma che consenta al Giudice  dell\u0027opposizione  all\u0027esecuzione\ndi determinare un tetto quantitativo massimo (o anche solo temporale)\nall\u0027operare delle misure ex art.  614-bis  del  codice  di  procedura\ncivile (su istanza di  parte  o,  come  nel  caso  di  specie,  anche\nd\u0027ufficio). \n    A  tale  remissione  consegue  la  necessita\u0027  di  sospendere  il\nprocedimento (non configurandosi peraltro, almeno allo stato,  alcuna\nnecessita\u0027 di compiere atti urgenti, ne\u0027  attivita\u0027  istruttorie  non\ndipendenti  dalla  soluzione  della  questione  oggetto  del   rinvio\npregiudiziale), sino alla determinazione da parte del  Giudice  delle\nleggi ed alla successiva riassunzione. \n \n__________ \n \n  (25) Tale sindacato, inerendo al momento genetico, non  va  confuso\ncon quello che puo\u0027 essere svolto alla  luce  di  sopravvenienze  che\nincidano sui presupposti  iniziali  della  stipulazione,  delle  c.d.\nsopravvenienze  perturbatrici,  idonee  a  sconvolgere  il  programma\nnegoziale,  o  a  interferire  sullo  stesso,  alla  luce  di  eventi\nimprevisti al momento della pattuizione. Si tratta di  sopravvenienze\ntipiche, come la eccessiva onerosita\u0027, l\u0027impossibilita\u0027 sopravvenuta,\nma anche quelle atipiche, come la presupposizione,  come  il  difetto\nsopravvenuto della causa del negozio, come lo squilibrio sopravvenuto \n \n  (26) In relazione  al  principio  di  causalita\u0027,  deve  ricordarsi\nquanto segue: i) lo stesso e\u0027 generale e vale  per  tutti  i  negozi,\nanche se espresso in modo esplicito per il solo contratto.  Vale  per\ntutti i contratti  -  tipici/atipici,  gratuiti/onerosi,  formali/non\nformali - e anche per tutti i negozi diversi  dal  contratto,  com\u0027e\u0027\nreso evidente dall\u0027art. 1324 del codice  civile,  che  per  i  negozi\nunilaterali rinvia alle norme compatibili sul contratto, tra cui c\u0027e\u0027\nindubbiamente la norma sulla causalita\u0027. In questo, per  esempio,  ci\ndifferenziamo dal sistema anglosassone, che  collega  la  causa  alla\nforma, per cui reputa necessaria la consideration,  solo  quando  non\nc\u0027e\u0027 una forma pubblica, mentre laddove  questa  c\u0027e\u0027,  essendoci  il\ncontrollo notarile, assorbe il problema causale.  Il  problema  della\nforma non sostituisce, ma lascia  impregiudicato  il  problema  della\ncausa.  Il  principio  di  necessaria  causalita\u0027  trova  una  deroga\nparziale solo nei titoli di credito, negli articoli 1992  e  ss.  del\ncodice civile; ii) Il principio di causalita\u0027  e\u0027  inderogabile:  non\nsolo e\u0027 generale, ma e\u0027 anche imperativo, cioe\u0027  le  pattuizioni  che\nstabiliscano che l\u0027effetto  giuridico  si  produrra\u0027,  nonostante  la\nmancanza di causa, quindi negozi  che  svincolino  la  validita\u0027  del\nnegozio dal  problema  causale  sono  chiaramente  illeciti,  perche\u0027\ncontrari alla norma imperativa non derogabile che impone la causa. Si\npuo\u0027  non  stipulare  un  contratto  attraverso  l\u0027intento  giuridico\nnegativo (\u003dun accordo tra gentiluomini), ma se lo si stipula  non  si\npuo\u0027 derogare alle norme imperative del contratto. Un contratto senza\ncausalita\u0027 non e\u0027 un contratto valido a  prescindere  dalla  volonta\u0027\ndelle parti; iii) Non solo il principio di causalita\u0027 e\u0027  generale  e\nnon  e\u0027  derogabile  dalle  parti,  ma  non   e\u0027   neppure   derogato\ndall\u0027ordinamento giuridico. Tranne in parte i titoli di credito,  che\npero\u0027 hanno una disciplina legata alla letteralita\u0027 e alle  modalita\u0027\ndi circolazione che li rende non  comparabili  con  il  contratto  in\ngenerale, non esiste  alcun  ipotesi  normativa  che  preveda  questo\nprecetto: questo contratto e\u0027  valido  ed  efficace  definitivamente,\nnonostante l\u0027assenza di una causa. Non c\u0027e\u0027 nessuna ipotesi in cui il\nLegislatore  svincoli  la  validita\u0027  e  l\u0027efficacia  definitiva  del\ncontratto dal problema della causa. E\u0027 come se il legislatore  avesse\npercepito il valore costituzionale del  principio  causale  e  quindi\nl\u0027impossibilita\u0027 di derogarlo in pieno, anche per gli atti di  legge.\nCi sono dei temperamenti  e  delle  deroghe  parziali  del  principio\ncausale, ma non delle deroghe di carattere assoluto, ne\u0027 eccezioni di\nnatura radicale. \n \n  (27) Questa seconda fase, si conclude con il porsi il  problema  di\nquale sia la sanzione che l\u0027ordinamento giuridico da\u0027 a un  contratto\ningiusto  frutto  di  un  procedimento   iniquo   in   un   contratto\nasimmetrico. In disparte le fattispecie  tipiche,  per  le  quali  la\nlegge offre una soluzione espressa (v. l\u0027art. 33 che  qualifica  come\nnulli i contratti limitatamente alle  clausole  che  determinano  uno\nsquilibrio normativo ed eccezionalmente economico), la soluzione  che\nviene prefigurata si fonda sul binomio responsabilitÃ\u{A0}-inefficacia. Si\nesclude, per contro, la nullita\u0027 perche\u0027 l\u0027art.  1418,  comma  1  del\ncodice civile non e\u0027 estensibile alle  violazioni  procedimentali  e,\nquindi, quando risulti violata una norma comportamentale. Si  ritiene\nche l\u0027art. 36 del cod. cons., che sancisce la nullita\u0027 delle clausole\ndi  cui  all\u0027art.  33  cod.  cons.,  sia  una  norma  dalla   portata\neccezionale e, come tale, non suscettibile di applicazione analogica.\nInvero, a tal riguardo, sono individuabili delle ipotesi  in  cui  la\ndisparita\u0027 da\u0027 luogo a mancanza di causa,  dunque  una  nullita\u0027  sul\npiano causale. Quindi, sotto il profilo dell\u0027apparato  rimediale,  la\nregola sarebbe: a) la responsabilita\u0027 precontrattuale,  per  i  danni\npatiti dal contraente debole per aver  stipulato  un  contratto  meno\nfavorevole  di  quello  che  avrebbe  altrimenti  stipulato.  Dunque,\nsarebbe  prefigurabile   una   responsabilita\u0027   precontrattuale   da\ncontratto valido; b) laddove la tutela risarcitoria non sia efficace,\nperche\u0027 il problema riguarda l\u0027an piu\u0027 che il contenuto economico, lo\nsquilibrio normativo piu\u0027  che  quello  valoristico,  o  vi  sia  una\ndifficolta\u0027 di prova  del  danno  risarcibile,  e\u0027  prefigurabile  il\nricorso all\u0027inefficacia ex bona fidem. La dottrina si e\u0027 espressa  in\ntermini di esecuzione in forma specifica dell\u0027obbligo di  buona  fede\noggettiva che deve ritenersi violato dal contraente che abbia imposto\nun regolamento iniquo.  Tale  forma  rimediale  si  sostanzia  in  un\ndiniego di tutela  rispetto  a  comportamenti  scorretti  e,  quindi,\nnell\u0027inesigibilita\u0027 della prestazione contrattuale,  nella  parte  in\ncui prevede delle prestazioni  inique.  L\u0027iniquita\u0027  e\u0027,  dunque,  un\nprofilo che il giudice deve stigmatizzare, ma solo se  si  tratta  di\nuna ingiustizia procedurale, registrata in relazione a dei  contratti\nasimmetrici. \n \n  (28) Va precisato pero\u0027 che alla data di  emissione  non  risultava\nancora in vigore la riforma di cui  all\u0027art.  3,  comma  44,  decreto\nlegislativo 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere  dal  30\ngiugno  2023  e   con   applicazione   ai   procedimenti   instaurati\nsuccessivamente a tale data. \n\n \n                               P.Q.M. \n \n    Il Tribunale ordinario di Brindisi, pronunziando nel giudizio  in\nepigrafe meglio indicato: \n        1. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1  della  legge\ncost. 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo  1953,  n.  87\ndichiara rilevante nel caso di specie e non manifestamente  infondata\nla questione di legittimita\u0027  costituzionale  dell\u0027art.  614-bis  del\ncodice di procedura civile con riferimento: \n          a)  all\u0027art.  3   della   Costituzione,   con   particolare\nriferimento   ai   principi   di   uguaglianza,   ragionevolezza    e\nproporzionalita\u0027; \n          b) all\u0027art. 42, comma 4, Cost.  e  -  data  la  valenza  di\ndiritto personale, fondamentale, della persona cui  lo  stesso  viene\nelevato dal sistema convenzionale  -  all\u0027articolo  117  Cost.,  come\nintegrato, quale norma interposta, dell\u0027art. 1 del Protocollo 1 della\nConvenzione europea dei diritti dell\u0027uomo (CEDU); \n          c) agli articoli 24, 113 Cost., 6, 13 CEDU e 47 Cost.; \n        2. dispone l\u0027immediata trasmissione  degli  atti  alla  Corte\ncostituzionale,  perche\u0027:  «voglia  dichiarare  l\u0027incostituzionalita\u0027\ndell\u0027art. 614-bis del codice di procedura civile - nella formulazione\napplicabile, pro tempore, alla fattispecie concreta - nella parte  in\ncui - legittimando un vincolo sine die  e,  quindi,  perpetuo  -  non\nprevede,  da  parte  del   Giudice   dell\u0027opposizione   a   precetto,\nl\u0027esercizio,  su  istanza  di  parte  o  d\u0027ufficio,  del  potere   di\ndeterminare un tetto quantitativo massimo (o  anche  solo  temporale)\nall\u0027operare delle misure ex art.  614-bis  del  codice  di  procedura\ncivile. Cio\u0027, nell\u0027ipotesi  in  cui  tale  fissazione  non  sia  gia\u0027\navvenuta, ex ante, da parte del  giudice  della  cautela,  oppure  da\nparte dal giudice del merito (e sempre che non  esista  un  giudicato\nsul punto)»; \n        3. sospende il procedimento sino alla restituzione degli atti\nda parte della successivamente alla definizione della questione; \n        4.  ordina  che,  a  cura  della  cancelleria,  la   presente\nordinanza sia notificata alle parti in causa  ed  al  Presidente  del\nConsiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti  della  Camera  dei\ndeputati e del Senato della Repubblica. \n          Brindisi, 29 luglio 2025 \n \n                            Il GI: Natali","elencoNorme":[{"id":"63818","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"pc","denominaz_legge":"codice di procedura civile","data_legge":"","data_nir":"","numero_legge":"","descrizionenesso":"nel testo anteriore alle modifiche apportate 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