Reg. ord. n. 215 del 2025 pubbl. su G.U. del 12/11/2025 n. 46

Ordinanza del Corte d'appello di Torino  del 10/10/2025

Tra: Questura di Torino  C/ Y. K.



Oggetto:

Straniero – Immigrazione – Trattenimento disposto dal questore del richiedente la protezione internazionale – Omessa previsione che il richiedente la protezione internazionale, prima di essere sentito dall’autorità giudiziaria in sede di convalida del trattenimento, sia avvisato della possibilità che le sue dichiarazioni siano utilizzate contro di lui – Mancata previsione della facoltà per il medesimo soggetto di non rendere dichiarazioni e di ciò di essere previamente avvertito – Mancanza di una disciplina sulle conseguenze derivanti dalla mancata formulazione di tali avvisi – Lesione del diritto al silenzio dell’imputato, corollario essenziale del diritto di difesa, garantito e riconosciuto anche dal diritto dell’Unione europea – Disparità di trattamento rispetto alla tutela penalistica apprestata alle persone indagate o imputate sottoposta a interrogatorio.

Norme impugnate:

decreto legislativo  del 18/08/2015  Num. 286  Art. 6  Co. 5

decreto legislativo  del 18/08/2015  Num. 286  Art. 14  Co. 4



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 24   Co.

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.  Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 215 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 2025

Ordinanza del 10 ottobre 2025 della Corte  d'appello  di  Torino  nel
procedimento civile promosso dalla Questura di Torino contro Y. K.. 
 
Straniero - Immigrazione - Trattenimento disposto  dal  questore  del
  richiedente la protezione internazionale - Udienza per la convalida
  -   Omessa   previsione   che   il   richiedente   la    protezione
  internazionale, prima di essere sentito dall'autorita'  giudiziaria
  in  sede  di  convalida  del  trattenimento,  sia  avvisato   della
  possibilita' che le sue dichiarazioni siano  utilizzate  contro  di
  lui - Mancata previsione della facolta' per il medesimo soggetto di
  non rendere dichiarazioni e di cio' di essere previamente avvertito
  - Mancanza di una  disciplina  sulle  conseguenze  derivanti  dalla
  mancata formulazione di tali avvisi. 
- Decreto legislativo  18  agosto  2015,  n.  142  (Attuazione  della
  direttiva 2013/33/UE recante  norme  relative  all'accoglienza  dei
  richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'  della  direttiva
  2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del  riconoscimento  e
  della revoca dello status di protezione  internazionale),  art.  6,
  comma 5, in combinato disposto con l'art. 14, comma 4, del  decreto
  legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni
  concernenti  la  disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla
  condizione dello straniero). 


(GU n. 46 del 12-11-2025)

 
                      CORTE D'APPELLO DI TORINO 
                       Sezione settima civile 
 
    Il  consigliere  Giacomo  Marson  ha  pronunciato   la   seguente
ordinanza  premesso  che  il  Questore  di  Torino  ha  disposto   il
trattenimento di Y K presso il centro di permanenza per i rimpatri di
Torino con provvedimento del , ai sensi dell'art. 6, comma 3, decreto
legislativo n. 142/2015, chiedendone tempestivamente la  convalida  a
questa Corte d'appello; 
 
                               Osserva 
 
    All'udienza del 9 ottobre 2025, fissata  ai  sensi  dell'art.  6,
comma 5 del decreto legislativo n. 142/2015,  questo  consigliere  ha
provveduto a sentire il  richiedente  la  protezione  internazionale,
come previsto dall'art. 14, comma  4,  terz'ultimo  periodo,  decreto
legislativo n. 286/1998, espressamente richiamato dall'art. 6 citato. 
    Y K e' stato trattenuto con provvedimento emesso  dalla  Questura
di Torino il , ai sensi dell'art. 6, comma 3, decreto legislativo  n.
142/2015, sulla base della ritenuta strumentalita' della  domanda  di
protezione internazionale formalizzata dal medesimo in pari data. 
    In occasione dell'udienza del  9  ottobre  2025,  Y  K  e'  stato
sentito e ha dichiarato di essere in Italia dal e di avere  avuto  il
permesso di soggiorno, che gli e'  stato  revocato  quando  e'  stata
eseguita la condanna riportata per i  delitti  di  maltrattamenti  in
famiglia, atti persecutori e violenza  sessuale,  tutti  commessi  in
danno  della  medesima  persona  offesa,  alla   quale   era   legato
sentimentalmente. 
    Dopo la revoca  del  permesso  di  soggiorno,  Y  K  non  ha  mai
formalizzato istanza di protezione internazionale,  fino  al  momento
della sua liberazione dal carcere, che  e'  concisa  esattamente  con
l'inizio del trattenimento presso  il  centro  di  permanenza  per  i
rimpatri. 
    Proprio  per  questo  motivo,  il   richiedente   la   protezione
internazionale ha riferito di non avere alcun legame attuale  con  il
territorio italiano, ne' di svolgere  attivita'  lavorativa,  ne'  di
avere una rete familiare che renda ineseguibile il  provvedimento  di
espulsione dal territorio dello Stato, atto che costituisce il primo,
indefettibile presupposto del trattenimento. 
    Y K ha dichiarato di avere mantenuto rapporti con il figlio  nato
dalla relazione con la persona offesa dei  gravi  reati  per  cui  e'
stato recluso fin dal 4 luglio  2023,  data  in  cui  e'  stata  data
esecuzione  all'ordine  di  carcerazione,  ma   soltanto   attraverso
videochiamate,  senza  che  risulti  ormai  da  anni  instaurata  una
convivenza. 
    Inoltre, anche prima di fare ingresso in carcere,  il  trattenuto
era disoccupato (dal ) e ha dichiarato di aver vissuto «per strada». 
    Considerato il tenore  di  queste  dichiarazioni,  assume  valore
decisivo  la  valutazione  della  legittimita'  costituzionale  della
disciplina derivante dal combinato disposto degli art.  6,  comma  5,
decreto legislativo n. 142/2015 e 14, comma 4, decreto legislativo n.
286/1998, in relazione all'omessa previsione  della  necessita'  che,
prima  di  essere  sentito,  il  soggetto  interessato  sia  avvisato
dell'eventualita' che  le  sue  dichiarazioni  potrebbero  utilizzate
contro  di  lui;  in  relazione  alla  mancata  previsione   che   il
richiedente  la  protezione  internazionale  possa  avvalersi   della
facolta' di non rendere dichiarazioni e  di  cio'  venga  previamente
avvertito; nonche' in relazione alla mancanza di una disciplina sulle
conseguenze derivanti dalla mancata formulazione di questi avvisi. 
    E' immediatamente possibile cogliere la rilevanza della questione
che si intende prospettare rispetto al caso concreto. 
    Sotto un primo profilo,  in  punto  di  diritto,  non  osta  alla
proposizione del presente incidente di costituzionalita' la peculiare
natura del  procedimento  di  convalida  del  trattenimento,  che  e'
sottoposto ai brevi termini perentori previsti dal medesimo complesso
di norme sospettate di incostituzionalita' («Il giudice provvede alla
convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive»
al pervenimento degli atti,  pena  la  cessazione  di  efficacia  del
provvedimento del Questore). 
    La sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 23,  legge  n.
87/1953 non consente a questa Corte d'appello di  pronunciarsi  sulla
convalida del trattenimento entro il  termine  imposto  dalla  legge,
ragione per cui deve ritenersi cessato ogni effetto del trattenimento
ai sensi del combinato  disposto  degli  art.  6,  comma  5,  decreto
legislativo n. 142/2015 e 14,  comma  4,  penultimo  periodo  decreto
legislativo n. 286/1998. 
    Per  questo  motivo  merita  precisare  che,  successivamente  al
deposito della presente ordinanza, con separato provvedimento, verra'
disposto il rilascio di Y K dal centro di permanenza per  i  rimpatri
ove si trova attualmente trattenuto. 
    La questione concernente la possibilita' di  sollevare  incidente
di costituzionalita' anche in questi casi e' gia'  stata  piu'  volte
valutata e  risolta  positivamente  dalla  Corte  costituzionale,  da
ultimo con la sentenza n. 96  del  2025  (punti  4.  e  seguenti  del
«Considerato in diritto»). 
    In particolare, merita richiamare in questa sede  il  punto  2.1.
del   «Considerato   in   diritto»   della   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 212 del 2023, al quale puo' farsi  in  questa  sede
integrale  rimando  per  affermare  che:  «va  pertanto   riaffermato
l'interesse di colui che e' stato privato della liberta' personale  a
una pronuncia sulla legittimita' del provvedimento  restrittivo,  pur
avendo egli, nelle more, riacquistato la liberta' (sentenza n. 54 del
1993 e ordinanza n. 304 del 1991); e va altresi' ribadito che, quando
il giudice dubiti della legittimita' costituzionale delle  norme  che
regolano  presupposti  e  condizioni  del  potere  di  convalida,  la
cessazione dello stato di restrizione non puo' essere di ostacolo  al
promovimento della relativa questione di legittimita'  costituzionale
(sentenza n. 137 del 2020, punto 2.1. del Considerato in diritto)». 
    Sotto un secondo profilo,  occorre  osservare  che  la  normativa
sospettata di illegittimita' costituzionale impone al  giudice  della
convalida di «sentire» previamente l'interessato, se comparso. 
    Deve ritenersi che  l'interlocuzione  con  questo  soggetto,  pur
rispondendo a esigenze di garanzia e pur svolgendosi alla presenza di
un  difensore  che  lo  assiste,  necessariamente  si  risolve  anche
nell'assunzione  di  informazioni,  veicolate  proprio  dal   diretto
interessato,  potenzialmente  nocive  per  lui,   come   puntualmente
avvenuto anche nel caso concreto. 
    In  altre  parole,  una  volta  prevista   l'interlocuzione   con
l'Autorita' giudiziaria chiamata a  valutare  la  legittimita'  della
privazione della sua liberta'  personale,  si  ritiene  assolutamente
necessario tutelare il trattenuto attraverso il riconoscimento di  un
consapevole diritto al silenzio, che attualmente non e' in alcun modo
contemplato dall'ordinamento. 
    Tale esigenza di  tutela  appare  particolarmente  stringente  in
ragione della peculiare situazione in cui  versa  il  richiedente  la
protezione internazionale, della quale anche la Corte  costituzionale
si e' gia' mostrata perfettamente consapevole. 
    In  particolare,  nella  sentenza  n.  212  del  2023  la   Corte
costituzionale ha avuto  modo  di  sottolineare  che:  «nel  caso  di
specie, si e' di fronte alla fattispecie particolare dello  straniero
che e' anche richiedente asilo, il  quale  dunque  si  trova  in  una
situazione ancor piu' delicata, che richiederebbe un  alto  grado  di
protezione, secondo le norme del diritto dell'Unione europea (di  cui
alle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE)». 
    Le medesime norme che impongono al  giudice  della  convalida  di
sentire il trattenuto sono completamente silenti  a  proposito  delle
garanzie che devono presidiare questo incombente. 
    Questo vuoto  normativo  non  si  ritiene  possa  essere  colmato
attraverso  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata   delle
norme sospettate di  incostituzionalita'  proprio  in  ragione  della
peculiare posizione giuridica dello straniero trattenuto  richiedente
la protezione internazionale e del contesto in cui egli si trova  nel
momento in cui deve essere sentito, come nel prosieguo si avra'  modo
di specificare piu' dettagliatamente. 
    In terzo luogo, la non manifesta irrilevanza della  questione  di
legittimita' prospettata puo' essere ritenuta anche con riferimento a
considerazioni piu' strettamente attinenti al merito. 
    Deve osservarsi che Y  K  ha  reso  dichiarazioni  dal  contenuto
inequivocabilmente a se' sfavorevole, da sole idonee a dimostrare  la
fondatezza delle ragioni sulla cui base  il  Questore  di  Torino  ha
disposto il trattenimento. 
    Alla luce delle dichiarazioni rese dal trattenuto all'udienza  di
convalida del 9 ottobre 2025, sopra sommariamente  riportate,  emerge
evidente la sussistenza di fondati motivi per  ritenere  che  la  sua
domanda  di  protezione  internazionale  sia   stata   effettivamente
presentata  al  solo  scopo  di  ritardare  o  impedire  l'esecuzione
dell'espulsione. 
    E' appena il caso di osservare l'irrilevanza del fatto che alcune
delle informazioni riferite da Y K sono  desumibili  anche  da  altri
atti del procedimento, questione che,  sotto  alti  profili  comunque
connessi alla valutazione  del  diritto  al  silenzio  che  viene  in
rilievo anche nella presente sede, e' gia' stata risolta dalla  Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n.  111/2023  (punto  3.5.1.   del
«Considerato in diritto»). 
    Peraltro, molte delle circostanze riportate  dal  trattenuto  nel
corso della sua escussione, come, per esempio, quelle  relative  alle
condizioni personali precedenti alla carcerazione,  ai  rapporti  col
figlio e all'individuazione della persona offesa dei reati per cui e'
stato  detenuto,  non  erano   desumibili   dagli   atti,   ne'   dal
provvedimento  del  Questore,  invero  motivato   facendo   esclusivo
riferimento a clausole di stile, riproducenti il mero dato normativo. 
    Il vuoto normativo denunciato con la presente  ordinanza  non  si
ritiene colmato neppure dalla previsione della presenza del difensore
all'udienza in cui il trattenuto deve  essere  sentito,  imposta  dal
combinato disposto degli art. 6,  comma  5,  decreto  legislativo  n.
142/2015 e 14, comma 4, decreto legislativo n. 286/1998. 
    In assenza di una puntuale disciplina che regoli  il  diritto  al
silenzio,  infatti,  neppure  tale  presidio  di  legalita'   risulta
sufficiente a garantire i diritti del soggetto privato della liberta'
personale. 
    Occorre anche evidenziare che, con riferimento al caso di specie,
gli  oneri  informativi  che  si  assumono  violati  non  sono  stati
garantiti  nemmeno  nel   corso   del   procedimento   amministrativo
prodromico al trattenimento oggetto del giudizio che vede coinvolto Y
K . 
    Il  provvedimento  del  Questore  del  2   ottobre   2015,   gia'
convalidato dal Giudice di pace di Torino, fa doverosamente  menzione
al fatto che all'ingresso nel centro di  permanenza  per  i  rimpatri
«veerra' fornito opuscolo informativo di cui all'art.  10,  comma  1,
decreto legisltaivo n. 25/2008». 
    Tale  norma  fa  riferimento  al  diritto  del   richiedente   la
protezione internazionale a ricevere informazioni a proposito  «della
procedura  da  seguire,  dei  suoi  diritti  e  doveri   durante   il
procedimento e dei tempi e mezzi a sua disposizione per corredare  la
domanda degli elementi utili all'esame». 
    Per  espressa  previsione  normativa,  questo  onere  si  ritiene
adempiuto attraverso  la  consegna  all'interessato  di  un  opuscolo
appositamente  redatto  dalla  Commissione  nazionale,  «secondo   le
modalita' definite nel regolamento da adottare ai sensi dell'articolo
38» (art. 10, comma 2, decreto legislativo n. 25/2008), che,  fra  le
altre indicazioni, deve prevedere «i principali diritti e doveri  del
richiedente durante la procedura di esame della domanda di protezione
internazionale» (lettera b). 
    Benche'  l'opuscolo  materialmente  consegnato  a  Y  K  non  sia
prodotto agli atti del procedimento,  la  consultazione  delle  fonti
aperte di internet consente  di  apprezzare  come  nessun  cenno  sia
contenuto in questo opuscolo al diritto al silenzio, ne'  tanto  meno
alla possibilita' di comparire davanti all'Autorita' giudiziaria  per
essere sentito («Quali sono i  miei  diritti  di  richiedente  asilo?
Essere informato: l'ufficio di Polizia che riceve la tua  domanda  di
protezione internazionale ti informa sui tuoi diritti e doveri  e  su
ogni fase  della  procedura.  Per  qualsiasi  ulteriore  informazione
rivolgiti ad un operatore legale del  tuo  centro  di  accoglienza  o
delle associazioni  di  tutela  dei  richiedenti  asilo  e  rifugiati
presenti sul territorio. In  qualsiasi  frase  della  procedura  puoi
sempre contattare anche l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite  per
i Rifugiati - UNHCR»). 
    Risulta per cio' solo evidente  che  il  trattenuto  non  ha  mai
ricevuto alcuna informazione  su  un  rilevantissimo  corollario  del
proprio  diritto  a  difendersi,  che  si  ritiene   debba   essergli
assicurato  proprio  in  virtu'  della  privazione   della   liberta'
personale patita. 
    In conclusione, la questione di legittimita'  costituzionale  che
ci  si  appresta  a  formulare  si  palesa  rilevante  nel   presente
procedimento, anche perche'  da  ritenersi  decisiva  ai  fini  della
valutazione della  fondatezza  del  provvedimento  che  questa  Corte
d'appello e' chiamata a convalidare. 
    Per quanto riguarda la non manifesta infondatezza della questione
proposta, si rende necessaria una premessa di carattere generale. 
    Tanto la giurisprudenza della Corte costituzionale, quanto quella
di legittimita' sono ormai da tempo unanimemente assestate nel  senso
di affermare  la  natura  limitativa  della  liberta'  personale  del
trattenimento dello straniero. 
    In  particolare,  oltre  alla  recente   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 96 del 2025,  tale  principio  e'  stato  affermato
anche nella sentenza n. 212 del 2023, nella sentenza n. 127 del  2022
e, in precedenza, anche nella sentenza n. 105 del 2001. 
    Nel solco della medesima linea interpretativa si pone la Corte di
cassazione, che ugualmente,  ancora  piu'  di  recente,  ha  ritenuto
«pacifico» il fatto che la materia del  trattenimento  delle  persone
straniere  «prevedendo  l'intervento  di  atti  che  incidono   sulla
liberta' personale, concretizzi una forma di restrizione che presenta
connotazioni del tutto analoghe rispetto a  quelle  dettate...  nella
materia della liberta' personale»,  giungendo  a  constatare  che  la
«sostanziale  assimilabilita'   fra   i   due   moduli   restrittivi»
rappresenta  «un   dato   ormai   acquisito,   nella   giurisprudenza
costituzionale (da ultimo, sentenza n. 96 del 2025) e di legittimita'
(fra le tante, si richiamano Sez. 1, n. 9556 del 7 marzo 2025  -  Rv.
287568-03; Sez. 1, n. 15751 del 22 aprile 2025, Rv.  287812-01;  Sez.
1, n. 15757 del 22 aprile 2025, Rv. 287844-03; Sez. 1, n.  15746  del
22 aprile 2025, Rv. 287810-01; Sez. 1, n. 15754 del 22  aprile  2025,
Rv. 287842-02)» (Cfr. Corte  di  cassazione,  Sezione  prima  penale,
ordinanza n. 30297 del 4 settembre 2025). 
    Tale ricostruzione trova riscontro anche nella normativa e  nella
giurisprudenza comunitarie. 
    In   particolare,   la   direttiva   2008/115/CE    afferma    al
«considerando» 17 che «i cittadini di paesi terzi che sono trattenuti
dovrebbero essere trattati in  modo  umano  e  dignitoso,  nel  pieno
rispetto dei loro diritti fondamentali e in conformita'  del  diritto
nazionale e internazionale». 
    Partendo da questa premessa, anche la giurisprudenza della  Corte
di giustizia dell'Unione europea e' orientata nel senso  di  ritenere
che la nozione di trattenimento di un cittadino  di  un  paese  terzo
implica il suo confinamento in un luogo  determinato,  che  lo  priva
della  liberta'  personale  e,  in  particolare  evidenzia  che  tale
situazione implica una grave «ingerenza  nel  diritto  alla  liberta'
sancito all'art. 6 della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione
europea» (Corte di giustizia UE, grande sezione, sentenza 8  novembre
2022, cause riunite C-704/20 e C-39/21, Staatssecretaris van Justitie
en Veiligheid e X, paragrafo 75). 
    Merita richiamare anche  la  sentenza  della  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo del 6 ottobre 2016 - Ricorsi nn. 3342/11,  3391/11,
3408/11 e 3447/11 - Causa e altri c.  Italia,  che  al  paragrafo  70
prevede: «quando si tratta  di  una  privazione  della  liberta',  e'
particolarmente importante soddisfare  il  principio  generale  della
certezza del diritto. Di conseguenza, e' essenziale che le condizioni
di privazione della liberta' in  virtu'  del  diritto  interno  siano
definite chiaramente e che la legge stessa sia prevedibile nella  sua
applicazione, in  modo  da  soddisfare  il  criterio  di  «legalita'»
stabilito  dalla  Convenzione,  che  esige   che   ogni   legge   sia
sufficientemente  precisa  per  permettere   al   cittadino   -   che
eventualmente  potra'  avvalersi  di  consulenti  illuminati   -   di
prevedere, ad un livello ragionevole nelle circostanze  della  causa,
le  conseguenze  che  possono  derivare  da   un   determinato   atto
(Baranowski c. Polonia, n. 28358/95, §§ 50-52, CEDU 2000-111,  Ječius
c. Lituania, n. 34578/97, § 56, CEDU 2000-1X, e  Mooren  c.  Germania
[GC], n. 11364/03, § 76, 9 luglio 2009)». 
    Muovendo da  tali  premesse,  e'  ineludibile  la  necessita'  di
valutare se il sistema normativo  delineato  dal  combinato  disposto
degli art. 6, comma 5, decreto legislativo n. 142/2015 e 14, comma 4,
decreto legislativo n. 286/1998 risponda a tali principi. 
    In particolare, la questione qui proposta  concerne  l'escussione
del cittadino straniero  richiedente  la  protezione  internazionale,
trattenuto per ordine  del  Questore,  prevista  dalle  norme  appena
richiamate nel corso del procedimento di convalida attualmente svolto
davanti alla Corte d'appello in composizione monocratica. 
    Si ritiene che tale disciplina contrasti con i  principi  di  cui
agli ad. 24 comma 2 e 3 della Costituzione. Sotto il  primo  profilo,
la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  che  si   intende
sottoporre all'esame della Corte costituzionale puo' essere affermata
in relazione al diritto al silenzio, che  costituisce  un  corollario
del diritto alla difesa costituzionalmente garantito  e  riconosciuto
anche dal diritto dell'Unione europea. 
    In  particolare,  la  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  ha
rilevato che, benche' l'ad. 6 della Convenzione per  la  salvaguardia
dei Diritti dell'Uomo e  delle  Liberta'  fondamentali  non  menzioni
espressamente il diritto al silenzio,  quest'ultimo  costituisce  una
norma internazionale  generalmente  riconosciuta,  che  si  trova  al
centro della nozione di equo processo e pone il giudicato  al  riparo
da una coercizione  abusiva  da  parte  delle  autorita',  in  quanto
contribuisce ad evitare errori giudiziari e a garantire il  risultato
a cui mira tale norma (cfr. sentenza John Murray c.  Regno  Unito,  8
febbraio 1996, paragrafo 45). 
    Del resto, nelle gia' richiamate sentenze Baranowski c.  Polonia,
n. 28358/95,  paragrafi  50-52;  Ječius  c.  Lituania,  n.  34578/97,
paragrafo 56; Mooren c. Germania [GC], n. 11364/03, paragrafo 76,  la
Corte europea dei diritti dell'uomo ha esplicitamente statuito che e'
dovere della legislazione nazionale quello di porre ogni soggetto che
viene sottoposto  a  una  privazione  della  liberta'  personale  «di
prevedere, ad un livello ragionevole nelle circostanze  della  causa,
le conseguenze che possono derivare da un determinato atto». 
    Il non aver previsto che il trattenuto richiedente la  protezione
internazionale, prima di essere sentito  nel  corso  dell'udienza  di
convalida del trattenimento, venga avvisato della possibilita' che le
sue dichiarazioni vengano  utilizzate  per  motivare  una  privazione
della liberta' personale e della possibilita', proprio per questo, di
astenersi  dal  rendere  dichiarazioni  si  ritiene  costituisca   un
pregiudizio del diritto di difesa e, dunque, integri  una  violazione
degli art. 24,  comma  2  della  Costituzione  e  dell'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  Diritti  dell'Uomo  e  delle
Liberta'   fondamentali,   applicabile   anche   alla   materia   dei
trattenimenti in virtu'  di  quanto  sopra  precisato  attraverso  il
rimando a pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    La circostanza che la privazione  della  liberta'  personale  non
derivi dalla commissione di un  reato  non  puo'  costituire  ragione
sufficiente a eliminare tale pregiudizio. 
    Muovendo dalla  «sostanziale  assimilabiita'  fra  i  due  moduli
restrittivi», gia' a  piu'  riprese  affermata  dalla  giurisprudenza
costituzionale e di legittimita', deve osservarsi che l'art. 24 della
Costituzione non pone alcuna distinzione di materia in quanto prevede
al primo comma il diritto di chiunque ad agire  in  giudizio  per  la
tutela  dei  propri  diritti  e  interessi  legittimi,  senza  alcuna
limitazione  e,  correlativamente,   statuisce   al   secondo   comma
l'inviolabilita' del diritto di difesa in  ogni  stato  e  grado  del
procedimento, vale a dire, ancora una volta, indipendentemente  dalla
natura dei diritti che si intendono tutelare in giudizio. 
    In  altre  parole,  si  ritiene  che  il  diritto  al   silenzio,
espressione del principio «nemo tenetur se detegere», corollario  dei
diritti riconosciuti tanto dalla Costituzione italiana, quanto  dalla
normativa  dell'Unione  europea,  trascende  dall'ambito  penalistico
strettamente inteso e deve trovare applicazione anche nei casi in cui
la  limitazione  alla  liberta'  personale  derivi   da   una   fonte
amministrativa,  qual  e'  da   considerare   il   provvedimento   di
trattenimento del richiedente la protezione  internazionale  disposto
dal Questore ai sensi dell'art. 6, decreto legislativo n. 142/2015. 
    Quanto precede pare tanto piu' vero  se  si  considera  il  grado
estremamente elevato di pregiudizio per  la  liberta'  personale  che
implica il trattenimento nel centro di permanenza per i rimpatri,  il
fatto che tale misura e' astrattamente destinata a protrarsi  per  un
periodo non certo limitato di tempo  (pari  a  dodici  mesi,  secondo
quanto  previsto  dall'art.  6,  comma  8,  decreto  legislativo   n.
142/2015) e, stando a quanto espressamente indicato all'art. 5, comma
1, lettera F  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  Diritti
dell'Uomo e delle  Liberta'  fondamentali,  legittima  la  privazione
della liberta' in quanto e' rivolta a «una persona contro la quale e'
in corso un procedimento d'espulsione o d'estradizione». 
    Non e' casuale osservare che la disciplina del trattenimento  dei
richiedenti la protezione  internazionale,  per  quanto  compatibile,
contempla esattamente i medesimi principi sanciti dall'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  Diritti  dell'Uomo  e  delle
Liberta' fondamentali a garanzia dell'«accusato». 
    In particolare, il comma 3 di questa norma sancisce i  diritti  a
«(a) essere informato, nel piu' breve tempo possibile, in una  lingua
a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei  motivi
dell'accusa formulata a suo carico; (b) disporre del  tempo  e  delle
facilitazioni necessarie a preparare la sua  difesa;  (c)  difendersi
personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua  scelta  e,
se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito
gratuitamente  da  un  avvocato  d'ufficio,  quando  lo  esigono  gli
interessi  della  giustizia;  (d)  OMISSIS;   (e)   farsi   assistere
gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua
usata in udienza», vale a dire di godere delle medesime garanzie gia'
attualmente riconosciute al trattenuto. 
    Con il prevedere che «ogni legge sia  sufficientemente  precisa»,
anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ( e altri c. Italia  nn.
3342/11, 3391/11, 3408/11 e  3447/11,  paragrafo  70,  Baranowski  c.
Polonia,  n.  28358/95,  paragrafi  50-52;  Ječius  c.  Lituania,  n.
34578/97,  paragrafo  56;  Mooren  c.  Germania  [GC],  n.  11364/03,
paragrafo 76) sembra stigmatizzare il vuoto normativo che si sospetta
di illegittimita' costituzionale. 
    Tutto cio' premesso, come  gia'  accennato,  si  ritiene  che  la
garanzia effettiva del diritto a non rendere dichiarazioni contro se'
stesso esiga la previsione di idonei strumenti  procedurali,  che  ne
assicurino il rispetto da parte dell'Autorita' procedente. 
    In analogia con la disciplina penalistica prevista a tutela della
persona indagata sottoposta a interrogatorio  (art.  64,  commi  3  e
3-bis del codice di procedura penale), tali strumenti possono  essere
individuati, in primo luogo, nell'integrare  la  disciplina  relativa
alla convalida del trattenimento del cittadino straniero  richiedente
la protezione internazionale prevedendo esplicitamente la  necessita'
di  fornire  al  cittadino  straniero   richiedente   la   protezione
internazionale le  necessarie  informazioni,  rendendolo  edotto  del
fatto che le sue dichiarazioni potrebbero usate contro di lui. 
    In seconda istanza, il  pieno  rispetto  del  diritto  di  difesa
costituzionalmente garantito impone di riconoscere  espressamente  al
soggetto trattenuto la facolta' di non essere sentito, pur comparendo
come suo diritto, proprio al fine di non trovarsi nella posizione  di
riferire  circostanze  a  se'  sfavorevoli  e  che  di   cio'   venga
previamente avvertito. 
    Tali   profili   si   ritengono   meritevoli    di    particolare
considerazione in rapporto alla  necessita'  di  controbilanciare  la
pressione psicologica che inevitabilmente e' connessa a un incombente
che, per espressa previsione normativa, si svolge «ove  possibile,  a
distanza mediante un collegamento audiovisivo, tra l'aula d'udienza e
il centro di cui all'articolo 14 del decreto  legislativo  25  luglio
1998,  n.  286  nel  quale  egli  [il   richiedente   la   protezione
internazionale - n.d.e.] e' trattenuto». 
    Il pieno rispetto del diritto al  silenzio  impone,  infine,  che
l'ordinamento preveda la sanzione processuale  dell'inutilizzabilita'
di tutte le dichiarazioni  rese  dall'interessato,  allorche'  questi
obblighi procedurali siano stati violati. 
    Nessuna di queste tutele e' attualmente contemplata nei  casi  di
interlocuzione del richiedente la protezione  internazionale  con  il
giudice, nonostante tale incombente sia  normativamente  imposto  nel
corso   dell'udienza   di   convalida   del   trattenimento,   quando
l'interessato sia comparso. 
    Deve ritenersi che da tali omissioni derivino  conseguenze  molto
rilevanti sui diritti di difesa dell'interessato,  al  quale  non  e'
oggi riconosciuto un consapevole diritto al silenzio,  pur  a  fronte
del fatto che tale diritto viene necessariamente in  gioco  tutte  le
volte in cui il  richiedente  la  protezione  internazionale  compare
davanti alla Corte d'appello per la  convalida  del  trattenimento  e
potrebbe  trovarsi  nella   condizione   di   rendere   dichiarazioni
suscettibili di essere utilizzate nell'ambito di quel procedimento e,
dunque, di  patire  una  rilevante  menomazione  della  sua  liberta'
personale anche motivata dal  contenuto  delle  circostanze  riferite
quando viene sentito. 
    Discende da cio' la ritenuta  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  appena  prospettata   in
relazione  combinato  disposto  degli  art.  6,  comma   5,   decreto
legislativo n. 142/2015 e 14 comma 4 decreto legislativo n.  286/1998
per violazione  dell'art.  24,  comma  2  della  Costituzione,  oltre
dell'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  Diritti
dell'Uomo e delle Liberta' fondamentali. 
    Sotto altro profilo,  la  «sostanziale  assimilabilita'»  fra  la
materia del trattenimento delle  persone  straniere  e  quella  della
liberta' personale di matrice  penalistica,  costantemente  affermata
dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimita'  e  data  ormai
per «pacifica», impone di rilevare come  la  disciplina  prevista  in
tema di convalida del trattenimento  dei  richiedenti  la  protezione
internazionale  presenti  profili  di  irragionevole  disparita'   di
trattamento rispetto a quella dettata a tutela delle persone indagate
o imputate nel procedimento penale. 
    Si e' gia' avuto modo di evidenziare, ma merita ribadire anche in
questa sede, che la Corte  costituzionale  ha  descritto  la  materia
disciplinata dall'art. 6, decreto legislativo n.  142/2015  come  una
«fattispecie particolare dello straniero  che  e'  anche  richiedente
asilo, il  quale  dunque  si  trova  in  una  situazione  ancor  piu'
delicata, che richiederebbe un alto grado di protezione,  secondo  le
norme  del  diritto  dell'Unione  europea  (di  cui  alle   direttive
2013/32/UE e 2013/33/UE)» (cfr.  sentenza  n.  212  del  2023).  Tale
precisazione si ritiene particolarmente rilevante in quanto  dimostra
con ancora maggiore evidenza il carattere irragionevole della  minore
tutela che l'ordinamento appresta a questi soggetti rispetto a quella
delle persone sottoposte a indagini o imputate, pur  a  fronte  della
identica situazione di grave pregiudizio per  la  liberta'  personale
che tutti questi soggetti si trovano a subire. 
    A causa della sua incompletezza, la disciplina che in questa sede
si  intende  censurare  di  illegittimita'  costituzionale  presenta,
pertanto,  profili  di  irragionevole  disparita'   di   trattamento,
contrastanti con il principio di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Infatti, il combinato disposto degli art.  6,  comma  5,  decreto
legislativo n.  142/2015  e  14,  comma  4,  decreto  legislativo  n.
286/1998 prevede una disciplina che regola in modo diverso situazioni
definite  anche  dalla  Corte  di  cassazione   come   connotate   da
«sostanziale  assimilabilita'»,  quanto  meno  con  riferimento  agli
effetti, o, meglio, omette di prevedere e con  cio'  regola  in  modo
diverso. 
    In ragione di cio',  e'  ragionevole  ritenere  che,  oltre  agli
effetti, anche le garanzie che assistono i  soggetti  accomunati  dal
rischio di veder  limitata  la  propria  liberta'  personale  debbano
essere assicurate in egual misura nel corso dei procedimenti (i  «due
moduli   restrittivi»   «sostanzialmente»    assimilabili,    secondo
l'ordinanza n. 30297 del 4 settembre 2025 della Corte di  cassazione,
Sezione  prima  penale  precedentemente   citata)   che   li   vedono
rispettivamente coinvolti. 
    In conclusione, alla luce di tutto  quanto  in  qui  esposto,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  oggetto  della  presente
ordinanza risulta non manifestamente infondata. 

 
                               P. Q. M. 
 
    Visti gli articoli 134  Costituzione  e  23,  legge  n.  87/1953,
dichiara rilevante e non manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale del  combinato  disposto  degli  art.  6,
comma 5, decreto legislativo n.  142/2015  e  14,  comma  4,  decreto
legislativo n. 286/1998, nella parte in cui non prevede che, prima di
essere sentito dall'Autorita' giudiziaria in sede  di  convalida  del
trattenimento,  il  richiedente  la  protezione  internazionale   sia
avvisato della possibilita' che le sue dichiarazioni siano utilizzate
contro di lui; nella parte in  cui  non  riconosce  espressamente  al
medesimo soggetto la facolta' di non essere sentito, pur comparendo e
di cio' venga previamente avvertito; nonche' nella parte in  cui  non
disciplina le conseguenze derivanti  dalla  mancata  formulazione  di
questi avvisi, per violazione degli art. 24 comma 2 e  art.  3  della
Costituzione; 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
    Sospende il procedimento n. 1245/2025 R.G.C. sino  all'esito  del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; 
    Ordina la notificazione della presente ordinanza alla  Presidente
del Consiglio dei Ministri; 
    Dispone la comunicazione della presente ordinanza  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento; 
    Ordina la notificazione della presente ordinanza alle  parti  del
presente procedimento; 
    Manda alla cancelleria per quanto di competenza. 
        Torino, 10 ottobre 2025 
 
                       Il consigliere: Marson
                    
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