Reg. ord. n. 210 del 2025 pubbl. su G.U. del 05/11/2025 n. 45
Ordinanza del Corte suprema di cassazione del 11/06/2025
Tra: Agenzia delle Entrate C/ Silvia Cuneo
Oggetto:
Tributi – Imposte sulle successioni ereditarie – Rendita o pensione vitalizia – Base imponibile – Determinazione mediante moltiplicazione dell’annualità per il coefficiente applicabile in base all’età del beneficiario, secondo il prospetto allegato al d.P.R. n. 131 del 1986 e integrato dall’art. 3 della legge n. 662 del 1996, che àncora la variazione del coefficiente al tasso di interesse – Denunciata disciplina che determina una base imponibile spropositata e un arbitrario valore fiscale – Conflitto con il principio di ragionevolezza e proporzionalità – Previsione che stabilisce i coefficienti da utilizzare per il calcolo della rendita vitalizia oltre che per l’usufrutto vitalizio, considerando uguali e disciplinando allo stesso modo situazioni diverse tra loro – Disparità di trattamento rispetto all’imposta di successione sull’usufrutto – Calcolo della base imponibile contraria al principio di realtà e produttiva, con effetti praticamente confiscatori – Violazione del principio di capacità contributiva e di uguaglianza tributaria.
Norme impugnate:
decreto legislativo del 31/10/1990 Num. 346 Art. 17
decreto del Presidente della Repubblica del 26/04/1986 Num. 131
legge del 23/12/1996 Num. 662 Art. 3 Co. 164
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co. 1
Costituzione Art. 53 Co. 1
Camera di Consiglio del 23 marzo 2026 rel. ANTONINI
Testo dell'ordinanza
N. 210 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 giugno 2025
Ordinanza dell'11 giugno 2025 della Corte di cassazione sul ricorso
proposto da Agenzia delle entrate contro Silvia Cuneo.
Tributi - Imposte sulle successioni ereditarie - Rendita o pensione
vitalizia - Base imponibile - Determinazione mediante
moltiplicazione dell'annualita' per il coefficiente applicabile in
base all'eta' del beneficiario, secondo il prospetto allegato al
d.P.R. n. 131 del 1986 e integrato dall'art. 3 della legge n. 662
del 1996, che ancora la variazione del coefficiente al tasso di
interesse.
- Decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo
unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e
donazioni), art.17, nella sua formulazione originaria, applicabile
ratione temporis, nella parte in cui rinvia al prospetto allegato
al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131,
(Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti
l'imposta di registro) cui rimanda anche l'art. 3, comma 164, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della
finanza pubblica).
(GU n. 45 del 05-11-2025)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione tributaria
Composta dagli ill.mi signori magistrati:
Giacomo Maria Stalla, Presidente,
Liberato Paolitto, consigliere,
Maura Nardin, consigliere,
Fabio Di Pisa, consigliere,
Milena Balsamo, cons. rel.,
ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
iscritto al n. 5150/2023 r.g. proposto da:
Agenzia delle entrate, domiciliata in Roma, via Dei
Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato che la
rappresenta e difende ex lege - ricorrente;
contro Cuneo Silvia, elettivamente domiciliata in Chiavari,
via Nino Bixio n. 34/4, presso lo studio dell'avvocato Dellacasa
Riccardo che la rappresenta e difende per procura speciale in atti -
controricorrente e ricorrente incidentale;
avverso sentenza di Comm.Trib.Reg. Liguria n. 688/2022
depositata il 22 agosto 2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
9 aprile 2025 dal Consigliere Milena Balsamo.
Udita la requisitoria del procuratore generale nella persona del
cons. Stefano Pepe che ha concluso per l'accoglimento del ricorso
principale e la rimessione della controversia alla CGT di secondo
grado della Liguria, in diversa composizione.
Udito l'avvocato dello Stato che ha concluso per l'accoglimento
del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale.
Fatti di causa
1. Il giudizio ha ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di
liquidazione dell'imposta principale di successione recante l'importo
di euro 199.715,81, di cui alla dichiarazione del 27 luglio 2017
(successione aperta il 22 luglio 2016), dovuta ex art. 17, lettera c)
del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (T.U.S.), in ragione
della rendita vitalizia devoluta per legato dal de cuius a Geronima
Fabbri di cui l'erede Silvia Cuneo e' onerata; atto impositivo
notificato sia alla beneficiaria che alla legataria, quali
coobbligate in solido.
L'importo veniva calcolato ai sensi dell'art. 17, comma 1,
lettera c), del T.U.S., attraverso il metodo di attualizzazione della
rendita.
L'erede e la legataria impugnavano l'atto impositivo lamentando
l'erroneita' del calcolo della base imponibile e sollevando, con
riguardo al coefficiente di cui al prospetto allegato al decreto del
Presidente della Repubblica n. 131/1986 (T.U.R.), in via
pregiudiziale, questione di legittimita' costituzionale degli
articoli 17 del decreto legislativo n. 346/1990 e 46, comma c), del
decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 -
concernenti la determinazione della base imponibile della rendita
vitalizia - per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione.
2. La Commissione Tributaria Provinciale di Genova respingeva il
ricorso della contribuente, con sentenza n. 147/04/2021, depositata
il 10 marzo 2021.
Sull'appello della contribuente Silvia Cuneo, la Commissione
Tributaria Regionale della Liguria, con sentenza n. 688/01/2022,
depositata il 22 agosto 2022, nel riformare parzialmente la pronuncia
di primo grado, disapplicava il decreto Mef 21 dicembre 2015 che
individuava, per il relativo anno, nella misura dello 0,2 per cento
l'interesse legale da applicarsi per la quantificazione della base
imponibile della rendita vitalizia, affermando che il sistema di
adeguamento dei coefficienti basati sul saggio legale di interesse
riferito all'usufrutto vitalizio, se applicato alla rendita
vitalizia, produceva un effetto distorsivo ed esorbitante e,
pertanto, ne rideterminava il valore attraverso l'applicazione del
tasso di interesse di cui al precedente decreto Mef del 23 dicembre
2013.
Avverso la suindicata sentenza, l'Agenzia delle entrate ha
proposto ricorso affidato a due motivi.
Silvia Cuneo ha depositato controricorso, proponendo ricorso
incidentale.
In prossimita' dell'udienza, la contribuente ha depositato
memorie difensive.
Il Procuratore Generale, nel ribadire la requisitoria scritta, ha
concluso per l'accoglimento del ricorso principale e il rinvio alla
CGT di secondo grado della Liguria.
Motivi di diritto
1. Il ricorso principale dell'Agenzia delle entrate e' affidato a
due motivi.
2. Il primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell'art. 360,
primo comma, n. 4, del codice di procedura civile, reca la deduzione
della «violazione e/o falsa applicazione dell'art. 113 codice di
procedura civile e dell'art. 7, comma 5, del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546 con riferimento alla inammissibilita' del
giudizio equitativo»; per avere il decidente disapplicato il decreto
ministeriale dell'Economia e finanze del 21 dicembre 2015 (nella
Gazzetta Ufficiale 30 dicembre 2015, n. 302) per ragioni puramente
equitative». Si assume che l'art. 7, comma 5, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546, attribuisce al Giudice tributario il potere
di disapplicare «un regolamento o un atto generale rilevante ai fini
della decisione», qualora lo ritenga «illegittimo». Si osserva che,
tuttavia, il giudizio di illegittimita' dell'atto amministrativo
presuppone l'esistenza di una norma giuridica violata e mai potrebbe
fondarsi su valutazioni di carattere meramente equitativo. Del resto,
l'art. 113 del codice di procedura civile, ritenuto applicabile al
processo tributario, stabilisce che il Giudice deve decidere secondo
diritto, «salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere
secondo equita'». Si conclude, pertanto, che l'equita' sostitutiva
(che surroga l'equita' alle norme) non e' ammissibile nel giudizio
tributario, perche' tale possibilita' deve essere espressamente
prevista dalla legge.
Si soggiunge che i giudici distrettuali hanno erroneamente
ritenuto «illogica ed eccessiva» la determinazione della base
imponibile e compiuta dall'Ufficio, sebbene generata dalla puntuale
applicazione dei criteri contenuti nel decreto ministeriale del 21
dicembre 2015, cosi' sostituendosi al legislatore e creando una nuova
regula iuris, partendo da un quantum di imponibile apoditticamente
reputato equo, per poi fare applicazione di una disposizione
ministeriale che, sebbene pacificamente inapplicabile ratione
temporis, consentisse egualmente di pervenire ad un risultato
aprioristicamente reputato «equo».
3. Il secondo strumento del ricorso principale deduce «violazione
e/o falsa applicazione dell'art. 17 del decreto legislativo 31
ottobre 1990, n. 346, e dell'art. 7, comma 5, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, primo comma, n.
3, del codice di procedura civile, con riferimento alla ritenuta
illegittimita' del decreto ministeriale economia e finanze del 21
dicembre 2015».
Osserva l'amministrazione finanziaria che la sentenza impugnata
e' illegittima per violazione dell'art. 17 del decreto legislativo n.
346/1990 e del decreto ministeriale 21 dicembre 2015, in quanto la
prima norma stabilisce come determinare la base imponibile per le
rendite e le pensioni incluse nell'attivo ereditario, prevedendo il
calcolo del valore attuale dell'annualita' in base al saggio legale
di interesse, con un limite massimo che dipende dal tipo di rendita
(a tempo determinato o vitalizia). Si osserva che il valore e'
determinato tramite coefficienti legati all'eta' del beneficiario e
viene aggiornato periodicamente in base alle oscillazioni del saggio
legale degli interessi. Nel caso sub iudice, secondo
l'amministrazione trova applicazione il decreto ministeriale del 21
dicembre 2015 che ha stabilito il saggio legale di interesse per
l'anno 2016, anno di apertura della successione, determinando il
valore del multiplo per il calcolo delle rendite a 500 volte
l'annualita'.
4. Con ricorso incidentale la contribuente insiste nel devolvere
alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale
degli articoli 17, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n.
346 del 1990, 3, comma 164, della legge 23 dicembre 1996, n. 662,
nonche' 46, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, oltre che del prospetto allegato a
detto ultimo decreto legislativo (questione gia' formulata nelle
conclusioni del giudizio di primo grado e di appello).
Si rileva che l'art. 17, comma 1, lettera c), del decreto
legislativo n. 346/1990 stabilisce che la base imponibile per le
rendite e pensioni incluse nell'attivo ereditario deve essere
determinata moltiplicando l'annualita' per il coefficiente
applicabile in base all'eta' del beneficiario al momento della morte
del de cuius; che il prospetto dei coefficienti, allegato al decreto
del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, e' utilizzato per
calcolare il valore dell'usufrutto e della rendita vitalizia e viene
aggiornato periodicamente in relazione alla modifica del tasso legale
degli interessi.
Si aggiunge che, tuttavia, l'interpretazione del prospetto
implica la risoluzione di questioni concernenti l'assenza di una
norma che stabilisca esplicitamente come il prospetto debba essere
elaborato. In particolare, il calcolo del valore della rendita si
fonda su due elementi: da un lato, la stima del numero di annualita'
che il beneficiario avra' diritto a percepire e, dall'altro, la
differenza tra il valore presente (somma immediatamente percepita) e
il valore futuro della rendita; per stimare la differenza tra valore
presente e valore futuro di una rendita, si utilizza il metodo
dell'attualizzazione, che consiste nel «riportare» al momento
presente il valore di un certo numero di pagamenti futuri. Questo
processo si basa su una formula matematica, la quale tiene conto del
tasso di interesse che influisce direttamente sul calcolo
dell'attualizzazione; in particolare, l'art. 3, comma 164 della legge
23 dicembre 1996, n. 662 stabilisce che il valore del multiplo
dell'annualita' ed il prospetto dei coefficienti, utilizzati per il
calcolo del valore della rendita, devono essere aggiornati in base
alla variazione del tasso di interesse legale.
In altri termini, il prospetto dei coefficienti allegato al
decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 viene
periodicamente modificato «in ragione della modificazione della
misura del saggio legale degli interessi» con decreto ministeriale ai
sensi dell'art. 3, comma 164, della legge n. 662 del 1996.
Al momento del decesso della de cuius, avvenuto nell'anno 2016,
il prospetto dei coefficienti per la determinazione dei diritti di
usufrutto a vita e delle rendite o pensioni vitalizie, allegato al
testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26
aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni, e' variato in
ragione della misura del saggio legale degli interessi fissata allo
0,2 per cento.
L'applicazione del dettato normativo ha condotto l'Ufficio, a
fronte di una rendita annua pari ad euro 18.000,00 (euro 1500/mese),
a determinare in euro 2.700.000,00 la base imponibile per
l'applicazione dell'aliquota dell'8 per cento sui cespiti legati,
calcolata alla stregua del coefficiente pari a 150 per l'anno 2016,
tenendo conto dell'eta' della beneficiaria - 77 anni - all'epoca del
decesso del testatore.
Si obietta che la base imponibile su cui applicare l'imposta di
successione e' pari a 120 volte il valore annuo della rendita, il che
farebbe presumere che la beneficiaria vivra', per accumulare una
somma pari alla base imponibile presa a riferimento, almeno ulteriori
120 anni dopo l'apertura della successione; anzi, posto che il
coefficiente 120 e' utilizzato per la fascia d'eta' 57-60 anni, la
beneficiaria dovrebbe vivere 180 anni per percepire interamente la
somma tassata.
Considerato, tuttavia, che il presupposto dell'imposta di
successione e' rappresentato dall'arricchimento del beneficiario (per
tutte, Corte costituzionale, 23 giugno 2020, n. 120) la base
imponibile sopra individuata non puo' rispecchiare, ad avviso della
contribuente, tale arricchimento.
La disciplina contestata viene, dunque, ritenuta illeggittima per
contrasto con gli articoli 3 e 53 della Costituzione, in quanto non
rispetta il principio di coerenza tra la base imponibile e il
presupposto dell'imposta, atteso che la base imponibile dell'imposta
sulle successioni dovrebbe essere rappresentata dal valore dei beni e
diritti trasferiti al momento della successione, come stabilito
dall'art. 8 del decreto legislativo n. 346 del 1990, e dovrebbe
riflettere l'arricchimento reale del beneficiario. Si evidenzia che
l'applicazione dei coefficienti stabiliti nel 1986, quando
l'interesse legale era al 5%, non e' piu' coerente con i tassi di
interesse attuali, pari al 3%, rendendo irragionevole il calcolo
della rendita vitalizia. In particolare, con la diminuzione dei saggi
di interesse, la base imponibile delle rendite vitalizie e' aumentata
in modo ingiustificato ed irrazionale, in quanto non tiene conto
della reale aspettativa di vita del beneficiario, cosi' violando i su
richiamati principi costituzionali.
5. Il primo motivo di ricorso e' fondato.
La Corte territoriale ha affermato che «(...) occorre considerare
che trattasi di una rendita vitalizia di euro 1.500,00 al mese in
relazione alla quale il calcolo effettuato dall'Agenzia porta alla
debenza di una somma esorbitante cui consegue una imposizione
illogica ed eccessiva, non conferente con il principio della giusta
tassazione. Il d.m., che fa riferimento solo ad un sistema di
adeguamento dei coefficienti in base alla modifica del saggio legale
di interesse, produce effetti distorsivi se, invece di essere
riferito all'usufrutto vitalizio, viene riferito alla rendita
vitalizia». In ragione di cio', il decidente ha applicato il decreto
ministeriale 23.12.2013 «che porta a determinare valori piu' equi».
Sul punto e' sufficiente rilevare che, come affermato in piu'
occasioni dalla Corte di legittimita', il potere di disapplicare
l'atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto,
potere che spetta al giudice tributario, puo' conseguire solo alla
dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimita'
dell'atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere)
(Cass., Sez. U, n. 6265 del 2006; Sez. 5, n. 7044 del 2014).
Applicando tale principio nella specie, il predicato generico effetto
distorsivo del decreto ministeriale non e' sufficiente per pervenire
alla dichiarazione (incidentale) d'illegittimita' del decreto stesso,
dovendo al riguardo rilevarsi che, nell'ambito degli atti
regolamentari, esiste uno spazio di discrezionalita' di orientamento
politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria. L'art. 7,
comma 5 del decreto legislativo n. 546 del 1992 subordina, per vero,
il potere di disapplicazione dell'atto amministrativo generale da
parte del giudice tributario ad un previo vaglio originario ed
autonomo dell'illegittimita' dell'atto che, nella specie, non e'
stato svolto.
Sotto altro versante, e' d'uopo osservare che allorquando la
legge opera un rinvio ricettizio a un decreto ministeriale, il
decreto diventa parte integrante del sistema normativo che regola la
materia in questione. In sostanza, il rinvio ricettizio sta a
significare che il decreto ministeriale, pur non essendo una legge
formale, viene incorporato nel sistema normativo per effetto del
rinvio espresso nella legge. Il rinvio ricettizio comporta, pertanto,
che le disposizioni del decreto ministeriale, una volta approvate,
devono essere applicate in quanto parte integrante del quadro
normativo di riferimento, sempre che il decreto ministeriale sia
conforme alle disposizioni della legge e non le contraddica.
E' evidente che, nel caso in esame, il rinvio operato dal decreto
legislativo n. 346/1990 al decreto ministeriale del 23 dicembre 2015
abbia natura ricettizia, non solo per l'espresso richiamo contenuto
nell'art. 17 cit., ma anche in considerazione del testo stesso del
decreto ministeriale che, a sua volta, rimanda all'allegato al testo
del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131,
contenente il prospetto dei coefficienti per la determinazione dei
diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni vitalizie,
stabilendo che «il coefficiente e' variato in ragione della misura
del saggio legale degli interessi fissata allo 0,2 per cento, come da
prospetto allegato al presente decreto». In altri termini, la
disposizione rinviante si e' «appropriata in modo definitivo» del
contenuto della rinviata, il che si inferisce dall'esame
dell'intenzione del legislatore, deducibile dal testo della norma in
esame; a favore della natura del rinvio dinamico, oltre che il
riferimento alla lettera della legge, rileva il contenuto del decreto
a cui essa rinvia, suscettibile di essere trasposto nell'ambito della
prima. Dalla natura ricettizia del rinvio consegue il potere del
giudice di merito di sollevare questione di costituzionalita' della
disciplina primaria rinviante, ma non certamente di disapplicare un
decreto che e' parte integrante di questa.
E' poi indirizzo consolidato di legittimita' (v. Cassazione n.
13726/2023; n. 10875/2022; n. 16960/2019 ed altre) che il giudice
tributario non sia dotato di poteri di equita' sostitutiva, dovendo
fondare la propria decisione su giudizi estimativi di cui deve dar
conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio conseguito,
ma sempre nell'ambito di un giudizio in diritto, il che e' del resto
consono alla natura gius-pubblicistica ed imperativa del rapporto
giuridico tributario.
6. La decisione del secondo motivo del ricorso principale e del
ricorso incidentale esige un'attenta analisi del compendio normativo
che regola il meccanismo di determinazione della base imponibile
della rendita vitalizia, sulla quale applicare l'imposta di
successione.
6.1. Nell'ambito civilistico la rendita vitaliza, che puo' essere
costituita anche per testamento o per donazione, e' disciplinata
dagli articoli 1872 segg. cod.civ.
6.2. Ebbene, in tutti i casi in cui, a seguito di una successione
mortis causa, si abbia l'attribuzione (testamentaria o ab intestato)
a un dato beneficiario del credito alla percezione di una rendita
(perpetua, a tempo determinato o vitalizia), si pone il problema
della tassazione di detta attribuzione.
6.3. La materia delle «rendite» (e delle «pensioni») «comprese
nell'attivo ereditario» e' regolamentata dall'art. 17 del decreto
legislativo n. 346/1990 (la cui disciplina si applica ai sensi
dell'art. 56, comma 4, TUS, anche alle «rendite» e alle «pensioni»
che siano costituite a titolo gratuito e, cioe', mediante donazione
oppure in esecuzione di un vincolo di destinazione: ad esempio, dal
trustee di un trust il cui disponente abbia programmato una rendita
per il beneficiario), il quale, nel testo ratione temporis
applicabile, prevede che «la base imponibile, relativamente alle
rendite e pensioni comprese nell'attivo ereditario, e' determinata
assumendo: (...) c) Il valore che si ottiene moltiplicando
l'annualita' per il coefficiente applicabile, secondo il prospetto
allegato al testo unico sull'imposta di registro, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, in
relazione all'eta' della persona alla cui morte essa deve cessare, se
si tratta di rendita o pensione vitalizia; (...)». In detto settore
impositivo ed analogamente in quello relativo all'imposta di registro
disciplinato dall'art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 131/1986, il valore della rendita vitalizia e', pertanto, pari
all'ammontare calcolato moltiplicando l'annualita' per il
coefficiente indicato nel prospetto allegato al T.U.R., rapportato
all'eta' della persona dalla cui morte dipende l'estinzione della
rendita. Il suddetto prospetto viene modificato, con i decreti
ministeriali annualmente emanati, in ragione della misura del saggio
legale degli interessi.
6.4. Difatti, a sua volta, l'art. 3, comma 164, della legge 23
dicembre 1996, n. 662 (poi abrogato dal decreto legislativo n.
139/24) prevedeva nella versione applicabile ratione temporis che
«(...) Per le successioni aperte e le donazioni fatte a decorrere
dalla stessa data ai fini della determinazione della base imponibile
relativamente alle rendite e alle pensioni si tiene conto del
ventuplo dell'annualita' e si applicano altresi' i coefficienti
previsti nel prospetto di cui alla Tabella 3 allegata alla presente
legge. Il valore del multiplo dell'annualita' indicato nell'art. 46,
comma 2, lettere a) e b), del citato testo unico approvato con
decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, e successive
modificazioni, nonche' il prospetto dei coefficienti allegato a
quest'ultimo sono variati, in ragione della modificazione della
misura del saggio legale degli interessi, con decreto del Ministro
delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro, da pubblicare
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana non oltre il 31
dicembre dell'anno in cui detta modifica e' intervenuta. Le
variazioni di cui al periodo precedente hanno efficacia anche, ai
fini della determinazione della base imponibile relativamente alle
rendite ed alle pensioni, per le successioni aperte e le donazioni
fatte a decorrere dal primo gennaio dell'anno successivo a quello in
cui e' pubblicato il decreto di variazione».
6.5. Non assume rilevanza, nel presente giudizio, l'entrata in
vigore, nelle more, dell'art. 1 del decreto legislativo 18 settembre
2024, n. 139 cit. il quale, al fine di evitare le distorsioni del
meccanismo di determinazione della base imponibile, conseguenti alle
oscillazioni del saggio legale di interesse, ha inciso sull'art. 17,
comma 1, del decreto legislativo n. 346/1990, prevedendo, per quel
che qui interessa, che la base imponibile, relativamente alle rendite
e pensioni comprese nell'attivo ereditario, e' determinata assumendo
«...c) il valore che si ottiene moltiplicando l'annualita' per il
coefficiente indicato nel prospetto allegato al presente testo unico,
in relazione all'eta' della persona alla cui morte essa deve cessare,
se si tratta di rendita o pensione vitalizia...» «1-bis. Il prospetto
dei coefficienti allegato al presente testo unico e il valore del
multiplo dell'annualita' indicato al comma 1, lettera a), sono
variati in ragione della modificazione della misura del saggio legale
degli interessi, con decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31
dicembre dell'anno in cui detta modifica e' intervenuta. Le
variazioni di cui al primo periodo hanno efficacia per le successioni
aperte e le donazioni fatte a decorrere dal 1° gennaio dell'anno
successivo a quello in cui e' pubblicato il decreto di variazione.
1-ter. Ai fini della determinazione dei valori di cui ai commi 1 e
1-bis non puo' essere assunto un saggio legale d'interesse inferiore
al 2,5 per cento».
6.6. Tale modifica e' intervenuta per effetto dell'art. 1, comma
1, lettera r), n. 3), decreto legislativo n. 139 del 2024, a
decorrere dal 3 ottobre 2024, ai sensi di quanto disposto dall'art.
11, comma 1, del medesimo decreto legislativo, con effetto a partire
dal 1° gennaio 2025 e con l'applicabilita' indicata nell'art. 9,
comma 3, dello stesso decreto legislativo». Per effetto del rinvio
contenuto nell'art. 14, comma 1, lettera c), del decreto legislativo
n. 346/1990, le nuove disposizioni si estendono ai diritti di
usufrutto, uso e abitazione. Intervento analogo e' stato operato
dall'art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 139/2024 in
relazione all'imposta di registro, ai fini della determinazione del
valore delle rendite e delle pensioni (art. 46 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 131/86) e dei diritti di usufrutto,
uso e abitazione (art. 48 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 131/86). Anche in tali casi e' stata infatti prevista
l'applicazione di un saggio di interesse legale minimo del 2,5%.
6.7. Per le rendite costituite anteriormente alla data del 3
ottobre 2024, nonche' per le successioni aperte e le donazioni
fatte anteriormente a tale data, ai fini della determinazione della
base imponibile delle rendite vitalizie di cui alla lettera c)
dell'art. 17 cit., l'art. 9, comma 4, decreto legislativo n. 139 del
2024 prevede che «... ai fini della determinazione della base
imponibile delle rendite vitalizie di cui all'art. 46, comma 2,
lettera c), del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta
di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26
aprile 1986, n. 131 e di cui all'art. 17, comma 1, lettera c), del
testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle
successioni e donazioni di cui al decreto legislativo 31 ottobre
1990, n. 346, relativamente alle quali i relativi rapporti non sono
esauriti alla data di entrata in vigore del presente decreto, laddove
il tasso di interesse legale risulta uguale o inferiore allo 0,1 per
cento, si assumono i coefficienti risultanti dal prospetto allegato
al decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 21 dicembre
2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana n. 302 del 30 dicembre 2015».
6.8. La norma, nel regolare esclusivamente le ipotesi ivi
indicate, implica l'applicazione della previgente disciplina
normativa ai rapporti ancora sub iudice in cui il tasso di interesse
da applicare non risulti uguale o inferiore allo 0,1 per cento.
6.9. Va, in altri termini, rilevato, vista la chiara dizione
normativa, che la norma in rassegna ha previsto per il futuro
l'applicazione di un preciso tasso di interesse, riferibile anche
alle successioni apertesi in epoca antecedente alla entrata in vigore
del decreto legislativo n. 139/2024 che siano contraddistinte,
tuttavia, dall'applicazione di un saggio di interesse uguale o
inferiore allo 0,1 per cento.
6.10. Quest'ultima disposizione dettata per i rapporti non ancora
esauriti non puo', pertanto, trovare applicazione nella fattispecie
sub iudice, come richiesto dalla Procura Generale, atteso che il
tasso di interesse nell'anno di apertura della successione (2016) era
pari allo 0,2 per cento in ragione d'anno - come individuato con d.m.
21 dicembre 2015, ai sensi dell'art. 1284 del codice civile - , vale
a dire ne' uguale ne' inferiore al saggio di interesse dello 0,1 per
cento, individuato come criterio di sbarramento per applicare
all'imposta di successione relativa alle rendite vitalizie ancora sub
iudice il saggio individuato dal decreto legislativo n. 139/2024.
7. Rileva, a questo punto, il rinvio operato dall'art. 17 decreto
legislativo n. 346/1990 al prospetto allegato al decreto del
Presidente della Repubblica n. 131/1986 - il quale, a sua volta,
specifica i coefficienti per la determinazione dei diritti di
usufrutto a vita, delle rendite o pensioni vitalizie calcolati al
saggio di interesse - e quello disposto dall'art. 3, comma 164, legge
n. 662/1996 che, nell'individuare i coefficienti di cui al prospetto
allegato al cit. d.P.R., rinvia alla percentuale di interesse come
determinato dai decreti ministeriali annuali. A tal ultimo riguardo,
vale osservare come l'art. 1284 del codice civile disponga che «il
saggio degli interessi legali e' determinato in misura pari al 5 per
cento in ragione d'anno. Il Ministro del tesoro, con proprio decreto
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana non
oltre il 15 dicembre dell'anno precedente a quello cui il saggio si
riferisce, puo' modificarne annualmente la misura, sulla base del
rendimento medio annuo lordo dei titoli di' Stato di durata non
superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso di inflazione
registrato nell'anno. Qualora entro il 15 dicembre non sia fissata
una nuova misura del saggio, questo rimane invariato per l'anno
successivo».
7.1. Nella presente fattispecie, il summenzionato art. 17 con
l'inciso «prospetto allegato al decreto del Presidente della
Repubblica n. 131/1986» rinvia ad una disposizione precisa ed
univoca, la quale calcola il coefficiente in ragione del saggio di
interesse legale (individuato alla data di applicazione
dell'imposta), come individuato dall'art. 3, comma 164, legge n.
662/1996, ratione temporis vigente.
8. La Corte costituzionale, con sentenza n. 250/2014, ha
confermato la propria giurisprudenza - che risale agli anni novanta
ed e' stata poi ribadita successivamente - che, recependo la
differenza fra rinvio recettizio e rinvio formale, chiarisce che,
mentre il rinvio formale concerne la fonte e non la norma, per aversi
rinvio recettizio occorre che il richiamo sia indirizzato a norme
determinate ed esattamente individuate dalla stessa norma che lo
effettua. Il rinvio e' recettizio solo quando «sia espressamente
voluto dal legislatore o sia desumibile da elementi univoci e
concludenti (sentenze n. 258 del 2014 e n. 80 del 2013)» (sentenza n.
93 del 2019), operando altrimenti una presunzione della sua natura
formale. Secondo la giurisprudenza costituzionale «mentre il rinvio
recettizio opera una novazione della fonte che eleva la norma
richiamata al rango primario, la funzione del rinvio non recettizio
non e' quella di incorporare il contenuto della norma richiamata,
bensi' di indicare la fonte competente a regolare una determinata
materia» (sentenza n. 250 del 2014; n. 44/2025). Il rinvio e'
recettizio solo quando «sia espressamente voluto dal legislatore o
sia desumibile da elementi univoci e concludenti (sentenze n. 258 del
2014 e n. 80 del 2013)» (sentenza n. 93 del 2019), operando
altrimenti una presunzione della sua natura formale.
8.1. La disposizione richiamata (il Prospetto allegato al decreto
del Presidente della Repubblica n. 131/1986), come integrata
dall'art. 3, comma 164, legge n. 662/1996, per effetto del rinvio
operato dall'art. 17, decreto legislativo n. 346/1990 e' stata
recepita e cristallizzata all'interno della norma richiamante,
venendo a formare parte integrante di quest'ultima; dirimente e',
difatti, il dato testuale: il legislatore ha precisato che, per la
rendita vitalizia, la base imponibile si' calcola applicando
l'annualita' per il coefficiente risultante dal prospetto allegato al
d.P.R. n. 131/1986, il quale si intitola «coefficienti per la
determinazione dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o
pensioni vitalizie», coefficienti che, ai sensi della legge n.
662/1996, mutano al variare del tasso di interesse; ne consegue che
la lettera della legge esprime in maniera inequivoca la volonta' di
«riportare» nel decreto legislativo n. 346/1990 le prescrizioni del
prospetto di cui al decreto del Presidente della Repubblica cit.,
come integrato dall'art. 3, comma 164, cit., stabilendo che il
prospetto dei coefficienti - che prende in considerazione anche
l'eta' del beneficiario - muta in base alle variazioni del tasso
legale come individuato dai decreti ministeriali.
8.2. Il corollario che si trae dalla natura recettizia del rinvio
e' l'inoperativita' del potere disapplicativo incidentale del decreto
ministeriale che stabilisce la misura del tasso legale - in quanto
tasso applicabile in ragione dell'art. 3, comma 164, legge n.
662/1996 che integra le modalita' di calcolo dei coefficienti del
prospetto allegato al T.U.R. e del disposto dell'art. 1284 del codice
civile, e, dunque, componente costitutivo del coefficiente
individuato dal prospetto medesimo ai fini del calcolo della base
imponibile - , non potendo il giudice «scegliere», in violazione
della previsione del cit. art. 3 e del disposto dell'art. 1284 del
codice civile, il tasso di interesse che reputa piu' «ragionevole» e
piu' «equo» tra quelli individuati anno per anno dai decreti
ministeriali richiamati.
8.3. Nella presente fattispecie, a fronte di una rendita annua
pari ad euro 18.000,00, il coefficiente per l'anno 2016 - anno del
decesso del disponente - risulta pari a 150 (considerata l'eta' - 77
anni - della beneficiaria alla data di apertura della successione),
derivando una base imponibile di euro 2.700.000,00, su cui applicare
l'aliquota dell'otto per cento. Dunque, un coefficiente cosi'
strutturato restituisce una base imponibile non corrispondente ad un
valore economico reale, giacche' esige una sopravvivenza di 150 anni
di una donna di 77 anni.
8.4. Ancora prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo
n. 139/2024 l'Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 51/E del 20
gennaio 2021, interrogata in merito al calcolo della base imponibile
di una rendita vitalizia costituita mortis causa, in cui ai fini
dell'imposta sulle successioni e donazioni l'obbligo impositivo
relativo all'onere a carico del legatario risultava abnorme, ha
ritenuto che la rendita oggetto di eredita' in realta' potesse essere
intesa quale rendita a tempo determinato, e non quale rendita
vitalizia, cio' al fine di evitare l'effetto distorsivo discendente
dal costante calo del tasso di interesse legale, che a sua volta
incide sui coefficienti utilizzati per calcolare il valore del bene
(in questo caso la rendita vitalizia) e la relativa base imponibile
ai fini dell'imposta.
8.5. Quindi, gia' precedentemente al recente intervento
legislativo che ha fissato nella misura del 2,5 per cento il tasso di
interesse per calcolare i coefficienti di cui al prospetto allegato
al decreto legislativo n. 642/1990, la stessa amministrazione, almeno
in un caso, sovrapponibile a quello in rassegna, ha escluso
l'applicazione del criterio di attualizzazione per il calcolo della
rendita vitalizia di cui all'art. 17 del medesimo decreto
legislativo, reputando irragionevole e sproporzionata la base
imponibile che si veniva a determinare a causa della variazione in
ribasso del tasso di interesse.
8.6. L'unica spiegazione matematicamente sostenibile, quanto alla
attualizzazione della rendita (nel nostro caso, per il 2016) e' che
il legislatore abbia ipotizzato oscillazioni del tasso di interesse
che avrebbero determinato un valore attuale della somma percepita
nettamente inferiore al valore futuro.
8.7. In concreto, il valore della rendita e' il risultato della
moltiplicazione dell'annualita' di rendita per il coefficiente
stabilito dalla legge, come determinato dall'art. 3, comma 164 della
legge n. 662 del 1996, per stimare il numero di annualita' che - in
relazione all'aspettativa di vita di colui alla cui morte la rendita
cessa - il beneficiario della rendita avra' verosimilmente diritto ad
avere, nonche' della differenza esistente fra la percezione immediata
di una somma (quello che si definisce «valore presente») e la sua
percezione in futuro. Il calcolo dell'attualizzazione e', ovviamente,
influenzato in modo diretto sia dal coefficiente base (non ancorato
ad alcuna formula matematica) sia dalla misura del tasso d'interesse
che, dal 1986, dopo quaranta anni di tasso superiore al 3 per cento,
e' disceso rapidamente.
9. Il complesso di questa disciplina - costituito dalla norma
richiamante e dal prospetto richiamato unitamente all'art. 3, comma
164, menzionato - appare palesemente irrazionale, in quanto se il
primo elemento attiene alla stima del numero di annualita' che, in
relazione all'aspettativa di vita di colui alla cui morte la rendita
cessa, il beneficiario della rendita avra' verosimilmente diritto ad
avere, il secondo criterio di determinazione della rendita al fine di
stabilire «il valore attuale» dell'annualita', oscilla ogni anno,
cosi' determinando, quando si ha un notevole decremento del tasso di
interesse, una base imponibile che risulta spropositata rispetto alla
vita media, tanto da condurre a risultati incongrui, come accaduto
nella presente fattispecie.
9.1. Per quanto la valorizzazione di una rendita vitalizia non
possa che essere effettuata in maniera prospettica ed astratta, non
essendo dato conoscere in anticipo con esattezza per quanti anni
sara' erogata, e' altrettanto vero che tale valutazione proiettiva
debba necessariamente essere ragionevole e correlata al presupposto
impositivo ed alle normali regole che presiedono alla formazione
della base imponibile - considerando l'eta' media o differenziata per
uomini e donne, che non puo' ovviamente raggiungere i 227 anni -
imponendo il rispetto, ex art. 53 della Costituzione, di una
proporzionale corrispondenza tra entita' dell'imposta e valore reale
della base imponibile.
9.2. E' motivo di irrazionalita' che la normativa che regola la
materia non abbia considerato che la flessione del tasso di interesse
correlato al coefficiente di cui al summenzionato prospetto possa
generare una base imponibile esorbitante e sproporzionata sia
rispetto alla stessa volonta' del legislatore che originariamente
aveva previsto il calcolo dell'imposta proporzionale su una base
imponibile congrua, in quanto calcolata su un tasso di interesse al
tre per cento, sia rispetto alla prevedibile vita del beneficiario.
9.3. La salvaguardia dell'ambito di discrezionalita' del
legislatore non esime questa Corte dal dubitare della razionalita'
del metodo di calcolo, come dimostra anche il recente intervento
legislativo del 2024 che ha voluto indicare una misura fissa del
tasso di interesse per la determinazione del coefficiente proprio al
fine di porre un limite alla lievitazione della base imponibile su
cui calcolare l'imposta di successione (e quella di registro).
10. La Corte costituzionale gia' da tempo ha argomentato sulla
incostituzionalita' di norme in riferimento alla percezione comune,
esprimendo concetti «soggettivi» e «relativi», e vagliando il canone
di ragionevolezza in rapporto alla conformita' dell'ordinamento
giuridico con i valori di giustizia ed equita' (sentenze n. 264 del
1994 e n. 388 del 1995) o con la realta' fattuale quali dati
condizionanti in modo oggettivo ed incontrovertibile (sentenza n. 114
del 1998: «si appalesa irragionevole siccome non rispondente
all'esigenza di conformita' dell'ordinamento ai valori di giustizia
ed equita' connaturati al principio sancito dall'art. 3 della
Costituzione...»).
10.1. Nel declinare detti principi generali al caso di specie,
ritiene questa Corte che un prelievo fiscale come quello posto a base
dell'atto impositivo impugnato producendo una base imponibile
spropositata ed un arbitrario valore fiscale si ponga in contrasto -
nella normativa ad esso sottesa - con i principi costituzionali
citati.
10.2. La disciplina in commento appare in conflitto con il
principio di ragionevolezza e proporzionalita' posto a corollario di
quello di eguaglianza recato dall'art. 3 della Costituzione in modo
tale da risultare necessario che le distinzioni operate dal
legislatore tributario non siano irragionevoli o arbitrarie o
ingiustificate (cfr. Corte costituzionale n. 201 del 2014), al fine
di verificare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il
suo presupposto economico, come pure la non arbitrarieta'
dell'entita' dell'imposizione.
10.3. L'ampia ed indiscussa discrezionalita' del legislatore
tributario nella scelta degli indici rivelatori di capacita'
contributiva (ex plurimis, sentenza n. 269 del 2017) non si traduce
in un potere d'arbitrio, sicche', una volta identificato il
presupposto d'imposta, quest'ultimo diviene il fondamento ed il
limite delle successive scelte del legislatore.
10.4. E' del resto principio consolidato nella giurisprudenza
costituzionale che il controllo «in ordine alla lesione dei principi
di cui all'art. 53 della Costituzione, come specificazione del
fondamentale principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della
Costituzione, si riconduce a un «giudizio sull'uso ragionevole, o
meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri
discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la
coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto
economico» (sentenza n. 262/2020; sentenza n. 116 del 2013; ma anche,
ex plurimis, sentenze n. 10 del 2015, n. 223 del 2012, n. 111 del
1997, nonche', in senso analogo, gia' sentenza n. 42 del 1980).
Rimarcando il valore della inderogabilita' del dovere tributario, la
Corte costituzionale ha, del resto, precisato che «tale qualifica,
dato il contesto sistematico in cui si colloca, si giustifica solo
nella misura in cui il sistema tributario rimanga saldamente ancorato
al complesso dei principi e dei relativi bilanciamenti che la
Costituzione prevede e consente, tra cui, appunto, il rispetto del
principio di capacita' contributiva (art. 53 della Costituzione).
Sicche' quando il legislatore disattende tali condizioni, si
allontana dalle altissime ragioni di civilta' giuridica che fondano
il dovere tributario: in queste ipotesi si determina un'alterazione
del rapporto tributario, con gravi conseguenze in termini di
disorientamento non solo dello stesso sviluppo dell'ordinamento, ma
anche del relativo contesto sociale» (sentenza n. 288 del 2019).
10.5. E' evidente, inoltre, la violazione dell'art. 3 della
Costituzione sotto il profilo della disparita' di trattamento
rispetto all'imposta di successione sull'usufrutto.
10.6. L'art. 17 cit. stabilisce i coefficienti da utilizzare per
il calcolo della rendita vitalizia oltre che per l'usufrutto
vitalizio, con la conseguenza che vengono considerate uguali e
disciplinate allo stesso modo due situazioni completamente diverse
tra loro, tenuto conto che sono innegabilmente differenti i punti da
cui si deve muovere per giungere a determinare il valore
dell'imponibile da sottoporre a tassazione, ovvero: - nel caso
dell'usufrutto vitalizio, al valore imponibile si giunge partendo dal
valore del capitale (vale a dire dal valore del bene sul quale
l'usufrutto e' impresso);- nel caso della rendita vitalizia, al
valore imponibile si giunge muovendo dal valore della rendita
periodicamente dovuta e operando la sua capitalizzazione mediante
attualizzazione. Orbene, i coefficienti di moltiplicazione, cosi'
come previsti nel prospetto allegato al testo unico dell'imposta di
registro, mentre appaiono ragionevoli laddove si tratta di calcolare
il valore dell'usufrutto vitalizio, viceversa appaiono completamente
incongrui ed arbitrari allorquando si tratta di quantificare (in
misura che risulta di molto superiore) la base imponibile della
rendita vitalizia, generando disparita' ragguardevoli in relazione
alla entita' dell'imposta dovuta.
10.7. Nel delineare la portata dell'art. 53 della Costituzione,
la Corte costituzionale ha, invero, individuato tre requisiti
essenziali (che vanno riguardati anche alla luce dell'art. 1,
Protocollo 1 Cedu) della capacita' contributiva: l'effettivita', la
certezza e l'attualita' (cfr. Corte costituzionale, 12 luglio 1967,
n. 109; Corte costituzionale, 28 luglio 1976, n. 200; Corte
costituzionale, 26 marzo 1980, n. 42; Corte costituzionale, 22 aprile
1980, n. 54; Corte costituzionale, n. 252/1992; Corte costituzionale,
29 gennaio 1996, n. 73; Corte costituzionale, 26 luglio 2000, n.
362).
10.8. In ordine al primo requisito, il nesso tra il fatto
rivelatore di capacita' contributiva e il tributo deve essere
effettivo e non apparente o fittizio; l'effettivita' esprime,
infatti, la concreta idoneita' del presupposto rispetto
all'obbligazione d'imposta, la quale dovra' avere ad oggetto una
manifestazione economica reale, dovendo l'imposizione essere
rapportata ad una forza economica realmente esistente, non meramente
virtuale o presunta. Alla stregua dell'impostazione della Consulta
(cfr. Corte costituzionale, 12 luglio 1967, n. 109, cit., 223; Corte
costituzionale, 28 luglio 1976, n. 200, cit.), va salvaguardato il
diritto del contribuente ad essere chiamato a concorrere alle spese
pubbliche solo in quanto in possesso di effettiva capacita'
contributiva, non potendo essere qualificata capacita' contributiva
un'idoneita' economica che non si basi su fatti reali, ma abbia una
base fittizia (cfr. Corte costituzionale, 26 marzo 1980, n. 42); la
capacita' contributiva deve essere effettiva nel senso di certa ed
attuale, e non meramente fittizia (cfr. Corte costituzionale, 28
luglio 1976, n. 200, cit., 1254; Corte costituzionale, 26 marzo 1980,
n. 42.; Corte costituzionale, n. 252/1992; Corte costituzionale, 29
gennaio 1996, n. 73; Corte costituzionale, 26 luglio 2000, n. 362,
cit.). Infine, in forza del parametro dell'attualita', il tributo
deve essere correlato ad una capacita contributiva in atto, non ad
una capacita contributiva passata o futura (cfr. Corte
costituzionale, 22 aprile 1980, n. 54), ovvero la capacita'
contributiva deve sussistere nel momento in cui si verifica il
prelievo; in tale ottica la capacita' contributiva risulta, pertanto,
inscindibilmente connessa ai principi di ragionevolezza e di
uguaglianza tributaria, atteso che, in forza del connubio normativo
tra gli articoli 53 e 3 della Costituzione, a situazioni uguali
devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a
situazioni diverse un trattamento tributario differenziato (cfr.
Corte Costituzionale, 6 luglio 1972, n. 120).
11. In definitiva, il Collegio ritiene non manifestamente
infondata, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17 decreto
legislativo n. 346/1990 (nel testo applicabile ratione temporis),
nella parte in cui, per il calcolo della base imponibile dell'imposta
di successione, richiama il prospetto allegato al decreto del
Presidente della Repubblica n. 131/1986, completato a sua volta
dall'art. 3, comma 164, legge n. 662/1996 che ancora la variazione
del coefficiente al variare del tasso di interesse, cosi'
determinando una base imponibile contraria al principio di realta' e
produttiva di effetti praticamente confiscatori.
11.1. Ne', per le ragioni gia' indicate e la natura stessa della
disciplina censurata, informata a rigidi criteri attuariali, appaiono
alternativamente praticabili interpretazioni costituzionalmente
compatibili che esimano dal sollevare la relativa questione.
11.2. Questione che risulta all'evidenza rilevante ai fini della
decisione della presente controversia, giacche' l'eventuale
declaratoria d'illegittimita' costituzionale della summenzionata
disposizione inciderebbe sul calcolo della base imponibile
dell'imposta di successione dei rapporti non ancora esauriti. La
decisione del riçorso richiede, invero, l'applicazione del citato
art. 17, di qui la rilevanza del dubbio di legittimita'
costituzionale in considerazione della sussistenza di un effettivo e
concreto rapporto di strumentalita' fra la definizione del giudizio
principale e la risoluzione della questione che viene oggi posta
(cfr. Corte costituzionale 21 dicembre 2021, n. 250).
12. Ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87/1953, alla
dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale, segue la sospensione del
giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
P.Q.M.
La Corte:
visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11
marzo 1953, n. 87;
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in
riferimento all'art. 3, primo comma ed all'art. 53, primo comma,
della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 17 decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (nella sua
formulazione originaria, applicabile ratione temporis), nella parte
in cui rinvia al prospetto allegato al decreto del Presidente della
Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 cui rimanda anche l'art. 3, comma
164, legge 23 dicembre 1996, n. 662;
dispone che gli atti, comprensivi dei documenti relativi alle
notificazioni e comunicazioni disposte, vengano immediatamente
trasmessi alla Corte costituzionale;
dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza
sia notificata alle parti in causa, al Procuratore generale presso
questa Corte, al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
sospende il giudizio.
Cosi' deciso nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione,
Sezione Tributaria, in data 9 aprile 2025.
Il Presidente: Stalla