Reg. ord. n. 209 del 2025 pubbl. su G.U. del 05/11/2025 n. 45
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia del 07/08/2025
Tra: Guerrino Cerebuch C/ Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS- Direzione provinciale di Trieste
Oggetto:
Previdenza – Impiego pubblico – Trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età – Prevista corresponsione decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di rateizzazione, differentemente articolato in base all’ammontare complessivo della prestazione – Denunciata dilazione temporale e rateizzazione del pagamento della somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all’andamento dell’inflazione – Inerzia del legislatore che, omettendo di adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale n. 130 del 2023 e n. 159 del 2019, reitera la lesione sostanziale del diritto del dipendente pubblico, cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, alla percezione di una retribuzione sufficiente e proporzionata all’attività lavorativa svolta – Disciplina strutturale e priva del carattere della contingenza, che, anche non ritenendo vincolanti per il legislatore le citate sentenze monito, comprime in modo irragionevole e sproporzionato i diritti dei lavoratori – Lesione del principio di proporzionalità, adeguatezza e tempestività della retribuzione – Violazione degli obblighi internazionali, che tutelano la legittima aspettativa della persona al trattamento di fine servizio già maturato, inteso come bene patrimoniale.
Norme impugnate:
decreto-legge del 28/03/1997 Num. 79 Art. 3 Co. 2
legge del 28/05/1997 Num. 140
decreto-legge del 31/05/2010 Num. 78 Art. 12 Co. 7
legge del 30/07/2010 Num. 122
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 36 Co.
Costituzione Art. 117 Co. 1
Protocollo addizionale alla Convenzione europea diritti dell'uomo Art. Co.
Udienza Pubblica del 10 febbraio 2026 rel. SAN GIORGIO
Testo dell'ordinanza
N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 07 agosto 2025
Ordinanza del 7 agosto 2025 del Tribunale amministrativo regionale
per il Friuli-Venezia Giulia sul ricorso proposto da Guerrino
Cerebuch contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS
- Direzione provinciale di Trieste..
Previdenza - Impiego pubblico - Trattamenti di fine servizio,
comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio
per raggiungimento dei limiti di eta' - Prevista corresponsione
decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro -
Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di
rateizzazione, differentemente articolato in base all'ammontare
complessivo della prestazione.
- Decreto-legge 28 marzo 1997 n. 79 (Misure urgenti per il
riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con
modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, art. 3, comma 2;
decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica),
convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122,
art. 12, comma 7.
(GU n. 45 del 05-11-2025)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIULI-VENEZIA GIULIA
(Sezione Prima)
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 121 del 2025, proposto dal signor Guerrino
Cerebuch, rappresentato e difeso dall'avvocato Pietro Frisani, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
I.N.P.S. - Istituto nazionale previdenza sociale e I.N.P.S. -
Direzione Provinciale Trieste, non costituiti in giudizio;
per l'accertamento e la declaratoria del diritto del ricorrente
in quanto cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta' in data
31 maggio 2024 a percepire l'intero importo del TFS ancora da
corrispondere da parte di INPS senza dilazioni e senza rateizzazione;
per la condanna
dell'Istituto intimato a corrispondere senza dilazione l'intero
importo di spettanza, oltre interessi e rivalutazione dal di' del
dovuto sino al saldo;
previa dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2,
del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 (Misure urgenti per il
riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive modifiche e
dell'art. 12, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
(Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge
30 luglio 2010, n. 122, e successive modifiche, con riferimento
all'art. 36 Cost. e all'art. 1 Protocollo 1 CEDU e rimessione degli
atti alla Corte costituzionale;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto in data 10 luglio 2025, con cui il ricorrente ha
chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2025 la
dott.ssa Manuela Sinigoi e dato atto della su indicata richiesta del
ricorrente come specificato nel verbale;
A) La vicenda fattuale
A) La vicenda fattuale
1. Il ricorrente - ex dipendente del Ministero dell'interno -
Questura di Trieste, collocato in quiescenza a decorrere dal 31
maggio 2024 per raggiunti limiti di eta' - ha chiesto a questo
Tribunale amministrativo regionale di accertare il suo diritto a
percepire il trattamento di fine servizio (d'ora in poi T.F.S. per
brevita') senza dilazioni e senza rateizzazioni e di condannare
l'Istituto previdenziale intimato a corrispondergli senza dilazione
l'intero importo di spettanza, oltre interessi e rivalutazione dal
di' del dovuto al saldo.
1.1. In fatto ha dedotto che il T.F.S. a lui spettante dovrebbe
essere determinato in euro 64.301,04, come da prospetto di
simulazione estratto dal sito MyINPS, e che tale importo, essendo
superiore ad euro 50.000,00 ma inferiore a euro 100.000,00, dovrebbe
essergli corrisposto in due tranche, la prima, al piu' tardi, al 1°
settembre 2025 (avendo acquisito il diritto in data 1° giugno 2024) e
la seconda al 1° settembre 2026, come previsto dall'art. 3, comma 2,
del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito in legge, con
modificazioni, con legge 28 maggio 1997, n. 140, cosi' come da ultimo
modificato dalla lettera b) del comma 484 dell'art. 1, legge 27
dicembre 2013, n. 147 ["Alla liquidazione dei trattamenti di fine
servizio, comunque denominati," a favore dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, oggi definite dall'art. 1, comma 2, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e al personale in regime di
diritto pubblico di cui all'art. 3, commi 1 e 2, del decreto stesso
"l'ente erogatore provvede (...), nei casi di cessazione dal servizio
per raggiungimento dei limiti di eta' o di servizio previsti dagli
ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d'ufficio a
causa del raggiungimento dell'anzianita' massima di servizio prevista
dalle norme di legge o di regolamento applicabili
nell'amministrazione, decorsi dodici mesi dalla cessazione del
rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l'ente
provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli
interessi"], e dall'art. 12, comma 7, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122 ["A titolo di concorso al
consolidamento dei conti pubblici attraverso il contenimento della
dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza
pubblica previsti dall'Aggiornamento del programma di stabilita' e
crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento,
con riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi
del comma 3 dell'art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 il
riconoscimento dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita' premio
di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra
indennita' equipollente corrisposta una tantum comunque denominata
spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall'impiego e'
effettuato: (...) b) in due importi annuali se l'ammontare
complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute
fiscali, e' complessivamente superiore a 50.000 euro ma inferiore a
100.000 euro. In tal caso il primo importo annuale e' pari a 50.000
euro e il secondo importo annuale e' pari all'ammontare residuo;
(...)"].
1.2. Il ricorrente - che nel motivare in ordine alla pretesa
azionata ha rilevato l'illegittimita' costituzionale delle norme
poc'anzi richiamate che hanno disposto la rateizzazione e la
dilazione per la liquidazione e la corresponsione del T.F.S.,
chiedendo, previamente, la rimessione degli atti innanzi alla Corte
costituzionale e la sospensione del presente giudizio - si e'
soffermato a ripercorrere l'evoluzione della normativa in materia di
pagamento del trattamento di fine servizio in favore dei pubblici
dipendenti, a partire dalla disciplina dettata dall'art. 26, comma 3,
del d.P.R. n. 1032 del 1973, che stabiliva delle tempistiche per
rendere possibile l'effettiva corresponsione del trattamento in
questione «immediatamente dopo la data di cessazione dal servizio e
comunque non oltre quindici giorni dalla data medesima», sino a
quella delineata dalle norme dianzi indicate, cui e' soggetto, e qui
censurata.
1.3. Ha, quindi, posto l'accento sul significativo innalzamento
disposto dalla disciplina vigente dei termini iniziali e finale per
il versamento del trattamento di fine servizio, decorrenti dalla
cessazione del rapporto di lavoro, pari, rispettivamente, a quindici
mesi (12 mesi + 3 mesi) e, nell'ipotesi che direttamente e
specificamente lo riguarda, a ventiquattro mesi.
1.3.1. Analogamente ha richiamato l'attenzione sulla disposta
rateizzazione e, inoltre, sulla soglia, ora decisamente piu' bassa
che in passato, che ne consente l'erogazione "in un unico importo
annuale" (ovvero "se l'ammontare complessivo della prestazione, al
lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente pari o
inferiore a 50.000 euro").
1.4. Si e', quindi, soffermato - sulla base dell'insegnamento
della Corte costituzionale (sentenza n. 243 del 1993) - ad
evidenziare la natura di retribuzione differita con concorrente
funzione previdenziale del trattamento in questione, tanto nel
settore pubblico che in quello privato (avendo sia il T.F.R. che il
T.F.S., comunque denominati, la medesima finalita' di accompagnare il
lavoratore nella delicata fase dell'uscita dalla vita lavorativa
attiva), dalla quale discende il requisito della necessaria
tempestivita' dell'erogazione, quale corollario dell'art. 36
Costituzione.
1.4.1. Il tempo - ha osservato - assume, infatti, una rilevanza
autonoma per due distinti profili:
- "il primo attiene al costo in termini economici del
differimento dell'erogazione del TFS", dato che il differimento non
e' accompagnato dalla corresponsione della rivalutazione monetaria,
ma soltanto dagli interessi legali qualora l'erogazione
dell'emolumento avvenga successivamente alla scadenza del termine
annuale e dei successivi tre mesi. Sicche', in una situazione
caratterizzata da un'inflazione molto elevata come quella attuale,
finisce per incidere sulla stessa consistenza economica della
prestazione in questione;
- "il secondo (...) attiene alla durata delle misure che
comprimono il diritto del lavoratore alla tempestiva corresponsione
del trattamento di fine servizio", dato che la dilazione del
pagamento del T.F.S. non e' piu' una misura temporanea destinata a
far fronte a una crisi contingente, ma e' dotata di carattere
strutturale con durata illimitata, tale da rendere "irragionevole e
inesigibile il sacrificio imposto ai lavoratori collocati a riposo
avendo raggiunto i limiti d'eta' o di servizio".
1.5. Ha, indi, evidenziato che quanto sin qui argomentato circa
la natura del trattamento di fine servizio e la necessita' che lo
stesso venga erogato con la necessaria tempestivita' ha trovato
puntuale conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 159
del 25 giugno 2019 e, piu' recentemente, in quella n. 130 del 23
giugno 2023.
1.5.1. Segnatamente, ha ricordato che la Corte costituzionale,
con la prima pronuncia, pur ritenendo non fondata la questione
sottoposta al suo vaglio (i.e. "legittimita' costituzionale dell'art.
3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con
modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e dell'art. 12,
comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento
agli articoli 3 e 36 della Costituzione"), venendo in rilievo, in
quel caso, una cessazione anticipata dal servizio, rispetto alla
quale le disposizioni in materia di differimento e rateizzazione del
T.F.S. sono state, per l'appunto, ritenute legittime in quanto esse
mirano a scoraggiare l'esodo anticipato dei dipendenti pubblici e, in
questo senso, le stesse appaiono eque e non discriminatorie, ha,
pero', incidentalmente ritenuto - proprio avuto riguardo alla
tematica estranea a quel giudizio (ovvero «il pagamento differito e
rateale delle indennita' di fine rapporto... nelle ipotesi di
raggiungimento dei limiti di eta' e di servizio o di collocamento a
riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianita' massima
di servizio») - di «segnalare al Parlamento l'urgenza di ridefinire
una disciplina non priva di aspetti problematici, nell'ambito di una
organica revisione dell'intera materia, peraltro indicata come
indifferibile nel recente dibattito parlamentare», richiamando, in
particolare, l'attenzione sul fatto che «la disciplina che ha
progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni
dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un
orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il
consolidamento dei conti pubblici che l'aveva giustificata. Con
particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di
eta' e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale
delle indennita' di fine rapporto, conquistate "attraverso la
prestazione dell'attivita' lavorativa e come frutto di essa"
(sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto),
rischia di essere compromessa, in contrasto con i principi
costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche
differita, tutelano la dignita' della persona umana».
1.5.2. A seguito del monito della Corte, lo Stato si e' limitato
ad introdurre la disciplina dell'anticipazione della prestazione di
cui all'art. 23 del decreto-legge n. 4 del 2019, secondo cui e'
possibile richiedere il finanziamento di una somma, pari all'importo
massimo di euro 45.000,00, dell'indennita' di fine servizio maturata,
garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente ad oggetto
l'emolumento, dietro versamento di un tasso di interesse fissato
dall'art. 4, comma 2, del decreto ministeriale 19 agosto 2020, in
misura pari al rendimento medio dei titoli pubblici maggiorato dello
0,40 per cento.
1.5.3. L'I.N.P.S., dal canto suo, con delibera del Consiglio di
amministrazione n. 219 del 9 novembre 2022, ha istituito
l'anticipazione del T.F.S., prevedendo al riguardo la possibilita'
per gli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie
e sociali di usufruire di un finanziamento pari all'intero ammontare
del trattamento maturato e liquido, erogato al tasso di interesse
pari all'1% fisso (a cui si aggiungono le spese di amministrazione),
sempre dietro cessione pro solvendo della corrispondente quota non
ancora esigibile del T.F.S.
1.5.4. Con la successiva sentenza n. 130 del 2023, vertente sulla
medesima questione di diritto per contrasto con il principio di
proporzionalita' della retribuzione, espresso dall'art. 36 Cost., la
Corte, ponendosi in continuita' con la precedente pronuncia del 2019,
della quale ha condiviso le premesse concettuali e riproposto le
argomentazioni principali, ha stigmatizzato la mancanza di una
«riforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus
costituzionale riscontrato...», osservando, in particolare, che la
disciplina dell'anticipazione della prestazione introdotta dal
legislatore nel 2019 e il finanziamento delineato dall'INPS di cui si
e' riferito ai precedenti par. 1.5.2 e 1.5.3 «investono solo
indirettamente la disciplina dei tempi di corresponsione delle
spettanze di fine servizio», limitandosi a riconoscere all'avente
diritto la facolta' di evitare la percezione differita
dell'indennita' accedendo pero' al finanziamento oneroso delle stesse
somme dovutegli a tale titolo.
In particolare, ha rimarcato che «il legislatore non ha (...)
espunto dal sistema il meccanismo dilatorio all'origine della
riscontrata violazione, ne' si e' fatto carico della spesa necessaria
a ripristinare l'ordine costituzionale violato, ma ha riversato sullo
stesso lavoratore il costo della fruizione tempestiva di un
emolumento che, essendo rapportato alla retribuzione e alla durata
del rapporto e quindi, attraverso questi due parametri, alla
quantita' e alla qualita' del lavoro, e' parte del compenso dovuto
per il servizio prestato (sentenza n. 106 del 1996)».
A fronte di tale inerzia - pur dichiarando inammissibili le
questioni sollevate dal giudice a quo, in quanto «...Al vulnus
costituzionale riscontrato con riferimento all'art. 3, comma 2, del
decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, questa Corte non puo',
allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni
attinge alla discrezionalita' del legislatore. Deve, infatti,
considerarsi il rilevante impatto in termini di provvista di cassa
che il superamento del differimento in oggetto, in ogni caso,
comporta; cio' che richiede che sia rimessa al legislatore la
definizione della gradualita' con cui il pur indefettibile intervento
deve essere attuato, ad esempio, optando per una soluzione che, in
ossequio ai richiamati principi di adeguatezza della retribuzione, di
ragionevolezza e proporzionalita', si sviluppi muovendo dai
trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri...» - ha
rinnovato l'invito al legislatore a provvedere, non senza
tralasciare, tuttavia, di porre l'accento sul fatto che: «La
discrezionalita' di cui gode il legislatore nel determinare i mezzi e
le modalita' di attuazione di una riforma siffatta deve, tuttavia,
ritenersi, temporalmente limitata.
La lesione delle garanzie costituzionali determinata dal
differimento della corresponsione delle prestazioni in esame esige,
infatti, un intervento riformatore prioritario, che contemperi
l'indifferibilita' della reductio ad legitimitatem con la necessita'
di inscrivere la spesa da essa comportata in un organico disegno
finanziario che tenga conto anche degli impegni assunti nell'ambito
della precedente programmazione economico-finanziaria.
In proposito, questa Corte deve evidenziare, come in altre
analoghe occasioni, "che non sarebbe tollerabile l'eccessivo
protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi
individuati dalla presente pronuncia" (da ultimo, sentenza n. 22 del
2022; si vedano anche sentenze n. 120 e n. 32 del 2021).
Accertata la necessita' della espunzione della disciplina
concernente tale differimento, va rilevato, quanto alla previsione
del pagamento rateale del trattamento di fine servizio di cui
all'art. 12, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010, come
convertito - l'altra disposizione censurata - che il sistema cui essa
ha dato luogo, essendo strutturato secondo una progressione graduale
delle dilazioni, via via piu' ampie in proporzione all'incremento
dell'ammontare della prestazione, da un lato, calibra il sacrificio
economico derivante dalla percezione frazionata dell'indennita' in
modo tale da renderne esenti i beneficiari dei trattamenti piu'
modesti; dall'altro, assicura ai titolari delle indennita' ricadenti
negli scaglioni via via piu' elevati la percezione immediata -
rectius: che diverra' immediata solo all'esito della eliminazione del
differimento previsto dall'art. 3, comma 2, del D.L. n. 79 del 1997,
come convertito - almeno di una parte della prestazione loro
spettante.
Tuttavia, questa Corte non puo' esimersi dal considerare che tale
disciplina - peraltro connessa, per espressa previsione della stessa
norma censurata, alle esigenze, necessariamente contingenti, di
consolidamento dei conti pubblici - in quanto combinata con il
descritto differimento, finisce per aggravare il vulnus sopra
evidenziato».
1.6. In punto di fatto il ricorrente ha, inoltre, ulteriormente
rappresentato che:
- quanto alle competenze del legislatore, nel giugno 2024 sono
stati presentati due disegni di legge (atti C-1254 e C-1264), che non
hanno pero' avuto seguito in ragione del parere negativo espresso
dalla Ragioneria generale dello Stato (parere allegato al ricorso);
- quanto alle competenze dell'I.N.P.S., il meccanismo
dell'anticipazione introdotto con la richiamata deliberazione del
C.d.A. n. 219/2022 (il quale peraltro ha consentito solo a pochi
soggetti di accedere al beneficio stante la limitatezza delle risorse
finanziarie disponibili) e' stato da ultimo abrogato;
- neanche l'altro istituto introdotto nel 2019 (ossia il
finanziamento bancario) e' satisfattivo, anche perche' non esiste
alcun obbligo per le banche di contrarre e comunque al beneficio non
potrebbero accedere i c.d. cattivi pagatori (in generale, poi, questi
strumenti sono stati definiti dalla stessa Corte costituzionale di
per se' non idonei a superare i profili di incostituzionalita' delle
norme che prevedono la dilazione del pagamento e la rateizzazione del
T.F.S.).
1.7. Sicche' - richiamando l'attenzione sul fatto che nonostante
il lungo lasso di tempo decorso dalla prima sentenza monito e anche,
oramai, dalla seconda che ha accertato la illegittimita' della norma,
pur non dichiarandola, e sulla perduranza della situazione di
incostituzionalita', tale da rendere non piu' tollerabile il vuoto di
tutela costituzionale che ne deriva e imponendosi, anzi, l'intervento
della Corte - ha quindi, come detto, chiesto l'accertamento del
diritto a percepire il T.F.S. senza dilazioni e senza rateizzazioni e
la condanna dell'Istituto previdenziale intimato a corrispondergli
senza dilazione l'intero importo di spettanza oltre interessi e
rivalutazione dal di' del dovuto al saldo, previa nuova rimessione
alla Corte costituzionale della questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997,
n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica),
convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, e
successive modifiche e dell'art. 12, comma 7, del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive
modifiche, per (manifesta e reiterata) violazione dell'art. 36 Cost.
e dell'art. 1 Protocollo 1 CEDU.
1.7.1. Il ricorrente ha dedotto, segnatamente, che:
- l'art. 36 Cost. statuisce che il lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia una
esistenza libera e dignitosa. La retribuzione, pertanto, da un lato
non deve mai perdere il suo collegamento con la prestazione
lavorativa svolta e, dall'altro, deve essere adeguata e sufficiente
ai sensi dell'art. 36 Cost., avendo a riguardo non solo alla sua
entita', ma anche alla tempestivita' della sua corresponsione. Questi
principi, come detto, si applicano anche al T.F.S. in ragione della
sua natura di retribuzione differita, funzionale fra l'altro ad
accompagnare al lavoratore nel momento delicato della sua uscita
dalla vita lavorativa. La Corte costituzionale ha in piu' occasioni
ribadito che tutte le misure che incidono sul diritto alla
retribuzione per superare il vaglio di costituzionalita' debbono
essere giustificare da comprovate ragioni di interesse generale e
devono avere efficacia limitata nel tempo (sentenze n. 178 del 2015 e
n. 173 del 2016). Nel caso delle modalita' di corresponsione del
T.F.S. questi paletti sono stati ampiamente travalicati, visto che i
sacrifici imposti agli aventi diritto a tale trattamento sono ormai
divenuti strutturali e non piu' legati ad emergenze finanziarie;
- per costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo (Fabian c. Ungheria [GC], n. 78117/13, 5 settembre 2017;
Stefanetti, n. 21838/10, 15 settembre 2014) le pensioni e
conseguentemente anche il trattamento di fine servizio maturato per
effetto della vita lavorativa costituiscono un "bene" ai sensi della
Convenzione. Secondo le norme generali applicabili, il diritto matura
ed entra a far parte del patrimonio del titolare al momento in cui si
soddisfano i requisiti per il pensionamento. Le prestazioni non
ancora percepite rientrano nella sfera di applicazione dell'art. 1
Protocollo 1 allegato alla Convenzione, in quanto espressione del
diritto, gia' maturato e gia' parte del patrimonio del ricorrente fin
dal momento del raggiungimento dei requisiti necessari, e in ogni
caso debbono essere considerate espressione di una "legittima
aspettativa", esplicitamente riconosciuta e tutelata dal diritto
costituzionale interno (Kopecký c. Slovacchia [GC], n. 44912/98,
28/9/2004; Plalam SPA c. Italia, n. 16021/02, 8/2/2011). In casi del
genere la Corte EDU verifica se il diritto dell'interessato di
beneficiare delle prestazioni previdenziali e pensionistiche sia
stato violato in misura tale da comprometterne l'essenza (Domalewski
c. Polonia (dec.); Kjartan Asmundsson c. Islanda, § 39; Wieczorek c.
Polonia, § 57; Rasmussen c. Polonia, § 75; Valkov e altri c.
Bulgaria, §§ 91 e 97; Maggio e altri c. Italia, § 63; Stefanetti e
altri c. Italia, § 55).
2. L'I.N.P.S., seppur ritualmente evocato in giudizio, non si e'
costituito.
3. In prossimita' dell'udienza pubblica del 15 luglio 2025,
fissata per la trattazione del ricorso, il ricorrente ha chiesto:
- in via principale, di sospendere il presente giudizio in
attesa della definizione della questione di legittimita'
costituzionale gia' rimessa alla Corte costituzionale dalle ordinanze
n. 105/2025 del Tribunale amministrativo regionale Marche e n.
4169/2025 del Tribunale amministrativo regionale Lazio - Roma;
- in subordine, di trattenere la causa in decisione e,
richiamando le conclusioni gia' rassegnate nel ricorso, previa
dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale illustrata, sospendere il
giudizio e rimettere gli atti innanzi alla Corte costituzionale per
la declaratoria di incostituzionalita' delle disposizioni individuate
e per l'effetto accertare e dichiarare il diritto del ricorrente,
cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta', a percepire il
T.F.S. senza dilazioni e senza rateizzazione e la condanna del
resistente a corrispondere senza dilazione l'intero importo di
spettanza, oltre interessi e rivalutazione dal di' del dovuto al
saldo.
4. Celebrata la detta udienza, la causa e' stata introitata per
la decisione.
4.1. All'esito della successiva Camera di consiglio, questo
Tribunale Amministrativo Regionale, ritenendo preferibile rimettere a
propria volta alla Corte costituzionale la questione di legittimita'
costituzionale delle norme dianzi indicate prospettata da parte
ricorrente e sospendere il giudizio, ha pronunciato la seguente
ordinanza, ravvisando, invero, sussistere i presupposti di cui
all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella preliminare
condivisione di quanto osservato dal Tribunale amministrativo
regionale Marche, al par. 6.2.2., della propria ordinanza di
rimessione («Si deve... convenire con il ricorrente sul fatto che
nella specie la Corte ha adottato una c.d. sentenza monito, ossia ha
accertato l'incostituzionalita' delle norme di legge sottoposte al
suo giudizio, ma non l'ha dichiarata formalmente sul presupposto che
la riforma organica della materia compete solo al legislatore,
venendo in rilievo vari interessi di rango costituzionale la cui
ottimale composizione implica delicate valutazioni di ordine
politico, relative anzitutto al procacciamento della provvista
finanziaria necessaria per ricondurre il sistema alla legittimita'
costituzionale.
Ovviamente le c.d. sentenze monito, in assenza di una specifica
disposizione costituzionale che ne disegni la relativa disciplina, da
un lato non vincolano il legislatore (non esiste infatti uno
strumento tecnico in forza del quale si possa obbligare il
legislatore ad adeguarsi ad una pronuncia della Corte), dall'altro
lato pongono due questioni preliminari, relative, rispettivamente,
all'accertamento della "inottemperanza" e al termine entro il quale
il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi. Infatti, in presenza di
"sentenze monito" a cui non abbia fatto seguito alcun intervento del
legislatore e' necessario verificare (e tale verifica compete
ovviamente solo alla Corte costituzionale):
- se si e' effettivamente in presenza di una "inottemperanza" o
se esistono ragioni che giustificano l'inattivita' del legislatore;
- se tale "inottemperanza" si e' protratta per un periodo di
tempo tale da costituire nella sostanza un'elusione delle pronunce
della Corte.
Quanto al primo profilo, e ribadito che le norme applicate nella
specie dall'I.N.P.S. non risultano ad oggi modificate, va osservato
che nella sentenza n. 130 del 2023 la Corte costituzionale ha gia'
evidenziato che le misure finalizzate a consentire all'ex dipendente
di chiedere anticipazioni del T.F.S. o finanziamenti bancari previa
cessione pro solvendo del credito non sono risolutive perche' "...
non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si limitano
a riconoscere all'avente diritto la facolta' di evitare la percezione
differita dell'indennita' accedendo pero' al finanziamento oneroso
delle stesse somme dovutegli a tale titolo...".
Il Tribunale ritiene dunque che vi siano fondati argomenti per
sostenere che allo stato il legislatore non si e' oggettivamente
adeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023 (mentre in
questa sede non sono valutabili eventuali ragioni che giustifichino
tale inerzia).
Quanto al secondo profilo, per un verso e' del tutto ovvio che
non si puo' pretendere un adeguamento immediato da parte del
legislatore (stanti anche i tempi tecnici necessari per
l'approvazione di una proposta di legge), per altro verso e'
altrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non tradursi di
fatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere ottemperate in
un tempo ragionevole, che pero' non puo' essere stabilito dal giudice
di merito, ma solo dal Giudice delle leggi»).
B) Rilevanza della questione
5. La questione e' rilevante per le seguenti ragioni.
5.1. Al fine del decidere vengono in rilievo le disposizioni di
cui all'art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79,
convertito in legge, con modificazioni, con legge 28 maggio 1997, n.
140, cosi' come da ultimo modificato dalla lettera b) del comma 484
dell'art. 1, legge 27 dicembre 2013, n. 147 ["Alla liquidazione dei
trattamenti di fine servizio, comunque denominati," a favore dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni, oggi definite dall'art.
1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e al
personale in regime di diritto pubblico di cui all'art. 3, commi 1 e
2, del decreto stesso "l'ente erogatore provvede (...), nei casi di
cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di eta' o di
servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento
a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianita' massima
di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento
applicabili nell'amministrazione, decorsi dodici mesi dalla
cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi
diritto l'ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali
sono dovuti gli interessi"], e all'art. 12, comma 7, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122 ["A
titolo di concorso al consolidamento dei conti pubblici attraverso il
contenimento della dinamica della spesa corrente nel rispetto degli
obiettivi di finanza pubblica previsti dall'Aggiornamento del
programma di stabilita' e crescita, dalla data di entrata in vigore
del presente provvedimento, con riferimento ai dipendenti delle
amministrazioni pubbliche come individuate dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1 della legge 31
dicembre 2009, n. 196 il riconoscimento dell'indennita' di
buonuscita, dell'indennita' premio di servizio, del trattamento di
fine rapporto e di ogni altra indennita' equipollente corrisposta una
tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario
titolo dall'impiego e' effettuato: (...) b) in due importi annuali se
l'ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative
trattenute fiscali, e' complessivamente superiore a 50.000 euro ma
inferiore a 100.000 euro. In tal caso il primo importo annuale e'
pari a 50.000 euro e il secondo importo annuale e' pari all'ammontare
residuo; (...)"].
5.2. Trattasi di disposizioni che, cosi' come formulate, sono
impeditive all'accoglimento della domanda azionata dal ricorrente,
volta all'accertamento del diritto, in quanto cessato dal servizio
per raggiunti limiti di eta' in data 31 maggio 2024, a percepire
l'importo di spettanza a titolo di T.F.S. senza dilazioni e senza
rateizzazione e alla, conseguente, condanna dell'Istituto stesso a
corrispondergli senza dilazione l'intero importo dovuto, oltre
interessi e rivalutazione.
5.2.1. Secondo il loro inequivoco tenore testuale, insuscettibile
di un'interpretazione adeguatrice e/o costituzionalmente orientata,
il ricorso dovrebbe, infatti, essere respinto poiche' le stesse
prevedono, per l'appunto, le dilazioni e la rateizzazione dal
medesimo contestate.
5.3. Laddove venisse, tuttavia, accolta la questione di
legittimita' costituzionale dianzi sinteticamente prospettata il
presente giudizio avrebbe un esito diverso, in quanto la dichiarata
incostituzionalita' delle norme oggetto di applicazione - che, si
sottolinea, dettano, con precisione, tempi (dilatori) per la
liquidazione e la corresponsione del T.F.S. e stabiliscono, in ogni
caso, la rateazione per l'erogazione di importi come quello di
stimata spettanza del ricorrente - determinerebbe, per l'appunto,
l'accertamento del diritto del medesimo ad ottenere quanto di
spettanza a titolo di T.F.S. nei sensi auspicati e la conseguente
condanna dell'Istituto intimato a corrisponderglielo negli stessi
termini e con le medesime modalita'.
5.4. Un tanto soddisfa, ad avviso del Collegio, il presupposto
della rilevanza della questione, ai sensi dell'art. 23, comma 2,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo il quale e' necessario che
«il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale» della
norma primaria contestata.
C) Sulla non manifesta infondatezza della questione
6. Il Collegio ritiene, inoltre, non manifestamente infondato, ai
sensi della norma dianzi indicata, il denunciato conflitto delle
norme che qui vengono in rilievo con il principio di giusta e
tempestiva retribuzione, radicato nell'art. 36 della Costituzione, e
di tutela della sfera patrimoniale del lavoratore, ai sensi dell'art.
117, comma primo, della Carta costituzionale in relazione al
parametro interposto dell'art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito, CEDU),
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4
novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952), laddove il trattamento di fine
servizio costituisce espressione di una legittima aspettativa della
persona, gia' entrata a far parte del suo patrimonio per effetto del
raggiungimento dei requisiti necessari.
6.1. In tal senso, s'appalesano, invero, condivisibili le
deduzioni svolte dal ricorrente e di cui s'e' riferito ai §§ 1.7 e
1.7.1, alla cui lettura si rinvia.
6.2. La Corte costituzionale ha, peraltro, piu' volte affermato
il principio per il quale una misura quale quella in esame (che -
come sottolineato nella sentenza n. 159 del 2019 - trovava originaria
connessione giustificativa "con il consolidamento dei conti
pubblici"), per superare lo scrutinio di costituzionalita', non puo'
riguardare un arco temporale indefinito, ma deve essere giustificato
da una crisi contingente e deve atteggiarsi quale misura una tantum
(sent. n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016).
6.3. In ragione dell'inerzia del legislatore nell'adeguarsi alle
sentenze della Corte costituzionale di cui innanzi sono stati
riportati ampi stralci, il diritto al T.F.S. risulta, invero, violato
in misura tale da snaturarne il contenuto, sia in ragione della
rateizzazione del pagamento, sia alla luce del fatto che la dilazione
temporale non e' compensata dalla rivalutazione monetaria delle somme
spettanti all'ex dipendente pubblico. Ne consegue che la retribuzione
differita viene ad essere di fatto non piu' proporzionata e adeguata
rispetto all'attivita' lavorativa svolta e ai contributi versati.
6.3.1. Giova, infatti, osservare - come gia' evidenziato nel
corso dell'esposizione della vicenda fattuale - che il trattamento di
fine servizio o rapporto costituisce una componente del compenso che
il lavoratore ha conseguito come corrispettivo dell'attivita'
lavorativa e che fa parte integrante del suo patrimonio, tanto e'
vero che in caso di decesso prematuro del dipendente l'emolumento
viene erogato ai congiunti superstiti. Inoltre il T.F.S. spetta a
prescindere dalla causa di cessazione del rapporto di lavoro e
dall'accertamento dello stato di bisogno dell'avente diritto. I
trattamenti di fine servizio sono ispirati al criterio di
corrispettivita' e restituiscono al lavoratore, alla cessazione del
rapporto, una somma certa e di ammontare ben definito (al riguardo si
tiene infatti conto della retribuzione percepita in servizio e della
durata del rapporto di lavoro), che viene definitivamente acquisita
al suo patrimonio e devoluta per successione legittima o
testamentaria in caso di decesso del lavoratore in servizio.
6.3.2. Ne deriva che il trattamento di fine servizio deve essere
erogato con la necessaria tempestivita', questa essendo un corollario
indispensabile dei principi di proporzionalita' e adeguatezza della
retribuzione sanciti dall'art. 36 Cost. e delle esigenze di tutela
della sfera patrimoniale del lavoratore a garanzia della dignita'
della persona umana che trova fondamento nell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU,
atteso che il trattamento di fine servizio costituisce espressione di
una legittima aspettativa della persona, gia' entrata a far parte del
suo patrimonio per effetto del raggiungimento dei requisiti
necessari.
7. Va dunque sollevata la questione di legittimita'
costituzionale degli articoli 3, comma 2, del decreto-legge n.
79/1997, convertito nella legge n. 140/1997, e successive
modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7, del decreto-legge n.
78/2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010, e
successive modificazioni ed integrazioni, per il profilo relativo
all'omesso adeguamento delle norme stesse alle sentenze della Corte
costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l'inerzia
del legislatore reitera la lesione sostanziale del diritto del
dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta'
alla percezione di una retribuzione (in questo caso differita)
sufficiente e proporzionata all'attivita' lavorativa svolta
dall'interessato (art. 36 Cost.). La lesione sostanziale discende
dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del pagamento della
somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento degli
importi pagati all'andamento dell'inflazione.
8. Laddove si volesse invece ritenere che le sentenze monito non
vincolano ne' il legislatore ne' la stessa Corte costituzionale,
vanno nuovamente sollevate le medesime questioni di legittimita'
costituzionale delle prefate disposizioni di legge, nella parte in
cui le stesse prevedono - come misure ormai strutturali e non piu'
legate a specifiche emergenze finanziarie - la dilazione
dell'effettiva erogazione del T.F.S. e (nell'ipotesi di importi
superiori a euro 50.000,00, come e' nel caso dell'odierno ricorrente)
la rateizzazione dei pagamenti, non accompagnate dalla rivalutazione
delle somme via via erogate all'ex dipendente pubblico cessato dal
servizio per raggiunti limiti di eta'.
8.1. Tali disposizioni confliggono con l'art. 36 Cost. per i
profili gia' ampiamente evidenziati dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 130 del 2023 e riepilogati nel § 1.5.4 della presente
ordinanza, nonche' con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU.
9. Per le ragioni sin qui esposte, il Collegio, ritenendo
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dianzi prospettata per il profilo relativo all'omesso
adeguamento delle norme medesime alle sentenze della Corte
costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023 e, in ogni caso, per
contrasto con l'art. 36 Cost., nonche' con l'art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU, la
solleva, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 dell'11 maggio 1983,
e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale, sospendendo, al contempo, il giudizio in corso.
10. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine
alle spese e' riservata alla decisione definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia
Giulia, I Sezione, dichiara rilevante per la definizione del presente
giudizio e non manifestamente infondata, per le ragioni di cui in
motivazione, la questione di costituzionalita' degli articoli 3,
comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella legge n.
140/1997, e successive modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7,
del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella
legge n. 122/2010, e successive modificazioni ed integrazioni, per il
profilo relativo all'omesso adeguamento delle norme medesime alle
sentenze della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023
e per contrasto con l'art. 36 Cost. e l'art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU.
Conseguentemente solleva la questione di legittimita'
costituzionale delle norme citate nei sensi dianzi precisati.
Sospende, per l'effetto, il giudizio fino alla definizione
dell'incidente di costituzionalita' di cui alla questione data e
ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale.
Manda alla Segreteria di provvedere alla notificazione della
presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio
dei ministri, nonche' alla comunicazione della stessa ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'Autorita'
Amministrativa.
Cosi' deciso in Trieste nella Camera di consiglio del giorno 15
luglio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Modica de Mohac di Grisi', Presidente
Manuela Sinigoi, Consigliere, Estensore
Daniele Busico, Primo Referendario
Il Presidente: Modica de Mohac di Grisi'
L'estensore: Sinigoi