Reg. ord. n. 209 del 2025 pubbl. su G.U. del 05/11/2025 n. 45

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia  del 07/08/2025

Tra: Guerrino Cerebuch  C/ Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS- Direzione provinciale di Trieste



Oggetto:

Previdenza – Impiego pubblico – Trattamenti di fine servizio, comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età – Prevista corresponsione decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro – Riconoscimento del trattamento secondo un meccanismo di rateizzazione, differentemente articolato in base all’ammontare complessivo della prestazione – Denunciata dilazione temporale e rateizzazione del pagamento della somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all’andamento dell’inflazione – Inerzia del legislatore che, omettendo di adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale n. 130 del 2023 e n. 159 del 2019, reitera la lesione sostanziale del diritto del dipendente pubblico, cessato dal servizio per raggiunti limiti di età, alla percezione di una retribuzione sufficiente e proporzionata all’attività lavorativa svolta – Disciplina strutturale e priva del carattere della contingenza, che, anche non ritenendo vincolanti per il legislatore le citate sentenze monito, comprime in modo irragionevole e sproporzionato i diritti dei lavoratori – Lesione del principio di proporzionalità, adeguatezza e tempestività della retribuzione – Violazione degli obblighi internazionali, che tutelano la legittima aspettativa della persona al trattamento di fine servizio già maturato, inteso come bene patrimoniale.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 28/03/1997  Num. 79  Art. 3  Co. 2

legge  del 28/05/1997  Num. 140

decreto-legge  del 31/05/2010  Num. 78  Art. 12  Co. 7

legge  del 30/07/2010  Num. 122



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 36   Co.  

Costituzione  Art. 117   Co.

Protocollo addizionale alla Convenzione europea diritti dell'uomo  Art.    Co.  



Udienza Pubblica del 10 febbraio 2026 rel. SAN GIORGIO


Testo dell'ordinanza

                        N. 209 ORDINANZA (Atto di promovimento) 07 agosto 2025

Ordinanza del 7 agosto 2025 del  Tribunale  amministrativo  regionale
per  il  Friuli-Venezia  Giulia  sul  ricorso  proposto  da  Guerrino
Cerebuch contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale -  INPS
- Direzione provinciale di Trieste.. 
 
Previdenza  -  Impiego  pubblico  -  Trattamenti  di  fine  servizio,
  comunque denominati, spettanti nei casi di cessazione dal  servizio
  per raggiungimento dei limiti di  eta'  -  Prevista  corresponsione
  decorsi dodici mesi dalla  cessazione  del  rapporto  di  lavoro  -
  Riconoscimento   del   trattamento   secondo   un   meccanismo   di
  rateizzazione, differentemente  articolato  in  base  all'ammontare
  complessivo della prestazione. 
- Decreto-legge  28  marzo  1997  n.  79  (Misure  urgenti   per   il
  riequilibrio   della    finanza    pubblica),    convertito,    con
  modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140, art. 3, comma 2;
  decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78 (Misure urgenti  in  materia  di
  stabilizzazione  finanziaria  e   di   competitivita'   economica),
  convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122,
  art. 12, comma 7. 


(GU n. 45 del 05-11-2025)

 
 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIULI-VENEZIA GIULIA 
                           (Sezione Prima) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro  generale  121  del  2025,  proposto  dal  signor   Guerrino
Cerebuch, rappresentato e difeso dall'avvocato  Pietro  Frisani,  con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; 
    contro 
    I.N.P.S. - Istituto nazionale previdenza  sociale  e  I.N.P.S.  -
Direzione Provinciale Trieste, non costituiti in giudizio; 
    per l'accertamento e la declaratoria del diritto  del  ricorrente
in quanto cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta'  in  data
31 maggio 2024  a  percepire  l'intero  importo  del  TFS  ancora  da
corrispondere da parte di INPS senza dilazioni e senza rateizzazione; 
    per la condanna 
    dell'Istituto intimato a corrispondere senza  dilazione  l'intero
importo di spettanza, oltre interessi e  rivalutazione  dal  di'  del
dovuto sino al saldo; 
    previa dichiarazione di rilevanza e  non  manifesta  infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma  2,
del decreto-legge 28  marzo  1997,  n.  79  (Misure  urgenti  per  il
riequilibrio della finanza pubblica), convertito, con  modificazioni,
nella legge  28  maggio  1997,  n.  140,  e  successive  modifiche  e
dell'art. 12, comma 7,  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78
(Misure urgenti  in  materia  di  stabilizzazione  finanziaria  e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge
30 luglio 2010, n.  122,  e  successive  modifiche,  con  riferimento
all'art. 36 Cost. e all'art. 1 Protocollo 1 CEDU e  rimessione  degli
atti alla Corte costituzionale; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto in data 10 luglio 2025, con  cui  il  ricorrente  ha
chiesto il passaggio della causa in decisione senza discussione; 
    Relatore nell'udienza pubblica  del  giorno  15  luglio  2025  la
dott.ssa Manuela Sinigoi e dato atto della su indicata richiesta  del
ricorrente come specificato nel verbale; 
    A) La vicenda fattuale 
    A) La vicenda fattuale 
    1. Il ricorrente - ex dipendente  del  Ministero  dell'interno  -
Questura di Trieste, collocato  in  quiescenza  a  decorrere  dal  31
maggio 2024 per raggiunti limiti  di  eta'  -  ha  chiesto  a  questo
Tribunale amministrativo regionale di  accertare  il  suo  diritto  a
percepire il trattamento di fine servizio (d'ora in  poi  T.F.S.  per
brevita') senza dilazioni  e  senza  rateizzazioni  e  di  condannare
l'Istituto previdenziale intimato a corrispondergli  senza  dilazione
l'intero importo di spettanza, oltre interessi  e  rivalutazione  dal
di' del dovuto al saldo. 
    1.1. In fatto ha dedotto che il T.F.S. a lui  spettante  dovrebbe
essere  determinato  in  euro  64.301,04,  come   da   prospetto   di
simulazione estratto dal sito MyINPS, e  che  tale  importo,  essendo
superiore ad euro 50.000,00 ma inferiore a euro 100.000,00,  dovrebbe
essergli corrisposto in due tranche, la prima, al piu' tardi,  al  1°
settembre 2025 (avendo acquisito il diritto in data 1° giugno 2024) e
la seconda al 1° settembre 2026, come previsto dall'art. 3, comma  2,
del decreto-legge 28 marzo 1997, n.  79,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, con legge 28 maggio 1997, n. 140, cosi' come da ultimo
modificato dalla lettera b) del  comma  484  dell'art.  1,  legge  27
dicembre 2013, n. 147 ["Alla liquidazione  dei  trattamenti  di  fine
servizio,  comunque  denominati,"  a  favore  dei  dipendenti   delle
pubbliche amministrazioni, oggi definite dall'art. 1,  comma  2,  del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e al personale in regime di
diritto pubblico di cui all'art. 3, commi 1 e 2, del  decreto  stesso
"l'ente erogatore provvede (...), nei casi di cessazione dal servizio
per raggiungimento dei limiti di eta' o di  servizio  previsti  dagli
ordinamenti di appartenenza, per collocamento a  riposo  d'ufficio  a
causa del raggiungimento dell'anzianita' massima di servizio prevista
dalle   norme    di    legge    o    di    regolamento    applicabili
nell'amministrazione,  decorsi  dodici  mesi  dalla  cessazione   del
rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli  aventi  diritto  l'ente
provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli
interessi"], e dall'art. 12, comma 7,  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78, convertito in legge,  con  modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, legge 30 luglio 2010, n.  122  ["A  titolo  di  concorso  al
consolidamento dei conti pubblici attraverso  il  contenimento  della
dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza
pubblica previsti dall'Aggiornamento del programma  di  stabilita'  e
crescita, dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento,
con riferimento ai dipendenti delle  amministrazioni  pubbliche  come
individuate dall'Istituto nazionale di statistica  (ISTAT)  ai  sensi
del comma 3 dell'art. 1 della legge  31  dicembre  2009,  n.  196  il
riconoscimento dell'indennita' di buonuscita, dell'indennita'  premio
di servizio, del  trattamento  di  fine  rapporto  e  di  ogni  altra
indennita' equipollente corrisposta una  tantum  comunque  denominata
spettante a seguito di cessazione  a  vario  titolo  dall'impiego  e'
effettuato:  (...)  b)  in  due  importi   annuali   se   l'ammontare
complessivo della prestazione, al  lordo  delle  relative  trattenute
fiscali, e' complessivamente superiore a 50.000 euro ma  inferiore  a
100.000 euro. In tal caso il primo importo annuale e' pari  a  50.000
euro e il secondo importo  annuale  e'  pari  all'ammontare  residuo;
(...)"]. 
    1.2. Il ricorrente - che nel  motivare  in  ordine  alla  pretesa
azionata ha  rilevato  l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme
poc'anzi  richiamate  che  hanno  disposto  la  rateizzazione  e   la
dilazione  per  la  liquidazione  e  la  corresponsione  del  T.F.S.,
chiedendo, previamente, la rimessione degli atti innanzi  alla  Corte
costituzionale e  la  sospensione  del  presente  giudizio  -  si  e'
soffermato a ripercorrere l'evoluzione della normativa in materia  di
pagamento del trattamento di fine servizio  in  favore  dei  pubblici
dipendenti, a partire dalla disciplina dettata dall'art. 26, comma 3,
del d.P.R. n. 1032 del 1973,  che  stabiliva  delle  tempistiche  per
rendere  possibile  l'effettiva  corresponsione  del  trattamento  in
questione «immediatamente dopo la data di cessazione dal  servizio  e
comunque non oltre quindici  giorni  dalla  data  medesima»,  sino  a
quella delineata dalle norme dianzi indicate, cui e' soggetto, e  qui
censurata. 
    1.3. Ha, quindi, posto l'accento sul  significativo  innalzamento
disposto dalla disciplina vigente dei termini iniziali e  finale  per
il versamento del trattamento  di  fine  servizio,  decorrenti  dalla
cessazione del rapporto di lavoro, pari, rispettivamente, a  quindici
mesi  (12  mesi  +  3  mesi)  e,  nell'ipotesi  che  direttamente   e
specificamente lo riguarda, a ventiquattro mesi. 
    1.3.1. Analogamente ha  richiamato  l'attenzione  sulla  disposta
rateizzazione e, inoltre, sulla soglia, ora  decisamente  piu'  bassa
che in passato, che ne consente l'erogazione  "in  un  unico  importo
annuale" (ovvero "se l'ammontare complessivo  della  prestazione,  al
lordo delle relative trattenute fiscali, e' complessivamente  pari  o
inferiore a 50.000 euro"). 
    1.4. Si e', quindi, soffermato  -  sulla  base  dell'insegnamento
della  Corte  costituzionale  (sentenza  n.  243  del  1993)   -   ad
evidenziare la  natura  di  retribuzione  differita  con  concorrente
funzione  previdenziale  del  trattamento  in  questione,  tanto  nel
settore pubblico che in quello privato (avendo sia il T.F.R.  che  il
T.F.S., comunque denominati, la medesima finalita' di accompagnare il
lavoratore nella delicata  fase  dell'uscita  dalla  vita  lavorativa
attiva),  dalla  quale  discende  il   requisito   della   necessaria
tempestivita'  dell'erogazione,   quale   corollario   dell'art.   36
Costituzione. 
    1.4.1. Il tempo - ha osservato - assume, infatti,  una  rilevanza
autonoma per due distinti profili: 
      -  "il  primo  attiene  al  costo  in  termini  economici   del
differimento dell'erogazione del TFS", dato che il  differimento  non
e' accompagnato dalla corresponsione della  rivalutazione  monetaria,
ma   soltanto   dagli   interessi   legali    qualora    l'erogazione
dell'emolumento avvenga successivamente  alla  scadenza  del  termine
annuale e  dei  successivi  tre  mesi.  Sicche',  in  una  situazione
caratterizzata da un'inflazione molto elevata  come  quella  attuale,
finisce  per  incidere  sulla  stessa  consistenza  economica   della
prestazione in questione; 
      - "il secondo  (...)  attiene  alla  durata  delle  misure  che
comprimono il diritto del lavoratore alla  tempestiva  corresponsione
del  trattamento  di  fine  servizio",  dato  che  la  dilazione  del
pagamento del T.F.S. non e' piu' una misura  temporanea  destinata  a
far fronte a  una  crisi  contingente,  ma  e'  dotata  di  carattere
strutturale con durata illimitata, tale da rendere  "irragionevole  e
inesigibile il sacrificio imposto ai lavoratori  collocati  a  riposo
avendo raggiunto i limiti d'eta' o di servizio". 
    1.5. Ha, indi, evidenziato che quanto sin qui  argomentato  circa
la natura del trattamento di fine servizio e  la  necessita'  che  lo
stesso venga erogato  con  la  necessaria  tempestivita'  ha  trovato
puntuale conferma nella sentenza della Corte  costituzionale  n.  159
del 25 giugno 2019 e, piu' recentemente, in  quella  n.  130  del  23
giugno 2023. 
    1.5.1. Segnatamente, ha ricordato che  la  Corte  costituzionale,
con la prima  pronuncia,  pur  ritenendo  non  fondata  la  questione
sottoposta al suo vaglio (i.e. "legittimita' costituzionale dell'art.
3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140,  e  dell'art.  12,
comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010,  n.  78,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,  n.  122,  in  riferimento
agli articoli 3 e 36 della Costituzione"),  venendo  in  rilievo,  in
quel caso, una cessazione  anticipata  dal  servizio,  rispetto  alla
quale le disposizioni in materia di differimento e rateizzazione  del
T.F.S. sono state, per l'appunto, ritenute legittime in  quanto  esse
mirano a scoraggiare l'esodo anticipato dei dipendenti pubblici e, in
questo senso, le stesse appaiono  eque  e  non  discriminatorie,  ha,
pero',  incidentalmente  ritenuto  -  proprio  avuto  riguardo   alla
tematica estranea a quel giudizio (ovvero «il pagamento  differito  e
rateale  delle  indennita'  di  fine  rapporto...  nelle  ipotesi  di
raggiungimento dei limiti di eta' e di servizio o di  collocamento  a
riposo d'ufficio a causa del raggiungimento  dell'anzianita'  massima
di servizio») - di «segnalare al Parlamento l'urgenza  di  ridefinire
una disciplina non priva di aspetti problematici, nell'ambito di  una
organica  revisione  dell'intera  materia,  peraltro  indicata   come
indifferibile nel recente dibattito  parlamentare»,  richiamando,  in
particolare,  l'attenzione  sul  fatto  che  «la  disciplina  che  ha
progressivamente dilatato i tempi  di  erogazione  delle  prestazioni
dovute  alla  cessazione  del  rapporto  di  lavoro  ha  smarrito  un
orizzonte  temporale  definito  e  la  iniziale  connessione  con  il
consolidamento dei  conti  pubblici  che  l'aveva  giustificata.  Con
particolare riferimento ai casi in cui sono  raggiunti  i  limiti  di
eta' e di servizio, la duplice funzione retributiva  e  previdenziale
delle  indennita'  di  fine  rapporto,  conquistate  "attraverso   la
prestazione  dell'attivita'  lavorativa  e  come  frutto   di   essa"
(sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del  Considerato  in  diritto),
rischia  di  essere  compromessa,  in  contrasto   con   i   principi
costituzionali che,  nel  garantire  la  giusta  retribuzione,  anche
differita, tutelano la dignita' della persona umana». 
    1.5.2. A seguito del monito della Corte, lo Stato si e'  limitato
ad introdurre la disciplina dell'anticipazione della  prestazione  di
cui all'art. 23 del decreto-legge n.  4  del  2019,  secondo  cui  e'
possibile richiedere il finanziamento di una somma, pari  all'importo
massimo di euro 45.000,00, dell'indennita' di fine servizio maturata,
garantito dalla cessione pro solvendo del credito avente  ad  oggetto
l'emolumento, dietro versamento di  un  tasso  di  interesse  fissato
dall'art. 4, comma 2, del decreto ministeriale  19  agosto  2020,  in
misura pari al rendimento medio dei titoli pubblici maggiorato  dello
0,40 per cento. 
    1.5.3. L'I.N.P.S., dal canto suo, con delibera del  Consiglio  di
amministrazione  n.  219  del   9   novembre   2022,   ha   istituito
l'anticipazione del T.F.S., prevedendo al  riguardo  la  possibilita'
per gli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni  creditizie
e sociali di usufruire di un finanziamento pari all'intero  ammontare
del trattamento maturato e liquido, erogato  al  tasso  di  interesse
pari all'1% fisso (a cui si aggiungono le spese di  amministrazione),
sempre dietro cessione pro solvendo della  corrispondente  quota  non
ancora esigibile del T.F.S. 
    1.5.4. Con la successiva sentenza n. 130 del 2023, vertente sulla
medesima questione di diritto  per  contrasto  con  il  principio  di
proporzionalita' della retribuzione, espresso dall'art. 36 Cost.,  la
Corte, ponendosi in continuita' con la precedente pronuncia del 2019,
della quale ha condiviso le  premesse  concettuali  e  riproposto  le
argomentazioni  principali,  ha  stigmatizzato  la  mancanza  di  una
«riforma   specificamente   volta   a   porre   rimedio   al   vulnus
costituzionale riscontrato...», osservando, in  particolare,  che  la
disciplina  dell'anticipazione  della  prestazione   introdotta   dal
legislatore nel 2019 e il finanziamento delineato dall'INPS di cui si
e'  riferito  ai  precedenti  par.  1.5.2  e  1.5.3  «investono  solo
indirettamente  la  disciplina  dei  tempi  di  corresponsione  delle
spettanze di fine servizio»,  limitandosi  a  riconoscere  all'avente
diritto   la   facolta'   di   evitare   la   percezione    differita
dell'indennita' accedendo pero' al finanziamento oneroso delle stesse
somme dovutegli a tale titolo. 
    In particolare, ha rimarcato che «il  legislatore  non  ha  (...)
espunto  dal  sistema  il  meccanismo  dilatorio  all'origine   della
riscontrata violazione, ne' si e' fatto carico della spesa necessaria
a ripristinare l'ordine costituzionale violato, ma ha riversato sullo
stesso  lavoratore  il  costo  della  fruizione  tempestiva   di   un
emolumento che, essendo rapportato alla retribuzione  e  alla  durata
del  rapporto  e  quindi,  attraverso  questi  due  parametri,   alla
quantita' e alla qualita' del lavoro, e' parte  del  compenso  dovuto
per il servizio prestato (sentenza n. 106 del 1996)». 
    A fronte di tale  inerzia  -  pur  dichiarando  inammissibili  le
questioni sollevate dal  giudice  a  quo,  in  quanto  «...Al  vulnus
costituzionale riscontrato con riferimento all'art. 3, comma  2,  del
decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, questa Corte non puo',
allo stato, porre rimedio,  posto  che  il  quomodo  delle  soluzioni
attinge  alla  discrezionalita'  del  legislatore.   Deve,   infatti,
considerarsi il rilevante impatto in termini di  provvista  di  cassa
che il  superamento  del  differimento  in  oggetto,  in  ogni  caso,
comporta; cio'  che  richiede  che  sia  rimessa  al  legislatore  la
definizione della gradualita' con cui il pur indefettibile intervento
deve essere attuato, ad esempio, optando per una  soluzione  che,  in
ossequio ai richiamati principi di adeguatezza della retribuzione, di
ragionevolezza  e  proporzionalita',   si   sviluppi   muovendo   dai
trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri...»  -  ha
rinnovato  l'invito  al   legislatore   a   provvedere,   non   senza
tralasciare,  tuttavia,  di  porre  l'accento  sul  fatto  che:   «La
discrezionalita' di cui gode il legislatore nel determinare i mezzi e
le modalita' di attuazione di una riforma  siffatta  deve,  tuttavia,
ritenersi, temporalmente limitata. 
    La  lesione  delle  garanzie   costituzionali   determinata   dal
differimento della corresponsione delle prestazioni in  esame  esige,
infatti,  un  intervento  riformatore  prioritario,  che   contemperi
l'indifferibilita' della reductio ad legitimitatem con la  necessita'
di inscrivere la spesa da essa  comportata  in  un  organico  disegno
finanziario che tenga conto anche degli impegni  assunti  nell'ambito
della precedente programmazione economico-finanziaria. 
    In proposito,  questa  Corte  deve  evidenziare,  come  in  altre
analoghe  occasioni,  "che  non   sarebbe   tollerabile   l'eccessivo
protrarsi  dell'inerzia  legislativa  in  ordine  ai  gravi  problemi
individuati dalla presente pronuncia" (da ultimo, sentenza n. 22  del
2022; si vedano anche sentenze n. 120 e n. 32 del 2021). 
    Accertata  la  necessita'  della  espunzione   della   disciplina
concernente tale differimento, va rilevato,  quanto  alla  previsione
del pagamento  rateale  del  trattamento  di  fine  servizio  di  cui
all'art. 12,  comma  7,  del  decreto-legge  n.  78  del  2010,  come
convertito - l'altra disposizione censurata - che il sistema cui essa
ha dato luogo, essendo strutturato secondo una progressione  graduale
delle dilazioni, via via piu'  ampie  in  proporzione  all'incremento
dell'ammontare della prestazione, da un lato, calibra  il  sacrificio
economico derivante dalla percezione  frazionata  dell'indennita'  in
modo tale da renderne  esenti  i  beneficiari  dei  trattamenti  piu'
modesti; dall'altro, assicura ai titolari delle indennita'  ricadenti
negli scaglioni via  via  piu'  elevati  la  percezione  immediata  -
rectius: che diverra' immediata solo all'esito della eliminazione del
differimento previsto dall'art. 3, comma 2, del D.L. n. 79 del  1997,
come  convertito  -  almeno  di  una  parte  della  prestazione  loro
spettante. 
    Tuttavia, questa Corte non puo' esimersi dal considerare che tale
disciplina - peraltro connessa, per espressa previsione della  stessa
norma  censurata,  alle  esigenze,  necessariamente  contingenti,  di
consolidamento dei conti  pubblici  -  in  quanto  combinata  con  il
descritto  differimento,  finisce  per  aggravare  il  vulnus   sopra
evidenziato». 
    1.6. In punto di fatto il ricorrente ha,  inoltre,  ulteriormente
rappresentato che: 
      - quanto alle competenze del legislatore, nel giugno 2024  sono
stati presentati due disegni di legge (atti C-1254 e C-1264), che non
hanno pero' avuto seguito in ragione  del  parere  negativo  espresso
dalla Ragioneria generale dello Stato (parere allegato al ricorso); 
      -  quanto  alle   competenze   dell'I.N.P.S.,   il   meccanismo
dell'anticipazione introdotto con  la  richiamata  deliberazione  del
C.d.A. n. 219/2022 (il quale peraltro  ha  consentito  solo  a  pochi
soggetti di accedere al beneficio stante la limitatezza delle risorse
finanziarie disponibili) e' stato da ultimo abrogato; 
      - neanche  l'altro  istituto  introdotto  nel  2019  (ossia  il
finanziamento bancario) e' satisfattivo,  anche  perche'  non  esiste
alcun obbligo per le banche di contrarre e comunque al beneficio  non
potrebbero accedere i c.d. cattivi pagatori (in generale, poi, questi
strumenti sono stati definiti dalla stessa  Corte  costituzionale  di
per se' non idonei a superare i profili di incostituzionalita'  delle
norme che prevedono la dilazione del pagamento e la rateizzazione del
T.F.S.). 
    1.7. Sicche' - richiamando l'attenzione sul fatto che  nonostante
il lungo lasso di tempo decorso dalla prima sentenza monito e  anche,
oramai, dalla seconda che ha accertato la illegittimita' della norma,
pur  non  dichiarandola,  e  sulla  perduranza  della  situazione  di
incostituzionalita', tale da rendere non piu' tollerabile il vuoto di
tutela costituzionale che ne deriva e imponendosi, anzi, l'intervento
della Corte - ha  quindi,  come  detto,  chiesto  l'accertamento  del
diritto a percepire il T.F.S. senza dilazioni e senza rateizzazioni e
la condanna dell'Istituto previdenziale  intimato  a  corrispondergli
senza dilazione l'intero  importo  di  spettanza  oltre  interessi  e
rivalutazione dal di' del dovuto al saldo,  previa  nuova  rimessione
alla   Corte   costituzionale   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997,
n. 79 (Misure urgenti per il riequilibrio  della  finanza  pubblica),
convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 1997, n. 140,  e
successive modifiche e dell'art. 12, comma 7,  del  decreto-legge  31
maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di  stabilizzazione
finanziaria  e  di   competitivita'   economica),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 30  luglio  2010,  n.  122,  e  successive
modifiche, per (manifesta e reiterata) violazione dell'art. 36  Cost.
e dell'art. 1 Protocollo 1 CEDU. 
    1.7.1. Il ricorrente ha dedotto, segnatamente, che: 
      - l'art. 36 Cost. statuisce che il lavoratore ha diritto ad una
retribuzione proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro e
in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia una
esistenza libera e dignitosa. La retribuzione, pertanto, da  un  lato
non  deve  mai  perdere  il  suo  collegamento  con  la   prestazione
lavorativa svolta e, dall'altro, deve essere adeguata  e  sufficiente
ai sensi dell'art. 36 Cost., avendo a  riguardo  non  solo  alla  sua
entita', ma anche alla tempestivita' della sua corresponsione. Questi
principi, come detto, si applicano anche al T.F.S. in  ragione  della
sua natura di  retribuzione  differita,  funzionale  fra  l'altro  ad
accompagnare al lavoratore nel  momento  delicato  della  sua  uscita
dalla vita lavorativa. La Corte costituzionale ha in  piu'  occasioni
ribadito  che  tutte  le  misure  che  incidono  sul   diritto   alla
retribuzione per superare  il  vaglio  di  costituzionalita'  debbono
essere giustificare da comprovate ragioni  di  interesse  generale  e
devono avere efficacia limitata nel tempo (sentenze n. 178 del 2015 e
n. 173 del 2016). Nel caso  delle  modalita'  di  corresponsione  del
T.F.S. questi paletti sono stati ampiamente travalicati, visto che  i
sacrifici imposti agli aventi diritto a tale trattamento  sono  ormai
divenuti strutturali e non piu' legati ad emergenze finanziarie; 
      - per costante giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo (Fabian c. Ungheria [GC], n. 78117/13,  5  settembre  2017;
Stefanetti,  n.  21838/10,  15  settembre   2014)   le   pensioni   e
conseguentemente anche il trattamento di fine servizio  maturato  per
effetto della vita lavorativa costituiscono un "bene" ai sensi  della
Convenzione. Secondo le norme generali applicabili, il diritto matura
ed entra a far parte del patrimonio del titolare al momento in cui si
soddisfano i requisiti  per  il  pensionamento.  Le  prestazioni  non
ancora percepite rientrano nella sfera di  applicazione  dell'art.  1
Protocollo 1 allegato alla Convenzione,  in  quanto  espressione  del
diritto, gia' maturato e gia' parte del patrimonio del ricorrente fin
dal momento del raggiungimento dei requisiti  necessari,  e  in  ogni
caso  debbono  essere  considerate  espressione  di  una   "legittima
aspettativa", esplicitamente  riconosciuta  e  tutelata  dal  diritto
costituzionale interno (Kopecký  c.  Slovacchia  [GC],  n.  44912/98,
28/9/2004; Plalam SPA c. Italia, n. 16021/02, 8/2/2011). In casi  del
genere la Corte  EDU  verifica  se  il  diritto  dell'interessato  di
beneficiare delle  prestazioni  previdenziali  e  pensionistiche  sia
stato violato in misura tale da comprometterne l'essenza  (Domalewski
c. Polonia (dec.); Kjartan Asmundsson c. Islanda, § 39; Wieczorek  c.
Polonia, § 57;  Rasmussen  c.  Polonia,  §  75;  Valkov  e  altri  c.
Bulgaria, §§ 91 e 97; Maggio e altri c. Italia, §  63;  Stefanetti  e
altri c. Italia, § 55). 
    2. L'I.N.P.S., seppur ritualmente evocato in giudizio, non si  e'
costituito. 
    3. In prossimita'  dell'udienza  pubblica  del  15  luglio  2025,
fissata per la trattazione del ricorso, il ricorrente ha chiesto: 
      - in via principale, di  sospendere  il  presente  giudizio  in
attesa   della   definizione   della   questione   di    legittimita'
costituzionale gia' rimessa alla Corte costituzionale dalle ordinanze
n. 105/2025  del  Tribunale  amministrativo  regionale  Marche  e  n.
4169/2025 del Tribunale amministrativo regionale Lazio - Roma; 
      -  in  subordine,  di  trattenere  la  causa  in  decisione  e,
richiamando  le  conclusioni  gia'  rassegnate  nel  ricorso,  previa
dichiarazione  di  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza   della
questione di legittimita' costituzionale  illustrata,  sospendere  il
giudizio e rimettere gli atti innanzi alla Corte  costituzionale  per
la declaratoria di incostituzionalita' delle disposizioni individuate
e per l'effetto accertare e dichiarare  il  diritto  del  ricorrente,
cessato dal servizio per raggiunti limiti di  eta',  a  percepire  il
T.F.S. senza dilazioni  e  senza  rateizzazione  e  la  condanna  del
resistente  a  corrispondere  senza  dilazione  l'intero  importo  di
spettanza, oltre interessi e rivalutazione  dal  di'  del  dovuto  al
saldo. 
    4. Celebrata la detta udienza, la causa e' stata  introitata  per
la decisione. 
    4.1. All'esito  della  successiva  Camera  di  consiglio,  questo
Tribunale Amministrativo Regionale, ritenendo preferibile rimettere a
propria volta alla Corte costituzionale la questione di  legittimita'
costituzionale delle  norme  dianzi  indicate  prospettata  da  parte
ricorrente e sospendere  il  giudizio,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza,  ravvisando,  invero,  sussistere  i  presupposti  di  cui
all'art. 23 della legge 11  marzo  1953,  n.  87,  nella  preliminare
condivisione  di  quanto  osservato  dal   Tribunale   amministrativo
regionale  Marche,  al  par.  6.2.2.,  della  propria  ordinanza   di
rimessione («Si deve... convenire con il  ricorrente  sul  fatto  che
nella specie la Corte ha adottato una c.d. sentenza monito, ossia  ha
accertato l'incostituzionalita' delle norme di  legge  sottoposte  al
suo giudizio, ma non l'ha dichiarata formalmente sul presupposto  che
la riforma  organica  della  materia  compete  solo  al  legislatore,
venendo in rilievo vari interessi  di  rango  costituzionale  la  cui
ottimale  composizione  implica  delicate   valutazioni   di   ordine
politico,  relative  anzitutto  al  procacciamento  della   provvista
finanziaria necessaria per ricondurre il  sistema  alla  legittimita'
costituzionale. 
    Ovviamente le c.d. sentenze monito, in assenza di  una  specifica
disposizione costituzionale che ne disegni la relativa disciplina, da
un  lato  non  vincolano  il  legislatore  (non  esiste  infatti  uno
strumento  tecnico  in  forza  del  quale  si  possa   obbligare   il
legislatore ad adeguarsi ad una pronuncia  della  Corte),  dall'altro
lato pongono due questioni  preliminari,  relative,  rispettivamente,
all'accertamento della "inottemperanza" e al termine entro  il  quale
il legislatore avrebbe dovuto  adeguarsi.  Infatti,  in  presenza  di
"sentenze monito" a cui non abbia fatto seguito alcun intervento  del
legislatore  e'  necessario  verificare  (e  tale  verifica   compete
ovviamente solo alla Corte costituzionale): 
      - se si e' effettivamente in presenza di una "inottemperanza" o
se esistono ragioni che giustificano l'inattivita' del legislatore; 
      - se tale "inottemperanza" si e' protratta per  un  periodo  di
tempo tale da costituire nella sostanza  un'elusione  delle  pronunce
della Corte. 
    Quanto al primo profilo, e ribadito che le norme applicate  nella
specie dall'I.N.P.S. non risultano ad oggi modificate,  va  osservato
che nella sentenza n. 130 del 2023 la Corte  costituzionale  ha  gia'
evidenziato che le misure finalizzate a consentire all'ex  dipendente
di chiedere anticipazioni del T.F.S. o finanziamenti  bancari  previa
cessione pro solvendo del credito non sono  risolutive  perche'  "...
non apportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si limitano
a riconoscere all'avente diritto la facolta' di evitare la percezione
differita dell'indennita' accedendo pero'  al  finanziamento  oneroso
delle stesse somme dovutegli a tale titolo...". 
    Il Tribunale ritiene dunque che vi siano  fondati  argomenti  per
sostenere che allo stato il  legislatore  non  si  e'  oggettivamente
adeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023  (mentre  in
questa sede non sono valutabili eventuali ragioni  che  giustifichino
tale inerzia). 
    Quanto al secondo profilo, per un verso e' del  tutto  ovvio  che
non  si  puo'  pretendere  un  adeguamento  immediato  da  parte  del
legislatore   (stanti   anche   i   tempi   tecnici   necessari   per
l'approvazione  di  una  proposta  di  legge),  per  altro  verso  e'
altrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non  tradursi  di
fatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere  ottemperate  in
un tempo ragionevole, che pero' non puo' essere stabilito dal giudice
di merito, ma solo dal Giudice delle leggi»). 
    B) Rilevanza della questione 
    5. La questione e' rilevante per le seguenti ragioni. 
    5.1. Al fine del decidere vengono in rilievo le  disposizioni  di
cui all'art. 3, comma 2, del decreto-legge  28  marzo  1997,  n.  79,
convertito in legge, con modificazioni, con legge 28 maggio 1997,  n.
140, cosi' come da ultimo modificato dalla lettera b) del  comma  484
dell'art. 1, legge 27 dicembre 2013, n. 147 ["Alla  liquidazione  dei
trattamenti di fine servizio,  comunque  denominati,"  a  favore  dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni, oggi  definite  dall'art.
1, comma 2, del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165  e  al
personale in regime di diritto pubblico di cui all'art. 3, commi 1  e
2, del decreto stesso "l'ente erogatore provvede (...), nei  casi  di
cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di  eta'  o  di
servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento
a riposo d'ufficio a causa del raggiungimento dell'anzianita' massima
di  servizio  prevista  dalle  norme  di  legge  o   di   regolamento
applicabili   nell'amministrazione,   decorsi   dodici   mesi   dalla
cessazione del rapporto di lavoro. Alla  corresponsione  agli  aventi
diritto l'ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i  quali
sono  dovuti  gli  interessi"],  e  all'art.   12,   comma   7,   del
decreto-legge 31  maggio  2010,  n.  78,  convertito  in  legge,  con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio 2010, n. 122 ["A
titolo di concorso al consolidamento dei conti pubblici attraverso il
contenimento della dinamica della spesa corrente nel  rispetto  degli
obiettivi  di  finanza  pubblica  previsti   dall'Aggiornamento   del
programma di stabilita' e crescita, dalla data di entrata  in  vigore
del presente  provvedimento,  con  riferimento  ai  dipendenti  delle
amministrazioni pubbliche come individuate dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'art. 1  della  legge  31
dicembre  2009,  n.  196   il   riconoscimento   dell'indennita'   di
buonuscita, dell'indennita' premio di servizio,  del  trattamento  di
fine rapporto e di ogni altra indennita' equipollente corrisposta una
tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a  vario
titolo dall'impiego e' effettuato: (...) b) in due importi annuali se
l'ammontare complessivo della prestazione, al  lordo  delle  relative
trattenute fiscali, e' complessivamente superiore a  50.000  euro  ma
inferiore a 100.000 euro. In tal caso il  primo  importo  annuale  e'
pari a 50.000 euro e il secondo importo annuale e' pari all'ammontare
residuo; (...)"]. 
    5.2. Trattasi di disposizioni che,  cosi'  come  formulate,  sono
impeditive all'accoglimento della domanda  azionata  dal  ricorrente,
volta all'accertamento del diritto, in quanto  cessato  dal  servizio
per raggiunti limiti di eta' in data  31  maggio  2024,  a  percepire
l'importo di spettanza a titolo di T.F.S.  senza  dilazioni  e  senza
rateizzazione e alla, conseguente, condanna  dell'Istituto  stesso  a
corrispondergli  senza  dilazione  l'intero  importo  dovuto,   oltre
interessi e rivalutazione. 
    5.2.1. Secondo il loro inequivoco tenore testuale, insuscettibile
di un'interpretazione adeguatrice e/o  costituzionalmente  orientata,
il ricorso dovrebbe,  infatti,  essere  respinto  poiche'  le  stesse
prevedono,  per  l'appunto,  le  dilazioni  e  la  rateizzazione  dal
medesimo contestate. 
    5.3.  Laddove  venisse,  tuttavia,  accolta   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  dianzi  sinteticamente  prospettata  il
presente giudizio avrebbe un esito diverso, in quanto  la  dichiarata
incostituzionalita' delle norme oggetto di  applicazione  -  che,  si
sottolinea,  dettano,  con  precisione,  tempi  (dilatori)   per   la
liquidazione e la corresponsione del T.F.S. e stabiliscono,  in  ogni
caso, la rateazione  per  l'erogazione  di  importi  come  quello  di
stimata spettanza del ricorrente  -  determinerebbe,  per  l'appunto,
l'accertamento  del  diritto  del  medesimo  ad  ottenere  quanto  di
spettanza a titolo di T.F.S. nei sensi  auspicati  e  la  conseguente
condanna dell'Istituto intimato  a  corrisponderglielo  negli  stessi
termini e con le medesime modalita'. 
    5.4. Un tanto soddisfa, ad avviso del  Collegio,  il  presupposto
della rilevanza della questione, ai  sensi  dell'art.  23,  comma  2,
della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo il quale e' necessario  che
«il  giudizio  non  possa  essere  definito  indipendentemente  dalla
risoluzione della questione  di  legittimita'  costituzionale»  della
norma primaria contestata. 
    C) Sulla non manifesta infondatezza della questione 
    6. Il Collegio ritiene, inoltre, non manifestamente infondato, ai
sensi della norma dianzi  indicata,  il  denunciato  conflitto  delle
norme che qui vengono  in  rilievo  con  il  principio  di  giusta  e
tempestiva retribuzione, radicato nell'art. 36 della Costituzione,  e
di tutela della sfera patrimoniale del lavoratore, ai sensi dell'art.
117,  comma  primo,  della  Carta  costituzionale  in  relazione   al
parametro interposto dell'art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950  (di  seguito,  CEDU),
ratificata e resa esecutiva con  la  legge  4  agosto  1955,  n.  848
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma  il  4
novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla  Convenzione  stessa,
firmato a Parigi il 20 marzo 1952), laddove il  trattamento  di  fine
servizio costituisce espressione di una legittima  aspettativa  della
persona, gia' entrata a far parte del suo patrimonio per effetto  del
raggiungimento dei requisiti necessari. 
    6.1.  In  tal  senso,  s'appalesano,  invero,  condivisibili   le
deduzioni svolte dal ricorrente e di cui s'e' riferito ai  §§  1.7  e
1.7.1, alla cui lettura si rinvia. 
    6.2. La Corte costituzionale ha, peraltro, piu'  volte  affermato
il principio per il quale una misura quale quella  in  esame  (che  -
come sottolineato nella sentenza n. 159 del 2019 - trovava originaria
connessione  giustificativa  "con   il   consolidamento   dei   conti
pubblici"), per superare lo scrutinio di costituzionalita', non  puo'
riguardare un arco temporale indefinito, ma deve essere  giustificato
da una crisi contingente e deve atteggiarsi quale misura  una  tantum
(sent. n. 178 del 2015 e n. 173 del 2016). 
    6.3. In ragione dell'inerzia del legislatore nell'adeguarsi  alle
sentenze  della  Corte  costituzionale  di  cui  innanzi  sono  stati
riportati ampi stralci, il diritto al T.F.S. risulta, invero, violato
in misura tale da snaturarne  il  contenuto,  sia  in  ragione  della
rateizzazione del pagamento, sia alla luce del fatto che la dilazione
temporale non e' compensata dalla rivalutazione monetaria delle somme
spettanti all'ex dipendente pubblico. Ne consegue che la retribuzione
differita viene ad essere di fatto non piu' proporzionata e  adeguata
rispetto all'attivita' lavorativa svolta e ai contributi versati. 
    6.3.1. Giova, infatti, osservare  -  come  gia'  evidenziato  nel
corso dell'esposizione della vicenda fattuale - che il trattamento di
fine servizio o rapporto costituisce una componente del compenso  che
il  lavoratore  ha  conseguito  come   corrispettivo   dell'attivita'
lavorativa e che fa parte integrante del  suo  patrimonio,  tanto  e'
vero che in caso di decesso  prematuro  del  dipendente  l'emolumento
viene erogato ai congiunti superstiti. Inoltre  il  T.F.S.  spetta  a
prescindere dalla causa  di  cessazione  del  rapporto  di  lavoro  e
dall'accertamento dello  stato  di  bisogno  dell'avente  diritto.  I
trattamenti  di  fine  servizio  sono   ispirati   al   criterio   di
corrispettivita' e restituiscono al lavoratore, alla  cessazione  del
rapporto, una somma certa e di ammontare ben definito (al riguardo si
tiene infatti conto della retribuzione percepita in servizio e  della
durata del rapporto di lavoro), che viene  definitivamente  acquisita
al  suo  patrimonio  e   devoluta   per   successione   legittima   o
testamentaria in caso di decesso del lavoratore in servizio. 
    6.3.2. Ne deriva che il trattamento di fine servizio deve  essere
erogato con la necessaria tempestivita', questa essendo un corollario
indispensabile dei principi di proporzionalita' e  adeguatezza  della
retribuzione sanciti dall'art. 36 Cost. e delle  esigenze  di  tutela
della sfera patrimoniale del lavoratore  a  garanzia  della  dignita'
della persona umana che trova fondamento nell'art. 1 Prot. n. 1 CEDU,
atteso che il trattamento di fine servizio costituisce espressione di
una legittima aspettativa della persona, gia' entrata a far parte del
suo  patrimonio  per  effetto  del   raggiungimento   dei   requisiti
necessari. 
    7.   Va   dunque   sollevata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale degli  articoli  3,  comma  2,  del  decreto-legge  n.
79/1997,  convertito  nella   legge   n.   140/1997,   e   successive
modificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7,  del  decreto-legge  n.
78/2010, convertito, con modificazioni, nella legge  n.  122/2010,  e
successive modificazioni ed integrazioni,  per  il  profilo  relativo
all'omesso adeguamento delle norme stesse alle sentenze  della  Corte
costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l'inerzia
del legislatore  reitera  la  lesione  sostanziale  del  diritto  del
dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta'
alla percezione  di  una  retribuzione  (in  questo  caso  differita)
sufficiente   e   proporzionata   all'attivita'   lavorativa   svolta
dall'interessato (art. 36 Cost.).  La  lesione  sostanziale  discende
dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del  pagamento  della
somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento  degli
importi pagati all'andamento dell'inflazione. 
    8. Laddove si volesse invece ritenere che le sentenze monito  non
vincolano ne' il legislatore  ne'  la  stessa  Corte  costituzionale,
vanno nuovamente sollevate  le  medesime  questioni  di  legittimita'
costituzionale delle prefate disposizioni di legge,  nella  parte  in
cui le stesse prevedono - come misure ormai strutturali  e  non  piu'
legate  a   specifiche   emergenze   finanziarie   -   la   dilazione
dell'effettiva erogazione  del  T.F.S.  e  (nell'ipotesi  di  importi
superiori a euro 50.000,00, come e' nel caso dell'odierno ricorrente)
la rateizzazione dei pagamenti, non accompagnate dalla  rivalutazione
delle somme via via erogate all'ex dipendente  pubblico  cessato  dal
servizio per raggiunti limiti di eta'. 
    8.1. Tali disposizioni confliggono con  l'art.  36  Cost.  per  i
profili gia' ampiamente evidenziati dalla Corte costituzionale  nella
sentenza n. 130 del 2023 e riepilogati nel  §  1.5.4  della  presente
ordinanza, nonche' con l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione
all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU. 
    9. Per  le  ragioni  sin  qui  esposte,  il  Collegio,  ritenendo
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dianzi prospettata per il profilo relativo  all'omesso
adeguamento  delle  norme  medesime   alle   sentenze   della   Corte
costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023 e, in ogni caso, per
contrasto con l'art. 36 Cost., nonche' con l'art. 117,  primo  comma,
Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo  n.  1  alla  CEDU,  la
solleva, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 dell'11 maggio 1983,
e  dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale, sospendendo, al contempo, il giudizio in corso. 
    10. Ogni ulteriore statuizione in rito, in  merito  e  in  ordine
alle spese e' riservata alla decisione definitiva. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Friuli-Venezia
Giulia, I Sezione, dichiara rilevante per la definizione del presente
giudizio e non manifestamente infondata, per le  ragioni  di  cui  in
motivazione, la questione  di  costituzionalita'  degli  articoli  3,
comma 2, del decreto-legge n.  79/1997,  convertito  nella  legge  n.
140/1997, e successive modificazioni ed integrazioni, e 12, comma  7,
del decreto-legge n. 78/2010, convertito,  con  modificazioni,  nella
legge n. 122/2010, e successive modificazioni ed integrazioni, per il
profilo relativo all'omesso adeguamento  delle  norme  medesime  alle
sentenze della Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023
e per contrasto con l'art. 36 Cost. e l'art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione all'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU. 
    Conseguentemente   solleva   la   questione    di    legittimita'
costituzionale delle norme citate nei sensi dianzi precisati. 
    Sospende,  per  l'effetto,  il  giudizio  fino  alla  definizione
dell'incidente di costituzionalita' di  cui  alla  questione  data  e
ordina   la   immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
costituzionale. 
    Manda alla Segreteria  di  provvedere  alla  notificazione  della
presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del  Consiglio
dei ministri, nonche' alla comunicazione della stessa  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Ordina che la  presente  ordinanza  sia  eseguita  dall'Autorita'
Amministrativa. 
    Cosi' deciso in Trieste nella Camera di consiglio del  giorno  15
luglio 2025 con l'intervento dei magistrati: 
      Carlo Modica de Mohac di Grisi', Presidente 
      Manuela Sinigoi, Consigliere, Estensore 
      Daniele Busico, Primo Referendario 
 
              Il Presidente: Modica de Mohac di Grisi' 
 
 
                                                 L'estensore: Sinigoi
                    
Loading…
Loading the web debug toolbar…
Attempt #