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Romano Ezio - Giudice relatore \n dott.ssa Lai Federica - Esperta \n dott.ssa Mediani Giorgia - Esperta \n Con la partecipazione della dott.ssa Marzocchi Silvia Sost.\nprocuratore generale presso la Corte d\u0027Appello di Bologna, per\ndeliberare sulle domande di: \n detenzione domiciliare, art. 47-ter O.P.· \n proposte da G. M. , nato a ( ) il , in relazione alla\npena di cui alla sentenza n. emessa dal G.I.P. presso il Tribunale\ndi Forli\u0027 il , irrevocabile il 31 ottobre 2020. \n \n Osserva \n \n Con la sentenza in epigrafe, resa ai sensi dell\u0027art. 444 codice\ndi procedura penale G. e\u0027 stato condannato per numerosi delitti di\ntruffa, violenza sessuale (609-bis comma 3 c.p.) ed abusivo esercizio\ndi una professione commessi nel in , per un totale di ventotto capi\ndi imputazione, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione. \n Il condannato, all\u0027epoca di emissione dell\u0027ordine di\ncarcerazione, ha avanzato domanda di detenzione domiciliare, da\neseguirsi al domicilio di famiglia. \n Nelle more del giudizio, tuttavia, la condizione personale del G.\nrisulta essere di molto cambiata. \n Il condannato, infatti, che era alla data di proposizione della\ndomanda assistito dalla moglie in quanto affetto da alcune patologie\ninvalidanti, ha visto un progressivo deterioramento delle sue\ncondizioni sanitarie, acuito dalla scomparsa della moglie, deceduta\nnel . Da allora, il G. e\u0027 inserito in una struttura privata per\nanziani, , sita in ( ), loc. , via , ove trascorre\nintegralmente le proprie giornate e riceve saltuarie visite da parte\ndella figlia. \n Con memoria per l\u0027odierna udienza, i difensori di G. M. hanno\nsollecitato il Tribunale di Sorveglianza a compiere una riflessione\nsu come le attuali condizioni del condannato appaiano tali da\ndeterminare non solo una incompatibilita\u0027 con l\u0027espiazione della pena\nin regime detentivo ma, piu\u0027 in generale in generale, a rendere non\npossibile in concreto la stessa sottoposizione del proprio assistito\na qualsiasi forma di esecuzione penale, foss\u0027anche di tipo\nextramurario. \n La persona, infatti, e\u0027 inserita in struttura per anziani,\naffetta da deficit cognitivi e di deambulazione, al punto da non\napparire capace di comprendere il senso dell\u0027esecuzione penale o\nsvolgere percorsi di tipo risocializzante propri della piu\u0027 ampia\nmisura dell\u0027affidamento in prova al servizio sociale ai sensi\ndell\u0027art. 47 legge n. 354/1975 (d\u0027ora innanzi anche O.P.). \n D\u0027altro canto, continuano i difensori, l\u0027eventuale applicazione\ndi una detenzione domiciliare apparirebbe operativamente difficile,\npotendo questa incidere sulla possibilita\u0027 del G. di rimanere\nall\u0027interno della struttura che attualmente gli garantisce\nl\u0027assistenza sanitaria di cui egli necessita e, in ogni caso, non\nutile ne\u0027 in senso rieducativo ne\u0027 in senso special-preventivo.\nInvero, la persona a causa delle patologie in essere non esprime\nalcuna pericolosita\u0027 sociale residua, essendo sostanzialmente\nconfinata all\u0027interno della struttura di accoglienza ove riceve\nassistenza sanitaria. \n Sono allegati in atti sia dalla difesa che dall\u0027UEPE\ncertificazione INPS e referti clinici che delineano il seguente\nquadro. \n G. e\u0027 affetto da encefalopatia cronica con atrofia cerebrale,\ndiabete mellito pluricomplicato, retinopatia diabetica con cecita\u0027,\ncardiopatia, sordita\u0027 e incontinenza urinaria. \n La persona necessita, pertanto, di assistenza socio-sanitaria\ncontinuativa e specialistica, erogabile solo in ambiente protetto,\nallo stato garantito dalla residenza per anziani in cui e\u0027 ospitato. \n L\u0027indagine socio familiare dell\u0027UEPE, a fronte della incapacita\u0027\ndella persona di recarsi presso il servizio, si e\u0027 svolta mediante\ncolloquio con la figlia dell\u0027interessato. \n La donna ha rappresentato le difficolta\u0027 del padre ed ha espresso\nil proprio timore rispetto all\u0027eventuale applicazione di misure\nalternative, in quanto lo svolgimento dei necessari controlli da\nparte delle Forze dell\u0027ordine per verificare il rispetto della\nmisura, gravando sulla struttura ospitante, potrebbe indurre la\nresidenza per anziani, struttura privata, a non confermare la\ndisponibilita\u0027 ad ospitare l\u0027istante, con pregiudizio per le sue\nesigenze di cura. \n L\u0027UEPE indica che alla luce del quadro sanitario emergente dalla\ndocumentazione allegate, la persona presenta significative\ncompromissioni delle funzioni psico-fisiche e, dunque, difficilmente\npotrebbe prendere parte ad un percorso di reinserimento sociale, ne\u0027\ncomprendere appieno le finalita\u0027 trattamentali tipiche\ndell\u0027esecuzione penale esterna. Inoltre, considerata l\u0027evidente\nvulnerabilita\u0027 di cui la G. e\u0027 portatore, nonche\u0027 il suo essere\ndomiciliato in struttura protetta la sua pericolosita\u0027 sociale appare\nragionevolmente attenuata. E\u0027 lo stesso UEPE, dunque, a sollecitare\nil Collegio a valutare una forma di sospensione o differimento della\npena ai sensi della normativa vigente. \n Cio\u0027 posto, il Tribunale di Sorveglianza deve evidenziare in\npunto di diritto, che il differimento della pena, nella lettura\ncostituzionalmente orientata offerta dalla Corte costituzionale e\ndalla giurisprudenza di legittimita\u0027, e\u0027 un istituto volto a\nconiugare le esigenze di tutela della salute e di dignita\u0027 del\ndetenuto o di soggetto che si trovi in situazioni di grave\nvulnerabilita\u0027, quale la madre ed il minore nella gestazione e nel\npuerperio ovvero la persona gravemente malata, con quelle di\nesecuzione penale e di tutela della collettivita\u0027, secondo un\ngiudizio di bilanciamento degli opposti interessi costituzionali in\ngioco. \n L\u0027individuazione del punto di equilibrio e\u0027 nel differimento\nobbligatorio ex art. 146 codice penale frutto di una scelta rigida ed\noperata a monte dal legislatore che accorda prevalenza alle esigenze\nposte alla base del differimento rispetto a quelle di esecuzione\npenale. \n La norma, dunque, non lascia margini di discrezionalita\u0027 al\ngiudice, se non nella misura in cui egli e\u0027 preposto alla verifica\ndella positiva ricorrenza in fatto dei presupposti stabiliti dalla\nlegge e puo\u0027, al piu\u0027, valutare se il caso sottoposto rientri nel\ntipo indicato dal legislatore; con margini, in concreto, abbastanza\nristretti (per i delitti commessi anteriormente al 12 aprile 2025,\ndata di entrata in vigore del decreto legge n. 48/2025: donna\nincinta; madre di prole di eta\u0027 inferiore ad anni uno; persona\naffetta da malattia in stadio terminale o HIV conclamato; per quelli\nsuccessivi e salva ratifica del decreto legge n. 48/2025, rimarrebbe\nsolo quest\u0027ultima ipotesi). \n Ma, una volta accertata la sussistenza della condizione assunta\ndalla legge quale causa di non sottoposizione ad esecuzione penale,\nl\u0027esito del giudizio non puo\u0027 che essere quello di disporre il\ndifferimento della pena carceraria che dovrebbe essere eseguita,\nrinviandola sino al termine della condizione ostativa all\u0027esecuzione.\nNel differimento facoltativo ex art. 147 c.p., invece, la\nponderazione dei diritti e degli interessi antinomici e\u0027 rimessa alla\nvalutazione della magistratura di sorveglianza che, oltre al\nricorrere delle condizioni di legge (per i delitti commessi\nsuccessivamente al 12 aprile 2025, data di entrata in vigore del\ndecreto legge n. 48/2025 e salva conferma dell\u0027attuale testo\nnormativo: donna incinta; madre di prole di eta\u0027 inferiore ad anni\nuno; madre di prole di eta\u0027 inferiore agli anni tre; persona affetta\nda grave infermita\u0027 fisica; in caso di domanda di Grazia), ai sensi\ndel comma terzo dell\u0027art. 147 codice penale deve altresi\u0027 verificare\nl\u0027assenza di pericolosita\u0027 sociale del condannato. \n Vi e\u0027, dunque, sotto questo profilo l\u0027esercizio di un potere\ndiscrezionale del giudice, nella parte in cui la norma da un lato\nafferma che questi puo\u0027 disporre il differimento e, dall\u0027altro,\nattribuisce allo stesso un sindacato non circoscritto alla verifica\ndella ricorrenza dei presupposti e dei casi ivi indicati, ma anche\nsulla adeguatezza del differimento rispetto al rischio che la persona\nreiteri condotte di reato. \n Laddove si accerti l\u0027attuale pericolosita\u0027 sociale della persona,\nil differimento non potrebbe, dunque per legge trovare applicazione,\nprevalendo l\u0027interesse di difesa sociale rispetto a quello di tutela\ndella sua vulnerabilita\u0027. Per questa ragione, in entrambi i casi di\ndifferimento, obbligatorio o facoltativo, laddove la persona,\nnonostante la condizione di fragilita\u0027 normativamente prevista in cui\nversa, esprima tutt\u0027ora profili di attuale pericolosita\u0027 sociale, sub\nspecie del rischio di reiterazione di condotte illecite, sovviene\nl\u0027istituto della detenzione domiciliare in luogo del differimento di\ncui all\u0027art. 47-ter comma 1-ter O.P., quale misura intermedia che\nnell\u0027alternativa rigida tra il mantenimento dell\u0027esecuzione\ncarceraria, capace di ledere o anche solo comprimere oltremisura il\ndiritto alla salute e la dignita\u0027 del condannato, e la totale\nliberazione dello stesso, che viceversa esporrebbe ad un rischio\neccessivo le esigenze di sicurezza sociale della collettivita\u0027\n(parimenti inquadrabili come interesse di caratura costituzionale),\nconsente di operare una scelta esecutiva mediana capace di\nindividuare un piu\u0027 gradato equilibrio tra i contrapposti interessi. \n Si tratta, all\u0027evidenza, di uno strumento di flessibilizzazione\ndel sistema per garantire e bilanciare tutte le esigenze, individuali\ne superindividuali, che convergono nell\u0027esecuzione di una pena,\nsorretto da un giudizio ulteriore e successivo rispetto a quello teso\nall\u0027accertamento delle condizioni che legittimano il differimento\ndella pena obbligatorio o facoltativo. \n In questo caso, infatti, la valutazione demandata alla\nmagistratura di sorveglianza non puo\u0027 essere ridotta al mero\nricorrere dei requisiti di legge, ma deve essere ricostruita quale\ngiudizio di proporzionalita\u0027 in concreto tra le esigenze di tutela\ndell\u0027individuo, della sua salute e della sua umana dignita\u0027 ovvero di\nmaternita\u0027 e puerperio, e quelle di salvaguardia del resto dei\nconsociati, alla ricerca di quell\u0027equilibrio che realizzi, a parita\u0027\ndi tutela delle une, il minor sacrificio possibile delle altre. \n In sostanza, quel che si richiede e\u0027 di verificare se, pur a\nfronte di una residua pericolosita\u0027 sociale in capo alla persona, il\npericolo che egli rappresenta per la collettivita\u0027 possa essere\nadeguatamente arginato mediante il ricorso ad una forma esecutiva\nmeno afflittiva, quale e\u0027 quella domiciliare, che in ottica\numanitaria allevi le maggiori sofferenze che la persona puo\u0027\nsperimentare nell\u0027esecuzione carceraria per la propria condizione di\nvulnerabilita\u0027 accertata dal giudice a monte del giudizio. \n E\u0027 chiaro che in questo tipo di giudizi l\u0027opzione carceraria\nrimane quella astrattamente piu\u0027 tutelante per le esigenze\ncollettive; tuttavia, lo sforzo ermeneutico richiesto da una lettura\ncostituzionalmente orientata della norma deve condurre a ritenere che\nladdove il controllo offerto dalla detenzione domiciliare sia idoneo\nin concreto a garantire pari grado di tutela alle esigenze di\nsicurezza collettiva rispetto a quello offerto dalla carcerazione,\nl\u0027opzione domiciliare sarebbe l\u0027unica costituzionalmente\nproporzionata e compatibile con gli articoli 31, 32 e 27 comma 3\ndella Corte Costituzionale (nonche\u0027 con l\u0027art. 3 CEDU). \n Si vedano, in questo senso, le puntuali e condivisibili\nargomentazioni espresse dalla Corte costituzionale nella sentenza n.\n99/2019, con cui la Consulta ha individuato nella detenzione\ndomiciliare umanitaria di cui all\u0027art. 47-ter comma 1-ter O.P. lo\nstrumento adeguato per contemperare le esigenze sanitarie anche\npsicologiche della persona con il mantenimento dei vincoli necessari\nper evitare di porre in pericolo la collettivita\u0027. \n Ulteriore istituto che potrebbe venire in rilievo, quando si\nparla di forme di differimento della pena, e\u0027 quello di cui all\u0027art.\n148 c.p. relativo all\u0027ipotesi della infermita\u0027 psichica sopravvenuta\nalla condanna. \n La norma prevede che se la persona prima dell\u0027esecuzione della\npena o durante la stessa viene colta da una infermita\u0027 psichica tale\nda impedire l\u0027esecuzione della pena il giudice ne dispone la\nsospensione o il differimento, contestualmente disponendo il ricovero\ndel condannato in un manicomio giudiziario o, laddove la pena sia\ninferiore ai tre anni e non si tratti di delinquenti o contravventori\nabituali, professionali o per tendenza, in un manicomio comune. Il\nricovero e\u0027 revocato, ove vengano meno le ragioni che hanno\ndeterminato il provvedimento. \n Si tratta di una norma che, invero, ha un ambito applicativo nel\ndiritto vivente praticamente nullo, soprattutto a seguito della\nchiusura dei manicomi giudiziari e, piu\u0027 di recente, della citata\nsentenza n. 99/2019 della Corte Costituzionale, posto che nella\nmaggior parte dei casi le infermita\u0027 psichiche sono valorizzate per\nsottoporre la persona a differimento pena nelle forme della\ndetenzione domiciliare, piu\u0027 rispondente alle necessita\u0027 di cura del\nsoggetto rispetto a ricoveri coattivi sganciati da valutazioni in\npunto di effettiva pericolosita\u0027 sociale. \n Molti commentatori, invero, considerano la stessa implicitamente\nabrogata dalla pronuncia della Consulta. \n Cio\u0027 premesso, nel caso in esame, la condizione di G. non pare\nrientrare in ipotesi di differimento obbligatorio di cui all\u0027art. 146\ncomma 3 c.p. \n Invero, la persona non si trova in una condizione patologica non\nrispondente alle cure o in stadio terminale, che lo espone ad un\nimminente rischio quoad vitam, quanto piuttosto in una grave\ninfermita\u0027 psicofisica. L\u0027infermita\u0027 in questione non deriva da\npatologie psichiche - il che, al netto delle valutazioni espresse\ncirca la sostanziale abrogazione dell\u0027istituto, esclude ricorra\nl\u0027ipotesi di cui all\u0027art. 148 codice penale - ma e\u0027 determinata da\npatologie aventi base organica (encefalopatiacronica con atrofia\ncerebrale), in parte correlate anche all\u0027eta\u0027 avanzata, che potrebbe\nassumere ben rilievo ai sensi dell\u0027art. 147 n. 2 codice penale per\ndisporre il differimento facoltativo della pena. \n Sul punto, la giurisprudenza di legittimita\u0027 ha chiarito che\n«l\u0027istanza di differimento facoltativo dell\u0027esecuzione della pena\ndetentiva per gravi motivi di salute puo\u0027 essere accolta anche se,\npur non sussistendo un\u0027incompatibilita\u0027 assoluta tra la patologia e\nlo stato di detenzione, ricorra ma situazione nella quale\nl\u0027infermita\u0027 ola malattia siano tali da comportare un serio pericolo\ndi vita, ovvero non assicurino la prestazione di adeguate cure\nmediche in ambito carcerario, o, ancora, causino al detenuto\nsofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla\nsalute e del senso di umanita\u0027 al quale deve essere improntato il\ntrattamento penitenziario (Sez. 1, n. 27352 del 17 maggio 2019, ,\nRv. 276413 - 01). \n Sotto tale profilo, quindi, allorche\u0027 il condannato e\u0027 affetto da\ngrave infermita\u0027 fisica per malattia la cui prognosi puo\u0027 essere\ninfausta, l\u0027istanza di differimento, e cosi\u0027 anche la domanda di\ndetenzione domiciliare, deve essere considerata previa valutazione\ndell\u0027aspettativa di vita del condannato stesso, poiche\u0027, quando\nquesta e\u0027 ridotta, e\u0027 frustrato lo scopo del reinserimento sociale,\nimpossibile per motivi estranei al trattamento o al comportamento del\nsoggetto, e la sanzione diviene sofferenza inutile e contraria al\nsenso di umanita\u0027 (Sez. 1, n. 27352 del 17 maggio 2019, Rv.\n276413-01; da ultimo Sez. 1, n. 37086 del 8 giugno 2023, G., Rv.\n285760-01; Sez. 1, n. 542 del 30 gennaio 1995, , Rv. 200789-01; Sez.\n1, n. 27 del 10 gennaio 1994, Rv. 197127 - 01)» (in questi termini,\nCassazione, Sez. 1 n. 26588/2024). \n Tutte condizioni che, a giudizio del Tribunale di Sorveglianza,\nsussistono allo stato, posto che ove venisse eseguita la pena, la\nsanzione diventerebbe per il G. una sofferenza inutile e contraria al\nsenso di umanita\u0027, nella misura in cui si rivolgerebbe a persona\nincapace di percepire il senso rieducativo della pena, con\nfrustrazione evidente del principio di emenda. \n A normativa vigente, dunque, questo Collegio potrebbe disporre il\ndifferimento della pena ai sensi dell\u0027art. 147 n. 2 c.p., dovendo\nevidenziarsi che la peculiare condizione di incapacita\u0027 psicofisica\nin cui versa la persona esclude in radice il rischio di reiterazione\ndi reati. \n Il che, dunque, osta all\u0027applicazione della detenzione\ndomiciliare surrogatoria, che sarebbe misura in concreto ultronea e\nmeno favorevole per il condannato di un differimento pieno ai sensi\ndella norma di cui all\u0027art. 147, c. 2 c.p. \n In questo senso, il Tribunale di Sorveglianza sarebbe tenuto a\ndisporre un differimento, fissando un termine di scadenza della\ndilazione dell\u0027esecuzione della pena, entro il quale si dovrebbe\nprocedere ad una rivalutazione in ordine alla permanenza delle\ncondizioni che legittimano la postergazione dell\u0027esecuzione. \n Tuttavia, il Collegio ritiene di dover evidenziare una lampante\ncontraddizione nella normativa in esame, nella misura in cui questa\nsottopone a medesima disciplina ed all\u0027istituto del differimento una\nserie di situazioni che, invero, risultano affatto omogenee e che\nrichiederebbero, sia da un punto di vista operativo che sul piano\ncostituzionale, una differente risposta ordinamentale. \n In particolare, l\u0027art. 147 c.p., nella sua attuale formulazione,\nprevede il differimento dell\u0027esecuzione in una serie di casi fissando\nun termine specifico rispetto alla sospensione della pretesa punitiva\ndello Stato, tranne che nel caso di cui al n. 2 della norma citata. \n Invero, il differimento in caso di domanda di grazia e\u0027\ncircoscritto ai sei mesi successivi al passaggio in giudicato della\nsentenza; le ipotesi di differimento a tutela della maternita\u0027 e del\npuerperio, invece, hanno evidentemente dei termini naturali dati dal\nparto, dal compimento del primo anno o del terzo anno di eta\u0027 del\nminore. A queste ipotesi, e\u0027 parificata tout court quella della grave\ninfermita\u0027 fisica, che non reca uno specifico termine e che, nel\ndiritto vivente, vede i Tribunali di Sorveglianza gestire la durata\ndel differimento in modo malleabile e, sostanzialmente, dipendente\ndalle necessita\u0027 di cura della persona. \n Cio\u0027 appare molto coerente laddove si consideri che in un gran\nnumero di casi le gravi infermita\u0027 capaci di legittimare il\ndifferimento sono il frutto di patologie in qualche modo transitorie\ne/o curabili; in questo senso, potendo le ragioni del differimento\ndisposto oggi non essere piu\u0027 presenti domani, la flessibilita\u0027\ndell\u0027istituto quanto all\u0027apposizione di un termine finale consente al\nTribunale di sorveglianza di valorizzare adeguatamente il decorso\nclinico e l\u0027esigenza di monitorare la permanenza delle condizioni di\nsalute che rendono recessiva la pretesa punitiva dello Stato.\nAll\u0027attenuarsi o al venir meno delle stesse, infatti, il\ndifferimento, secco o nelle forme della cattivita\u0027 domiciliare, non\navrebbe piu\u0027 ragion d\u0027essere, dovendo riespandersi l\u0027interesse\nStatuale alla indefettibilita\u0027 ed alla certezza della pena, con avvio\no ripristino dell\u0027esecuzione. \n La disciplina, pero\u0027, risulta carente, a giudizio di questo\nCollegio, laddove le ragioni del differimento non siano dipendenti da\nuna condizione transitoria o suscettibile di miglioramento, bensi\u0027 da\nuna patologia irreversibile che renda stabilmente incapace di essere\nsottoposto ad esecuzione penale il condannato. \n ln questi casi, tutt\u0027altro che secondari nella prassi, il\nTribunale di Sorveglianza e\u0027. infatti, costretto a ripetere\nciclicamente verifiche sulla permanenza delle condizioni di salute\nche consentono il differimento, sostanzialmente sino all\u0027estinzione\ndella pena per morte del condannato ai sensi dell\u0027art. 171 c.p. \n Invero, l\u0027art. 172 codice penale in materia di prescrizione della\npena stabilisce che «Se l\u0027esecuzione della pena e\u0027 subordinata alla\nscadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il tempo\nnecessario per la estinzione della pena decorre dal giorno in cui il\ntermine e\u0027 scaduto o la condizione si e\u0027 verificata». \n Dunque, il termine di prescrizione risulta interrotto in tutti i\ncasi in cui l\u0027esecuzione della pena venga differita, non consentendo\nneppure di far valere tale causa estintiva, eventualmente capace di\ndare un termine anticipato rispetto a quello di definitivo decesso\ndel condannato non passibile di esecuzione. \n In sostanza, il sistema non contempla una ipotesi di rinuncia\nall\u0027esecuzione della pena in casi come questi, in cui piuttosto che\nun differimento con continui riesami, ci si trova dinnanzi ad una\nstabile impossibilita\u0027 di eseguire la pena per incapacita\u0027\nirreversibile della persona ad esservi sottoposto. \n Il quadro sinora descritto appare a questo Collegio del tutto\nassimilabile a quello che ha portato alla riforma degli articoli\n70-72-bis codice di procedura penale in punto di valutazione della\nstabile incapacita\u0027 di stare in giudizio dell\u0027imputato, tesa a\nrisolvere quello che nel dibattito dottrinario e giurisprudenziale\nera efficacemente descritto come «il problema degli eterni\ngiudicabili». \n Trattandosi di materia in cui la Corte costituzionale ha avuto un\nruolo tutt\u0027altro che secondario, ci si esimera\u0027 dal ripercorrere\nfunditus le varie tappe del percorso che ha condotto all\u0027attuale\nformulazione, in particolare, dell\u0027art. 72-bis c.p.p., riepilogando\nper sommi capi l\u0027evoluzione ermeneutica e normativa de quo. \n Si cerchera\u0027, poi, di evidenziare gli evidenti punti di contatto\ntra le carenze della previgente disciplina, i moniti della Corte, le\nsoluzioni adottate sul piano normativo e le nuove questioni emerse in\nseno alla giurisprudenza Costituzionale nella subjecta materia e la\ndisciplina del differimento della pena per come oggi normata. \n Circoscrivendo, pertanto, l\u0027esame alle pronunce piu\u0027 recenti,\nviene in rilievo anzitutto la Sentenza n. 23/2013 della Corte\ncostituzionale. \n Nel caso di specie, il Tribunale di Milano aveva censurato l\u0027art.\n159 codice penale rispetto ai parametri di cui agli articoli 3, 24 e\n111 Cast. nella misura in cui prevedeva la sospensione del decorso\ndella prescrizione allorquando fosse accertata ai sensi degli\narticoli 70 e ss. codice di procedura penale la incapacita\u0027\nirreversibile di stare in giudizio dell\u0027imputato. \n Ove accolta, infatti, la questione avrebbe consentito al giudice\nmeneghino di dichiarare l\u0027intervenuta prescrizione del reato, invece\ndi dover procedere a defatiganti ed inutili periodici accertamenti\ndella incapacita\u0027 della persona, ormai stabilmente acclarata come\nirreversibile. \n In quella sede, la Corte evidenzio\u0027 che la questione poneva in\nluce una reale anomalia insita nelle norme correlate concernenti la\nsospensione della prescrizione estintiva dei reati e la sospensione\ndel processo per incapacita\u0027 dell\u0027imputato ove fosse accertata la\nnatura irreversibile dell\u0027infermita\u0027 mentale tale da precludere la\ncosciente partecipazione al giudizio dell\u0027interessato. \n Si verificava, infatti, una situazione di pratica\nimprescrittibilita\u0027 del reato, a cui ne\u0027 il giudice ne\u0027 l\u0027imputato\npotevano porre rimedio, con un «\"indefinito protrarsi nel tempo della\nsospensione del processo - con la conseguenza della tendenziale\nperennita\u0027 della condizione di giudicabile dell\u0027imputato, dovuta\nall\u0027effetto, a sua volta sospensivo, sulla prescrizione». \n Tale situazione era giudicata dalla Corte idonea da assumere il\ncarattere della irragionevolezza: «giacche\u0027 entra in contraddizione\ncon la ratio posta a base, rispettivamente, della prescrizione dei\nreati e della sospensione del processo. La prima e\u0027 legata, tra\nl\u0027altro, sia all\u0027affievolimento progressivo dell\u0027interesse della\ncomunita\u0027 alla punizione del comportamento penalmente illecito,\nvalutato, quanto ai tempi necessari, dal legislatore, secondo scelte\ndi politica criminale legate alla gravita\u0027 dei reati, sia al «diritto\nall\u0027oblio» dei cittadini, quando il reato non sia cosi\u0027 grave da\nescludere tale tutela. La seconda poggia sul diritto di difesa, che\nesige la possibilita\u0027 di una cosciente partecipazione dell\u0027imputato\nal procedimento. Nell\u0027ipotesi di irreversibilita\u0027 dell\u0027impedimento di\ncui sopra risultano frustrate entrambe le finalita\u0027 insite nelle\nnorme sostanziali e processuali richiamate, con la conseguenza che le\nragioni delle garanzie ivi previste si rovesciano inevitabilmente nel\nloro contrario». \n Tuttavia, a fronte della possibilita\u0027 di diverse opzioni\nnormative per risolvere siffatta condizione, da operarsi non tanto\nsul terreno della prescrizione, quanto piuttosto della valorizzazione\ndella incapacita\u0027 irreversibile dell\u0027imputato di partecipare al\nprocesso, la Corte dichiaro\u0027 inammissibile la questione, lanciando un\nperentorio monito al legislatore affinche\u0027 affrontasse ex professo il\ntema degli eterni giudicabili. \n La questione, tuttavia, rimase irrisolta da un punto di vista\nnormativo, tanto da richiedere un nuovo pronunciamento della Corte\ncostituzionale. \n Con sentenza n. 45/2015, infatti, la Corte fu nuovamente chiamata\ndal Tribunale di Milano a valutare la compatibilita\u0027 costituzionale\ndell\u0027art. 159 codice penale rispetto agli articoli 3 e 111 Cost. \n In quella sede, la Consulta, richiamando il monito gia\u0027\neffettuato al legislatore sulla necessita\u0027 di intervenire sulla\ndisciplina in materia e quanto statuito nella sentenza n. 23/2013,\naccolse la questione. \n Nel corso di un\u0027ampia motivazione, la Corte osservo\u0027 che\noccorreva considerare «la differenza tra le diverse situazioni di\nsospensione, anche per incapacita\u0027 di partecipare coscientemente al\nprocesso, destinate a una durata limitata nel tempo e la sospensione\nderivante da un\u0027incapacita\u0027 irreversibile, che e\u0027 destinata a non\navere termine, dando luogo per l\u0027imputato alla condizione di «eterno\ngiudicabile». \n La differenza e\u0027 fondamentale e rende irragionevole l\u0027identita\u0027\ndi disciplina. La sospensione e\u0027 assimilabile a una parentesi, che\nuna volta aperta deve anche chiudersi, altrimenti si modifica la sua\nnatura e si altera profondamente la fattispecie alla quale la\nsospensione si applica. Una sospensione del corso della prescrizione\nsenza fine determina di fatto l\u0027imprescrittibilita\u0027 del reato, e\nquesta situazione, in violazione dell\u0027art. 3 Cost., da luogo a una\ningiustificata disparita\u0027 di trattamento nei confronti degli imputati\nche vengono a trovarsi in uno stato irreversibile di incapacita\u0027\nprocessuale. [...] \n Deve pertanto concludersi che la questione di legittimita\u0027\ncostituzionale dell\u0027art. 159, primo comma, codice penale , sollevata\ndal Tribunale ordinario di Milano, e\u0027/ondata.». \n Esaminato il tema sorto il profilo della prescrizione del reato,\ntuttavia, la stessa Corte noto\u0027 che, pur potendo la declaratoria di\nprescrizione intervenire prima della morte dell\u0027imputato, a fronte di\ncasi di prescrizioni particolarmente lunghe o di delitti\nimprescrittibili, lo stesso rimedio da essa apprestato poteva «non\napparire completamente appagante. Infatti, quando il tempo necessario\na prescrivere e\u0027 ancora lungo, e\u0027 ugualmente lunga la durata della\nsospensione del procedimento, con l\u0027onere per il giudice di\nperiodici, inutili accertamenti peritali. \n Sotto questo aspetto una soluzione, prospettata anche da questa\nCorte nella sentenza n. 23 del 2013, potrebbe ravvisarsi nella\ndefinizione del procedimento con una sentenza di non doversi\nprocedere per incapacita\u0027 irreversibile de/l\u0027imputato, ed e\u0027 cio\u0027 che\nprevede l\u0027art. 9 del disegno di legge n. 2798, presentato alla Camera\nil 23 dicembre scorso, che intende inserire nel codice di procedura\npenale un nuovo art. 72-bis. \n Con questa disposizione, se sara\u0027 approvata, l\u0027incapacita\u0027\nirreversibile dell\u0027imputato avra\u0027 una disciplina specifica, ma,\nne/l\u0027allesa, per le ragioni esposte, non puo\u0027 non riconoscersi la\nfondatezza della questione di legittimita\u0027 costituzionale sollevata\ndal Tribunale ordinario di Milano, e deve pertanto dichiararsi, per\ncontrasto con l\u0027art. 3 Cosi., l\u0027illegittimita\u0027 costituzionale\ndell\u0027art. 159, primo comma, cod pen. , nella parte in cui, ove lo\nstato mentale dell\u0027imputato sia tale da impedirne la cosciente\npartecipazione al procedimento e questo venga sospeso, non esclude la\nsospensione della prescrizione quando e\u0027 accertato che tale stato e\u0027\nirreversibile.». \n Sebbene, come visto, il tema era stato affrontato dall\u0027angolo\nprospettico degli effetti della sospensione del processo sul terreno\ndell\u0027istituto della prescrizione del reato, la Corte non ha mancato\ndi considerare che il piu\u0027 soddisfacente ed adeguato rimedio si\nsarebbe dovuto costruire normativamente mediante la previsione di\ndisciplina che assumesse l\u0027incapacita\u0027 irreversibile non gia\u0027\nsemplicemente quale fatto idoneo a sospendere il processo, bensi\u0027 ad\nesaurire l\u0027interesse dello Stato alla persecuzione stessa del reato. \n A fronte dei moniti e delle sentenze della Corte, con legge 23\ngiugno 2017, n. 103, cd. Riforma Orlando, e\u0027 stata dunque riformata\nl\u0027intera disciplina degli articoli da 70 a 72-bis c.p.p.,\nprevedendosi con quest\u0027ultima norma che laddove il giudice accerti\nuna condizione mentale dell\u0027imputato tale da impedire in modo\nirreversibile la sua partecipazione al processo, pronunci sentenza di\nnon luogo a procedere o sentenza non doversi procedere, salva\nl\u0027applicazione di misure di sicurezza diverse dalla confisca nei\nconfronti della persona che risulti, comunque, socialmente\npericolosa. \n Anche il testo di nuovo conio, tuttavia, non e\u0027 rimasto esente da\ncensure da parte della Corte costituzionale. Invero, all\u0027indomani\ndell\u0027introduzione dell\u0027art. 72-bis codice di procedura penale ci si\nera interrogati circa la possibilita\u0027 di applicare la normativa di\nnuovo conio non solo alle infermita\u0027 psichiche, ma anche a forme di\nincapacita\u0027 di stare in giudizio di tipo fisico. \n La Cassazione, invero, con sentenza n. 14853/2021 emessa dalla\nsesta sezione, aveva escluso la possibilita\u0027 di interpretare la\nnormativa nel senso di ricomprendere anche quelle infermita\u0027 di tipo\nfisico che, pur non consentendo la presenza della persona al\nprocesso, non ledessero la sua capacita\u0027 di discernimento o\nautodeterminazione al punto da compromettere l\u0027esercizio del suo\ndiritto di difesa. Tali soggetti, dunque, rimanevano eterni\ngiudicabili. \n La questione e\u0027 stata nuovamente sottoposta all\u0027attenzione della\nConsulta che, con sentenza n. 65 del 7 aprile 2023, ha dichiarato\nl\u0027art. 72-bis codice di procedura penale non conforme agli articoli 3\ne 24 Cost. nella parte in cui limitava la condizione di incapacita\u0027\nprocessuale irreversibile allo stato mentale e non a quello\npsicofisico del condannato. In particolare, la Corte ritenne che il\nriferimento esclusivo alla sfera psichica dell\u0027imputato, desumibile\ndall\u0027impiego dell\u0027aggettivo «mentale» nel testo dell\u0027art. 72-bis\nc.p.p., determinasse un\u0027irragionevole disparita\u0027 di trattamento tra\nl\u0027imputato, il quale non possa esercitare l\u0027autodifesa in modo pieno\na causa di un\u0027infermita\u0027 mentale stricto sensu, e quello che versi\nnella medesima impossibilita\u0027 per un\u0027infermita\u0027 di natura mista,\nanche di origine fisica che comprometta le facolta\u0027 di «coscienza,\npensiero, percezione, espressione», necessarie per il pieno esercizio\ndel diritto di difesa nel processo. \n L\u0027intervento manipolativo della Consulta, dunque, oggi consente\nal giudice di merito di dichiarare non luogo a provvedere o non\ndoversi procedere tutte le volte in cui, ad esito degli accertamenti\ndisposti, risulti che l\u0027imputato versa in una irreversibile\ncondizione di incapacita\u0027 di partecipare al processo. \n Poste queste premesse di ordine costituzionale, il Tribunale di\nSorveglianza non puo\u0027 non chiedersi se possa considerarsi ragionevole\nl\u0027attuale quadro normativo, nella misura in cui non prevede che, a\nfronte dell\u0027accertamento a carico del condannato di uno stato di\nirreversibile incapacita\u0027 psicofisica, il giudice possa non gia\u0027\ndifferire l\u0027esecuzione della pena, con continue rivalutazioni, ma\ndichiarare non luogo a provvedere sull\u0027esecuzione della stessa per\nl\u0027impossibilita\u0027 di sottoporre ad esecuzione penale il condannato. \n Cio\u0027 in quanto, l\u0027assetto normativo nella subjecta materia appare\ndel tutto analogo (nei suoi tratti essenziali) a quello su cui e\u0027\nintervenuta la Consulta nelle sentenze citate in terna di capacita\u0027\ndi stare in giudizio che hanno portato alla riformulazione degli\narticoli 70-72-bis c.p., esponendosi, pertanto alle medesime censure\nin punto di irragionevolezza intrinseca dell\u0027opzione normativa (art.\n3 comma 2 Cost.) che non valorizza adeguatamente l\u0027incapacita\u0027\nirreversibile del condannato di essere sottoposto a pena; cio\u0027 che\ndetermina, di riflesso, una serie di lesioni ad altrettanti principi\ndi caratura costituzionale, quali il diritto di difesa (art. 24\nCost.), il principio di emenda (art. 27 comma 3 Cost.) ed il\nprincipio di ragionevole durata del processo, tanto in chiave\ncostituzionale, quanto in chiave convenzionale (art. 111 comma 2\nCost. e art. 117 Cost. in relazione all\u0027art. 6 CEDU). \n Il dubbio di costituzionalita\u0027 che qui ci si pone, in massima\nparte fondato sulla stessa giurisprudenza costituzionale in tema di\nincapacita\u0027 processuale irreversibile, richiede anzitutto di\naffrontare un tema preliminare: se, ed in che termini, sussista una\nassimilabilita\u0027 delle situazioni sostanziali tra l\u0027incapacita\u0027\ndell\u0027imputato di essere sottoposto a processo e l\u0027incapacita\u0027 del\ncondannato di essere sottoposto ad esecuzione penale. \n A questo interrogativo, il Tribunale di Sorveglianza ritiene\npossa darsi risposta affermativa, pur con le precisazioni del caso. \n Un profilo di differenziazione tra le due posizioni soggettive\npotrebbe, invero, essere rappresentato dal fatto che mentre nel caso\ndell\u0027imputato non vi e\u0027 stato un accertamento sul fatto e, dunque,\nuna attribuzione di responsabilita\u0027 dello stesso al soggetto incapace\ndi stare in giudizio, nell\u0027ipotesi al vaglio di questo Tribunale di\nSorveglianza tale accertamento sussiste e, dunque, potrebbe venire in\nrilievo il tema della indefettibilita\u0027 della pena, quale fattispecie\npolimorfica e polifunzionale, in cui coesistono e convergono esigenze\nindividuali ed istanze collettive di certezza del diritto. \n Tuttavia, e\u0027 agevole evidenziare che nell\u0027attuale assetto\nnormativo, laddove la persona sia giudicata non pericolosa,\nl\u0027esecuzione della sanzione e\u0027 in concreto differita sine die fino\nall\u0027estinzione della pena per morte del reo; dunque, il tributo ad\nastratte esigenze retributive o di sicurezza lato sensu intesa\nassomiglia al proverbiale specchietto per le allodole, risolvendosi\nin un vezzo formale, sostanzialmente privo di reale impatto sulla\nrealta\u0027 esecutiva. \n Tributo che, pero\u0027, il sistema nel suo complesso paga a caro\nprezzo sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca della\nnormativa (art. 3 comma 2 Cost.), oltre che di ragionevole durata del\nprocesso (art. 111 Cost. e 117 Cost. in relazione all\u0027art. 6 CEDU),\ndi tutela delle esigenze difensive (art. 24 Cost.) e di\ncostituzionalita\u0027 della pena rispetto al principio di emenda ed al\ndivieto di trattamenti contrari al senso di umanita\u0027 (art. 27 comma 3\nCost.). \n Andando a vagliare quelli che il Collegio ritiene gli evidenti\npunti di contatto tra le due situazioni ritenute assimilabili, non\npuo\u0027 non osservarsi, anzitutto, come sia nel caso dell\u0027imputato che\ndel condannato quel che viene in rilievo e\u0027 una condizione di fatto\nidentica: l\u0027accertamento di una patologia irreversibile che impedisce\nla partecipazione dell\u0027interessato ad un fatto diacronico e\nprocedimentalizzato, nell\u0027un caso volto ad accertare le eventuali\nresponsabilita\u0027 penali della persona e, nell\u0027altro, volto a stabilire\nquali limitazioni siano adeguate a rieducare la persona ed a\nneutralizzare il pericolo che essa rappresenta per la collettivita\u0027. \n In questo senso, vi e\u0027 un idemfactum alla base di entrambe le\nfattispecie. \n Ma, ancora, risulta innegabile che il fatto-procedimento\nesecutivo richiede da parte del condannato (per citare la Consulta)\n«coscienza, pensiero, percezione ed espressione», si\u0027 da garantire la\ncomprensione del significato delle limitazioni imposte e il loro\nportato afflittivo; e questo non gia\u0027 quale espressione di una mera\npretesa/potesta\u0027 esecutivo-retributiva dello Stato, bensi\u0027 come\ngiusta sofferenza adeguata e necessaria, tesa a stimolare nel\ncondannato una riconsiderazione del proprio vissuto ed orientare la\npersona sottoposta a pena verso modelli comportamentali socialmente\naccettabili. \n Se manca la capacita\u0027 di cosciente partecipazione del condannato\nal procedimento esecutivo-trattamentale, questo Collegio ritiene non\npossa riconoscersi un orizzonte costituzionale alla mera esecuzione\ndella pena quale freddo adempimento della sentenza di condanna in\nottica puramente autoritativa o retributiva. \n La pena, cosi\u0027 intesa, diventerebbe causa di limitazioni e\nsofferenze inflitte a titolo di vendetta sociale sul singolo per il\nreato commesso, ovvero come pretesa di obbedienza ad un comando\nafflittivo fine a se\u0027 stesso; in quanto tale, inutile per il\ncondannato, ma anche per la societa\u0027 nel suo complesso. \n Invero, le condizioni di incapacita\u0027 di essere sottoposto a pena\nnon sono del tutto disconosciute dal legislatore, ma vengono\naffrontate con uno strumento, il differimento, strutturalmente teso a\nrinviare l\u0027esecuzione della pena, che se appare adeguato rispetto a\nfattispecie connotate dalla presenza di termini naturali o rispetto a\ncondizioni reversibili, mal si concilia con situazioni di incapacita\u0027\ncroniche, stabili ed irreversibili. \n In questi casi, infatti, il Tribunale di Sorveglianza e\u0027\ncostretto a fissare termine e reiterare gli accertamenti sine die,\nattendendo, in concreto, la morte del condannato per dichiarare non\nluogo a provvedere per estinzione della pena ai sensi dell\u0027art. 171\nc.p. \n Al differimento, inoltre, si correla anche l\u0027interruzione del\ndecorso della prescrizione ai sensi dell\u0027art. 172 c.p., il che\nconsentirebbe nel caso di specie di parlare (mutuando la terminologia\ndi cui supra) di eterni esecutabili quali soggetti condannati che non\npotranno mai essere sottoposti in concreto ad esecuzione, ma che per\nl\u0027ordinamento risultano astrattamente passibili di futura espiazione\ndella pena, trovando solo nella morte un termine alla loro\ncondizione. \n Il che, evidentemente, replica, nell\u0027ambito esecutivo quanto gia\u0027\ngiudicato irragionevole rispetto al processo di cognizione nelle\nsentenze citate, con evidente lesione dell\u0027art. 3 comma 2 Cost. sotto\nil profilo della ragionevolezza intrinseca del dato normativo. \n Ma la normativa, allo stato attuale, risulta non garantire lo\nstesso diritto di difesa del condannato nel procedimento di\nsorveglianza, ledendo parimenti l\u0027art. 24 Cost. Invero, alla luce\ndelle profonde innovazioni che hanno interessato la materia, in cui\nla Corte costituzionale ha avuto un ruolo tutt\u0027altro che secondario,\nnon e\u0027 possibile oggi disconoscere che dinnanzi alla magistratura di\nsorveglianza si svolge non gia\u0027 un mero incidente esecutivo di natura\npara-amministrativa, bensi\u0027 un ulteriore tassello della giurisdizione\npenale: quello teso a valutare con quali modalita\u0027 debba darsi\nattuazione al comando punitivo insito nella pronuncia di condanna,\nsecondo una valutazione di proporzionalita\u0027 e adeguatezza delle\nlimitazioni rispetto alla pericolosita\u0027 del condannato ed alla\npossibilita\u0027 che questi esegua la pena in forme anche extramurarie\nche favoriscano la sua reintegrazione nel tessuto sociale, in accordo\ncon il volto costituzionale della pena tratteggiato dall\u0027art. 27\ncomma 3 Cast. \n Sebbene la disciplina del procedimento di sorveglianza sia\nmodellata sulla Camera di consiglio, con mera ed eventuale\npartecipazione del condannato, e non sia formalmente un processo nel\nsenso tradizionale del termine, dunque, la capacita\u0027 di stare in\ngiudizio innanzi alla magistratura di sorveglianza non e\u0027 un fatto\nneutro ai fini dell\u0027esercizio del diritto di difesa ed autodifesa nel\nmerito rispetto al tipo di valutazione che e\u0027 proprio della sede\ngiurisdizionale in esame; profilo che l\u0027attuale assetto normativo\ndisconosce del tutto e la cui necessaria valorizzazione dovrebbe\ncondurre, nella prospettiva che qui si intende sostenere, a prevedere\nforme di definizione del procedimento laddove la parte non possa\nparteciparvi coscientemente, si\u0027 come previsto nel procedimento\nattinente il merito della responsabilita\u0027 penale. \n Sotto altro profilo, la carenza normativa riscontrata determina\neffetti lesivi del principio di ragionevole durata del processo,\nnella misura in cui alla definizione del procedimento di sorveglianza\nconclusosi con la concessione del differimento della pena non fa\nseguito una cessazione del thema decidendum sostanziale, vale a dire\nil quomodo e l\u0027an dell\u0027esecuzione, ma un mero rinvio dello stesso. \n Invero, alla scadenza del termine indicato nell\u0027ordinanza del\nTribunale di Sorveglianza si possono verificare le seguenti\nalternative: o la parte reitera per tempo nuova domanda di\ndifferimento ai sensi dell\u0027art. 147 codice penale e 684 c.p.p.,\neventualmente anche in via provvisoria, consentendo un giudizio di\nproroga-concessione di nuovo differimento che impedisce l\u0027avvio o la\nripresa dell\u0027esecuzione della pena; ovvero la parte omette, per\nnegligenza, di presentare nuova domanda, con emissione da parte della\nProcura di ordine di esecuzione della pena differita, potendo anche\ndeterminare l\u0027ingresso in carcere del condannato, cui fara\u0027,\nevidentemente, seguito nuova domanda di differimento. \n In entrambi i casi, si instaurera\u0027 un nuovo giudizio in punto di\ndifferimento della pena, che, a fronte di condizioni di incapacita\u0027\nirreversibile, non potra\u0027 che concludersi con ulteriore dilazione\ndell\u0027esecuzione sino a nuovo termine, alla cui scadenza si\nripresentera\u0027 la medesima situazione e cosi\u0027 via sino alla morte del\ncondannato. \n Tutto cio\u0027 con grande dispendio di energie procedurali e costi\nper il sistema della giustizia, ma anche per il condannato e le\npersone a lui prossime, in particolare i familiari e coloro che hanno\ncura della sua persona. \n Questi, infatti, saranno costretti ciclicamente a reiterare\ndomande di differimento della pena, sostenendo anche le relative\nspese legali per la difesa tecnica nei vari giudizi; giudizi che\nimporteranno per il sistema ulteriori spese per la celebrazione delle\nrelative udienze (notifiche, atti istruttori, partecipazione degli\nesperti etc. etc.). Tale ipertrofia procedurale rispetto ad una\ncondizione di irreversibile incapacita\u0027 della persona di essere\ncoscientemente assoggettata a pena appare oltremodo ridondante,\nesponendo sia il sistema che la parte a spese processuali non\ngiustificate ne\u0027 giustificabili a fronte di un accertamento\ndefinitivo che potrebbe porre fine in modo stabile alla vicenda\nprocedurale complessivamente intesa. Una macchina che, in definitiva,\ngirerebbe a vuoto. \n Verrebbe, dunque, in rilievo, anche una possibile lesione degli\narticoli 111 comma 2 Cost. e 117 Cost., quest\u0027ultimo rispetto\nall\u0027art. 6 CEDU. \n La Corte europea dei diritti dell\u0027uomo, infatti, ha da tempo\nindicato come il diritto alla ragionevole durata del processo non si\nesaurisce esclusivamente nel contesto dell\u0027attivita\u0027 processuale in\nsenso stretto, ma riguarda tutti i procedimenti giurisdizionali,\ninclusi quelli esecutivi, dovendo considerarsi l\u0027esecuzione di un\ngiudicato, di qualsiasi giurisdizione, come facente parte integrante\ndella nozione di processo di cui all\u0027art. 6 (cfr. in particolare caso\nSY v. Italy 11791/2020, § 63). L\u0027ermeneutica in discussione e\u0027 stata\naffermata sin dal caso Burdov v. Russia (caso I nel 2000 e caso 2 nel\n2004) e ribadita nei casi Metaxas v Greece del 2002, con applicazioni\nsia in ambito civile che in ambito penale. In particolare, quanto al\ndiritto processuale penale, l\u0027arresto ha trovato una propria\nspecifica applicazione contro l\u0027Italia in tema di mancata esecuzione\ndell\u0027ordine di rimessione in liberta\u0027 rispetto a misura di sicurezza\ndi ricovero in o.p.g. da eseguirsi in R.E.M.S. (il citato caso SY v.\nJtaly), avendo in quella sede la Corte ribadito che la fase esecutiva\ndi una pronuncia di condanna e\u0027 parte del processo ai sensi dell\u0027art.\n6 CEDU. \n Le sentenze citate, dunque, paiono esprimere un indirizzo ormai\nconsolidato nel sistema convenzionale, idoneo ad assurgere, ai sensi\ndella sentenza n. 49/2015 quale parametro di costituzionalita\u0027\nvincolante per l\u0027interprete, quantomeno nella parte in cui indica il\ngiudizio di esecuzione come rientrante nella nozione di processo di\ncui deve essere assicurata, tra le altre, la ragionevole durata. \n Inoltre, laddove, si volessero anche coltivare le statuizioni di\nprincipio sull\u0027integrazione dei sistemi costituzionale e\nconvenzionale espressi nella recentissima sentenza n. 33/2025,\nsecondo cui anche in assenza di specifiche: pronunce della Corte\neuropea dei diritti dell\u0027uomo su un dato tema vi e\u0027 spazio per la\nCorte costituzionale di offrire comunque tutela ai diritti garantiti\ndalla Convenzione, in quanto questa, seppur con rango\nsub-costituzionale, e\u0027 parte dell\u0027ordinamento costituzionale nel suo\ncomplesso (si vedano in particolare i paragrafi da 7 in avanti del\nConsiderato in diritto di cui alla sentenza n. 33 del 2025), potrebbe\nagevolmente la Consulta valutare che il procedimento esecutivo\npenale, nel suo cammino di giurisdizionali azione dipanatosi secondo\nle tappe marcate dalla stessa giurisprudenza costituzionale, e\u0027\ncertamente un terreno in cui l\u0027esercizio dei poteri decisori della\nmagistratura di sorveglianza dovrebbe rispondere a criteri di\nragionevolezza temporale. \n Una inutile o colpevole dilazione della decisione, infatti,\nlederebbe non solo il principio di emenda, il diritto all\u0027oblio ed\naltri interessi meritevoli di tutela che si correlano al tempo del\nprocesso, ma anche la legittima aspettativa dei cittadini di vedere\nla propria posizione rispetto all\u0027esecuzione di una pena o di una\nmisura di sicurezza definita entro termini congrui. \n Nel caso in esame, la lesione si produrrebbe valorizzando la\ninutilita\u0027 delle continue dilazioni dell\u0027esecuzione che, senza alcun\nmotivo, protrarrebbero il giudizio sulla sottoponibilita\u0027 a pena di\nchi e\u0027 gia\u0027 certo non potra\u0027 mai esservi sottoposto. L\u0027art. 6 CEDU,\ndunque, sarebbe in cio\u0027 vulnerato, e, di rimando, lo sarebbe l\u0027art.\n117 Cost. Analoghe censure, d\u0027altro canto, si estenderebbero rispetto\nal parametro di cui all\u0027art. 111 comma 2 Cost. \n Da ultimo, l\u0027attuale disciplina, nel richiedere il costante\nriesame di una condizione stabilmente accertata come irreversibile, a\ngiudizio del Collegio risulta ledere l\u0027art. 27 comma 3 Cost. e, nella\nmisura in cui frustra la tendenziale funzione rieducativa della pena\ne di pone in termini disarmonici rispetto al divieto di trattamenti\ncontrari al senso di umanita\u0027. Il riferimento al parametro qui citato\nsi rende, a parere del Collegio, necessario rispetto alle\npeculiarita\u0027 della materia in esame. \n Se nell\u0027ambito del processo volto ad accertare la responsabilita\u0027\ndella persona la Consulta ha ritenuto la disciplina delle incapacita\u0027\nprocessuali carente nella misura in cui non considerava adeguatamente\nla stabile impossibilita\u0027 di difendersi dell\u0027imputato, esponendolo in\nastratto ad un giudizio eternamente rinviato, traslando il tema sul\nterreno dell\u0027esecuzione penale e delle specifiche esigenze di\ncaratura costituzionale che sorreggono questo ramo dell\u0027ordinamento,\nla disciplina si pone come carente nella misura in cui finisce per\nconsiderare in astratto come eternamente sottoponibile a pena chi non\ne\u0027 ne\u0027 sara\u0027 mai in grado di esservi sottoposto perche\u0027 incapace di\npercepire la funzione della pena quale emenda. \n A fronte delle censure sin qui esposte, il Collegio ritiene\ndebbano valorizzarsi le acquisizioni costituzionali e normative\nmaturate sul terreno della irreversibile incapacita\u0027 processuale,\nindividuando nella norma di cui all\u0027art. 72-bis codice di procedura\npenale un tertium comparationis da intendersi non tanto o meglio non\nsoltanto quale parametro normativo di raffronto per valutare la\nragionevolezza della disciplina attualmente in esame, quanto\npiuttosto come opzione normativa adeguata costituzionalmente con cui\nil legislatore ha dato una soluzione idonea a risolvere una\nsituazione analoga a quella al vaglio del Collegio. \n Gia\u0027 in altre occasioni, infatti, la Corte costituzionale,\ndiscostandosi dalla teoria delle cosiddette soluzioni a rime\nobbligate, ha recentemente adottato pronunce in cui sono state\naccolte soluzioni di tipo additivo manipolativo che, pur se non\nobbligate, apparivano adatte a offrire una cornice di tutela adeguata\nrispetto ai vulnera costituzionali denunciati dai giudici rimettenti,\nevitando al contempo che la declaratoria di incostituzionalita\u0027\ncreasse vuoti di disciplina e precludesse, in astratto, un intervento\ndel legislatore che, nell\u0027esercizio della sua discrezionalita\u0027 e\ntenendo fermi i criteri costituzionali minimi offerti dalla Corte,\ndesse una diversa riorganizzazione alla materia. \n Si tratta di un\u0027ermeneutica costituzionale ormai consolidatasi ed\nespressa in diverse pronunce della Consulta: si vedano la Sentenza n.\n40 del 2019, punto 4.2. del Considerato in diritto; Sentenza n. 236\ndel 2016, punto 4.4. del Considerato in diritto; Sentenza n. 222 del\n2018, punto 8.1. del Considerato in diritto; recentemente Sentenza 46\ndel 2024, punto 4 e seguenti del Considerato in diritto; ex multis,\nnello stesso senso, sentenze n. 95 del 2022, punto 5 del Considerato\nin diritto, e n. 252 del 2020, punto 4.6. del Considerato in diritto.\nSebbene i precedenti citati hanno in massima parte riguardato norme\nrelative a giudizi in cui era oggetto di censura\nl\u0027adeguatezza-ragionevolezza del trattamento sanzionatorio, non sono\nmancate pronunce che hanno fatto applicazione della teoria delle\nsoluzioni costituzionalmente adeguate anche nell\u0027ambito della materia\ndella sorveglianza: si pensi alle sentenze n. 253/2019 e n. 10/2024,\nrispettivamente, in tema di accesso ai permessi premio per condannati\nper delitti di cui all\u0027art. 4-bis comma 1, O.P. in assenza di\ncollaborazione con la giustizia ed in tema di a affettivita\u0027\ninframuraria e divieto di colloqui intimi, ove la Corte ha\nsostanzialmente individuato il portato minimo di tutela\ncostituzionalmente necessitato per rispondere alle censure mosse dai\ngiudici a quo, lasciando comunque un margine di discrezionalita\u0027\nall\u0027organo legislativo. \n Facendo applicazione dei principi citati, questo Collegio ritiene\nche la soluzione costituzionalmente adeguata per porre rimedio ai\nprofili di incostituzionalita\u0027 sopra esposti sarebbe quella di\nstabilire nella subjecta materia una normativa modellata sul disposto\ndell\u0027art. 72-bis codice di procedura penale che, in caso di accertata\ned irreversibile incapacita\u0027 di sottoposizione ad esecuzione penale\ndel condannato, consenta di dichiarare non luogo a provvedere\nsull\u0027esecuzione della pena. \n Un tale effetto potrebbe essere realizzato mediante pronuncia\nadditiva che dichiari l\u0027illegittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 147\ncodice penale per violazione degli articoli 3 comma 2, 24, 27 comma\n3, 111 comma 2 Cost. e 117 Cost. in relazione all\u0027art. 6 CEDU, nella\nparte in cui non prevede che «Se, a seguito degli accertamenti\nesperiti, ove occorra anche mediante perizia, risulta che lo stato\npsicofisico del condannato e\u0027 tale da impedire la cosciente\nsottoposizione ali \u0027esecuzione della pena e che tale stato e\u0027\nirreversibile, il giudice pronuncia ordinanza di non luogo a\nprocedere o ordinanza di doversi procedere». \n Si e\u0027 espunto, nella formulazione del parametro ritenuto\nadeguato, il riferimento all\u0027applicazione di misure di sicurezza, pur\npresente nell\u0027art. 72-bis codice di procedura penale posto che la\nnorma in esame consente il differimento della pena solo ad esito di\nun giudizio che escluda la pericolosita\u0027 sociale del condannato. \n In questo senso, sarebbe ridondante il riferimento a misure che\nhanno nella attuale pericolosita\u0027 sociale il loro principale\npresupposto applicativo. \n La questione di costituzionalita\u0027 cosi\u0027 posta risulta rilevante\nnel caso di specie, oltre che, per le ragioni su esposte, non\nmanifestamente infondata. \n In punto di rilevanza, invero, deve osservarsi che la condizione\ndi G e\u0027 quella di chi e\u0027 affetto da grave infermita\u0027 psichica e\nfisica e non puo\u0027 essere ritenuto, per ragioni oggettive discendenti\ndalle sue patologie e dalla incapacita\u0027 di azione che queste\ndeterminano, socialmente pericoloso ai sensi dell\u0027art. 147 comma 3\nc.p., apparendo possibile escludere il rischio di reiterazione di\nreati. \n Nei suoi confronti, dunque, si imporrebbe una decisione in\ntermini di differimento, che pero\u0027 sarebbe del tutto arbitraria in\npunto di quantum, apparendo evidente sin da ora che la sua condizione\nclinica e la relativa infermita\u0027 psicofisica sono irreversibili e non\npotranno che peggiorare con l\u0027avanzare dell\u0027eta\u0027, determinando un\nsusseguirsi di differimenti sino al suo trapasso. \n Laddove venisse accolta la prospettazione di questo Tribunale di\nSorveglianza, viceversa, il giudizio potrebbe concludersi con un\nesito giuridicamente diverso da quello attualmente possibile: invece\ndell\u0027apposizione di un termine di durata del differimento, infatti,\npotrebbe statuirsi definitivamente sull\u0027esecuzione della pena,\nevitando la reiterazione di futuri giudizi. \n Ne\u0027 la questione potrebbe essere risolta mediante accesso ad una\ninterpretazione costituzionalmente orientata. Invero, sotto questo\nprofilo, il dato non nativo risulta piuttosto chiaro nello stabilire\nche la pronuncia del giudice si risolva in un mero differimento o in\nuna sospensione dell\u0027esecuzione. In altri termini, la legge non\nattribuisce al giudice il potere di dichiarare una volta per tutte\nl\u0027ineseguibilita\u0027 della pena tout court; effetto che si realizza solo\ncon il decesso della persona a seguito di piu\u0027 o meno numerosi\ndifferimenti. \n Potrebbe, invero, immaginarsi che il Tribunale di Sorveglianza,\nproprio in ragione della mancata indicazione nell\u0027art. 147 codice\npenale di un termine specifico per il differimento, disponga un\nrinvio dell\u0027esecuzione sino alla morte del condannato, ovvero sino al\nperdurare delle condizioni di incapacita\u0027. Ma, a ben vedere, si\ntratterebbe di soluzioni pratiche che, invece di affrontare il tema\ned il problema nella sua effettiva realta\u0027 e alla luce di una lettura\ncostituzionale delle norme, realizzerebbero un effetto di sostanziale\naggiramento del dato di legge, stabilendo un differimento sine die\nsostanzialmente idoneo a risolversi in una rinuncia all\u0027esecuzione\nnormativamente non prevista, oltreche\u0027 di difficile compatibilita\u0027\ncon il quadro costituzionale tratteggiato supra. Come tali, sono\nopzioni che questo Collegio stima non praticabili metodologicamente\ned assiologicamente non adeguate. \n Quanto alla non manifesta infondatezza, ci si richiama in massima\nparte a quanto gia\u0027 indicato sopra. \n Appare, tuttavia, opportuno svolgere alcune considerazioni sulla\nadeguatezza della soluzione prospettata non soltanto con riferimento\nalle esigenze di tutela del singolo rispetto alla pretesa punitiva\ndello Stato, ma anche rispetto alla rispondenza della stessa alle\nesigenze di difesa della collettivita\u0027. \n Potendo, invero, il differimento della pena essere concesso solo\na fronte di un giudizio che escluda la pericolosita\u0027 sociale del\ncondannato, l\u0027eventuale accoglimento della questione non esporrebbe a\nmaggiori rischi il consorzio civile; i potenziali destinatari della\nnorma, infatti, rimarrebbero solo coloro che, incapaci di essere\nsottoposti a pena, non rappresentano piu\u0027 un pericolo per la\nsocieta\u0027. \n Ancora, si consideri che la rinuncia alla esecuzione della pena\nrimarrebbe ancorata all\u0027esperimento di accertamenti particolarmente\npregnanti in punto di attuale assenza della capacita\u0027 di essere la\npersona sottoposta a pena e di irreversibilita\u0027 di talestato, secondo\nle medesime opzioni normative assunte sul terreno della capacita\u0027 di\nstare in processo dagli articoli 70 e seguenti c.p.p. \n Da ultimo, preme evidenziarsi che in caso di eventuali ed\nimprevedibili mutamenti nella condizione della persona (che non\ndovrebbero verificarsi, ma non possono non essere considerati come\nevenienza, seppur remota) tali da far riacquistare al condannato\ncapacita\u0027 di essere sottoposto ad esecuzione penale, sarebbe comunque\npossibile rivalutare la posizione dell\u0027interessato. Invero, da un\nlato le pronunce della magistratura di sorveglianza sono rese con\nordinanza e vige, in generale, un principio di revocabilita\u0027 delle\nstesse ove si accerti che la situazione di fatto sulla base della\nquale esse sono state emesse risulta difforme o sostanzialmente\nmutata; dall\u0027altro, a fronte di una pronuncia di non doversi\nprocedere all\u0027esecuzione, che non attiene al merito del giudizio,\npotrebbe immaginarsi la riedizione di nuovo giudizio, eventualmente\nda promuoversi da parte della Procura competente, onde sollecitare\nuna rivalutazione. Ma, e\u0027 bene indicarlo, si dovrebbe trattare di\ncasi piu\u0027 che eccezionali, a fronte della condizione di\nirreversibilita\u0027 accertata. \n In presenza di profili di pericolosita\u0027 sociale, invece,\nrimarrebbero valide le opzioni costituzionalmente indicate dalla\nConsulta nella sentenza n. 99/2019, quali la detenzione domiciliare\numanitaria, adeguata a contemperare le contrapposte esigenze\nrilevanti nel caso concreto. \n E\u0027 chiaro che, nella prospettiva sin qui sostenuta, una pena che\nrisulti priva di qualsiasi possibilita\u0027 di proiezione rieducativa per\nincapacita\u0027 del condannato si porrebbe in termini problematici\nrispetto all\u0027art. 27 comma 3 Cost. anche laddove eseguita nelle forme\ndella detenzione domiciliare nei confronti di chi sia, pero\u0027,\npericoloso; ma un tale approfondimento della questione, oltre a non\nessere rilevante nel caso di specie, posto che si e\u0027 escluso G. sia\nsoggetto pericoloso, dovrebbe essere piu\u0027 adeguatamente oggetto di un\nintervento legislativo che ripensi il rapporto tra incapacita\u0027\nirreversibile ed esecuzione della pena nelle diverse sfumature e\ncombinazioni che possono presentarsi nella realta\u0027, potendo esservi\ndiverse soluzioni ipotizzabili per disciplinare la materia. \n Ma, quantomeno rispetto a chi sia stato giudicato stabilmente\nincapace e non piu\u0027 socialmente pericoloso, come G. , e che si\nvedrebbe comunque non sottoposto a pena, non paiono emergere\nalternative costituzionalmente adeguate ulteriori rispetto a quella\nqui indicata e di cui si auspica l\u0027accoglimento. \n\n \n P.Q.M. \n \n Visto l\u0027art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; \n Ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva,\nnei termini indicati, questione di legittimita\u0027 costituzionale\ndell\u0027art. dell\u0027art. 147 codice penale per violazione degli articoli 3\ncomma 2, 24, 27 comma 3, 111 comma 2 Cost. e 117 Cost. in relazione\nall\u0027art. 6 CEDU, nella parte in cui non prevede che «Se, a seguito\ndegli accertamenti esperiti, ove occorra anche mediante perizia,\nrisulta che lo stato psicofisico del condannato e\u0027 tale da impedire\nla cosciente sottoposizione all\u0027esecuzione della pena e che tale\nstato e\u0027 irreversibile, il giudice pronuncia ordinanza di non luogo a\nprocedere o ordinanza di doversi procedere.». \n Sospende il giudizio in corso sino all\u0027esito del giudizio\nincidentale di legittimita\u0027 costituzionale; \n Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano\nimmediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente\nordinanza sia notificata alle parti in causa ed al pubblico\nministero, nonche\u0027 al Presidente del Consiglio dei ministri, e che\nsia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. \n Cosi\u0027 deciso in Bologna, il 29 aprile 2025. \n \n Il Presidente: Vassallo \n \n \n Il Magistrato estensore: Romano","elencoNorme":[{"id":"62775","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"cp","denominaz_legge":"codice penale","data_legge":"","data_nir":"","numero_legge":"","descrizionenesso":"","legge_articolo":"147","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":""}],"elencoParametri":[{"id":"79421","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"3","specificaz_art":"","comma":"2","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79422","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"24","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79423","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"27","specificaz_art":"","comma":"3","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79424","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"111","specificaz_art":"","comma":"2","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79425","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"117","specificaz_art":"","comma":"1","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""},{"id":"79426","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"cedu","descriz_costit":"Convenzione per la salvaguardia diritti dell\u0027uomo e libertà fondamentali","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"6","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","unique_identifier":""}],"elencoParti":[]}}" ] ] |