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Ramon Jose\u0027 Escovar Alvarado, nato in Venezuela il  15\ngennaio 1978; Maria Victoria Alvarado Bajares, nata in  Venezuela  il\n17 aprile 1952; Angela Cecilia Alvarado Bajares, nata in Venezuela il\n12 gennaio 1955; Maria Victoria Escovar Alvarado, nata  in  Venezuela\nil 15 gennaio  1978;  Marcelino  Alfredo  Madriz  Alvarado,  nato  in\nVenezuela il 9 maggio 1983; Manuel Alberto Madriz Alvarado,  nato  in\nVenezuela il 17 maggio 1986, per se\u0027 e per il proprio  figlio  minore\nJoaquin Ignacio Madriz Valladares, nato in  Venezuela  l\u00278  settembre\n2022, tutti rappresentati e difesi dall\u0027avv. Benedetta Ballatore, dal\nprof. avv. Alfonso Celotto, dal prof. avv. Giovanni Bonato, dall\u0027avv.\nGiovanni Caridi e dall\u0027avv. Riccardo De Simone - ricorrenti -  contro\nMinistero  dell\u0027interno,  in  persona  del  Ministro   pro   tempore,\ndomiciliato ex lege presso l\u0027Avvocatura distrettuale dello  Stato  di\nTorino  -  convenuto  contumace  -  e  nei  confronti  del   pubblico\nministero, in persona del  procuratore  della  Repubblica  presso  il\nTribunale di Torino - interveniente necessario - a scioglimento della\nriserva assunta all\u0027udienza del 16 giugno  2025,  ha  pronunciato  la\nseguente ordinanza. \n    1. Con ricorso ex art. 28-decies del codice di  procedura  civile\ndepositato  in  data  28  marzo  2025,  ritualmente   notificato,   i\nricorrenti  convenivano  in  giudizio   il   Ministero   dell\u0027interno\nchiedendo di accertare e  dichiarare  il  loro  status  di  cittadini\nitaliani  iure  sanguinis,  deducendo  di  essere   discendenti   del\ncittadino italiano Pietro Maria Dorato, nato a  Torino  l\u002711  ottobre\n1837 (cfr. doc. 1) che, successivamente, emigrava in Venezuela, senza\ntuttavia mai naturalizzarsi  cittadino  venezuelano  (cfr.  doc.  2).\nConseguentemente, i ricorrenti chiedevano di  ordinare  al  Ministero\ndell\u0027interno  e,  per  esso,   all\u0027ufficiale   dello   Stato   Civile\ncompetente, di procedere all\u0027iscrizione, trascrizione  e  annotazione\ndella cittadinanza nei registri dello stato civile. \n    Il Ministero dell\u0027interno non si costituiva in giudizio. \n    Il  pubblico  ministero  nulla  opponeva   all\u0027accoglimento   del\nricorso. \n    All\u0027udienza del 16  giugno  2025,  verificata  la  regolarita\u0027  e\ntempestivita\u0027  delle  notificazioni,   il   giudice   dichiarava   la\ncontumacia del Ministero convenuto. In via preliminare, i  ricorrenti\neccepivano  l\u0027incostituzionalita\u0027  dell\u0027art.  3-bis  della  legge  n.\n91/1992,  richiamandosi  alle  argomentazioni  di  cui  alla  memoria\nautorizzata dell\u002711 giugno 2025; osservavano, in particolare, che  la\nquestione di costituzionalita\u0027 sarebbe ammissibile e  rilevante,  per\nessere  la  normativa  introdotta  dal   decreto-legge   n.   36/2025\napplicabile al caso di specie (ricorso presentato in  data  28  marzo\n2025 e non preceduto da domanda in via amministrativa, trattandosi di\ndiscendenza iure sanguinis per  linea  materna).  Il  giudice,  preso\natto, tratteneva la causa in riserva. \n    2. Preliminarmente  va  affermata  la  competenza  della  Sezione\nspecializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e\nlibera circolazione dei cittadini UE presso il Tribunale  di  Torino,\nai sensi dall\u0027art. 1, comma 36 e comma 37, legge n. 206/2021  che  ha\nintrodotto  all\u0027art.  4,  comma  5,  del  decreto-legge  n.  13/2017,\nconvertito, con modificazioni, dalla legge  n.  46/2017  il  seguente\nperiodo: «quando  l\u0027attore  risiede  all\u0027estero  le  controversie  di\naccertamento dello stato  di  cittadinanza  italiana  sono  assegnate\navendo riguardo al  comune  di  nascita  del  padre,  della  madre  o\ndell\u0027avo cittadini italiani». \n    3.  Nel  merito,  e  con  riferimento  all\u0027ammissibilita\u0027   della\nquestione di costituzionalita\u0027 eccepita dai ricorrenti, si rileva che\n- in applicazione della normativa precedente  all\u0027entrata  in  vigore\ndel decreto-legge n. 36/2025 - la domanda di parte ricorrente sarebbe\nstata fondata, in quanto sulla base  della  documentazione  in  atti,\nrisulta provata la discendenza diretta per linea paterna da cittadino\nitaliano, nonostante nella linea genealogica figuri un ascendente  di\nsesso femminile, sposata con cittadino  straniero  e  con  cui  aveva\navuto un figlio prima della promulgazione della vigente  Costituzione\ndel 1948. \n    Si  ritiene   peraltro   che   la   documentazione   offerta   in\ncomunicazione dai ricorrenti consenta di ritenere rispettata anche la\nprevisione di cui al novellato art. 19-bis del decreto legislativo n.\n150/2011. Come noto, il decreto-legge n. 36/2025 ha aggiunto  a  tale\nnorma il comma 2-bis, che introduce  il  divieto  di  ricorrere  alla\nprova testimoniale, e il comma  2-ter,  ai  sensi  del  quale  «nelle\ncontroversie in materia di accertamento della  cittadinanza  italiana\nchi chiede l\u0027accertamento della cittadinanza e\u0027 tenuto ad allegare  e\nprovare l\u0027insussistenza delle cause di mancato acquisto o di  perdita\ndella cittadinanza previste dalla legge»). Nel  caso  qui  in  esame,\ncome  gia\u0027  rilevato,  e\u0027  agli  atti  il  certificato  negativo   di\nnaturalizzazione dell\u0027avo (doc.  2),  di  talche\u0027  deve  considerarsi\nassolto anche il nuovo  onere  probatorio  documentale  previsto  dal\ndecreto-legge n.  36/2025.  Tanto  premesso,  in  punto  di  fatto  i\nricorrenti: \n        allegano di essere tutti discendenti  in  linea  diretta  dal\nsig.  Pietro  Maria   Dorato,   cittadino   italiano   per   nascita,\nsegnatamente nato a Torino in data 11  ottobre  1837  e  deceduto  in\nVenezuela successivamente alla proclamazione del Regno  d\u0027Italia  (di\nconseguenza, si deve ritenere che Pietro Maria Dorato abbia acquisito\nla cittadinanza italiana in  seguito  all\u0027unificazione  avvenuta  nel\n1861; in questo senso, cfr. ex multis l\u0027ord. n. 23849  del  2023  del\nTribunale di Roma); \n        allegano che il sig. Pietro Maria Dorato si e\u0027 trasferito  in\nVenezuela e non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana; \n        ricostruiscono la linea di discendenza, per il tramite  della\nfiglia del sig. Dorato e delle figlie di quest\u0027ultima; \n        allegano che i discendenti del sig. Dorato sono italiani  per\ndiritto di nascita, ma che il Consolato del Venezuela non consente di\nricevere le istanze di riconoscimento di cittadinanza ove una persona\ndella linea di discendenza  sia  donna  nata  prima  dell\u0027entrata  in\nvigore della costituzione repubblicana, imponendo a costoro di  agire\nesclusivamente per la via giudiziale (cfr. estratto del sito internet\ndel Consolato generale d\u0027Italia a Caracas, sub doc. 19). \n    A prova di tali fatti, i ricorrenti hanno  depositato  l\u0027estratto\ndi nascita dell\u0027avo italiano  emigrato  in  Venezuela  (doc.  1),  il\ncertificato di mancata sua naturalizzazione (doc. 2) e il certificato\ndi matrimonio dell\u0027avo con una donna venezuelana (doc.  3).  Inoltre,\ndepositano i certificati di nascita e di matrimonio  dei  discendenti\ndell\u0027avo (docc. da 4 a 18), le indicazioni del Consolato italiano  in\nVenezuela  circa  l\u0027impossibilita\u0027  di  presentare  domanda  in   via\namministrativa per i discendenti da donne  italiane  nati  prima  del\n1948 (doc. 19), nonche\u0027 l\u0027ordinanza n. 23849 del 2023  del  Tribunale\ndi Roma, resa nel giudizio R.G. n. 13107/2022, con cui - in  un  caso\nche vedeva quali ricorrenti alcuni parenti in linea collaterale degli\nodierni ricorrenti, tutti discendenti dell\u0027avo Pietro Maria Dorato  -\ne\u0027 stato accertato lo status di cittadino  italiano  dell\u0027avo  Pietro\nMaria Dorato, della figlia Angela Maria  Dorato  Soto  e  del  nipote\nAnselmo  Alvarado  Dorato,  con  il  conseguente  diritto  dei   loro\ndiscendenti alla cittadinanza italiana (doc. 20). \n    In diritto, i ricorrenti: \n        richiamano il disposto dell\u0027art. 1 della  legge  n.  555  del\n1912 circa la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis; \n        richiamano la sentenza della Corte costituzionale, n. 30  del\n1983, che ha stabilito che l\u0027art. 1 della legge n. 555  del  1912  e\u0027\nincostituzionale nella parte in cui non prevede che sia cittadino per\nnascita anche il figlio di madre italiana; \n        danno atto  della  costante  giurisprudenza  della  Corte  di\nCassazione, in ragione della quale non vi e\u0027 un limite temporale alla\npossibilita\u0027 di richiedere la  cittadinanza  italiana  in  quanto  lo\nstatus di cittadino ha natura permanente ed  imprescrittibile  ed  e\u0027\ngiustiziabile in ogni tempo, salvo  l\u0027estinzione  per  effetto  della\nrinuncia del richiedente e  che  la  titolarita\u0027  della  cittadinanza\nitaliana va riconosciuta in sede  giudiziaria  alla  donna  che  l\u0027ha\nperduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al\n1° gennaio 1948,  in  quanto  la  perdita  senza  la  volonta\u0027  della\ntitolare della  cittadinanza  e\u0027  effetto  perdurante  di  una  norma\nincostituzionale, per violazione  del  principio  della  parita\u0027  dei\nsessi e della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi di cui  agli\narticoli  3  e  29  della   Costituzione   (cfr.   Cassazione   civ.,\nSezioni unite, sentenza n. 4466 del 2009); \n        richiamano ancora la giurisprudenza di legittimita\u0027, a  tenor\ndel  quale  la  cittadinanza  «per  nascita»  si  acquista  a  titolo\noriginario,  determinando  uno  status  civitatis   che   ha   natura\npermanente ed e\u0027 imprescrittibile e giustiziabile in  ogni  tempo  in\nbase alla semplice  prova  della  fattispecie  acquisitiva  integrata\ndalla  nascita  da  cittadino  italiano,  di  talche\u0027  la  linea   di\ntrasmissione e\u0027 prova necessaria  e  sufficiente  per  l\u0027accoglimento\ndella tutela giudiziale (nel senso che il richiedente puo\u0027  limitarsi\nad  allegare  e  provare  di  essere  discendente  di  un   cittadino\nitaliano); \n        menzionano  un  ulteriore  profilo  della  giurisprudenza  di\nlegittimita\u0027, che ha  chiarito  che  il  cittadino  italiano  nato  e\nresidente in  uno  Stato  estero,  dal  quale  sia  ritenuto  proprio\ncittadino per nascita, conserva comunque la cittadinanza  italiana  e\nla trasmette ai figli (cfr. Cassazione civ., Sezioni unite, n.  25317\ndel 2022). \n    4. Nel contesto di  fatto  e  di  diritto  appena  descritto,  e\u0027\nintervenuto  il  decreto-legge  n.  36  del  2025,  convertito,   con\nmodificazioni, dalla legge n. 74 del 2025. \n    Il decreto-legge ha inserito l\u0027art. 3-bis nella legge n. 91/1992,\nnorma del seguente testuale tenore: \n        «In deroga agli articoli 1, 2, 3,  14  e  20  della  presente\nlegge, all\u0027art. 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123,  agli  articoli\n1, 2, 7, 10, 12 e 19 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nonche\u0027 agli\narticoli 4, 5, 7, 8 e 9 del codice civile approvato con regio decreto\n25 giugno 1865, n. 2358, e\u0027 considerato non avere mai  acquistato  la\ncittadinanza italiana chi e\u0027 nato all\u0027estero anche prima  della  data\ndi entrata in vigore del presente articolo ed e\u0027 in possesso di altra\ncittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni: \n          a) lo stato di cittadino dell\u0027interessato e\u0027  riconosciuto,\nnel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a  seguito\ndi domanda, corredata  della  necessaria  documentazione,  presentata\nall\u0027ufficio consolare o al sindaco competenti non oltre le 23,59, ora\ndi Roma, della medesima data; \n          a-bis)  lo   stato   di   cittadino   dell\u0027interessato   e\u0027\nriconosciuto, nel rispetto della normativa applicabile  al  27  marzo\n2025,   a   seguito   di   domanda,   corredata   della    necessaria\ndocumentazione,  presentata  all\u0027ufficio  consolare  o   al   sindaco\ncompetenti   nel   giorno   indicato   da   appuntamento   comunicato\nall\u0027interessato dall\u0027ufficio competente entro le 23,59, ora di  Roma,\ndella medesima data del 27 marzo 2025; \n          b) lo stato  di  cittadino  dell\u0027interessato  e\u0027  accertato\ngiudizialmente, nel rispetto della normativa applicabile al 27  marzo\n2025, a seguito di domanda giudiziale presentata non oltre le  23,59,\nora di Roma, della medesima data; \n          c) un ascendente di primo o di secondo  grado  possiede,  o\npossedeva al momento  della  morte,  esclusivamente  la  cittadinanza\nitaliana; \n          d) un genitore o adottante e\u0027 stato residente in Italia per\nalmeno  due  anni  continuativi  successivamente  all\u0027acquisto  della\ncittadinanza italiana e prima della data di nascita o di adozione del\nfiglio». \n    In buona sostanza, la nuova normativa emergenziale introduce  dei\nrequisiti piu\u0027  stringenti  per  il  riconoscimento  dello  stato  di\ncittadino italiano dei soggetti nati all\u0027estero che,  pur  avendo  il\ndiritto ad essere riconosciuti  cittadini  italiani  ai  sensi  della\nlegge n. 91/1992, non abbiano esercitato  tale  diritto  con  domanda\n(amministrativa o giudiziale) presentata «non oltre le 23,59, ora  di\nRoma»  del  27  marzo  2025;  vale  a  dire,  del  giorno  precedente\nall\u0027entrata in vigore del decreto legge n. 36/2025. \n    4.1. La disposizione in esame si applica al caso di specie, per i\nseguenti motivi: \n        i  ricorrenti   hanno   rappresentato   che   nel   Venezuela\nl\u0027attribuzione  della  cittadinanza  venezuelana  avviene  sia   iure\nsanguinis sia iure soli; \n        i ricorrenti sono tutti nati in Venezuela,  di  talche\u0027  essi\nhanno acquisito (anche) la cittadinanza venezuelana; \n        ai sensi dell\u0027art. 34  della  Costituzione  della  Repubblica\nBolivariana  del  Venezuela  approvata  il  20  dicembre  1999,   «la\nnazionalita\u0027 venezuelana non si perde all\u0027optare o acquisire di altra\nnazionalita\u0027», di talche\u0027 il Venezuela consente il regime  di  doppia\ncittadinanza; \n        ai sensi della nuova  disposizione  di  legge,  i  ricorrenti\ndevono essere considerati come non aver mai acquisito la cittadinanza\nitaliana sin dalla nascita; \n        i  ricorrenti  non  rientrano  nelle   clausole   derogatorie\npreviste dalla legge, atteso che: \n          non  e\u0027  stata  proposta  (ne\u0027  risultava  proponibile,  in\nragione del fatto che la figlia dell\u0027avo emigrato ha avuto un  figlio\nnato prima dell\u0027entrata in vigore della Costituzione repubblicana del\n1948) domanda in via amministrativa; \n          la domanda giudiziale e\u0027 stata proposta il 28 marzo 2025 e,\nquindi, successivamente alle ore 23,59 del 27 marzo 2025; \n          non risulta  che  gli  ascendenti  dei  ricorrenti  abbiano\nsoggiornato in Italia per due anni prima della nascita del figlio; \n          gli ascendenti dei ricorrenti non avevano esclusivamente la\ncittadinanza italiana. \n    5. I ricorrenti, con memoria  autorizzata  dell\u002711  giugno  2025,\nhanno eccepito l\u0027incostituzionalita\u0027 del predetto art. 3-bis legge n.\n91/1992,  rilevando  che  tale  norma  violerebbe  numerosi  precetti\ntutelati dalla Costituzione, in particolare agli articoli 3, 22, 77 e\n117, comma 1. \n    5.1. Orbene, la disamina dell\u0027ammissibilita\u0027  e  della  rilevanza\ndella questione di  legittimita\u0027  costituzionale  dedotta  impone  la\nsoluzione di una questione interpretativa, che si ritiene preliminare\ne dirimente: occorre cioe\u0027 stabilire quale sia l\u0027efficacia  dell\u0027art.\n3-bis legge n. 91/1992 sul diritto di cittadinanza dei ricorrenti. In\naltri termini, occorre stabilire se la nuova norma introdotta  -  con\nefficacia retroattiva - dal decreto-legge n. 36/2025 incida (i) su un\ndiritto di cittadinanza iure sanguinis gia\u0027 acquisito  al  patrimonio\ngiuridico dei ricorrenti, ovvero se incida (ii) su una situazione  di\nmera aspettativa al riconoscimento della cittadinanza italiana. \n    5.2. Invero, e\u0027 evidente  che  la  normativa  introdotta  con  il\ndecreto-legge n. 36/2025 comporti  una  limitazione  del  diritto  al\nriconoscimento   della   cittadinanza   italiana    previsto    dalla\nlegislazione previgente: in questo  senso,  si  rileva  che  l\u0027appena\nrichiamato art. 3-bis legge n. 91/1992  esordisce  con  l\u0027espressione\n«in deroga agli articoli ...»;  si  tratta,  pertanto,  di  normativa\nspeciale  che  deroga   agli   ordinari   criteri   in   materia   di\nriconoscimento della cittadinanza italiana. \n    Ne\u0027 puo\u0027 essere  dubitato  che  tale  normativa  abbia  efficacia\n(almeno in parte) retroattiva, nel senso che essa si applica a  tutte\nle domande presentate successivamente alle 23,59 del 27  marzo  2025;\nvale a dire, anche a persone gia\u0027 nate  che,  in  applicazione  della\nnormativa  previgente  (come  detto,   espressamente   derogata   dal\ndecreto-legge n. 36/2025) avrebbero pacificamente  avuto  diritto  al\nriconoscimento della cittadinanza italiana. \n    Nella relazione illustrativa al decreto-legge n. 36/2025 si legge\nche  il  novellato  art.  3-bis  legge  n.  91/1992  «stabilisce  una\npreclusione all\u0027acquisto automatico della  cittadinanza  per  i  nati\nall\u0027estero in possesso di cittadinanza di Stato estero», con le  sole\neccezioni previste alle lettere c)  e  d)  del  medesimo  art.  3-bis\n(ascendente di primo o secondo grado  titolare  esclusivamente  della\ncittadinanza italiana, ovvero residenza «qualificata» in Italia  pari\nad almeno due  anni  continuativi).  Secondo  la  medesima  relazione\nillustrativa, dunque, «la disposizione non  introdurrebbe  un\u0027ipotesi\ndi perdita della cittadinanza (ulteriore rispetto a  quelle  previste\ndall\u0027art. 13 della  legge  n.  91  del  1992)  bensi\u0027  una  specifica\npreclusione all\u0027acquisto automatico della  cittadinanza  (ex  tunc  e\ndunque operante anche ai nati all\u0027estero prima dell\u0027entrata in vigore\ndella disposizione stessa) per discendenza, per adozione o per  altra\ncausa». \n    In tale contesto, come  detto,  occorre  dunque  valutare  se  la\nderoga introdotta dal  decreto-legge  n.  36/2025  costituisca  negli\neffetti  una  nuova  ipotesi  di  perdita  (rectius,  revoca)   della\ncittadinanza, ovvero se introduca - come prospettato nella  relazione\nillustrativa - un semplice «meccanismo processuale», in  quanto  tale\nimmediatamente applicabile alla stregua del  principio  tempus  regit\nactum. In altri termini, e in buona  sostanza,  occorre  valutare  se\nl\u0027immediata applicabilita\u0027 della nuova disposizione normativa di  cui\nall\u0027art. 3-bis legge  n.  91/1992  sia  compatibile  con  i  principi\ncostituzionali e, in particolare, con i principi di ragionevolezza  e\ndi affidamento nella sicurezza giuridica piu\u0027 volte  affermati  dalla\ngiurisprudenza costituzionale (si tratta di principi ricavabili dagli\narticoli 2 e 3  della  Costituzione,  che  sono  stati  ripetutamente\naffermati  dalla  Corte  con  particolare   riguardo   alla   materia\nprevidenziale; cfr., ex multis, sentenza n. 69 del 2014 e sentenza n.\n173 del 2016), nonche\u0027 con i principi costituzionali e internazionali\nche impediscono che un individuo sia  arbitrariamente  privato  della\nsua cittadinanza (art. 22 della Costituzione, art. 15, comma 2, della\nDichiarazione universale dei diritti dell\u0027uomo del 10 dicembre 1948 e\nart. 3, comma 2, del Quarto protocollo addizionale alla CEDU). \n    6. A  tal  fine,  si  rende  necessario  un  breve  excursus  sui\nrequisiti per l\u0027accertamento della cittadinanza italiana in favore di\nsoggetti nati all\u0027estero nel regime previgente alla novella di cui al\ndecreto-legge n. 36/2025. \n    Sul  punto,  appare  utile  innanzi   tutto   richiamare   quanto\nrecentemente affermato dalle Sezioni unite della Corte di  Cassazione\nche, nella sentenza n.  25318  del  24  agosto  2022  (relativa  alle\nconseguenze  giuridiche  nell\u0027ordinamento  italiano  della  normativa\nbrasiliana che introdusse, con decreto n.  58-A  del  1889,  la  c.d.\n«grande naturalizzazione»)  ha  ripercorso  i  principi  fondamentali\nposti dalla legge n. 91/1992  per  l\u0027accertamento  del  diritto  alla\ncittadinanza  italiana.  Si  riporta  di  seguito  testualmente,  per\nragioni  di  chiarezza  espositiva,  il  paragrafo  della  menzionata\nsentenza delle Sezioni unite che ricostruisce i principi  attributivi\ndella cittadinanza italiana nel regime normativo vigente sino  al  27\nmarzo 2025: \n        «XIII.  Essenzialmente  la  cittadinanza  e\u0027  una   qualita\u0027,\nattribuita dalla legge, che indica l\u0027appartenenza di  un  soggetto  a\nuno Stato. \n        A essa corrisponde  un  patrimonio  variabile  di  diritti  e\ndoveri di matrice pubblica e costituzionale (uno status, come si suol\ndire). \n        A questo riguardo l\u0027ordinamento giuridico  italiano  mantiene\nper  tradizione  un   approccio   conservatore,   senza   alterazioni\nsostanziali rispetto al prevalente  criterio  di  acquisizione  della\ncittadinanza iure sanguinis, praticamente  immutato  fin  dal  codice\ncivile del 1865 secondo un impianto ereditato prima  dalla  legge  n.\n555 del 1912 e poi dalla attuale legge n. 91 del 1992. \n        L\u0027acquisto fondamentale e\u0027 a titolo originario per nascita. \n        Fino al 1992 cio\u0027 equivaleva a dire che e\u0027 cittadino italiano\nchi sia figlio di padre cittadino, oppure, quando il padre e\u0027  ignoto\n(o apolide), chi sia figlio di madre cittadina. \n        Una tale formula ha nella sostanza  caratterizzato  le  leggi\nnazionali nell\u0027arco del divenire storico che qui rileva: articoli 4 e\n7 del codice civile del 1865, art. 1 della legge n. 555 del 1912. \n        Il quadro e\u0027 mutato con la legge n. 91 del  1992,  frutto  di\nuna sopravvenuta maturazione  costituzionale,  ma  semplicemente  nel\nsenso che e\u0027 cittadino per nascita - oggi - chi sia figlio di padre o\ndi  madre  cittadini,  ovvero  chi  sia  nato  nel  territorio  della\nRepubblica se entrambi i genitori sono ignoti o  apolidi  (o  se  non\nsegua la  loro  cittadinanza  in  base  alla  legge  dello  Stato  di\nappartenenza). \n        Guardando   alle   prime   manifestazioni   della    volonta\u0027\nlegislativa esternata dalla legislazione  precostituzionale,  non  e\u0027\ndubitabile che il legislatore italiano si sia espresso in termini  di\nsostanziale  continuita\u0027  di  scopo  e  di  intenti;  ed  e\u0027  infatti\ncomunemente accettata l\u0027opinione che vede nella legge n. 555 del 1912\nun semplice punto di perfezionamento della disciplina gia\u0027 insita nel\ncodice civile del 1865. \n        Puo\u0027 osservarsi che il peso della scelta ispirata  ai  legami\ndi sangue (per l\u0027appunto iure sanguinis), rispetto ad altri indici di\nlegame tra la persona e il territorio (iure loci  o,  come  anche  si\ndice, iure soli, piu\u0027 o meno  temperati  da  requisiti  e  condizioni\naggiunte), ha giustificato (e  tuttora  in  parte  giustifica,  nella\nlegge n. 91 del 1992) una decisa restrizione  delle  possibilita\u0027  di\nacquisto della cittadinanza di chi non vanti ascendenti italiani,  ma\nanche - per la contraddizione che  non  consente  -  una  altrettanto\ndecisa  restrizione  delle  possibilita\u0027  di  ravvisare   fattispecie\nestintive della cittadinanza degli italiani all\u0027estero. \n        E\u0027 un fatto assolutamente ovvio,  da  quest\u0027ultimo  punto  di\nvista, che l\u0027istituto della perdita della cittadinanza italiana  puo\u0027\ndipendere solo dalla legislazione nazionale, secondo le previsioni in\nquesta pro tempore rinvenibili, non mai invece da  decisioni  attuate\nin un ambito ordinamentale straniero. \n        Proprio da cio\u0027 e\u0027 originato il riconoscimento  dei  fenomeni\ndi  doppia  cittadinanza,  d\u0027altronde  armonici  con  lo  sviluppo  e\nl\u0027evoluzione  del  diritto   internazionale.   Fenomeni   dei   quali\nl\u0027ordinamento attuale (con la citata legge  n.  91  del  1992)  tende\nsemmai a risolvere le ipotetiche conseguenti situazioni di conflitto. \n        Non puo\u0027 non  sottolinearsi  come  della  rilevanza  di  tali\nfenomeni di doppia cittadinanza abbia  dato  atto  pure  (e  finanche\nall\u0027epoca) la tanto evocata sentenza della  Corte  di  cassazione  di\nNapoli del 1907. \n        La  possibilita\u0027   di   aversi   nel   tempo   «una   duplice\nnazionalita\u0027»  venne  gia\u0027  allora   considerata   una   «conseguenza\ninevitabile  (...)  del  concetto  della  sovranita\u0027,   che   include\nnecessariamente le note di autonomia ed indipendenza di  ciascuna  di\nesse nel proprio territorio». \n        La risultante di un tale schema e\u0027 molto semplice. \n        La cittadinanza per fatto di nascita  si  acquista  a  titolo\noriginario. \n        Lo status  di  cittadino,  una  volta  acquisito,  ha  natura\npermanente ed e\u0027 imprescrittibile. \n        Esso e\u0027 giustiziabile in ogni tempo  in  base  alla  semplice\nprova  della  fattispecie  acquisitiva  integrata  dalla  nascita  da\ncittadino italiano. \n        Donde la prova e\u0027 nella linea di trasmissione. \n        Resta salva solo l\u0027estinzione per  effetto  di  rinuncia  (v.\ngia\u0027 Cassazione Sezioni unite n. 4466-09). \n        Ne segue che, ove  la  cittadinanza  sia  rivendicata  da  un\ndiscendente, null\u0027altro - a legislazione invariata - spetta a lui  di\ndimostrare salvo che questo: di  essere  appunto  discendente  di  un\ncittadino italiano; mentre incombe alla  controparte,  che  ne  abbia\nfatto eccezione, la prova dell\u0027evento  interruttivo  della  linea  di\ntrasmissione» (cosi\u0027 testualmente Cassazione, Sezioni unite, sentenza\nn. 25318 del 24 agosto 2022). \n    Ad analoghe conclusioni  era  gia\u0027  pervenuta  in  precedenza  la\ngiurisprudenza  di  legittimita\u0027,  di  talche\u0027  si  puo\u0027  parlare  di\norientamento consolidato. Per completezza, si richiama - tra le molte\n- quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sempre a Sezioni unite,\nnella precedente pronuncia n. 4466 del 25 febbraio 2009,  ricognitiva\ndei principi affermati dalla Corte costituzionale con le sentenze  n.\n87 del 1975 e n. 30 del 1983,  che  avevano  -  come  noto  -  esteso\nl\u0027acquisto della cittadinanza a titolo originario per  nascita  anche\nai figli di madre italiana: \n        «Per la normativa ordinaria, alla cittadinanza ha diritto  il\nfiglio di padre o madre cittadini o di genitori ignoti, se nasce  sul\nterritorio nazionale (legge 5 febbraio 1992,  n.  91,  art.  1),  con\nriferimento ai concetti di ius sanguinis e ius soli; la  Costituzione\nvieta che lo stato possa perdersi per motivi politici (art. 22  della\nCostituzione)  e  la  legge  ordinaria  precisa  che  ad  esso   puo\u0027\nrinunciare solo chi ne e\u0027 titolare (legge n. 92 del 1991,  art.  11).\nLa struttura normativa dell\u0027istituto evidenzia che ogni persona ha un\ndiritto soggettivo alla condizione personale costituita  dallo  stato\ndi cittadino e in tal senso sono pure le  convenzioni  internazionali\nrilevanti in questa sede ai sensi dell\u0027art.  117  della  Costituzione\n(dall\u0027art. 15 della Dichiarazione universale  dei  diritti  dell\u0027uomo\ndel 1948 al Trattato di Lisbona approvato dal Parlamento  europeo  il\n16 gennaio 2008). \n        La  legge  n.  92  del  1991  sulla  cittadinanza   riafferma\nl\u0027esistenza di tale diritto che puo\u0027 essere solo  riconosciuto  dalle\nautorita\u0027 amministrative competenti (Ministero dell\u0027interno: articoli\n7 e 8), prevedendo eccezionalmente atti concessori di esso  da  parte\ndel Presidente della Repubblica, con  una  discrezionalita\u0027  politica\nlimitata, in rapporto alle circostanze speciali indicate dalla legge,\nper le quali la cittadinanza viene concessa (art.  9).  Lo  stato  di\ncittadino e\u0027 permanente ed ha effetti perduranti  nel  tempo  che  si\nmanifestano nell\u0027esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si  e\u0027\nrilevato, puo\u0027 perdersi solo per rinuncia,  cosi\u0027  come  anche  nella\nlegislazione previgente (legge n. 555 del 1912, art. 8, n. 2). \n        Per  la  Convenzione  sull\u0027eliminazione  di  ogni  forma   di\ndiscriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il  18\ndicembre 1979 e ratificata in Italia dalla legge 14  marzo  1985,  n.\n132, richiamata in ricorso, alle donne  spettano  \"diritti  uguali  a\nquelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione\ndella cittadinanza\". Nella legge del 1912,  come  interpretata  dalla\nCorte costituzionale nelle due richiamate sentenze,  il  rapporto  di\nconiugio  della  donna  \"maritata\"  con   straniero   e   quello   di\n\"filiazione\" solo da padre cittadino comportavano rispettivamente  la\nperdita o l\u0027acquisto della cittadinanza, non spettante al  figlio  di\ndonna che l\u0027aveva perduta per matrimonio. \n        Nessun riferimento esclusivo  alla  nascita  e  al  mero  ius\nsanguinis  giustificava  o  giustifica  l\u0027acquisto  dello  stato   di\ncittadino, che sorge dalla filiazione, oggi anche  adottiva,  essendo\ndubitabile e superato il collegamento al mero fatto del nascere da un\nsoggetto con una specifica cittadinanza dell\u0027acquisto di questa,  con\nuna visione che pericolosamente si accosta al  concetto  di  \"razza\",\nincompatibile con la civilta\u0027 prima ancora che  con  l\u0027art.  3  della\nCostituzione. La cittadinanza,  come  esattamente  si  afferma  dalla\nmigliore dottrina, assume il suo senso e significato non  solo  nella\ndisciplina dei rapporti verticali del suo titolare con lo  Stato  che\nesercita poteri sovrani  nei  suoi  confronti,  ma  anche  in  quelli\norizzontali  con  gli  altri  appartenenti  alla  societa\u0027  cui  egli\npartecipa  con  lui  titolari  del  medesimo  stato  (art.  4   della\nCostituzione). Attraverso il rapporto di filiazione che  collega  una\npersona alla formazione sociale intermedia costituita dalla  famiglia\n\"societa\u0027 naturale\" (articoli 2 e 29 della Costituzione), la  persona\nentra  in  rapporto  con  l\u0027intera   societa\u0027   e   ha   diritto   al\nriconoscimento dello stato  di  cittadino  e  dei  diritti  e  doveri\nconseguenti. \n        Percio\u0027 correttamente si afferma che lo stato  di  cittadino,\neffetto della condizione di  figlio,  come  questa,  costituisce  una\nqualita\u0027  essenziale  della  persona,  con  caratteri  d\u0027assolutezza,\noriginarieta\u0027,  indisponibilita\u0027  ed  imprescrittibilita\u0027,   che   lo\nrendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non  definibile  come\nesaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o  riconosciuto  da\nsentenza passata in giudicato. \n        Tale ricostruzione del concetto di cittadinanza emerge  dalle\nstesse sentenze sulla legge precostituzionale che la  regolava  della\nCorte costituzionale, che ritengono la perdita e il mancato  acquisto\ndello stato  imposte  dalla  normativa  illegittima,  effetto  di  un\nmatrimonio, sempre che questo  permanga  efficace  e  non  sia  stato\nsciolto, e dell\u0027essere figlio di madre che  la  perdita  dello  stato\nabbia subito contro la sua volonta\u0027, senza rinunciarvi.  ...»  (cosi\u0027\ntestualmente Cass., Sezioni unite n. 4466 del 25 febbraio 2009). \n    In  applicazione  del  c.d.  «diritto  vivente»,   dunque,   deve\nconcludersi che - nel regime previgente al decreto-legge n. 36/2025 -\ni  soggetti  nati  all\u0027estero  che  potevano  dimostrare  la  propria\ndiscendenza ininterrotta da un cittadino italiano  fossero  per  cio\u0027\nsolo cittadini italiani, essendo la qualita\u0027 di «cittadino  italiano»\nuna «qualita\u0027 essenziale della persona, con caratteri  d\u0027assolutezza,\noriginarieta\u0027,  indisponibilita\u0027   ed   imprescrittibilita\u0027»   (cosi\u0027\nCassazione Sezioni unite n. 4466/2009, cit.). \n    7.  Ad  avviso   di   questo   Tribunale,   dunque,   il   dubbio\ninterpretativo sollevato retro al paragrafo 5.1 va risolto nel  senso\nche - nel regime previgente al decreto-legge  n.  36/2025  -  i  nati\nall\u0027estero da avo italiano erano ab origine  cittadini  italiani.  La\ncircostanza che essi avessero, o  meno,  agito  in  giudizio  per  il\nriconoscimento «formale» del  loro  status  di  cittadini  costituiva\ninvero una semplice circostanza di fatto,  irrilevante  ai  fini  del\nriconoscimento del diritto. Non poteva  cioe\u0027  parlarsi  di  rapporto\ngiuridico «a formazione progressiva», ma  di  un  diritto  soggettivo\nperfetto che sorgeva con la nascita della persona. \n    L\u0027ipotesi interpretativa contraria, alla stregua della  quale  lo\nstatus di cittadino non sarebbe ancora «completo», necessitando di un\nsuo formale riconoscimento giudiziale, contrasta  con  l\u0027impostazione\nermeneutica   tradizionalmente    adottata    dalla    giurisprudenza\ncostituzionale  e  di  legittimita\u0027  piu\u0027  sopra   richiamata.   Essa\ncontrasta,  in  particolare,  con  la  natura  dichiarativa  (e   non\ncostitutiva) che  viene  pacificamente  accordata  alle  sentenze  di\naccertamento della cittadinanza iure sanguinis; cio\u0027 a  dimostrazione\ndel  fatto  che  l\u0027intervento  giudiziale  (o   amministrativo)   non\ncomportava la costituzione di alcun diritto alla cittadinanza in capo\nai discendenti di un avo italiano, ma il semplice  riconoscimento  di\nun diritto gia\u0027 da essi acquisito. Diversamente opinando, infatti, si\nverterebbe  in  un\u0027ipotesi  di  acquisto  della   cittadinanza   «per\nnaturalizzazione»  (come  avviene  per  le  persone   straniere   che\nrisiedano in Italia per un dato periodo temporale, al ricorrere delle\ncircostanze  normativamente  previste)  e  non  di   acquisto   della\ncittadinanza «per nascita», come indubitabilmente era  nel  caso  dei\ncittadini iure sanguinis nel regime previgente  al  decreto-legge  n.\n36/2025. \n    7.1. Rileggendo l\u0027art. 1 decreto-legge n. 36/2025  alla  luce  di\ntali principi, si impongono ancora le seguenti considerazioni. \n    La nuova norma comporta, nella sostanza,  una  limitazione  dello\nstatus di cittadino, gia\u0027 acquisito a titolo originario dai  soggetti\nnati all\u0027estero con avo italiano. \n    Come piu\u0027  volte  rimarcato,  il  «diritto  vivente»  (da  ultimo\noggetto dell\u0027interpretazione nomofilattica della Corte di  Cassazione\na Sezioni unite nella richiamata sentenza  n.  25318/22)  attribuisce\nrilevanza - ai fini del  riconoscimento  dello  status  di  cittadino\nitaliano - alla sola circostanza di essere discendente diretto di  un\navo italiano (sempre che la linea di trasmissione della  cittadinanza\nnon sia interrotta da un volontario atto di  revoca;  circostanza  da\nescludersi nel caso oggi in discussione),  senza  che  assuma  alcuna\nrilevanza la circostanza che gli ascendenti del ricorrente abbiano, o\nmeno, esercitato il loro diritto al  riconoscimento  «formale»  della\ncittadinanza. In altri termini, lo status di cittadino e\u0027  parte  del\npatrimonio giuridico della persona, e viene acquisito alla nascita  a\ntitolo  originario:  tale  diritto,  imprescrittibile,  puo\u0027   essere\noggetto di  accertamento  giudiziale  in  qualsiasi  momento,  ma  il\nmancato accertamento giudiziale del diritto soggettivo non fa  venire\nmeno l\u0027esistenza del diritto (in questo  senso,  si  richiama  quanto\naffermato dalla  giurisprudenza  di  legittimita\u0027  nella  sentenza  a\nSezioni unite n. 29459 del 13 novembre 2019: in quel caso la  Suprema\nCorte,  chiamata  a  pronunciarsi  sull\u0027applicabilita\u0027  delle   norme\nrestrittive in materia  di  protezione  umanitaria  introdotte  dalla\nnovella del 2020, ne aveva escluso l\u0027applicazione retroattiva - cioe\u0027\nalle  domande  presentate  precedentemente   all\u0027introduzione   della\nmenzionata  novella  -  osservando   che   «il   principio   generale\nd\u0027irretroattivita\u0027, che non gode di  copertura  costituzionale  nella\nmateria in questione, ... e\u0027 pur  sempre  stabilito,  salvo  deroghe,\ndall\u0027art. 11 delle preleggi. Esso, di la\u0027 da distinzioni, di  rilievo\neminentemente descrittivo, tra  retroattivita\u0027  in  senso  proprio  e\nretroattivita\u0027 in senso improprio,  e\u0027  volto  a  tutelare  non  gia\u0027\nfatti,  bensi\u0027  diritti:  quel  che  il  divieto  di   retroattivita\u0027\ngarantisce e\u0027 il divieto di modificazione della  rilevanza  giuridica\ndei fatti che gia\u0027 si siano compiutamente  verificati  (nel  caso  di\nfattispecie istantanea) o di una fattispecie  non  ancora  esauritasi\n(nel  caso  di  fattispecie   durevole   non   completata   all\u0027epoca\ndell\u0027abrogazione»). \n    Una volta chiarito che, nel caso di  specie,  i  ricorrenti  sono\nnati cittadini italiani, deve  conseguentemente  concludersi  che  la\nnormativa di cui  al  decreto-legge  n.  36/2025  introduce  -  nella\nsostanza - una fattispecie di «revoca implicita» della  cittadinanza.\nE, inoltre, si tratta di una ipotesi di «revoca  retroattiva»,  nella\nmisura in cui le nuove norme si applicano a  tutti  i  casi  che  non\nsiano pendenti alle  23,59  del  27  marzo  2025  (giorno  precedente\nall\u0027entrata in vigore del decreto-legge n. 36/2025). \n    Cio\u0027 posto, si deve rilevare la  sussistenza  di  seri  dubbi  in\nordine alla compatibilita\u0027 del menzionato art. 3-bis  della  legge  5\nfebbraio  1992  n.  91,  introdotto  dall\u0027art.  1,   comma   1,   del\ndecreto-legge 28 marzo 2025,  n.  36,  convertito  con  modificazioni\ndalla legge 23 maggio 2025, n. 74,  coi  parametri  desumibili  dagli\narticoli 2, 3, 22 e 117, comma 1, della Costituzione. \nI. - Sulla violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione \n    Innanzitutto, deve essere contestata la violazione degli articoli\n2 e 3 della Costituzione (violazione del principio d\u0027eguaglianza). \n    In  questa  prospettiva,  rileva  l\u0027assoluta  arbitrarieta\u0027   del\ntrattamento tra coloro che avevano presentato una domanda  giudiziale\nprima del 28 marzo 2025 e coloro che la hanno presentata dopo,  senza\nche la diversita\u0027 nella normativa applicabile  sia  in  qualche  modo\nlegata ad alcun ulteriore elemento oggettivo rilevante. \n    A tal proposito, la  giurisprudenza  costituzionale  ha  ricavato\ndagli articoli 2 e 3 della Costituzione l\u0027esistenza  di  un  generale\nprincipio di ragionevolezza delle norme,  che  devono  rispettare  un\naltrettanto  generale  principio  di  «affidamento  nella   sicurezza\ngiuridica». Tali principi sono stati per lo piu\u0027 affermati in materia\nprevidenziale,  dove  piu\u0027  spesso  si  sono  registrati   interventi\nnormativi che - per far fronte a contingenti esigenze di  bilancio  -\nhanno tentato di incidere su rapporti pensionistici gia\u0027 in corso  di\nerogazione.  Da  qui  la  definizione  dottrinale  secondo   cui   il\nlegislatore ordinario, in materia pensionistica, si trovi  di  fronte\nal limite costituzionale invalicabile dei cc.dd. «diritti quesiti». \n    Si ritiene  tuttavia  che  il  principio  di  «affidamento  nella\nsicurezza giuridica» e la tutela dei «diritti  quesiti»  abbiano  una\nportata piu\u0027 ampia, non limitabile alla sola materia previdenziale. \n    L\u0027affidamento nella sicurezza giuridica  costituisce  infatti  un\nprincipio immanente nell\u0027ordinamento costituzionale,  alla  base  del\n«patto sociale»  su  cui  si  fonda  l\u0027ordinamento  repubblicano.  Un\nlegislatore ordinario svincolato dal rispetto dei «diritti  quesiti»,\ninfatti, potrebbe aggredire non solo consolidati diritti  in  materia\npensionistica  o  di  cittadinanza,  ma   qualsiasi   altro   diritto\ncostituzionalmente tutelato (quali, a mero  diritto  di  esempio,  il\ndiritto di proprieta\u0027 o il diritto al risparmio). \n    Tra le numerose pronunce della  Corte  costituzionale  che  hanno\ndichiarato l\u0027illegittimita\u0027 costituzionale di una normativa ordinaria\nche incideva retroattivamente su diritti gia\u0027 acquisiti al patrimonio\ngiuridico della persona (in questo senso, cfr.  Corte  costituzionale\nn. 169 del 2022) si  richiama  il  passaggio  argomentativo  centrale\ndella sentenza n. 69 del 2014, laddove si legge testualmente: \n        «A  tal  riguardo,   questa   Corte   ha   ulteriormente,   e\nreiteratamente, precisato come l\u0027efficacia  retroattiva  della  legge\ntrovi, in particolare, un limite nel \"principio dell\u0027affidamento  dei\nconsociati nella certezza  dell\u0027ordinamento  giuridico\",  il  mancato\nrispetto del quale si risolve  in  irragionevolezza  e  comporta,  di\nconseguenza, l\u0027illegittimita\u0027 della norma  retroattiva  (sentenze  n.\n170 e n. 103 del 2013, n. 271 e n. 71 del 2011, n. 236 e n.  206  del\n2009, per tutte). \n        E, in linea con tale indirizzo, ha anche sottolineato come il\nprincipio  dell\u0027affidamento  trovi  applicazione  anche  in   materia\nprocessuale e risulti violato a fronte di soluzioni interpretative, o\ncomunque retroattive, adottate  dal  legislatore  rispetto  a  quelle\naffermatesi nella prassi (sentenze n. 525  del  2000  e  n.  111  del\n1998). \n        Con ancor piu\u0027 puntuale riguardo a  disposizioni  processuali\nsui termini dell\u0027azione, questa Corte ha  poi  comunque  escluso  che\nl\u0027istituto della decadenza  tolleri,  per  sua  natura,  applicazioni\nretroattive, \"non potendo logicamente  configurarsi  una  ipotesi  di\nestinzione del diritto [...]  per  mancato  esercizio  da  parte  del\ntitolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il\nquale il diritto [...] debba essere esercitato\" (sentenza n. 191  del\n2005)» (cosi\u0027 testualmente Corte Costituzionale, sentenza n.  69  del\n2014). \n    Ad avviso del giudice rimettente, tali  principi  devono  trovare\napplicazione nel caso di  specie,  dovendosi  tenere  a  mente  -  in\nparticolare - del «grado di consolidamento»  particolarmente  elevato\ndella giurisprudenza in materia di cittadinanza iure  sanguinis,  che\nconsta di  un  innumerevole  di  numero  di  pronunce  che  (in  casi\nsovrapponibili a quello di specie) avevano pacificamente riconosciuto\nil diritto alla cittadinanza. Sul punto,  si  rimanda  alla  sentenza\ndella Corte costituzionale n. 70 del 2024, nella parte in cui afferma\nche «va considerato  il  grado  di  consolidamento  della  situazione\nsoggettiva    originariamente    riconosciuta    e    poi    travolta\ndall\u0027intervento retroattivo (sentenze n. 89  del  2018,  n.  250  del\n2017, n. 108 del 2016, n. 216 e n. 56 del 2015)». \n    Un   ulteriore   argomento   nel   senso   dell\u0027arbitrarieta\u0027   e\ndell\u0027irragionevolezza del meccanismo introdotto dal decreto-legge  n.\n36/2025 (id est, revoca implicita della  cittadinanza  con  efficacia\nretroattiva e senza alcuna previsione di diritto intertemporale) puo\u0027\nessere tratto dall\u0027esperienza comparata di sistemi giuridici affini. \n    Particolarmente  significativo  e\u0027   il   caso   dell\u0027ordinamento\ntedesco.  La  disciplina   legislativa   federale   in   materia   di\ncittadinanza  e\u0027   contenuta   principalmente   nella   legge   sulla\ncittadinanza (Staatsangehörigkeitsgesetz - StAG) del 22  luglio  1913\nche, nel corso degli anni, ha subito varie riforme. Ai fini  che  qui\ninteressano, occorre prendere in considerazione  la  riforma  che  e\u0027\nstata attuata con legge del 15 luglio 1999, entrata in vigore  il  1°\ngennaio 2000,  che  ha  introdotto  quale  ulteriore  condizione  per\nl\u0027acquisizione della cittadinanza tedesca il principio del  luogo  di\nnascita (ius soli o Geburtsortsprinzip), in aggiunta al principio  di\nfiliazione  (ius   sanguinis   o   Abstammungsprinzip).   In   questa\nprospettiva, l\u0027art. 4(4) StAG stabilisce che «la cittadinanza tedesca\nnon viene acquisita secondo il comma 1 alla nascita all\u0027estero, se il\ngenitore tedesco e\u0027 nato  all\u0027estero  dopo  il  31  dicembre  1999  e\nrisiede abitualmente li\u0027, a meno che il bambino non risulti  apolide.\n...». \n    Cio\u0027 significa che il legislatore  tedesco  del  1999  ha  voluto\nrendere applicabile  la  nuova  (e  piu\u0027  restrittiva)  normativa  in\nmateria di cittadinanza soltanto ai nati dopo  il  1°  gennaio  2000,\nsenza cioe\u0027 prevedere alcuna applicazione retroattiva (e  in  peius).\nTale esperienza comparatistica costituisce - ad  avviso  del  giudice\nrimettente - una dimostrazione ulteriore dell\u0027insostenibilita\u0027  della\nscelta normativa del decreto-legge  n.  36/2025,  che  disapplica  la\nnormativa in materia di  acquisto  della  cittadinanza  italiana  per\nnascita in vigore sin dal 1912  con  decreto-legge  avente  efficacia\nimmediata ed effetto retroattivo. \nII. - Sulla violazione dell\u0027art. 117, comma 1, della Costituzione. \n    L\u0027irragionevolezza di una normativa  che  limita  il  diritto  di\ncittadinanza gia\u0027 acquisito al patrimonio  giuridico  del  cittadino,\nsenza  che  egli  vi  abbia  rinunciato  o  abbia  commesso  un  atto\n«colpevole» in contrasto con il suo status (come nei casi di cui agli\narticoli 10-bis e 12 legge n. 91/1992),  contrasta  non  solo  con  i\nmenzionati principi di ragionevolezza e affidamento ricavabili  dagli\narticoli 2  e  3  della  Costituzione,  ma  anche  con  gli  obblighi\ninternazionali assunti dall\u0027Italia ai sensi dell\u0027art. 117,  comma  1,\ndella Costituzione. \n    Sulla   giustiziabilita\u0027    della    violazione    del    diritto\ninternazionale  pattizio  dinanzi  alla  Corte   costituzionale,   si\nrichiama quel consolidato orientamento giurisprudenziale che trova la\nsua sintesi nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007. Secondo il  giudice\ndelle leggi, «in occasione di  ogni  questione  nascente  da  pretesi\ncontrasti tra norme interposte e norme legislative  interne,  occorre\nverificare congiuntamente la conformita\u0027 a Costituzione di entrambe e\nprecisamente  la  compatibilita\u0027  della  norma  interposta   con   la\nCostituzione e la legittimita\u0027 della norma  censurata  rispetto  alla\nstessa  norma  interposta».  In  particolare,  con  riferimento  alla\nnecessita\u0027   di   sollevare   un   incidente   di   costituzionalita\u0027\nogniqualvolta la norma interna si ponga in insanabile  contrasto  con\nla norma pattizia, la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che  «al\ngiudice comune spetta interpretare la norma interna in modo  conforme\nalla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali  cio\u0027  sia\npermesso dai testi delle  norme.  Qualora  cio\u0027  non  sia  possibile,\novvero  dubiti  della  compatibilita\u0027  della  norma  interna  con  la\ndisposizione convenzionale «interposta», egli deve  investire  questa\nCorte  della  relativa  questione  di   legittimita\u0027   costituzionale\nrispetto al  parametro  dell\u0027art.  117,  primo  comma»  (cosi\u0027  Corte\ncostituzionale n. 349 del 2007). \n    Con specifico riferimento alla violazione dell\u0027art. 117, comma 1,\ndella Costituzione  in  relazione  a  norme  di  diritto  dell\u0027Unione\neuropea - in quanto tali giustiziabili anche mediante la proposizione\ndi un rinvio pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia  ex  art.  267\nTrattato sul funzionamento dell\u0027Unione europea -  si  rileva  che  la\ngiurisprudenza costituzionale italiana si e\u0027  ormai  consolidata  nel\nsenso  della   c.d.   alternativita\u0027   dei   rimedi.   Si   richiama,\nsull\u0027argomento, la recente sentenza della Corte costituzionale  n.  7\ndel 2025, che ha cosi\u0027  efficacemente  ricostruito  i  termini  della\nquestione: \n        «La Sezione rimettente si e\u0027  dunque  trovata  di  fronte  al\nbivio se decidere  direttamente  sulla  contrarieta\u0027  dell\u0027art.  2641\ndel codice  civile   all\u0027art.   49,   paragrafo   3,   CDFUE   -   e,\nconseguentemente, confermare o annullare la statuizione  della  Corte\nd\u0027appello in proposito -, previo eventuale rinvio pregiudiziale  alla\nCorte di giustizia (come suggerito dallo stesso procuratore  generale\nricorrente); ovvero se investire questa Corte della valutazione sulla\nlegittimita\u0027 costituzionale del medesimo art. 2641 del codice civile,\nalla stregua tanto dei parametri nazionali  sui  quali  si  fonda  il\nprincipio di proporzionalita\u0027 della pena, quanto  dello  stesso  art.\n49, paragrafo 3, CDFUE (oltre che dell\u0027art. 17 CDFUE,  che  tutela  a\nlivello unionale il diritto di  proprieta\u0027),  per  il  tramite  degli\narticoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione. \n        2.2.2. - La decisione della Sezione rimettente  di  procedere\nin questo secondo senso e\u0027 conforme ai principi  ormai  ripetutamente\nenunciati  dalla  giurisprudenza  costituzionale  (a  partire   dalla\nsentenza n. 269 del 2017, punto 5.2. del Considerato in diritto)  per\nl\u0027ipotesi in cui il giudice rilevi una incompatibilita\u0027 tra una legge\nnazionale e una  norma  di  diritto  dell\u0027Unione  dotata  di  effetto\ndiretto. \n        Ove la questione abbia altresi\u0027  «un  \"tono  costituzionale\",\nper il nesso con interessi  o  principi  di  rilievo  costituzionale»\n(sentenza n. 181 del 2024, punto 6.3. del Considerato in diritto), il\ngiudice  italiano  ha  sempre  -   accanto   alla   possibilita\u0027   di\ndisapplicare, nel caso concreto, la legge nazionale, previo eventuale\nrinvio pregiudiziale alla  Corte  di  giustizia  in  caso  di  dubbio\nsull\u0027interpretazione  o  sulla  validita\u0027   della   norma   rilevante\ndell\u0027Unione - l\u0027ulteriore possibilita\u0027 di sollecitare l\u0027intervento di\nquesta  Corte,  affinche\u0027  rimuova  la   legge   nazionale   ritenuta\nincompatibile  con  il  diritto  dell\u0027Unione  (nello  stesso   senso,\nrecentemente, sentenza n. 1 del 2025, punto 3.1. del  Considerato  in\ndiritto). \n        Le due possibilita\u0027 - configuranti  un  \"concorso  di  rimedi\ngiurisdizionali [che] arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti\nfondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione»  (sentenza\nn. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato in diritto) -  si  fondano\nentrambe sul principio del primato del diritto  dell\u0027Unione,  la  cui\ntutela puo\u0027  essere  assicurata,  in  modo  \"sempre  piu\u0027  integrato\"\n(sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato  in  diritto),\nsia da ciascun giudice attraverso il  rimedio  della  disapplicazione\ndella legge nazionale incompatibile nel caso concreto, sia da  questa\nCorte  attraverso   la   dichiarazione   della   sua   illegittimita\u0027\ncostituzionale per contrasto con la norma unionale. \n        Quest\u0027ultimo rimedio, come gia\u0027 sottolineato  nella  sentenza\nn. 20 del 2019, ha - anzi - particolare rilievo proprio nella materia\ndella tutela dei diritti fondamentali,  dove  e\u0027  essenziale  che  le\ncorti costituzionali e supreme nazionali possano \"contribuire, per la\npropria parte, a rendere effettiva la possibilita\u0027,  di  cui  ragiona\nl\u0027art.  6  del  Trattato  sull\u0027Unione  europea  (TUE)  [...]  che   i\ncorrispondenti diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo,  e\nin particolare dalla CDFUE, siano  interpretati  in  armonia  con  le\ntradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate  anche\ndall\u0027art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come  fonti  rilevanti\"\n(punto 2.3. del Considerato in diritto). \n        Al giudice comune spetta, dunque, il compito  di  individuare\nil rimedio di volta in volta piu\u0027 appropriato». \n    II-1.  Tanto  premesso,  si  rileva  innanzitutto  la  violazione\ndell\u0027art. 117, comma 1, della Costituzione in relazione agli articoli\n9  del  Trattato  sull\u0027Unione  europea  e   20   del   Trattato   sul\nfunzionamento dell\u0027Unione europea, che  istituiscono  e  regolano  la\ncittadinanza  europea  come  status  che  si  aggiunge  a  quello  di\ncittadino di uno Stato membro. \n    Tale censura e\u0027  ammissibile  in  ragione  del  riflesso  che  la\ncittadinanza italiana produce circa la titolarita\u0027 della cittadinanza\neuropea. Essa e\u0027 altresi\u0027  rilevante,  in  quanto  la  situazione  di\nperdita della cittadinanza italiana introdotta dal  decreto-legge  n.\n36/2025 indubitabilmente incide su norme di diritto  dell\u0027Unione  che\nhanno  efficacia  diretta  nel  nostro  ordinamento,  non   potendosi\naltrimenti  qualificare  le  norme  dei  Trattati  istitutive   della\ncittadinanza europea («E\u0027 cittadino  dell\u0027Unione  chiunque  abbia  la\ncittadinanza di uno Stato membro», art.  9  TUE;  «E\u0027  istituita  una\ncittadinanza dell\u0027Unione. E\u0027 cittadino dell\u0027Unione chiunque abbia  la\ncittadinanza  di  uno  Stato  membro»,  art.  20  del  Trattato   sul\nfunzionamento dell\u0027Unione europea). \n    Si osserva in proposito che la CGUE, nella sentenza  5  settembre\n2023, C-689/21, causa X c. Udlændinge -  og  Integrationsministeriet,\ne\u0027 stata chiamata a pronunciarsi su una normativa danese che,  per  i\ncittadini danesi nati all\u0027estero, prescriveva la  perdita  ipso  iure\ndella cittadinanza al  compimento  dei  ventidue  anni,  qualora  non\nsussistesse un legame effettivo con la Danimarca; in  quel  caso,  la\nCorte ha testualmente  affermato  che  «la  situazione  di  cittadini\ndell\u0027Unione che [...] possiedono la cittadinanza  di  un  solo  Stato\nmembro e che, con la perdita di tale cittadinanza, si ritrovano senza\nlo status conferito  dall\u0027art.  20  del  Trattato  sul  funzionamento\ndell\u0027Unione europea e i diritti a  esso  correlati  ricade,  per  sua\nnatura e per le conseguenze che  produce,  nella  sfera  del  diritto\ndell\u0027Unione.  Pertanto,  nell\u0027esercizio  della  loro  competenza   in\nmateria di  cittadinanza,  gli  Stati  membri  devono  rispettare  il\ndiritto   dell\u0027Unione   e,   in   particolare,   il   principio    di\nproporzionalita\u0027 [sentenze del  2  marzo  2010,  Rottmann,  C-135/08,\nEU:C:2010:104, punti 42 e 45;  del  12  marzo  2019,  Tjebbes  e  a.,\nC-221/17, EU:C:2019:189, punto  32,  nonche\u0027  del  18  gennaio  2022,\nWiener Landesregierung (Revoca di una garanzia di  naturalizzazione),\nC-118/20, EU:C:2022:34, punto 51]». \n    In  particolare,  la  Corte  di  giustizia  ha  avuto   modo   di\nsottolineare che «la perdita ipso  iure  della  cittadinanza  di  uno\nStato   membro   sarebbe   incompatibile   con   il   principio    di\nproporzionalita\u0027 se le norme nazionali pertinenti non  consentissero,\nin nessun momento, un esame individuale delle conseguenze determinate\nda tale perdita, per gli interessati, sotto il  profilo  del  diritto\ndell\u0027Unione».  Con  la  citata  sentenza,  in  conformita\u0027  alla  sua\ngiurisprudenza anteriore (cfr.  sentenza  12  marzo  2019,  C-221/17,\nTjebbes, punto 41, nonche\u0027, piu\u0027 di recente, sentenza 25 aprile 2024,\nC-684/22, S.O. c. Stadt Duisburg, punto 43),  la  Corte  ha  altresi\u0027\nchiaramente stabilito che lo Stato deve garantire la possibilita\u0027  di\npresentare una richiesta di conservazione o recupero  ex  tunc  della\ncittadinanza  entro  termini  ragionevoli,  che  possono  iniziare  a\ndecorrere  solo  dopo  che  ogni  individuo  -  destinatario  di  una\npossibile   decadenza   -   sia   stato   specificamente    avvertito\ndell\u0027imminenza di  tale  evento,  concedendogli  la  possibilita\u0027  di\nformulare  una  richiesta  diretta   ad   impedire   il   verificarsi\ndell\u0027evento estintivo (CGUE, sentenza  5  settembre  2023,  C-689/21,\npunti 50-52). \n    Per le ragioni gia\u0027 ampiamente esposte, deve  dunque  concludersi\nche la normativa italiana introdotta  dal  decreto-legge  n.  36/2025\nviola le norme dei Trattati istitutive  della  cittadinanza  europea,\ncomportando - di fatto - la perdita della  cittadinanza  italiana  in\ndanno di soggetti che (al di la\u0027 del dato meramente  formale  di  non\navere ancora avviato un procedimento giurisdizionale o amministrativo\ndi  riconoscimento  del  loro   diritto)   erano   pacificamente   da\nconsiderarsi cittadini italiani per  nascita,  senza  che  sia  stato\nprevisto alcun meccanicismo di diritto intertemporale che consentisse\nloro la conservazione della cittadinanza  entro  termini  ragionevoli\n(ad esempio, prevedendo una «finestra temporale» entro la quale poter\npresentare una domanda amministrativa o giudiziale di  riconoscimento\ndella cittadinanza). \n    II-2. Si ravvisa inoltre una violazione dell\u0027art. 117,  comma  1,\ndella  Costituzione  in  relazione  all\u0027art.  15,  comma   2,   della\nDichiarazione universale dei diritti dell\u0027uomo del 10 dicembre  1948,\nai sensi del quale «nessun individuo  potra\u0027  essere  arbitrariamente\nprivato  della  sua  cittadinanza,  ne\u0027   del   diritto   di   mutare\ncittadinanza»: nella specie, si deduce  appunto  l\u0027arbitrarieta\u0027  dei\ncriteri di  «revoca  implicita»  introdotti  dall\u0027art.  1,  comma  1,\nlettera a) e b), decreto-legge n. 36/2025, nella parte in  cui  fanno\nretroagire la «revoca» (id est, l\u0027impossibilita\u0027  di  far  valere  in\ngiudizio  il  proprio  diritto  originario  al  riconoscimento  della\ncittadinanza italiana) alle ore 23,59 del giorno precedente l\u0027entrata\nin vigore del medesimo decreto-legge. \n    Sul punto, si segnala la differenza  sostanziale  che  intercorre\ntra l\u0027art. 15, comma 2, della Dichiarazione  universale  dei  diritti\ndell\u0027uomo e l\u0027art. 22 della  Costituzione:  la  norma  internazionale\nadopera infatti l\u0027avverbio «arbitrariamente», la  cui  estensione  e\u0027\nlessicalmente e strutturalmente piu\u0027 ampia rispetto  all\u0027inciso  «per\nmotivi  politici»  fatto  proprio  dalla   normativa   costituzionale\nitaliana.  Se  per  «motivi  politici»   devono   intendersi   motivi\n«essenzialmente politici»  (si  pensi  al  caso  della  revoca  della\ncittadinanza in danno di una minoranza etnica o degli appartenenti  a\nun dato  movimento  politico,  filosofico,  religioso  o  culturale),\nl\u0027avverbio «arbitrariamente» contempla invece  qualsiasi  ipotesi  di\nprivazione di cittadinanza che - al  di  la\u0027  delle  sue  motivazioni\n«politiche» o «comuni» -  risulti  essere  ingiusta,  ingiustificata,\nirragionevole; vale a dire, arbitraria. \n    Nel caso dell\u0027art. 3-bis cit., per tutte le ragioni  diffusamente\nesposte retro al paragrafo I, deve dunque ritenersi  che  la  perdita\nindiscriminata e retroattiva della cittadina attuata nei confronti di\ntutti i cittadini italiani nati all\u0027estero, in ragione del solo fatto\ndi non avere manifestato (per via  amministrativa  o  giudiziale)  la\npropria volonta\u0027 di avvalersi del  proprio  diritto  di  cittadinanza\n(giova rimarcarlo ancora, ad essi attribuito fin dalla  nascita  iure\nsanguinis e in un momento storico in cui l\u0027affidamento sul  perdurare\ndell\u0027assetto normativo e giurisprudenziale consolidato in materia  di\ncittadinanza  era  massimo)  costituisca  un\u0027ipotesi  di   privazione\narbitraria  della  cittadinanza,  con  conseguente   violazione   del\nprecetto dell\u0027art. 15, comma 2, della  Dichiarazione  universale  dei\ndiritti dell\u0027uomo, tutelato nel nostro  ordinamento  per  il  tramite\ndell\u0027art. 117, comma 1, della Costituzione  come  interpretato  dalla\ngiurisprudenza costituzionale (cfr. Corte costituzionale, sentenze n.\n348 e n. 349 del 2007, cit.). \n    II-3. Infine, si ritiene che l\u0027art. 3-bis della legge n.  91/1992\nvioli l\u0027art. 117, comma 1,  della  Costituzione  anche  in  relazione\nall\u0027art.  3,  comma  2,  del  Quarto  protocollo   addizionale   alla\nConvenzione  europea  dei  diritti  dell\u0027uomo,  ai  sensi  del  quale\n«nessuno puo\u0027 essere privato del diritto di  entrare  nel  territorio\ndello Stato di cui e\u0027 cittadino»: nella specie, ci si  troverebbe  al\ncospetto di soggetti titolari sin dalla  nascita  della  cittadinanza\nitaliana (cioe\u0027 di un  diritto  di  soggettivo),  che  si  vedrebbero\nprivati del loro diritto di entrare nel territorio  italiano  per  il\nsol fatto di non avere chiesto (in via amministrativa  o  giudiziale)\nil riconoscimento del proprio diritto entro le ore 23,59  del  giorno\nprecedente l\u0027entrata in vigore del decreto-legge n. 36/2025. \nIII - Conclusioni \n    Deve dunque concludersi che la normativa ordinaria introdotta dal\ndecreto-legge n. 36/2025  sia  costituzionalmente  illegittima  nella\nmisura in cui fa retroagire gli effetti limitativi  dello  status  di\ncittadinanza ad un momento  anteriore  all\u0027entrata  in  vigore  della\nlegge stessa. \n    In  altri  termini,  e\u0027  costituzionalmente  illegittimo  che  il\nlegislatore ordinario stabilisca all\u0027art. 3bis legge n. 91/1992 che -\n«in deroga» alla normativa applicabile - «e\u0027  considerato  non  avere\nmai acquistato la cittadinanza italiana chi e\u0027 nato all\u0027estero  anche\nprima della data di entrata in vigore del presente articolo ed e\u0027  in\npossesso di altra cittadinanza», limitando alle successive lettere da\na) a d) il diritto all\u0027accertamento della cittadinanza italiana  «per\nnascita» al rispetto di determinate condizioni inserite ex  novo  dal\nmedesimo decreto-legge n. 36/2025. \n    Si dubita cioe\u0027 che sia costituzionalmente  legittimo  -  per  le\nragioni dette e secondo i parametri di cui agli articoli 2, 3 e  117,\ncomma 1, della Costituzione - far retroagire le  limitazioni  ad  uno\nstatus di cittadino che e\u0027 gia\u0027 stato acquisito a  titolo  originario\ndalla persona nata all\u0027estero discendente di cittadino  italiano,  in\nossequio alla normativa in vigore sino al 27 marzo 2025. \n    La scelta legislativa introdotta dall\u0027art. 3-bis legge n. 91/1992\ne\u0027,  come  detto,  assimilabile  a  una  «revoca   implicita»;   tale\nconstatazione  avrebbe  (quantomeno)  imposto  la  previsione  di  un\nragionevole  termine  per  la  presentazione  di   una   domanda   di\nriconoscimento della cittadinanza italiana (a mero titolo di esempio,\n«entro un anno dall\u0027entrata in vigore del  presente  decreto-legge»),\ncosi\u0027 «agganciando»  la  perdita  della  cittadinanza  italiana  alla\nmancata tempestiva  presentazione  della  domanda  (amministrativa  o\ngiudiziale) di riconoscimento della  medesima  cittadinanza.  L\u0027avere\nprevisto una  limitazione  retroattiva  del  diritto  a  chiedere  il\nriconoscimento della cittadinanza italiana, in capo a soggetti che in\napplicazione   della   normativa   previgente   erano   pacificamente\nconsiderati cittadini italiani a titolo originario dalla nascita (pur\nse nati all\u0027estero e in possesso di altra cittadinanza),  costituisce\ndunque - ad avviso di questo Tribunale -  una  violazione  dei  sopra\nrichiamati principi di ragionevolezza e affidamento  nella  sicurezza\ngiuridica in violazione degli articoli 2, 3 e  117,  comma  1,  della\nCostituzione. \n    La disposizione di cui all\u0027art.  3-bis  della  legge  5  febbraio\n1992, n. 91, introdotta dal  decreto-legge  28  marzo  2025,  n.  36,\npresenta dunque profili di possibile incompatibilita\u0027 con i parametri\nsopra richiamati nella parte in cui  stabilisce  al  comma  1,  primo\nperiodo,  l\u0027applicabilita\u0027  della  nuova  normativa  a  chi  e\u0027  nato\nall\u0027estero «anche prima della data di entrata in vigore del  presente\narticolo», nonche\u0027 con riferimento alle  condizioni  introdotte  alle\nlettere a), a-bis) e b), in quanto in tal modo  introduce  un\u0027ipotesi\ndi revoca automatica  e  con  effetto  immediato  della  cittadinanza\nitaliana per tutti quei soggetti nati all\u0027estero  e  in  possesso  di\naltra cittadinanza che non rispettino le  caratteristiche  soggettive\nintrodotte dal medesimo decreto-legge all\u0027art. 1,  lettere  c)  e  d)\n(sussistenza   del   c.d.   genuine   link).   In   altri    termini,\nl\u0027incostituzionalita\u0027 parziale dell\u0027art. 3-bis cit. deriva dal  fatto\nche sarebbe stato possibile prevedere  una  normativa  intertemporale\ntale consentire alle persone interessate (cioe\u0027  agli  italiani  nati\nall\u0027estero, in possesso di altra cittadinanza e privi di un  «genuine\nlink» con l\u0027Italia) di essere debitamente informate  delle  modifiche\nnormative intervenute, onde  poter  presentare  -  entro  un  termine\nragionevole  -  la   domanda   (amministrativa   o   giudiziale)   di\nriconoscimento della cittadinanza iure sanguinis. \n    La dichiarazione di parziale incostituzionalita\u0027 dell\u0027art.  3-bis\nlegge n. 91/1992 nei termini sopra prospettati consentirebbe  inoltre\ndi  conservare  l\u0027effetto  utile  della  riforma  legislativa  -  che\npersegue l\u0027intento di dare concreta attuazione nel nostro ordinamento\nal principio internazionale del «legame effettivo» (o «genuine link»,\nribadito da ultimo dalla Corte di giustizia dell\u0027Unione europea nella\nsentenza del 29 aprile 2025, causa C-181/23)  -  eliminando  le  sole\nconseguenze pregiudizievoli derivanti  dall\u0027applicazione  retroattiva\n(cioe\u0027 a tutte le persone gia\u0027 nate) della nuova normativa. Attesa la\nnatura derogatoria dell\u0027art. 3-bis legge  n.  91/1992,  infatti,  una\nvolta  eliminati   i   periodi   che   espressamente   ne   prevedono\nl\u0027applicazione  retroattiva,  resterebbe   un\u0027unica   interpretazione\ncostituzionalmente orientata della  nuova  normativa  in  materia  di\ncittadinanza:  quella  dell\u0027applicabilita\u0027   dell\u0027art.   3-bis   cit.\nsoltanto alle persone nate successivamente all\u0027entrata in vigore  del\ndecreto-legge  n.  36/2025,  valendo  -  in  assenza  di  un\u0027espressa\nprevisione di retroattivita\u0027 - la regola generale di cui all\u0027art.  11\ndelle preleggi, alla stregua della quale «la legge  non  dispone  che\nper l\u0027avvenire». \n    In questa prospettiva, la  dichiarazione  di  incostituzionalita\u0027\nparziale dell\u0027art. 3-bis cit. potrebbe anche essere  accompagnata  da\nun   intervento   di   tipo   manipolativo-additivo    della    Corte\ncostituzionale,  con  previsione  di   un   meccanismo   di   diritto\nintertemporale che garantisca la possibilita\u0027  (a  tutte  le  persone\ngia\u0027 nate alla  data  di  entrata  in  vigore  del  decreto-legge  n.\n36/2025)  di  presentare  una   domanda   di   riconoscimento   della\ncittadinanza entro termini ragionevoli, in applicazione dei  principi\naffermati dalla Corte di giustizia UE  nella  menzionata  sentenza  5\nsettembre 2023, C-689/21. \n    Per  tutte  le  ragioni  che  precedono,  non  e\u0027  manifestamente\ninfondata la questione di incostituzionalita\u0027  all\u0027art.  3-bis  della\nlegge 5 febbraio  1992,  n.  91  (Nuove  norme  sulla  cittadinanza),\nintrodotto dal decreto-legge  28  marzo  2025,  n.  36  (Disposizioni\nurgenti in materia di cittadinanza), limitatamente alle parole «anche\nprima della data di entrata in vigore del presente articolo»  e  alle\ncondizioni di  cui  lettere  a),  a-bis)  e  b),  in  riferimento  ai\nparametri di cui agli articoli 2, 3 e 117 della  Costituzione,  avuto\nriguardo  per  quest\u0027ultimo  ai  principi  derivati  dall\u0027ordinamento\ninternazionale  e,  in  particolare,   dall\u0027art.   9   del   Trattato\nsull\u0027Unione Europea, dall\u0027art.  20  del  Trattato  sul  funzionamento\ndell\u0027Unione europea,  dall\u0027art.  15,  comma  2,  della  Dichiarazione\nuniversale dei diritti dell\u0027uomo del 10 dicembre 1948 e dell\u0027art.  3,\ncomma 2, del Quarto protocollo addizionale alla  Convenzione  europea\ndei diritti dell\u0027uomo. \n\n \n                               P.Q.M. \n \n    Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale\nn. 1/1948 e 23 legge n. 87 del 1953, ritenuta la rilevanza e  la  non\nmanifesta infondatezza della questione di legittimita\u0027 costituzionale\ndell\u0027art. 3-bis - limitatamente alle parole «anche prima  della  data\ndi entrata  in  vigore  del  presente  articolo»  e  alle  condizioni\npreviste alle lettere a), a-bis) e b) - della legge 5 febbraio  1992,\nn. 91, introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36,  convertito\ncon modificazioni dalla legge 23 maggio 2025, n. 74,  in  riferimento\nagli articoli 2, 3 e 117, comma 1, della  Costituzione,  quest\u0027ultimo\nin relazione ai principi derivati dall\u0027ordinamento internazionale  e,\nin  particolare,  dall\u0027art.  9  del  Trattato  sull\u0027Unione   europea,\ndall\u0027art. 20 del  Trattato  sul  funzionamento  dell\u0027Unione  europea,\ndall\u0027art. 15, comma 2, della  Dichiarazione  universale  dei  diritti\ndell\u0027uomo del 10 dicembre 1948 e dell\u0027art. 3,  comma  2,  del  Quarto\nprotocollo  addizionale  alla   Convenzione   europea   dei   diritti\ndell\u0027uomo; \n    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la\nsospensione del giudizio; \n    Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle parti  e  al\nPresidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti  del\nSenato della Repubblica e della Camera dei deputati. \n        Torino, il 25 giugno 2025 \n \n                       Il giudice: Alessandria","elencoNorme":[{"id":"63437","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"l","denominaz_legge":"legge","data_legge":"05/02/1992","data_nir":"1992-02-05","numero_legge":"91","descrizionenesso":"introdotto dall\u0027","legge_articolo":"3","specificaz_art":"bis","comma":"","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1992-02-05;91~art3"},{"id":"63438","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"dl","denominaz_legge":"decreto-legge","data_legge":"28/03/2025","data_nir":"2025-03-28","numero_legge":"36","descrizionenesso":"convertito con modificazioni 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