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Domenico Pellegrini Presidente \n      dott.ssa Valeria Ardoino Giudice \n      dott. Danilo Corvacchiola Giudice Rel. \n    A scioglimento della riserva assunta all\u0027esito dell\u0027udienza del 3\nmaggio 2024, letti gli  atti  e  sentita  la  relazione  del  giudice\ndesignato, ha pronunciato la seguente \n \n                              Ordinanza \n \n    Nella causa promossa da: \n      P                  M                T                   e     ,\nC.F.                              ,   nata    a                      \n (            )     il                               ,      residente\nin                   , n.          ed  elettivamente  domiciliata  in\nGenova, via Roma n. 5/8, presso e nello studio  degli  avv.ti  Enrico\nGrego e Tomaso Grego, che la rappresentano e  la  difendono  come  da\nprocura in atti; \n- Parte attrice - \n       contro C          A          ,  C.F.                   ,  nato\na                      (            ),  l\u0027              ,   residente\nin                  ,     via                 n.                   ed\nelettivamente domiciliato in Genova, via XX Settembre n. 23/8 Sc.  B,\npresso e nello studio dell\u0027Avv. Roberta Di Biase, che lo  rappresenta\ne lo difende come da procura in atti; \n- Parte convenuta - \n    Con l\u0027intervento ex lege del pubblico ministero. \n    Premesso che \n      con ricorso depositato in data 31 luglio  2023,  la  sig.ra  ha\nchiesto che, a modifica delle condizioni di  separazione  dal  marito\nsig.                    di cui alla sentenza n. 3925/2016 emessa  dal\nTribunale di Genova  in  data  15  dicembre  2016,  venisse  disposto\nl\u0027aumento da euro 650,00 ad  euro  1.200,00  mensili  del  contributo\npaterno  al   mantenimento   della   figlia                         ,\nmaggiorenne ma  non  economicamente  indipendente  in  quanto  ancora\nstudentessa, a fronte delle aumentate esigenze di vita della ragazza,\naffetta da sindrome di «Crouzon» con difficolta\u0027 di apprendimento,  e\ndelle migliorate condizioni economiche del  convenuto,  che  peraltro\naveva negli anni disatteso il calendario  di  frequentazione  con  la\nfiglia di cui si occupava integralmente la madre; \n      nel costituirsi in giudizio  con  comparsa  di  costituzione  e\nrisposta del 23 ottobre 2023, il sig. si e\u0027 opposto alla  domanda  di\nmodifica proposta contestando la sussistenza dei presupposti  per  la\nmodifica richiesta ed ha chiesto in via riconvenzionale  che  venisse\npronunciato il divorzio dalla moglie con conferma del contributo  per\nil mantenimento della figlia maggiorenne cosi\u0027 come previsto in  sede\ndi separazione e con revoca invece  del  contributo  al  mantenimento\ndell\u0027altra  figlia  maggiorenne  ,  ormai   divenuta   economicamente\nautosufficiente, pari sempre ad euro 650,00 mensili; \n      con successiva memoria ex art. 47-bis.17  codice  di  procedura\ncivile  dell\u00278  novembre   2023,   parte   ricorrente   ha   eccepito\nl\u0027inammissibilita\u0027 in questa sede della domanda di divorzio formulata\nin via riconvenzionale dal  convenuto  per  mancanza  di  connessione\noggettiva rispetto alla  domanda  di  modifica  delle  condizioni  di\nseparazione  trattandosi  di  petitum  e  causa  petendi  differenti,\ncontestando in ogni caso l\u0027assenza di prova dei presupposti di  legge\nper la pronuncia di divorzio  in  violazione  ai  principi  stabiliti\ndagli articoli 163 n. 4 e 164 c.p.c.; \n      all\u0027udienza  del  28   novembre   2023   le   parti,   dapprima\ncontrapposte, con l\u0027ausilio dei difensori e del G.D. hanno  raggiunto\nun accordo in punto mantenimento delle figlie maggiorenni  prevedendo\nla revoca del contributo previsto a carico del padre per la figlia  ,\normai autosufficiente, ed aumentando ad euro 1.100,00, con decorrenza\ndalla mensilita\u0027 di , quello per la figlia , ferma la suddivisione al\n70% a carico del padre delle spese straordinarie relative alla figlia\nda individuarsi secondo  il  documento  di  orientamento  di  cui  al\nverbale di riunione della Sezione IV del Tribunale di Genova  del  15\nsettembre 2016; \n      la causa e\u0027 stata quindi rinviata all\u0027udienza  del  18  gennaio\n2024, svoltasi mediante deposito di  note  scritte  ex  art.  127-ter\nc.p.c., per consentire alle parti  di  addivenire  ad  una  soluzione\nbonaria complessiva di tutte  le  questioni  patrimoniali  e  per  la\ndiscussione   dei   profili   di   ammissibilita\u0027    della    domanda\nriconvenzionale di divorzio in sede di procedimento di modifica delle\ncondizioni di separazione; \n      con ordinanza ex art. 473-bis.22 codice di procedura civile del\n2 febbraio 2024, il G.D., preso atto dell\u0027impossibilita\u0027 di pervenire\nad una soluzione condivisa in punto divorzio a fronte  dell\u0027eccezione\ndi inammissibilita\u0027 della domanda reiterata da parte  ricorrente,  la\nquale  ha  sollevato  dubbi  di  legittimita\u0027  costituzionale   della\ndisciplina  codicistica  del  nuovo  rito  introdotto   dal   decreto\nlegislativo n. 149/2022 (cosiddetta Riforma Cartabia) in  materia  di\nfamiglia per contrasto con gli articoli  3,  24  e  111  della  carta\nfondamentale  nella  parte  in  cui  all\u0027art.  473-bis.17  codice  di\nprocedura civile prevede un termine di soli dieci giorni per la parte\nattrice  per  prendere  posizione  sulle  domande  nuove  svolte  dal\nconvenuto,  ha  conferito  vigore  in  via  provvisoria   all\u0027accordo\nparziale  raggiunto  dalle  parti  e,  ritenuta  la  rilevanza  delle\nquestioni giuridiche emerse, ha rinviato all\u0027udienza  del  12  aprile\n2024, successivamente differita per esigenze d\u0027ufficio  al  3  maggio\n2024, per la discussione orale dinanzi al Collegio,  all\u0027esito  della\nquale la causa e\u0027 stata trattenuta in riserva per la decisione. \n    Tanto premesso, il Collegio \n \n                               Osserva \n \n    1.   Sull\u0027eccezione    di    inammissibilita\u0027    della    domanda\nriconvenzionale di divorzio  nell\u0027ambito  del  giudizio  di  modifica\ndelle condizioni di separazione \n    Giova brevemente ricordare, in linea di principio, che  ai  sensi\ndell\u0027art. 36 codice di procedura  civile  il  giudice  adito  conosce\nanche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo  dedotto\nin giudizio dall\u0027attore o che gia\u0027 appartiene alla  causa  principale\ncome mezzo di eccezione, purche\u0027 non eccedano la sua  competenza  per\nmateria o per valore. \n    Invero,  con  la  domanda  riconvenzionale  il   convenuto,   nel\ncostituirsi nel giudizio di cui e\u0027 parte, non si limita a  difendersi\ne a chiedere il rigetto della domanda dell\u0027attore, ma esercita a  sua\nvolta un\u0027azione nei confronti di quest\u0027ultimo proponendo una  contro-\ndomanda con la quale chiede, con effetto di  giudicato,  un  positivo\naccertamento della sua pretesa che dipenda dal medesimo  titolo  gia\u0027\ndedotto in giudizio. \n    In altre parole, la riconvenzionale si sostanzia in  una  domanda\nautonoma che ben potrebbe proporsi in separato  giudizio  ma  che  e\u0027\nconsentito introdurre nel medesimo processo,  pur  nel  rispetto  dei\ntermini perentori di decadenza, in  base  al  principio  generale  di\neconomia processuale e al fine di evitare conflitti di giudicati  sul\nmedesimo titolo. \n    La  domanda  riconvenzionale  e\u0027  quindi  un\u0027ipotesi  tipica   di\nconnessione oggettiva fra due  cause  che  si  fondano  sullo  stesso\ntitolo ossia sulla stessa causa  petendi,  intesa  come  il  rapporto\ngiuridico sottostante, differendo pero\u0027 nel petitum avendo ad oggetto\nla richiesta di due provvedimenti giurisdizionali diversi. \n    Fatta tale dovuta premessa, si pone ora il problema di  stabilire\nse e\u0027 possibile rinvenire una connessione oggettiva fra la domanda di\nmodifica delle condizioni di separazione e la domanda di divorzio. \n    La peculiarita\u0027 dei giudizi in materia di famiglia  e\u0027  data  dal\nfatto  che  le  domanda  di  separazione  e  divorzio   sono   spesso\naccompagnate da ulteriori domande aventi ad oggetto l\u0027affidamento, la\ncollocazione, il regime di frequentazione  e  il  mantenimento  della\nprole,  l\u0027assegnazione  della   casa   coniugale   e   l\u0027assegno   di\nmantenimento al coniuge o assegno divorzile, domande tutte accomunate\ne che trovano la loro ragion d\u0027essere in un unico e  ben  determinato\nfatto storico: la disgregazione del nucleo familiare. \n    Ecco che, a parere di questo Collegio, tutte queste domande  sono\nfra loro oggettivamente connesse in quanto trovano  tutte  fondamento\nnella medesima causa petendi  costituita  dall\u0027insieme  dei  rapporti\ngiuridici derivanti dalla crisi del consorzio  familiare  che  devono\ntrovare un nuovo assetto nell\u0027ambito del medesimo giudizio. \n    Data  poi  la  natura  rebus  sic  stantibus  dei   provvedimenti\ngiurisdizionali  adottati  in  materia  di   famiglia,   chiamati   a\nregolamentare rapporti umani che  sono  per  loro  intrinseca  natura\nconnotati di una  certa  dinamicita\u0027  e  mutevolezza  nel  tempo,  in\npresenza di sopravvenuti elementi  di  novita\u0027  e\u0027  sempre  possibile\nrivedere tale assetto modificando le  condizioni  ivi  stabilite  per\nriadattarle alla nuova situazione di fatto. \n    Lo stesso accade pero\u0027 anche  nel  caso  in  cui  venga  proposta\ndomanda di  divorzio  che,  salvo  i  casi  particolari  di  divorzio\ncosiddetto «diretto», segue sempre il procedimento di separazione. \n    Se e\u0027 vero infatti che nel procedimento di  divorzio  la  domanda\nprincipale  e\u0027  costituita  dallo  scioglimento  o  cessazione  degli\neffetti civili del vincolo coniugale,  e\u0027  altrettanto  vero  che  ai\nsensi  degli  articoli  143  e  147  codice  civile  dal   matrimonio\ndiscendono degli obblighi verso i figli che persistono anche dopo  lo\nscioglimento  del  vincolo  e  che  devono   necessariamente   essere\nregolamentati, confermando o riadattando l\u0027assetto stabilito in  sede\ndi separazione alla luce della mutata situazione di fatto. \n    E\u0027  indubbio  quindi  che  fra  la  domanda  di  modifica   delle\ncondizioni di separazione e quella di divorzio sussista  all\u0027evidenza\nuna  connessione  oggettiva  se  non  addirittura  una  litispendenza\nparziale configurando, a parere di questo Collegio, un caso di vera e\npropria continenza fra le due causa ai sensi dell\u0027art. 39 c.p.c. \n    La continenza e\u0027 infatti un\u0027ipotesi particolare di  litispendenza\nfra due cause parzialmente identiche che si verifica  proprio  quando\ndue domande fra le  stesse  parti  e  fondate  sulla  medesima  causa\npetendi hanno un oggetto  parzialmente  diverso,  nel  senso  che  il\npetitum di una causa e\u0027 piu\u0027 ampio e tale  da  contenere  il  petitum\ndell\u0027altra. \n    Non  v\u0027e\u0027  chi  non  veda  come  la  domanda  di  divorzio  e  le\nconseguenti domande di regolamentazione  dei  rapporti  nascenti  dal\nmatrimonio contenga  in  se\u0027  anche  le  domande  di  modifica  delle\ncondizioni di separazione precedentemente stabilite. \n    Pertanto a fronte della parziale  sovrapponibilita\u0027  fra  le  due\ndomande, sussiste quella connessione oggettiva richiesta dall\u0027art. 36\ncodice di procedura civile per  consentire  la  proposizione  in  via\nriconvenzionale della domanda divorzio nel procedimento  di  modifica\n(o di conferma) delle condizioni di separazione. \n    Cio\u0027 peraltro e\u0027 stato da sempre affermato  anche  dall\u0027indirizzo\ngiurisprudenziale, a cui questo  Tribunale  ha  sempre  aderito,  che\ndichiarava addirittura l\u0027improcedibilita\u0027 sopravvenuta della  domanda\ndi  modifica  delle  condizioni  di  separazione  proposta  ai  sensi\ndell\u0027art.  710   codice   di   procedura   civile   laddove   venisse\nsuccessivamente instaurato giudizio di divorzio. \n    Tuttavia, prima dell\u0027introduzione del rito unico  in  materia  di\nfamiglia ad opera della cosiddetta Riforma  Cartabia,  la  previsione\ndel  rito  speciale  previsto  per   le   domande   di   divorzio   e\nl\u0027inconciliabilita\u0027 dello stesso con il rito camerale previsto invece\nper i procedimenti di modifica delle condizioni di separazione non ne\nconsentiva la riunione ne\u0027 permetteva  di  proporre  in  tale  ultimo\ngiudizio,   laddove   preventivamente    instaurato,    la    domanda\nriconvenzionale di divorzio, che doveva  necessariamente  seguire  il\nrito speciale previsto dalla legge n. 878/1970 con la conseguenza che\nil giudice della modifica delle condizioni di separazione,  anche  se\npreventivamente adito,  doveva  necessariamente  cedere  il  passo  e\ndeclinare la propria competenza in favore del giudice del divorzio. \n    Con l\u0027avvento del rito unico di cui agli  articoli  473-bis.11  e\nss. codice di procedura civile applicabile a tutti i procedimenti  di\nseparazione personale dei coniugi, di scioglimento o cessazione degli\neffetti civili del matrimonio, di scioglimento dell\u0027unione  civile  e\nregolamentazione dell\u0027esercizio della responsabilita\u0027 genitoriale nei\nconfronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonche\u0027 per quelli  di\nmodifica  delle  relative  condizioni,  come  espressamente  previsto\ndall\u0027art. 473-bis.47 c.p.c., ritiene il Collegio che  tale  questione\ndebba intendersi ormai superata. \n    La stessa Suprema Corte di cassazione con  la  nota  sentenza  n.\n28727/2023, nell\u0027ammettere la contestuale domanda  di  separazione  e\ndivorzio anche nelle procedure di natura congiunta ai sensi dell\u0027art.\n473-bis.51 c.p.c., ha gia\u0027 avuto modo di affermare che la ratio della\nnovella legislativa introdotta con il decreto legislativo n. 149/2022\ne\u0027 quella di realizzare un coordinamento fra procedimenti  aventi  ad\noggetto pretese identiche o implicanti accertamenti di fatto  comuni,\nevidenziando le grandi difficolta\u0027 pratiche e tecniche  derivanti  da\ndistinti procedimenti che, nel loro  articolarsi  lungo  il  percorso\ndelle  impugnazioni,  davano  luogo  ad  una  sequela  di   decisioni\nprovvisorie e definitive che si rincorrevano nel tempo e che potevano\ndettare una disciplina difforme dei medesimi rapporti controversi con\nconseguenze  di  non  facile  Governo  sia  da  un  punto  di   vista\nsostanziale (si pensi al problema della  ripetibilita\u0027  delle  somme)\nsia sul piano processuale in punto successione dei titoli esecutivi. \n    Il  legislatore   della   riforma,   con   l\u0027introduzione   della\npossibilita\u0027 prevista dall\u0027art. 473-bis.49 codice di procedura civile\ndi proporre nel medesimo giudizio sia la domanda di  separazione  sia\nquella di  divorzio,  ha  voluto  dunque  mitigare  tali  conseguenze\nprevedendo che tutte  le  questioni  insorte  dalla  crisi  familiare\nvengano affrontate in un simultaneus processus realizzando  al  tempo\nstesso un notevole risparmio di energie  processuali  all\u0027insegna  di\nuna piu\u0027 efficace tutela giurisdizionale  di  diritti  soggettivi  di\nparticolare rilevanza. \n    E\u0027 nell\u0027ottica di tali principi affermati  dalla  Suprema  Corte,\npienamente  condivisi  da  questo  Collegio,  che   deve   affermarsi\nl\u0027ammissibilita\u0027 della domanda di divorzio anche nelle  procedure  di\nmodifica  delle  condizioni  di  separazione  purche\u0027  formulata  nei\ntermini perentori di decadenza. \n    2. Sull\u0027illegittimita\u0027 costituzionale del nuovo  rito  introdotto\ndal decreto legislativo n. 149/2022 \n    Risolta  in  senso   positivo   la   questione   preliminare   di\nammissibilita\u0027  della  domanda  riconvenzionale  di  divorzio   nelle\nprocedure di modifica delle condizioni di separazione,  tale  domanda\nsi  scontra  tuttavia  con  regole  processuali  che  ne   potrebbero\ncompromettere una piena cognizione. \n    Invero, sempre nell\u0027ottica di garantire una  tutela  efficace  ai\ndiritti soggettivi di particolare importanza coinvolti nei giudizi di\nfamiglia, il legislatore della  riforma  ha  previsto  agli  articoli\n473-bis.11 e ss. codice di procedura civile un  rito  accelerato  che\npotrebbe astrattamente esaurirsi all\u0027esito  della  prima  udienza  da\nfissarsi entro novanta giorni dal deposito del ricorso introduttivo. \n    In particolare ai sensi dell\u0027art. 473-bis.14 codice di  procedura\ncivile l\u0027attore deve notificare il ricorso e il pedissequo decreto di\nfissazione udienza al convenuto entro sessanta  giorni  liberi  prima\ndell\u0027udienza, il quale a sua volta deve costituirsi in giudizio entro\ntrenta giorni prima dell\u0027udienza. La costituzione oltre tale  termine\ncomporta le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c., ossia  il\nconvenuto  perde  la  possibilita\u0027  di  eccepire  l\u0027incompetenza  del\ngiudice adito e di proporre le eventuali domande riconvenzionali e le\neccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d\u0027ufficio. \n    Ai sensi poi del successivo art. 473-bis.17 c.p.c., «entro  venti\ngiorni  prima  della  data  dell\u0027udienza,  l\u0027attore  puo\u0027  depositare\nmemoria con cui prendere posizione in maniera chiara e specifica  sui\nfatti  allegati  dal  convenuto,  nonche\u0027,  a  pena   di   decadenza,\nmodificare o precisare le domande e le  conclusioni  gia\u0027  formulate,\nproporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza delle  difese\ndel convenuto, indicare mezzi di prova e produrre documenti. Nel caso\nin cui il convenuto abbia formulato domande di contributo  economico,\nnello stesso  termine  l\u0027attore  deve  depositare  la  documentazione\nprevista nell\u0027art. 473-bis.12, terzo comma». \n    Pertanto, mentre il convenuto a fronte della notifica del ricorso\nha a disposizione almeno trenta giorni  per  impostare  la  difesa  e\nformulare le sue eccezioni e domande riconvenzionali,  l\u0027attore  deve\nprendere posizione sulle domande e difese avversarie,  modificare  le\nproprie domande, formulare le eventuali eccezioni e domande nuove che\nsono la conseguenza delle domande avversarie e i  relativi  mezzi  di\nprova, entro l\u0027esiguo termine di dieci giorni, che spesso si riduce a\nnove o anche meno  se  la  comparsa  conclusionale  viene  depositata\nl\u0027ultimo giorno disponibile e scaricata quindi dalla  cancelleria  il\ngiorno successivo. \n    Tale termine appare effettivamente in contrasto con gli  articoli\n3, 24 e 111 della Costituzione, in quanto  lesivo  del  principio  di\nuguaglianza, del diritto di difesa e del giusto processo. \n    Invero, l\u0027attore dopo aver proposto la propria  domanda  potrebbe\nritrovarsi a trenta giorni dall\u0027udienza, e con soli dieci  giorni  di\ntempo, di fronte ad un sensibile ampliamento del thema decidendum per\nvia delle domande riconvenzionali introdotte dal  convenuto,  ipotesi\ntutt\u0027altro che rara nei giudizi di famiglia. \n    Si pensi ad esempio al caso in cui l\u0027attore  si  sia  limitato  a\nchiedere una modifica del contributo economico  per  il  mantenimento\ndei figli instaurando  quindi  una  causa  che  verosimilmente  avra\u0027\nnatura prettamente documentale, mentre il convenuto  nel  costituirsi\nin giudizio chieda in via riconvenzionale la modifica del  regime  di\naffidamento  del  minore   lamentando   gravi   carenze   genitoriali\ndell\u0027attore, dando luogo  ad  un  ampliamento  del  thema  decidendum\nconnotato da particolare delicatezza e da un\u0027istruttoria dalla natura\ncompletamente diversa. \n    Oppure ancora, come nel caso di specie,  in  cui  l\u0027attore  abbia\nchiesto la modifica di una o di alcune soltanto delle  condizioni  di\nseparazione e il convenuto chieda in via riconvenzionale il divorzio,\ndomanda che per quanto sopra detto deve  dichiararsi  ammissibile  ma\nche necessariamente comporta la revisione e la emessa in  discussione\ndi tutte le condizioni in essere fra le parti, che potrebbero in tale\nsede  voler  procedere  alla  sistemazione  di   tutti   i   rapporti\npatrimoniali fra le stesse pendenti. \n    In tutti questi casi, come  detto,  l\u0027attore  si  ritroverebbe  a\ndover riorganizzare  completamente  la  propria  impostazione  in  un\ntermine assolutamente incongruo. \n    Nel caso in esame, parte attrice lamenta, infatti,  di  non  aver\navuto sufficiente tempo, a fronte della  domanda  riconvenzionale  di\ndivorzio proposta dal convenuto, per  formulare  domanda  di  assegno\ndivorzile che, come noto, si fonda su presupposti differenti rispetto\nall\u0027assegno di  mantenimento  del  coniuge  in  sede  di  separazione\nimplicando una ricostruzione delle scelte compiute  dalle  parti  nel\ncorso  della  vita  matrimoniale,  spesso  di   lunga   durata,   con\nconseguente necessita\u0027 di formulare le relative istanze di prova. \n    Il tutto nel rispetto del  principio  di  lealta\u0027  e  buona  fede\nprocessuale che impone alle  parti  di  non  introdurre  eccezioni  e\ndomande palesemente infondate e senza adottare la  dovuta  diligenza,\nprincipi che mal si coniugano con i  stringenti  termini  previsti  a\npena di decadenza dal nuovo rito. \n    Diversamente, pero\u0027, se il  convenuto  invece  di  introdurre  la\ndomanda di  divorzio  in  via  riconvenzionale  nel  procedimento  di\nmodifica  delle  condizioni  di  separazione  promosso  dall\u0027attrice,\navesse  instaurato  autonomo  giudizio   per   la   declaratoria   di\nscioglimento del vincolo (come accadeva prima della Riforma  Cartabia\nper incompatibilita\u0027 dei due riti),  quest\u0027ultima  avrebbe  avuto  un\ncongruo termine di trenta  giorni  dalla  notifica  del  ricorso  per\norganizzare la sua difesa e prendere posizione su tutte le condizioni\ndi divorzio, ivi compresa la domanda  di  assegno  divorzile  con  la\nformulazione delle relative istanze di prova. \n    In tal caso, salva la possibilita\u0027 di riunione  dei  procedimenti\n(oggi possibile)  verrebbe  comunque  pregiudicato  quell\u0027intento  di\nvelocizzare i giudizi nell\u0027ottica  di  un  generale  risparmio  delle\nenergie processuali. \n    In  questo  quadro,  emerge,  a  parere   di   questo   Collegio,\nun\u0027ingiustificata compressione del diritto di difesa di cui  all\u0027art.\n24 della Costituzione e  quindi  dei  principi  generali  del  giusto\nprocesso ai sensi  dell\u0027art.  111  della  Carta  che  deve  garantire\nun\u0027efficace  tutela  dei  diritti,  oltre  che   del   principio   di\nuguaglianza di cui all\u0027art.  3  dal  momento  che  situazioni  uguali\nottengono un trattamento giuridico differente. \n    Invero, il  termine  di  soli  dieci  giorni  previsto  dall\u0027art.\n473-bis.17 codice di  procedura  civile  in  favore  dell\u0027attore  per\nmodificare e precisare le domande e formulare domande nuove e  quindi\nanche i relativi mezzi di prova, si reputa  assolutamente  incongruo,\nnon rinvenendosi nei vari riti previsti dal nostro ordinamento per  i\ngiudizi a cognizione piena una tempistica cosi\u0027 ristretta. Ed invero: \n      nel  procedimento  ordinario  di  cognizione  ai  sensi   degli\narticoli 166 e 171-ter codice di procedura civile il  convenuto  deve\ncostituirsi  almeno  settanta  giorni  prima   dell\u0027udienza   fissata\nnell\u0027atto di citazione formulando a  pena  di  decadenza  le  domande\nriconvenzionali che intende proporre  e  l\u0027attore  ha  tempo  fino  a\nquaranta  giorni  prima  per  prendere  posizione  sulle  domande  ed\neccezioni avversarie, modificare le proprie domande e  conclusioni  o\nformularne di nuove; l\u0027attore dispone  cosi\u0027  di  trenta  giorni  per\nadeguare  le  proprie  difese   rispetto   alla   eventuale   domanda\nriconvenzionale avversaria,  peraltro  prorogabili  di  ulteriori  45\ngiorni in caso di differimento dell\u0027udienza indicata in citazione  da\nparte del giudice istruttore ai sensi dell\u0027art. 171-bis c.p.c.; \n      nel  rito  ordinario  semplificato  ai  sensi   dell\u0027art.   281\nduodecies c.p.c., il convenuto deve  costituirsi  entro dieci  giorni\nprima  dell\u0027udienza  fissata  dal  giudice  e  in  caso  di   domanda\nriconvenzionale l\u0027attore puo\u0027  chiedere  un  termine  perentorio  non\nsuperiore a venti giorni per precisare e modificare  le  domande,  le\neccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e  produrre\ndocumenti, e un ulteriore termine non superiore  a dieci  giorni  per\nreplicare e  dedurre  prova  contraria,  disponendo  cosi\u0027  di trenta\ngiorni per riorganizzare la propria difesa; \n        sempre nel rito ordinario semplificato,  ai  sensi  dell\u0027art.\n281 duodecies codice  di  procedura  civile  alla  prima  udienza  il\ngiudice se rileva che per la domanda  principale  o  per  la  domanda\nriconvenzionale non ricorrono i presupposti di  cui  al  primo  comma\ndell\u0027art. 281decies c.p.c., dispone con ordinanza non impugnabile  la\nprosecuzione del processo nelle forme  del  rito  ordinario  fissando\nl\u0027udienza di cui  all\u0027art.  183,  rispetto  alla  quale  decorrono  i\ntermini  previsti  dall\u0027art.  171-ter  c.p.c.,   consentendo   quindi\nall\u0027attore di prendere posizione sulla domanda riconvenzionale  entro\n40 giorni prima della nuova udienza fissata; \n      nel rito lavoro, ai sensi dell\u0027art.  418  codice  di  procedura\ncivile il convenuto che abbia proposto domanda  riconvenzionale  deve\nchiedere al giudice, a pena di decadenza, la fissazione di una  nuova\nudienza  e  tra  la  proposizione  della  domanda  riconvenzionale  e\nl\u0027udienza di discussione  non  devono  decorrere  piu\u0027  di  cinquanta\ngiorni; \n      nel  rito  anteriforma,  ai  sensi  dell\u0027art.  166  c.p.c.,  il\nconvenuto doveva formulare a pena di  decadenza  la  propria  domanda\nriconvenzionale  nel  termine  di venti  giorni  prima   dell\u0027udienza\nindicata in citazione e l\u0027attore disponeva quindi di tale termine per\nprendere posizione sulle difese del convenuto alla prima  udienza  ex\nart. 183 c.p.c., salvo poi richiedere l\u0027ulteriore  termine  di trenta\ngiorni per il deposito della memoria ai sensi  del  n.  1  del  sesto\ncomma del medesimo articolo  entro  cui  precisare  e  modificare  le\nproprie conclusioni e proporre a  sua  volta  le  domande  che  erano\nconseguenza della domanda riconvenzionale; \n    L\u0027art. 473-bis.17 codice di procedura civile  costituisce  invece\nun caso isolato di irragionevole compressione dei termini  di  difesa\nin violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli  24  e\n111 Cost. secondo cui «Ogni processo si  svolge  nel  contraddittorio\ntra le parti, in condizioni di parita\u0027, davanti  a  giudice  terzo  e\nimparziale». \n    A tale eccessiva compressione  del  diritto  di  difesa,  ritiene\nquesto  Collegio  di  non  poter  supplire   con   un\u0027interpretazione\ncostituzionalmente  orientata  della   norma   in   esame   data   la\nperentorieta\u0027 dei termini stabiliti dal codice  di  rito  a  pena  di\ndecadenza, ne\u0027 puo\u0027 farsi luogo del  potere  previsto  dall\u0027art.  153\ncomma secondo codice di procedura civile di  remissione  della  parte\ndei termini,  che  introdurrebbe  necessariamente  un  meccanismo  di\nslittamento  automatico   della   prima   udienza   con   conseguente\nconcessione ex novo di tutti i termini ex art. 473-bis.17  codice  di\nprocedura civile non previsto dal legislatore. \n    In altre parole, il giudice dovrebbe di volta in volta  assegnare\nnuovi  termini  e  concedere  memorie  ulteriori  rispetto  a  quelle\npreviste dal codice di rito al fine di  ovviare  all\u0027irragionevolezza\ndel termine previsto dalla legge e ristabilire una piena parita\u0027  fra\nle parti, in violazione del  principio  generale  di  tassativita\u0027  e\ncertezza delle norme processuali, corollari  del  principio  generale\ndel giusto processo per cui e\u0027 prevista una riserva assoluta di legge\nai sensi dell\u0027art. 111 della Costituzione. \n    Per tutti questi motivi,  si  ritiene  di  dover  rimettere  alla\nprudente valutazione dell\u0027Ecc.ma Corte costituzionale la  valutazione\ndi  compatibilita\u0027  della  disciplina  codicistica  di  cui  all\u0027art.\n473-bis.17 codice di procedura civile con i canoni costituzionali  di\ncui agli articoli 3, 24 e 111 della carta dei diritti fondamentali. \n    La stessa Corte costituzionale ha infatti piu\u0027 volte espresso  il\nprincipio  secondo  cui  «Il  difetto  di  congruita\u0027  del   termine,\nrilevante sul piano  della  violazione  dell\u0027art.  24,  primo  comma,\nCost., si ha solo qualora esso, per la sua  durata,  sia  inidoneo  a\nrendere effettiva la possibilita\u0027 di esercizio  del  diritto  cui  si\nriferisce e, di conseguenza, tale da rendere inoperante o carente  la\ntutela accordata al cittadino» (Corte Cost. 10 febbraio 2023, n. 18). \n    Ed ancora, nello stesso senso, il Giudice  delle  legge  ha  piu\u0027\nvolte dichiarato l\u0027illegittimita\u0027 costituzionale di termini  previsti\na pena di decadenza ogniqualvolta gli stessi fossero  determinati  in\nmodo da non  rendere  effettiva  la  possibilita\u0027  di  esercizio  del\ndiritto (si vedano ex multis le sentenze n. 94 del 2017,  n.  44  del\n2016, n. 117 del 2012 e n. 30 del 2011). \n    Si ritiene, in definitiva, che il termine di  soli  dieci  giorni\n(che peraltro possono diventare effettivamente meno tenuto  il  tempo\nintercorrente  fra  la  data  del  deposito  e  quella  di  effettiva\npossibilita\u0027  di  conoscenza  della   controparte   a   seguito   del\ncaricamento al portale del processo  telematico)  previsto  dall\u0027art.\n473-bis.17  codice  di  procedura  civile  entro  cui  l\u0027attore  deve\nprendere posizione sulle difese del convenuto, precisare e modificare\nle  proprie  conclusioni,  proporre  domande  ed  eccezioni  che  sia\nconseguenza della domanda riconvenzionale e formulare le  istanze  di\nprova, non consenta un effettivo esercizio del diritto  di  difesa  e\nquindi dei  sottostanti  diritti  soggettivi  che  si  intendono  far\nvalere, sicche\u0027 la questione di legittimita\u0027 costituzionale sollevata\ndalla difesa attorea appare rilevante, ai fini della decisione  della\ncausa, e non manifestamente infondata e va per l\u0027effetto accolta. \n\n \n                                P.Q.M. \n \n    Visto l\u0027art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 \n    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di\nlegittimita\u0027 costituzionale dell\u0027art. 473-bis.17 codice di  procedura\ncivile per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della  Costituzione\nper i motivi di cui in narrativa e per l\u0027effetto sospende il presente\ngiudizio; \n    Manda alla cancelleria per la notifica della  presente  ordinanza\nal Presidente del Consiglio dei ministri nonche\u0027 per la comunicazione\nai Presidenti delle due Camere del Parlamento; \n    Dispone la trasmissione della presente ordinanza e degli atti del\ngiudizio  alla  Corte  costituzionale  unitamente  alla  prova  delle\ncomunicazioni prescritte. \n    Si comunichi alle  parti  ivi  compreso  il  pubblico  ministero.\nGenova, li\u0027 3 maggio 2024 \n \n                      Il Presidente: Pellegrini \n \n                                    Il Giudice delegato: Corvacchiola","elencoNorme":[{"id":"62199","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"pc","denominaz_legge":"codice di procedura 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