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decreto-legge 31  maggio\n  2010,  n.  78  (Misure  urgenti  in  materia   di   stabilizzazione\n  finanziaria  e  di  competitivita\u0027  economica),   convertito,   con\n  modificazioni, nella legge 30 luglio 2010,  n.  122,  e  successive\n  modifiche e integrazioni, art. 12, comma 7. \n\n\r\n(GU n. 14 del 02-04-2025)\n\r\n \n                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE \n                            PER LE MARCHE \n                            Sezione prima \n \n    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di\nregistro generale n.  433  del  2024,  proposto  da  Filippo  Materi,\nrappresentato e difeso dall\u0027avvocato Pietro  Frisani,  con  domicilio\ndigitale come da PEC da registri di Giustizia; \n    Contro I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza  sociale  -\nDirezione provinciale di Ancona, non costituita in giudizio; \n    I.N.P.S.  -  Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale,  in\npersona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso\ndagli avvocati Floro Flori, Susanna Mazzaferri, Silvana Mariotti, con\ndomicilio digitale come da PEC da registri di Giustizia; \n    Per l\u0027accertamento e la declaratoria del diritto  del  ricorrente\nin quanto cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta\u0027  in  data\n30 settembre 2022 a percepire i residui ratei del  T.F.S.  ancora  da\ncorrispondere  da  parte  dell\u0027I.N.P.S.  senza  dilazioni   e   senza\nrateizzazione e per la condanna dell\u0027I.N.P.S. a  corrispondere  senza\ndilazione  l\u0027intero  importo  ancora   dovuto   oltre   interessi   e\nrivalutazione dal di\u0027 del dovuto sino al saldo, previa  dichiarazione\ndi  rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di\nlegittimita\u0027  costituzionale  degli  articoli   3,   comma   2,   del\ndecreto-legge n.  79/1997,  convertito  nella  legge  n.  140/1997  e\nsuccessive  modificazioni  ed  integrazioni,  e  12,  comma  7,   del\ndecreto-legge  n.  78/2010,  convertito  in  legge  n.   122/2010   e\nsuccessive modificazioni ed integrazioni,  e  rimessione  degli  atti\nalla Corte costituzionale. \n    Visti il ricorso e i relativi allegati; \n    Visti tutti gli atti della causa; \n    Visto l\u0027atto di costituzione in giudizio di I.N.P.S.  -  Istituto\nnazionale della previdenza sociale; \n    Relatore nell\u0027udienza pubblica del giorno  12  febbraio  2025  il\ndott. Tommaso Capitanio  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come\nspecificato nel verbale; \n    1. Il ricorrente, gia\u0027 primo dirigente della  polizia  di  Stato,\ncessato dal servizio per raggiunti limiti di eta\u0027 con decorrenza  dal\n30  settembre  2022,   agisce   in   questa   sede   per   conseguire\nl\u0027accertamento  del  diritto  a  percepire  il  trattamento  di  fine\nservizio (di seguito «T.F.S.») in unica soluzione e comprensivo della\nrivalutazione monetaria. \n    2. In punto di fatto il dott. Materi espone: \n        il  T.F.S.  spettantegli  e\u0027  stato   determinato   in   euro\n189.632,64 e, come previsto dall\u0027art. 3, comma 2,  del  decreto-legge\nn.  79/1997,  convertito  in  legge   n.   140/1997,   e   successive\nmodificazioni  ed  integrazioni,  e  dall\u0027art.  12,  comma   7,   del\ndecreto-legge  n.  78/2010,  convertito  in  legge  n.   122/2010   e\nsuccessive modificazioni ed integrazioni, tale  somma  doveva  essere\ncorrisposta in tre tranches, la prima di euro 43.189,79 in  pagamento\nal 1° ottobre 2023, la seconda di euro 41,525,24 in pagamento  al  1°\nottobre 2024 e la terza di 104.917,61 in pagamento al 1° ottobre 2025\n(il ricorrente  precisa  che  alla  prima  scadenza  va  aggiunto  un\nulteriore periodo dilatorio di tre mesi, mentre alla seconda  e  alla\nterza va aggiunto un ulteriore periodo dilatorio di trenta giorni); \n        di avere inviato, in data 17 febbraio 2024,  alla  Presidenza\ndel Consiglio dei ministri e all\u0027I.N.P.S. apposita diffida  volta  ad\nottenere il pagamento del T.F.S.  in  unica  soluzione,  invocando  i\nprincipi di diritto  affermati  dalla  Corte  costituzionale  con  le\nsentenze di cui si dira\u0027 nella parte  in  diritto.  Tale  diffida  e\u0027\nrimasta senza esito; \n        alla  data  di  notifica  del  presente  ricorso   l\u0027istituto\nprevidenziale aveva provveduto al pagamento della prima  tranche  del\nT.F.S. \n    3. In punto di diritto, il dott. Materi  procede  anzitutto  alla\nsintetica  ricostruzione  del  quadro   normativo   di   riferimento,\nevidenziando che: \n        l\u0027art. 26 del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.\n1032/1973 stabiliva in origine che in caso di cessazione dal servizio\ndel   dipendente   pubblico   per   raggiunti   limiti    di    eta\u0027,\nl\u0027amministrazione di appartenenza doveva  predisporre  gli  atti  tre\nmesi prima del raggiungimento del limite predetto e  inviarli  almeno\nun mese prima al Fondo  di  previdenza  per  il  personale  civile  e\nmilitare dello Stato, il quale era tenuto ad emettere il  mandato  di\npagamento in modo da rendere possibile l\u0027effettiva corresponsione del\ntrattamento  «...immediatamente  dopo  la  data  di  cessazione   dal\nservizio e comunque non oltre quindici giorni dalla  data  medesima».\nQuest\u0027ultimo termine e\u0027 stato elevato a novanta giorni  dall\u0027art.  7,\ncomma 3, della legge n. 75/1980; \n        successivamente l\u0027art.  3,  comma  2,  del  decreto-legge  n.\n79/1997, ha rimodulato i tempi di erogazione dei trattamenti di  fine\nservizio, comunque  denominati,  spettanti  ai  dipendenti  pubblici,\nprevedendo, nella versione originaria, un termine di sei mesi per  la\nliquidazione del T.F.S. e  di  ulteriori  tre  mesi  per  l\u0027effettivo\npagamento; \n        questi termini sono stati modificati  dapprima  dall\u0027art.  1,\ncomma 22, letteraera a), del decreto-legge n. 138/2011, convertito in\nlegge n. 148/2011, e poi dall\u0027art. 1, comma 484, letteraera b), della\nlegge n. 147/2013, di talche\u0027 il termine per il pagamento del  T.F.S.\ne\u0027 stato elevato da sei a ventiquattro mesi, decorrenti dalla data di\ncessazione dal servizio. \n    Per il caso di cessazione dal servizio per  raggiunti  limiti  di\neta\u0027 o di servizio il termine e\u0027 stato invece fissato in dodici mesi: \n        alla disciplina sul differimento del pagamento del T.F.S.  si\ne\u0027 poi  aggiunta  quella,  introdotta  dall\u0027art.  12,  comma  7,  del\ndecreto-legge n. 78/2010, sulla rateizzazione delle somme  dovute  al\ndipendente collocato in quiescenza. In origine la norma stabiliva che\nil pagamento avvenisse: i) in unica soluzione  nel  caso  in  cui  il\nT.F.S. avesse un  ammontare  complessivo,  al  lordo  delle  relative\ntrattenute fiscali, pari o  inferiore  a  90.000  euro;  ii)  in  due\ntranches annuali nel caso in cui l\u0027importo del T.F.S. fosse superiore\na 90.000,00 euro ma inferiore a 150.000,00 euro; iii) in tre tranches\nannuali nel caso di T.F.S. avesse un importo superiore  a  150.000,00\neuro; \n        l\u0027art. 1, comma 484, lettera a), della legge n.  147/2013  ha\nrimodulato la scansione dei pagamenti prevedendo che il  T.F.S.  deve\nessere pagato: i) in unica soluzione nel caso in cui il  suo  importo\nsia, al lordo delle ritenute fiscali, pari o  inferiore  a  50.000,00\neuro; ii) in due tranches annuali  nel  caso  in  cui  l\u0027importo  sia\nsuperiore a 50.000,00 euro ma inferiore a 100.000,00  euro;  iii)  in\ntre tranches annuali nel  caso  in  cui  l\u0027importo  sia  superiore  a\n100.000,00 euro. \n    Resta sempre in vigore il periodo aggiuntivo di tre mesi  per  il\npagamento della prima tranche. \n    3.1. Cosi\u0027 riepilogata la normativa di riferimento, il ricorrente\nricorda  poi  che,   sulla   base   dell\u0027insegnamento   della   Corte\ncostituzionale (sentenza n. 243 del  1993),  le  indennita\u0027  di  fine\nrapporto costituiscono istituti di natura  retributiva  con  funzione\nprevidenziale, tanto nel settore pubblico che in quello  privato.  Si\ntratta in particolare di una retribuzione differita, il che vuol dire\nche il trattamento  di  fine  servizio  o  rapporto  costituisce  una\ncomponente  del  compenso  che  il  lavoratore  ha  conseguito   come\ncorrispettivo dell\u0027attivita\u0027 lavorativa e che fa parte integrante del\nsuo patrimonio, tanto e\u0027 vero che in caso di  decesso  prematuro  del\ndipendente l\u0027emolumento viene erogato ai congiunti superstiti. \n    Inoltre il T.F.S. spetta a prescindere dalla causa di  cessazione\ndel rapporto di lavoro e dall\u0027accertamento  dello  stato  di  bisogno\ndell\u0027avente diritto. \n    I trattamenti di fine  servizio  sono  ispirati  al  criterio  di\ncorrispettivita\u0027 e restituiscono al lavoratore, alla  cessazione  del\nrapporto, una somma certa e di ammontare ben definito (al riguardo si\ntiene infatti conto della retribuzione percepita in servizio e  della\ndurata del rapporto di lavoro), che viene  definitivamente  acquisita\nal  suo  patrimonio  e   devoluta   per   successione   legittima   o\ntestamentaria in caso di decesso del lavoratore in servizio. \n    L\u0027evoluzione normativa ha ulteriormente ricondotto le  indennita\u0027\ndi fine rapporto erogate nel settore  pubblico  al  paradigma  comune\ndella retribuzione differita con concorrente funzione  previdenziale,\nnell\u0027ambito di un percorso di tendenziale assimilazione  alle  regole\ndettate per il settore privato  dall\u0027art.  2120  del  codice  civile,\navendo sia il T.F.R. che il T.F.S. (comunque denominati) la  medesima\nfinalita\u0027  di  accompagnare  il  lavoratore   nella   delicata   fase\ndell\u0027uscita dalla vita lavorativa attiva. \n    3.2. Se le suddette premesse sono corrette, ne  discende  che  il\ntrattamento di fine servizio deve essere erogato  con  la  necessaria\ntempestivita\u0027,  questa  essendo  un  corollario  indispensabile   dei\nprincipi di proporzionalita\u0027 e adeguatezza della retribuzione sanciti\ndall\u0027art. 36 della Costituzione. \n    In questo senso, le disposizioni di cui  si  e\u0027  dato  conto  nel\nprecedente § 3. hanno inciso in maniera rilevante  (e  negativa)  sul\nfattore tempo, visto che: \n        per un verso, il differimento nella corresponsione del T.F.S.\nnon e\u0027 accompagnato dalla rivalutazione monetaria delle somme  dovute\nall\u0027ex  dipendente  (ma  solo  dalla  previsione  del  diritto   agli\ninteressi legali nel caso in cui il pagamento avvenga successivamente\nalla scadenza dei termini dilatori previsti dalle norme in commento),\nil che, soprattutto in periodi di elevata inflazione, riduce in  modo\nconsistente il valore reale della somma percepita dall\u0027interessato; \n        per altro verso,  i  sacrifici  imposti  agli  ex  dipendenti\ncollocati a riposo per raggiunti limiti  d\u0027eta\u0027  o  di  servizio  non\npossono  piu\u0027  ritenersi  ne\u0027  temporanei  ne\u0027  eccezionali  ne\u0027  non\narbitrari  ne\u0027  funzionali  allo  scopo.  In  effetti,  la  dilazione\ndell\u0027erogazione del T.F.S.  non  e\u0027  piu\u0027  una  misura  temporanea  e\ncontingente, ma e\u0027 divenuta strutturale, per  cui  le  penalizzazioni\nimposte ai soggetti aventi diritto alla liquidazione del T.F.S.  sono\ndivenute irragionevoli e non piu\u0027 esigibili. \n    3.3. Le predette questioni sono state gia\u0027 portate all\u0027attenzione\ndel giudice delle leggi, il quale si e\u0027 da ultimo pronunciato con  le\nsentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. \n    Nella prima decisione la Corte, pur avendo  ribadito  i  suddetti\nprincipi relativi alla natura del trattamento di fine servizio e alla\nnecessita\u0027  che  lo  stesso   venga   erogato   con   la   necessaria\ntempestivita\u0027, ha dichiarato infondata la questione  di  legittimita\u0027\ncostituzionale delle norme richiamate nel precedente § 3.  in  quanto\nin quel caso veniva in rilievo una cessazione anticipata dal servizio\ne dunque le disposizioni in materia di differimento  e  rateizzazione\ndel T.F.S. sono state ritenute legittime  in  quanto  esse  mirano  a\nscoraggiare l\u0027esodo anticipato dei dipendenti pubblici e,  in  questo\nsenso, le stesse appaiono eque e non discriminatorie. \n    La Corte ha pero\u0027 invitato il legislatore a  porre  mano  ad  una\nriforma organica della materia,  evidenziando  la  permanenza  di  un\nvulnus dei «... principi costituzionali che, nel garantire la  giusta\nretribuzione, anche differita, tutelano  la  dignita\u0027  della  persona\numana». \n    Il legislatore si e\u0027 pero\u0027 limitato ad introdurre, con l\u0027art.  23\ndel decreto-legge n. 4/2019, la possibilita\u0027 per gli  interessati  di\nrichiedere il finanziamento di una parte, pari all\u0027importo massimo di\n45.000,00 euro, dell\u0027indennita\u0027 di fine servizio maturata,  garantito\ndalla  cessione  pro  solvendo  del   credito   avente   ad   oggetto\nl\u0027emolumento, dietro versamento di  un  tasso  di  interesse  fissato\ndall\u0027art. 4, comma 2, del decreto ministeriale 19 agosto 2020. \n    L\u0027I.N.P.S.,  dal  canto  suo,  con  delibera  del  consiglio   di\namministrazione  n.  219  del   9   novembre   2022,   ha   istituito\nl\u0027anticipazione del T.F.S., prevedendo al  riguardo  la  possibilita\u0027\nper gli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni  creditizie\ne sociali di usufruire di un finanziamento pari all\u0027intero  ammontare\ndel trattamento maturato e liquido, erogato  al  tasso  di  interesse\npari all\u00271% fisso (a cui si aggiungono le spese di  amministrazione),\nsempre dietro cessione pro solvendo della  corrispondente  quota  non\nancora esigibile del T.F.S. \n    Con la sentenza n. 130 del 2023  la  Corte  costituzionale,  come\ndetto,  e\u0027  tornata  a  pronunciarsi  sulle  questioni   odiernamente\ncontroverse, questa volta nell\u0027ambito di un  contenzioso  incardinato\nda un dipendente pubblico cessato dal servizio per  raggiunti  limiti\ndi eta\u0027. \n    Va detto anzitutto  che  la  sentenza  in  commento  si  pone  in\ncontinuita\u0027 con la suddetta pronuncia del 2019, della quale condivide\nle premesse concettuali e ripropone le argomentazioni principali;  la\nCorte tuttavia rileva che al monito contenuto nella sentenza  n.  159\n«...non ha [...] fatto seguito una  riforma  specificamente  volta  a\nporre rimedio al vulnus costituzionale riscontrato...» e, a fronte di\ntale inerzia, rinnova l\u0027invito al legislatore a provvedervi. \n    Tuttavia le questioni sollevate dal  giudice  a  quo  sono  state\ndichiarate  inammissibili  in  quanto  «...Al  vulnus  costituzionale\nriscontrato con riferimento all\u0027art. 3, comma 2, del decreto-legge n.\n79 del 1997, come convertito, questa  Corte  non  puo\u0027,  allo  stato,\nporre rimedio, posto che il  quomodo  delle  soluzioni  attinge  alla\ndiscrezionalita\u0027 del  legislatore.  Deve,  infatti,  considerarsi  il\nrilevante impatto in termini di provvista di cassa che il superamento\ndel differimento  in  oggetto,  in  ogni  caso,  comporta;  cio\u0027  che\nrichiede  che  sia  rimessa  al  legislatore  la  definizione   della\ngradualita\u0027 con cui  il  pur  indefettibile  intervento  deve  essere\nattuato, ad esempio, optando per una soluzione che,  in  ossequio  ai\nrichiamati   principi   di   adeguatezza   della   retribuzione,   di\nragionevolezza  e  proporzionalita\u0027,   si   sviluppi   muovendo   dai\ntrattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri...». \n    La Corte costituzionale ha dunque concluso precisando  nuovamente\nche per porre rimedio alla situazione sopra  evidenziata  occorre  un\nintervento del legislatore affinche\u0027 si trovi una soluzione che  miri\na superare il differimento della liquidazione e del  pagamento  delle\nindennita\u0027 di fine servizio, in ossequio ai principi  di  adeguatezza\ndella retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalita\u0027,  e  che  si\nsviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via\nagli altri. \n    3.4. A questo punto il ricorrente evidenzia che le  due  pronunce\nin commento costituiscono un tipico  esempio  di  «sentenze  monito»,\nossia un particolare tipo di decisione  invalso  nella  prassi  della\nCorte, con la quale il giudice delle leggi, rilevato il contrasto  di\nuna norma di legge con disposizioni e/o principi costituzionali,  non\nritiene di poter dichiarare incostituzionali le norme  sottoposte  al\nsuo esame in quanto esse fanno parte di un ordinamento di settore sul\nquale non e\u0027 possibile intervenire se non con  una  riforma  organica\nche pero\u0027 rientra nelle competenze del legislatore. \n    A  seguito  della  «sentenza  monito»  la  norma  primaria,   pur\nriconosciuta incostituzionale, resta in vigore, contrassegnata  dallo\nstigma   dell\u0027illegittimita\u0027   costituzionale   accertata   ma    non\ndichiarata, in attesa che il legislatore intervenga per adeguarsi  ai\nrilievi della Corte. \n    Nel caso del T.F.S. sono decorsi  ben  cinque  anni  dalla  prima\n«sentenza monito» e  oltre  un  anno  dalla  seconda,  senza  che  il\nlegislatore abbia adottato alcuna misura idonea a superare i  profili\ndi criticita\u0027 della normativa  che  viene  in  rilievo  nel  presente\ngiudizio. \n    Al fine di garantire l\u0027effettivita\u0027 della tutela, non resta altra\nsoluzione che quella della pronuncia  di  incostituzionalita\u0027,  nella\nspecie solo accertata ma non dichiarata dalla Corte. \n    Del resto nella giurisprudenza costituzionale  piu\u0027  recente  non\nmancano  casi  analoghi,  quali  ad  esempio  quelli  trattati  nella\nsentenza n. 40 del 2019 (avente ad oggetto l\u0027art. 73,  comma  1,  del\nTesto unico n. 309/1990 e successive modificazioni ed  integrazioni),\nnella sentenza n. 242 del 2019  (in  materia  di  aiuto  al  suicidio\nassistito) e la sentenza n. 70 del 2015 (in materia di  blocco  della\nrivalutazione automatica per le pensioni superiori a  un  determinato\nimporto). \n    3.5. In punto di fatto il ricorrente aggiunge che: \n        quanto alle competenze del legislatore, nel giugno 2024  sono\nstati presentati due disegni di legge (atti C-1254 e C-1264), che non\nhanno pero\u0027 avuto seguito in ragione  del  parere  negativo  espresso\ndalla Ragioneria generale dello Stato (parere allegato al ricorso); \n        quanto   alle   competenze   dell\u0027I.N.P.S.,   il   meccanismo\ndell\u0027anticipazione introdotto con  la  richiamata  deliberazione  del\nC.d.A. n. 219/2022 (il quale peraltro  ha  consentito  solo  a  pochi\nsoggetti di accedere al beneficio stante la limitatezza delle risorse\nfinanziarie disponibili) e\u0027 stato da ultimo abrogato; \n        neanche  l\u0027altro  istituto  introdotto  nel  2019  (ossia  il\nfinanziamento bancario) e\u0027 satisfattivo,  anche  perche\u0027  non  esiste\nalcun obbligo per le banche di contrarre e comunque al beneficio  non\npotrebbero accedere i c.d. cattivi pagatori (in generale, poi, questi\nstrumenti sono stati definiti dalla stessa  Corte  costituzionale  di\nper se\u0027 non idonei a superare i profili di incostituzionalita\u0027  delle\nnorme che prevedono la dilazione del pagamento e la rateizzazione del\nT.F.S.). \n    4. Il ricorrente deduce quindi che le disposizioni in commento si\npongono in violazione dell\u0027art. 36 della Costituzione e  dell\u0027art.  1\ndel Protocollo 1 della C.E.D.U., in quanto: \n        l\u0027art. 36 della Costituzione statuisce che il  lavoratore  ha\ndiritto ad una retribuzione proporzionata alla qualita\u0027  e  quantita\u0027\ndel suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se\u0027 ed alla\nsua famiglia una  esistenza  libera  e  dignitosa.  La  retribuzione,\npertanto, da un lato non deve mai perdere il suo collegamento con  la\nprestazione lavorativa svolta e, dall\u0027altro, deve essere  adeguata  e\nsufficiente ai  sensi  dell\u0027art.  36  della  Costituzione,  avendo  a\nriguardo non solo alla sua entita\u0027, ma anche alla tempestivita\u0027 della\nsua corresponsione. Questi principi, come detto, si  applicano  anche\nal T.F.S. in ragione della  sua  natura  di  retribuzione  differita,\nfunzionale fra l\u0027altro ad  accompagnare  al  lavoratore  nel  momento\ndelicato  della  sua  uscita  dalla   vita   lavorativa.   La   Corte\ncostituzionale ha in piu\u0027 occasioni ribadito che tutte le misure  che\nincidono sul diritto alla retribuzione  per  superare  il  vaglio  di\ncostituzionalita\u0027 debbono essere giustificare da  comprovate  ragioni\ndi interesse generale e devono avere  efficacia  limitata  nel  tempo\n(sentenze n. 178 del  2015  e  n.  173  del  2016).  Nel  caso  delle\nmodalita\u0027 di corresponsione del T.F.S. questi paletterai  sono  stati\nampiamente travalicati, visto che i  sacrifici  imposti  agli  aventi\ndiritto al T.F.S. sono ormai divenuti strutturali e non  piu\u0027  legati\nad emergenze finanziarie; \n        per costante giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti\ndell\u0027uomo (Fabian c. Ungheria [GC], n. 78117/13,  5  settembre  2017;\nStefanetti,  n.  21838/10,  15  settembre   2014)   le   pensioni   e\nconseguentemente anche il trattamento di fine servizio  maturato  per\neffetto della vita lavorativa costituiscono un «bene» ai sensi  della\nConvenzione. Secondo le norme generali applicabili, il diritto matura\ned entra a far parte del patrimonio del titolare al momento in cui si\nsoddisfano i requisiti  per  il  pensionamento.  Le  prestazioni  non\nancora percepite rientrano nella sfera di  applicazione  dell\u0027art.  1\nProtocollo 1 allegato alla Convenzione,  in  quanto  espressione  del\ndiritto, gia\u0027 maturato e gia\u0027 parte del patrimonio del ricorrente fin\ndal momento del raggiungimento dei requisiti  necessari,  e  in  ogni\ncaso  debbono  essere  considerate  espressione  di  una   «legittima\naspettativa», esplicitamente  riconosciuta  e  tutelata  dal  diritto\ncostituzionale interno (Kopecký c. Slovacchia [GC], n.  44912/98,  28\nsettembre 2004; Plalam SPA c. Italia, n. 16021/02, 8 febbraio  2011).\nIn casi del genere la Corte europea dei diritti dell\u0027uomo verifica se\nil  diritto  dell\u0027interessato  di   beneficiare   delle   prestazioni\nprevidenziali e pensionistiche sia stato violato in  misura  tale  da\ncomprometterne  l\u0027essenza  (Domalewski  c.  Polonia  (dec.);  Kjartan\nAsmundsson c. Islanda, § 39; Wieczorek c. Polonia, § 57; Rasmussen c.\nPolonia, § 75; Valkov e altri c. Bulgaria, §§ 91 e 97; Maggio e altri\nc. Italia, § 63; Stefanetti e altri c. Italia, § 55).  Nel  caso  del\nT.F.S. si deve ritenere che, in ragione dell\u0027inerzia del  legislatore\nnell\u0027adeguarsi alle sentenze della Corte costituzionale,  il  diritto\ne\u0027 stato violato in misura tale da snaturarne il  contenuto,  sia  in\nragione della rateizzazione del pagamento, sia alla  luce  del  fatto\nche la dilazione temporale  non  e\u0027  compensata  dalla  rivalutazione\nmonetaria  delle  somme  spettanti  all\u0027ex  dipendente  pubblico.  Ne\nconsegue che la retribuzione differita viene ad essere di  fatto  non\npiu\u0027  proporzionata  e  adeguata  rispetto  all\u0027attivita\u0027  lavorativa\nsvolta e ai contributi versati. \n    Quanto ai presupposti per  la  remissione  della  questione  alla\nCorte, il ricorrente evidenzia che nella specie sussistono  tanto  la\nnon manifesta  infondatezza  delle  censure  dedotte  (le  quali  non\nsarebbero  superabili  dal  giudice  di  merito  per  il  tramite  di\nun\u0027interpretazione costituzionalmente orientata delle  norme  di  cui\nl\u0027I.N.P.S. ha fatto applicazione)  quanto  la  rilevanza  (visto  che\nnella vigenza delle norme in commento  ne\u0027  l\u0027istituto  previdenziale\nne\u0027 il tribunale amministrativo regionale potrebbero  riconoscere  ad\nesso ricorrente il diritto a percepire il T.F.S. in  unica  soluzione\ne/o la rivalutazione sulle somme via via erogate). \n    5.  Per  resistere  al  ricorso  si  e\u0027  costituito  in  giudizio\nl\u0027I.N.P.S., ribadendo la legittimita\u0027 del proprio operato  alla  luce\ndel quadro normativo vigente. \n    La causa e\u0027 passata in  decisione  all\u0027udienza  pubblica  del  12\nfebbraio 2025. \n    6. Il Collegio ritiene che la decisione  della  causa  non  possa\nprescindere dalla previa  decisione  della  Corte  costituzionale  in\nmerito  alla  compatibilita\u0027  delle  norme  di  legge  nella   specie\napplicate  a  danno  del  ricorrente  con  le  norme  e  i   principi\ncostituzionali di cui si dira\u0027 infra. \n    6.1. Quanto alla rilevanza delle questioni dedotte si potrebbe in\nastratto obiettare che il ricorrente  avrebbe  dovuto  contestare  la\nrateizzazione del pagamento sin dalla data di collocamento a riposo o\ncomunque antecedentemente alla percezione  della  prima  tranche  del\nT.F.S. (avvenuta, come detto,  nell\u0027ottobre  2023.  Per  inciso,  sul\nfinire del 2024 l\u0027I.N.P.S. ha corrisposto la seconda tranche),  visto\nche  alla  data  di  notifica  del  presente  ricorso  il   pagamento\nrateizzato di fatto era gia\u0027 in essere e  che,  molto  probabilmente,\nanche  la  terza  tranche  sara\u0027  versata  prima  della   risoluzione\ndell\u0027incidente di costituzionalita\u0027 e della  conseguente  definizione\ndell\u0027odierna controversia. \n    Va di contro evidenziato che: \n        anzitutto, trattandosi di  diritti  patrimoniali  soggetti  a\nprescrizione quinquennale (di cui il giudice  amministrativo  conosce\nin sede di giurisdizione esclusiva), il ricorrente non aveva  l\u0027onere\ndi agire entro il termine decadenziale; \n        in ogni caso, il dott. Materi censura anche il fatto  che  le\ndisposizioni impugnate non prevedono che la dilazione  del  pagamento\ndel  T.F.S.  sia  in  qualche  modo  compensata  dalla  rivalutazione\nmonetaria delle somme  erogate  dall\u0027I.N.P.S.  Pertanto,  laddove  la\nquestione di  legittimita\u0027  costituzionale  dovesse  essere  ritenuta\nfondata in  parte  qua,  il  ricorrente  avrebbe  diritto  a  vedersi\ncorrispondere una  somma  pari  alla  rivalutazione  monetaria  degli\nimporti liquidatigli, e questo anche se il presente giudizio  dovesse\nessere definito dopo il 1° novembre 2025. \n    Da ultimo e\u0027 appena il caso di ribadire che il  dott.  Materi  e\u0027\ncessato dal servizio per raggiunti limiti  di  eta\u0027  e  dunque  nella\nspecie non  trovano  applicazione  le  conclusioni  a  cui  la  Corte\ncostituzionale e\u0027 pervenuta nella sentenza n. 159 del 2019. \n    La questione e\u0027 rilevante in quanto le disposizioni  in  commento\nnon  sono  suscettibili  di   un\u0027interpretazione   costituzionalmente\norientata, stante il loro inequivoco tenore letteraerale. \n    6.2. Passando invece a trattare della non manifesta infondatezza,\nil Collegio osserva quanto segue. \n    6.2.1. Nella sentenza n. 130 del 2023  il  giudice  delle  leggi,\ndopo  aver  ribadito  la  natura  dell\u0027indennita\u0027  in  questione,  ha\nevidenziato che: \n        «...6.3. Questa Corte deve farsi carico della  considerazione\nche  il  trattamento  di  fine  servizio  costituisce  un   rilevante\naggregato della spesa di parte corrente e, per tale  ragione,  incide\nsignificativamente sull\u0027equilibrio del bilancio statale (sentenza  n.\n159 del 2019). Non e\u0027 da escludersi, pertanto, in  assoluto  che,  in\nsituazioni di grave difficolta\u0027  finanziaria,  il  legislatore  possa\neccezionalmente comprimere il diritto del lavoratore alla  tempestiva\ncorresponsione  del  trattamento  di  fine  servizio.  Tuttavia,   un\nsiffatto intervento e\u0027, anzitutto, vincolato al rispetto del criterio\ndella   ragionevolezza   della   misura   prescelta   e   della   sua\nproporzionalita\u0027 rispetto allo scopo perseguito»; \n        «Un ulteriore limite riguarda la durata di simili misure. \n        La legittimita\u0027 costituzionale delle norme dalle quali  possa\nscaturire una restrizione dei diritti patrimoniali del lavoratore e\u0027,\ninfatti,  condizionata  alla  rigorosa  delimitazione  temporale  dei\nsacrifici imposti (sentenza n. 178 del 2015), i quali  devono  essere\n«eccezionali, transeunti, non  arbitrari  e  consentanei  allo  scopo\nprefisso» (ordinanza n. 299 del 1999). \n        6.4.- Ebbene, il  termine  dilatorio  di  dodici  mesi  quale\nrisultante dall\u0027art. 3, comma 2, del decreto-legge n.  79  del  1997,\ncome convertito, e successive modificazioni, oggi non  rispetta  piu\u0027\nne\u0027 il requisito della temporaneita\u0027, ne\u0027 i limiti posti dai principi\ndi ragionevolezza e di proporzionalita\u0027. A differenza  del  pagamento\ndifferito dell\u0027indennita\u0027 di fine  servizio  in  caso  di  cessazione\nanticipata  dall\u0027impiego  -  in  cui  il  sacrificio   inflitto   dal\nmeccanismo  dilatorio  trova  giustificazione  nella   finalita\u0027   di\ndisincentivare  i  pensionamenti  anticipati  e  di   promuovere   la\nprosecuzione dell\u0027attivita\u0027 lavorativa (sentenza n. 159 del  2019)  -\nil, sia pur piu\u0027 breve, differimento operante in caso  di  cessazione\ndal rapporto di lavoro per raggiunti limiti di eta\u0027 o di servizio non\nrealizza un equilibrato componimento dei contrapposti interessi  alla\ntempestivita\u0027 della liquidazione del trattamento, da un  lato,  e  al\npareggio di bilancio, dall\u0027altro. Cio\u0027 in quanto  la  previsione  ora\nrichiamata ha «smarrito un orizzonte temporale definito» (sentenza n.\n159 del 2019), trasformandosi da intervento urgente  di  riequilibrio\nfinanziario in misura a carattere strutturale,  che  ha  gradualmente\nperso la sua originaria ragionevolezza»; \n        «6.5.- A cio\u0027 deve aggiungersi che la perdurante  dilatazione\ndei tempi di corresponsione delle indennita\u0027 di fine servizio rischia\ndi  vanificare  anche  la  funzione  previdenziale  propria  di  tali\nprestazioni, in quanto  contrasta  con  la  particolare  esigenza  di\ntutela avvertita dal dipendente al termine dell\u0027attivita\u0027 lavorativa. \n        Non e\u0027, infatti, infrequente che l\u0027emolumento in esame  venga\nutilizzato per sopperire ad esigenze non ordinarie del beneficiario o\ndei suoi familiari, e la possibilita\u0027 che tali  necessita\u0027  insorgano\nnelle more della liquidazione del trattamento espone l\u0027avente diritto\nad  un  pregiudizio  che  la  immediata  disponibilita\u0027  dell\u0027importo\neviterebbe»; \n        «6.6.- Occorre, ancora, considerare che  l\u0027odierno  scrutinio\ndi legittimita\u0027 costituzionale si innesta in un quadro macroeconomico\nin  cui  il  sensibile  incremento  della  pressione  inflazionistica\nacuisce  l\u0027esigenza  di   salvaguardare   il   valore   reale   della\nretribuzione,   anche   differita,   posto   che   il   rapporto   di\nproporzionalita\u0027, garantito  dall\u0027art.  36  della  Costituzione,  tra\nretribuzione e quantita\u0027 e qualita\u0027 del lavoro,  richiede  di  essere\nriferito «ai valori reali di entrambi i suoi  termini»  (sentenza  n.\n243 del 1993). \n        Di conseguenza, la dilazione oggetto di censura, non  essendo\ncontrobilanciata dal riconoscimento  della  rivalutazione  monetaria,\nfinisce  per  incidere  sulla  stessa  consistenza  economica   delle\nprestazioni di cui si tratta, atteso che, ai sensi dell\u0027art. 3, comma\n2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come  convertito,  allo  scadere\ndel termine annuale in questione e di un  ulteriore  termine  di  tre\nmesi sono dovuti i soli interessi di mora...»; \n        «6.7.- Questa Corte, con la richiamata sentenza  n.  159  del\n2019, ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimita\u0027\ncostituzionale dell\u0027art. 3, comma 2,  del  decreto-legge  n.  79  del\n1997,  come  convertito,  nella  parte  in  cui  prevede   che   alla\nliquidazione dei trattamenti di fine servizio,  comunque  denominati,\nl\u0027ente erogatore provveda \"decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione\ndel rapporto di lavoro\", nelle ipotesi diverse dalla  cessazione  dal\nservizio per raggiungimento dei limiti di eta\u0027 o di servizio previsti\ndagli ordinamenti di appartenenza [...]. In tale occasione, e\u0027  stata\nnondimeno segnalata, quanto alla medesima  normativa,  per  l\u0027effetto\ncombinato del pagamento differito e rateale delle indennita\u0027 di  fine\nrapporto nelle ipotesi di raggiungimento dei  limiti  di  eta\u0027  e  di\nservizio  o  di  collocamento  a  riposo  d\u0027ufficio   a   causa   del\nraggiungimento dell\u0027anzianita\u0027 massima  di  servizio,  \"l\u0027urgenza  di\nridefinire  una  disciplina  non  priva  di   aspetti   problematici,\nnell\u0027ambito di una organica revisione dell\u0027intera  materia,  peraltro\nindicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare [...].\nCon particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di\neta\u0027 e di servizio, la duplice funzione retributiva  e  previdenziale\ndelle  indennita\u0027  di  fine  servizio,  conquistate  \"attraverso   la\nprestazione  dell\u0027attivita\u0027  lavorativa  e  come  frutto   di   essa\"\n(sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del  Considerato  in  diritto),\nrischia  di  essere  compromessa,  in  contrasto   con   i   principi\ncostituzionali che,  nel  garantire  la  giusta  retribuzione,  anche\ndifferita, tutelano la dignita\u0027 della persona umana» (sentenza n. 159\ndel 2019)»; \n        «6.8.- A tale monito non  ha,  tuttavia,  fatto  seguito  una\nriforma specificamente volta a porre rimedio al vulnus costituzionale\nriscontrato...»  (seguono  le  considerazioni  relative  alle  misure\nalternative messe in capo dal legislatore e dall\u0027I.N.P.S. di  cui  si\ne\u0027 gia\u0027 detto nella parte in fatto  e  di  cui  si  dira\u0027  anche  nel\nsuccessivo § 6.2.2.). «Il legislatore non ha,  infatti,  espunto  dal\nsistema  il  meccanismo  dilatorio  all\u0027origine   della   riscontrata\nviolazione,  ne\u0027  si  e\u0027  fatto  carico  della  spesa  necessaria   a\nripristinare l\u0027ordine costituzionale violato, ma ha  riversato  sullo\nstesso  lavoratore  il  costo  della  fruizione  tempestiva   di   un\nemolumento che, essendo rapportato alla retribuzione  e  alla  durata\ndel  rapporto  e  quindi,  attraverso  questi  due  parametri,   alla\nquantita\u0027 e alla qualita\u0027 del lavoro, e\u0027 parte  del  compenso  dovuto\nper il servizio prestato (sentenza n. 106 del 1996)»; \n        «7.- Al vulnus  costituzionale  riscontrato  con  riferimento\nall\u0027art.  3,  comma  2,  del  decreto-legge  n.  79  del  1997,  come\nconvertito, questa Corte non puo\u0027, allo stato, porre  rimedio,  posto\nche il quomodo delle  soluzioni  attinge  alla  discrezionalita\u0027  del\nlegislatore. Deve, infatti,  considerarsi  il  rilevante  impatto  in\ntermini di provvista di cassa che il superamento del differimento  in\noggetto, in ogni caso, comporta; cio\u0027 che richiede che sia rimessa al\nlegislatore  la  definizione  della  gradualita\u0027  con  cui   il   pur\nindefettibile intervento deve essere attuato, ad esempio, optando per\nuna soluzione che, in ossequio ai richiamati principi di  adeguatezza\ndella retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalita\u0027, si sviluppi\nmuovendo dai trattamenti meno elevati per  estendersi  via  via  agli\naltri. \n        7.1.- La discrezionalita\u0027 di  cui  gode  il  legislatore  nel\ndeterminare i mezzi e le  modalita\u0027  di  attuazione  di  una  riforma\nsiffatta deve, tuttavia, ritenersi, temporalmente limitata. \n        La lesione  delle  garanzie  costituzionali  determinata  dal\ndifferimento della corresponsione delle prestazioni in  esame  esige,\ninfatti,  un  intervento  riformatore  prioritario,  che   contemperi\nl\u0027indifferibilita\u0027 della reductio ad legitimitatem con la  necessita\u0027\ndi inscrivere la spesa da essa  comportata  in  un  organico  disegno\nfinanziario che tenga conto anche degli impegni  assunti  nell\u0027ambito\ndella precedente programmazione economico-finanziaria. \n        7.2.-In proposito, questa Corte  deve  evidenziare,  come  in\naltre analoghe occasioni, «che non  sarebbe  tollerabile  l\u0027eccessivo\nprotrarsi  dell\u0027inerzia  legislativa  in  ordine  ai  gravi  problemi\nindividuati dalla presente pronuncia» (da ultimo, sentenza n. 22  del\n2022; si vedano anche sentenze n. 120 e n. 32 del 2021)»; \n        «8.-  Accertata  la   necessita\u0027   della   espunzione   della\ndisciplina concernente tale differimento, va  rilevato,  quanto  alla\nprevisione del pagamento rateale del trattamento di fine servizio  di\ncui all\u0027art. 12, comma 7, del decreto-legge  n.  78  del  2010,  come\nconvertito - l\u0027altra disposizione censurata - che il sistema cui essa\nha dato luogo, essendo strutturato secondo una progressione  graduale\ndelle dilazioni, via via piu\u0027  ampie  in  proporzione  all\u0027incremento\ndell\u0027ammontare della prestazione, da un lato, calibra  il  sacrificio\neconomico derivante dalla percezione  frazionata  dell\u0027indennita\u0027  in\nmodo tale da renderne  esenti  i  beneficiari  dei  trattamenti  piu\u0027\nmodesti; dall\u0027altro, assicura ai titolari delle indennita\u0027  ricadenti\nnegli scaglioni via  via  piu\u0027  elevati  la  percezione  immediata  -\nrectius: che diverra\u0027 immediata solo all\u0027esito della eliminazione del\ndifferimento previsto dall\u0027art. 3, comma 2, del decreto-legge  n.  79\ndel 1997, come convertito - almeno di  una  parte  della  prestazione\nloro spettante. \n        8.1.-  Tuttavia,  questa  Corte   non   puo\u0027   esimersi   dal\nconsiderare che  tale  disciplina  peraltro  connessa,  per  espressa\nprevisione   della   stessa   norma   censurata,    alle    esigenze,\nnecessariamente contingenti, di consolidamento dei conti  pubblici  -\nin quanto  combinata  con  il  descritto  differimento,  finisce  per\naggravare il vulnus sopra evidenziato». \n    6.2.2. Si deve dunque convenire con il ricorrente sul  fatto  che\nnella specie la Corte ha adottato una c.d. sentenza monito, ossia  ha\naccertato l\u0027incostituzionalita\u0027 delle norme di  legge  sottoposte  al\nsuo giudizio, ma non l\u0027ha dichiarata formalmente sul presupposto  che\nla riforma  organica  della  materia  compete  solo  al  legislatore,\nvenendo in rilievo vari interessi  di  rango  costituzionale  la  cui\nottimale  composizione  implica  delicate   valutazioni   di   ordine\npolitico,  relative  anzitutto  al  procacciamento  della   provvista\nfinanziaria necessaria per ricondurre il  sistema  alla  legittimita\u0027\ncostituzionale. \n    Ovviamente le c.d. sentenze monito, in assenza di  una  specifica\ndisposizione costituzionale che ne disegni la relativa disciplina, da\nun  lato  non  vincolano  il  legislatore  (non  esiste  infatti  uno\nstrumento  tecnico  in  forza  del  quale  si  possa   obbligare   il\nlegislatore ad adeguarsi ad una pronuncia  della  Corte),  dall\u0027altro\nlato pongono due questioni  preliminari,  relative,  rispettivamente,\nall\u0027accertamento della «inottemperanza» e al termine entro  il  quale\nil legislatore avrebbe dovuto adeguarsi. \n    Infatti, in presenza di «sentenze monito» a cui non  abbia  fatto\nseguito alcun intervento del legislatore e\u0027 necessario verificare  (e\ntale verifica compete ovviamente solo alla Corte costituzionale): \n        se si e\u0027 effettivamente in presenza di una «inottemperanza» o\nse esistono ragioni che giustificano l\u0027inattivita\u0027 del legislatore; \n        se tale «inottemperanza» si e\u0027 protratta per  un  periodo  di\ntempo tale da costituire nella sostanza  un\u0027elusione  delle  pronunce\ndella Corte. \n    Quanto al primo profilo, e ribadito che le norme applicate  nella\nspecie dall\u0027I.N.P.S. non risultano ad oggi modificate,  va  osservato\nche nella sentenza n. 130 del 2023 la Corte  costituzionale  ha  gia\u0027\nevidenziato che le misure finalizzate a consentire all\u0027ex  dipendente\ndi chiedere anticipazioni del T.F.S. o finanziamenti  bancari  previa\ncessione pro solvendo del credito non sono risolutive perche\u0027 «...non\napportano alcuna modifica alle norme in scrutinio, ma si  limitano  a\nriconoscere all\u0027avente diritto la facolta\u0027 di evitare  la  percezione\ndifferita dell\u0027indennita\u0027 accedendo pero\u0027  al  finanziamento  oneroso\ndelle stesse somme dovutegli a tale titolo...». \n    Il tribunale ritiene dunque che vi siano  fondati  argomenti  per\nsostenere che allo stato il  legislatore  non  si  e\u0027  oggettivamente\nadeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023  (mentre  in\nquesta sede non sono valutabili eventuali ragioni  che  giustifichino\ntale inerzia). \n    Quanto al secondo profilo, per un verso e\u0027 del  tutto  ovvio  che\nnon  si  puo\u0027  pretendere  un  adeguamento  immediato  da  parte  del\nlegislatore   (stanti   anche   i   tempi   tecnici   necessari   per\nl\u0027approvazione  di  una  proposta  di  legge),  per  altro  verso  e\u0027\naltrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non  tradursi  di\nfatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere  ottemperate  in\nun tempo ragionevole, che pero\u0027 non puo\u0027 essere stabilito dal giudice\ndi merito, ma solo dal giudice delle leggi. \n    6.2.3.  Va  dunque  sollevata  la   questione   di   legittimita\u0027\ncostituzionale degli  articoli  3,  comma  2,  del  decreto-legge  n.\n79/1997,  convertito   nella   legge   n.   140/1997   e   successive\nmodificazioni ed integrazioni, e 12, comma 7,  del  decreto-legge  n.\n78/2010, convertito, con modificazioni, nella  legge  n.  122/2010  e\nsuccessive modificazioni ed integrazioni,  per  il  profilo  relativo\nall\u0027omesso adeguamento delle norme medesime alle sentenze della Corte\ncostituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l\u0027inerzia\ndel legislatore  reitera  la  lesione  sostanziale  del  diritto  del\ndipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di eta\u0027\nalla percezione  di  una  retribuzione  (in  questo  caso  differita)\nsufficiente   e   proporzionata   all\u0027attivita\u0027   lavorativa   svolta\ndall\u0027interessato (art. 36 della Costituzione). La lesione sostanziale\ndiscende  dalla  dilazione  temporale  e  dalla   rateizzazione   del\npagamento della somma dovuta, non accompagnate da  un  meccanismo  di\nadeguamento degli importi pagati all\u0027andamento dell\u0027inflazione. \n    6.3. Laddove si volesse invece ritenere che le «sentenze  monito»\nnon vincolano ne\u0027 il legislatore ne\u0027 la stessa Corte  costituzionale,\nvanno nuovamente sollevate  le  medesime  questioni  di  legittimita\u0027\ncostituzionale delle prefate disposizioni di legge,  nella  parte  in\ncui le stesse prevedono - come misure ormai strutturali  e  non  piu\u0027\nlegate  a   specifiche   emergenze   finanziarie   -   la   dilazione\ndell\u0027effettiva erogazione  del  T.F.S.  e  (nell\u0027ipotesi  di  importi\nsuperiori a 50.000,00 euro, come e\u0027 nel caso dell\u0027odierno ricorrente)\nla rateizzazione dei pagamenti, non accompagnate dalla  rivalutazione\ndelle somme via via erogate all\u0027ex dipendente  pubblico  cessato  dal\nservizio per raggiunti limiti di eta\u0027. \n    Tali disposizioni confliggono con l\u0027art.  36  della  Costituzione\nper i profili gia\u0027 ampiamente evidenziati dalla Corte  costituzionale\nnei §§ 6.4., 6.5., 6.6, 6.8.,  7.,  7.1.,  7.2.,  8.,  e  8.1.  della\nsentenza n. 130 del 2023 e riepilogati nel §  6.2.1.  della  presente\nordinanza. \n    7. Per  tutto  quanto  precede,  va  sospeso  il  giudizio  e  va\nsollevata la questione di legittimita\u0027 costituzionale degli  articoli\n3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella  legge  n.\n140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12,  comma  7,\ndel decreto-legge n. 78/2010, convertito,  con  modificazioni,  nella\nlegge n. 122/2010, e successive modificazioni  ed  integrazioni,  per\ncontrasto con l\u0027art. 36 della Costituzione, nonche\u0027 con  le  sentenze\ndella Corte costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023. \n\n \n                               P.Q.M. \n \n    Il Tribunale amministrativo  regionale  per  le  Marche  (Sezione\nprima): \n        dichiara rilevante per  la  decisione  e  non  manifestamente\ninfondata la questione di legittimita\u0027 costituzionale degli  articoli\n3, comma 2, del decreto-legge n. 79/1997, convertito nella  legge  n.\n140/1997 e successive modificazioni ed integrazioni, e 12,  comma  7,\ndel decreto-legge n. 78/2010, convertito,  con  modificazioni,  nella\nlegge n. 122/2010 e  successive  modificazioni  ed  integrazioni,  in\nrelazione all\u0027art. 36 della Costituzione e alle sentenze della  Corte\ncostituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023; \n        sospende il giudizio e ordina l\u0027immediata trasmissione  degli\natti alla Corte costituzionale; \n        riserva al definitivo  ogni  altra  pronuncia  in  rito,  nel\nmerito e sulle spese. \n    Ordina alla segreteria di questo  tribunale  di  provvedere  alla\nnotifica della presente ordinanza a  tutte  le  parti  in  causa,  al\nPresidente del Consiglio dei ministri e ai  Presidenti  della  Camera\ndei deputati e del Senato della Repubblica. \n    Cosi\u0027 deciso in Ancona nella camera di consiglio  del  giorno  12\nfebbraio 2025 con l\u0027intervento dei magistrati: \n        Concetta Anastasi, Presidente; \n        Gianluca Morri, consigliere; \n        Tommaso Capitanio, consigliere, estensore; \n \n                       Il presidente: Anastasi \n \n \n                                               L\u0027estensore: Capitanio","elencoNorme":[{"id":"62375","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"dl","denominaz_legge":"decreto-legge","data_legge":"28/03/1997","data_nir":"1997-03-28","numero_legge":"79","descrizionenesso":"convertito con modificazioni in","legge_articolo":"3","specificaz_art":"","comma":"2","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto-legge:1997-03-28;79~art3"},{"id":"62408","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"l","denominaz_legge":"legge","data_legge":"28/05/1997","data_nir":"1997-05-28","numero_legge":"140","descrizionenesso":"succ. mod. ed integr.","legge_articolo":"","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1997-05-28;140"},{"id":"62376","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"dl","denominaz_legge":"decreto-legge","data_legge":"31/05/2010","data_nir":"2010-05-31","numero_legge":"78","descrizionenesso":"convertito con modificazioni in","legge_articolo":"12","specificaz_art":"","comma":"7","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto-legge:2010-05-31;78~art12"},{"id":"62409","ordinanza_anno":"","ordinanza_numero":"","ordinanza_numero_parte":"","cod_tipo_legge":"l","denominaz_legge":"legge","data_legge":"30/07/2010","data_nir":"2010-07-30","numero_legge":"122","descrizionenesso":"succ. mod. ed integr.","legge_articolo":"","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizione_attributo":"","descrizione_cat_rn":"","id_qualificazione":"","descrizione_qualificazione":"","link_norma_attiva":"http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2010-07-30;122"}],"elencoParametri":[{"id":"79035","ordinanza_numero_parte":"","tipo_lex_cost":"c","descriz_costit":"Costituzione","numero_legge":"","data_legge":"","articolo":"36","specificaz_art":"","comma":"","specificaz_comma":"","descrizionenesso":"","link_norma_attiva":"","unique_identifier":""}],"elencoParti":[{"id":"54547","num_progressivo":"","nominativo_parte":"Materi Filippo","data_costit_part":"15/04/2025","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"P","descrizione_tipologia_parte":"Parte","sigla_parte":""},{"id":"54552","num_progressivo":"","nominativo_parte":"Istituto nazionale della previdenza sociale - INPS","data_costit_part":"18/04/2025","flag_cost_fuori_termine":"No","indirizzo_difensore":"","id_avv_indirizzo":"","tipologia_parte":"C","descrizione_tipologia_parte":"Controparte","sigla_parte":""}]}}"
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